Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25606.
La massima estrapolata:
La concessione di vendita è un contratto atipico, non inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, ma qualificabile come contratto-quadro, in forza del quale il concessionario assume l’obbligo di promuovere la rivendita di prodotti (veicoli e pezzi di ricambio) che gli vengono forniti, mediante la stipulazione, a condizioni predeterminate, di singoli contratti di acquisto, ovvero l’obbligo di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle condizioni fissate nell’accordo iniziale
Ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25606
Data udienza 8 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16123/2013 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1952/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/06/2018 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 25 settembre 2001, la (OMISSIS) s.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la (OMISSIS) s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per violazione del divieto di abuso di dipendenza economica, di cui alla L. 10 febbraio 1998, n. 192, articolo 9 del Regolamento CE n. 1475 del 1995 e degli articoli 1175 e 1375 c.c., in cui sarebbe incorsa la convenuta nel rapporto di concessione di vendita stipulato tra le parti. Il Tribunale adito, con sentenza n. 17449/2004, rigettava la domanda.
2. Con sentenza n. 1952/2013, depositata il 08/04/2013 e notificata il 1.8 aprile 2013, la Corte d’appello di Roma, rigettava l’appello proposto dalla (OMISSIS). La Corte riteneva, invero, che il contratto intercorso tra le parti fosse stato stipulato – anche per quanto concerne il recesso della casa madre – in conformita’ al Regolamento comunitario suindicato, e che, di conseguenza, non fosse ravvisabile, nella specie, un’ipotesi di abuso del diritto da parte della (OMISSIS) s.p.a..
3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso la (OMISSIS) s.r.l. nei confronti della (OMISSIS) s.p.a., affidato a due motivi, illustrati con memoria ex articolo 380 bis. 1. c.p.c.. La resistente ha replicato con controricorso e con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con i due motivi di ricorso – che per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – la (OMISSIS) s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1175 e 1375 c.c. e della L. n. 192 del 1998, articolo 9, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto che la scelta di (OMISSIS) s.p.a. di recedere dal contratto di concessione per la vendita di autoveicoli e di pezzi di ricambio, stipulato con la (OMISSIS) s.r.l., fosse da reputarsi legittima, sebbene il recesso da tale contratto fosse stato esercitato ad nutum, ossia senza motivazione alcuna. La Corte territoriale sarebbe, invero, incorsa nella violazione degli articoli 1175 e 1375 c.c., avendo consentito – con l’interpretazione prescelta – uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della parte debole del contratto, ossia il distributore, ad esclusivo vantaggio della parte forte, ossia il fornitore, legittimando, in tal modo, un vero e proprio abuso del diritto, posto in essere dalla casa madre al fine di conseguire risultati diversi rispetto a quelli per i quali i poteri e le facolta’ previsti nel contratto erano stati attribuiti. 1.2. La conclusione cui e’ pervenuta l’impugnata sentenza – a parere dell’esponente – si sarebbe, altresi’, tradotta, contrariamente all’assunto della Corte d’appello, in un’arbitraria interruzione delle relazioni commerciali in atto tra le due imprese, in violazione della L. 10 febbraio 1998, n. 192, articolo 9, mediante l’esercizio del recesso, da parte della ditta fornitrice, “con modalita’ impreviste ed arbitrarie”, tali da ledere la legittima aspettativa della controparte di prosecuzione del rapporto contrattuale.
2. Le censure sono infondate.
2.1. Va, in primis, osservato che la concessione di vendita e’ un contratto atipico, non inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, ma qualificabile come contratto-quadro, in forza del quale il concessionario assume l’obbligo di promuovere la rivendita di prodotti (veicoli e pezzi di ricambio) che gli vengono forniti, mediante la stipulazione, a condizioni predeterminate, di singoli contratti di acquisto, ovvero l’obbligo di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle condizioni fissate nell’accordo iniziale (Cass., 18/09/2009, n. 20106; Cass., 19/02/2010, n. 3990; Cass., 27/02/2017, n. 4948).
Il concessionario, per adempiere ai propri obblighi contrattuali, e’, pertanto, tenuto ad effettuare specifici investimenti, mirati all’allestimento di una rete distributiva rispondente alle peculiari esigenze del concedente, nonche’ idonea a soddisfare pienamente i criteri da questo prefissati. E’, dunque, connaturale alla stessa struttura e funzione del contratto – che si atteggia come un contratto quadro o di tipo normativo – una certa soggezione del concessionario all’ingerenza, operata dal concedente, “nella sfera decisionale ed organizzativa dei singoli rivenditori”, come affermato dalla Corte d’appello (p. 3), aggravata – in caso di scioglimento del rapporto – dalla difficolta’ per il concessionario stesso di reperire sul mercato alternative che gli consentano di conservare – come parte del suo patrimonio – gli investimenti fatti per integrarsi nella rete di vendita altrui.
2.2. Tali caratteri sono, peraltro, ulteriormente evidenziati dalla disciplina comunitaria del contratto in esame, applicabile ratione temporis, cui hanno fatto riferimento sia la ricorrente che l’impugnata sentenza. Va osservato, in proposito, che l’articolo 1 del Regolamento (CE) della Commissione 28 giugno 1995, n. 1475 dispone: “L’articolo 85 (ora 81), par. 1 del trattato CE (esenzione dei sistemi di distribuzione selettiva delle case automobilistiche dal divieto delle intese e dal divieto del rifiuto di contrarre, sanciti dal Trattato CE) e’ dichiarato inapplicabile, ai sensi dell’articolo 85, par. 3 ed alle condizioni stabilite dal presente regolamento, agli accordi cui partecipano solo due imprese e mediante i quali un contraente s’impegna nei confronti dell’altro a fornire, all’interno di un territorio definito del mercato comune, 1) soltanto a quest’ultimo, o 2) soltanto a quest’ultimo e ad un numero determinato di imprese della rete distributiva, ai fini della rivendita, determinati autoveicoli nuovi a tre o piu’ ruote destinati ad essere utilizzati sulla via pubblica, nonche’ i relativi pezzi di ricambio”. Le limitazioni di concorrenza possibili nei confronti dei distributori attraverso la scelta di rivenditori in possesso di particolari standard di competenza professionale, e mediante la limitazione del loro numero – e’ considerata, dalla normativa comunitaria, funzionale a consentire al fornitore la piu’ efficiente e razionale predisposizione possibile della rete di distribuzione, nell’interesse dei consumatori.
2.3. Nondimeno, per compensare la dipendenza economica connaturale al contratto, che pone a carico dei fornitori i gravosi obblighi di fabbricare e distribuire i veicoli ed i ricambi,predisponendo la relativa rete di distribuzione – delle imprese distributrici, a loro volta gravate da consistenti oneri finanziari necessari all’inserimento nel sistema di distribuzione (acquisto dei veicoli e ricambi, mantenimento della struttura aziendale, ed altro), la suddetta normativa Europea ha previsto alcune clausole di garanzia a favore dei distributori, tra i quali la determinazione di un termine di preavviso in caso di recesso dal contratto da parte del fornitore. E tuttavia, anche sotto tale profilo – rilevante nella presente controversia – la disciplina comunitaria, correttamente applicata dalla Corte territoriale, evidenzia la preminenza attribuita nel rapporto all’impresa concedente.
L’articolo 5 Regolamento n. 1475 del 1995, n. 3, (applicabile al caso di specie ratione temporis), invero, cosi’ recita: “Le condizioni di esenzione previste dai paragrafi 1 e 2 non pregiudicano: (…) il diritto del fornitore di recedere dall’accordo con un preavviso di almeno un anno in caso di necessita’ di riorganizzare l’insieme o una parte sostanziale della rete”. I limiti concorrenziali succitati, cioe’, non escludono che il concedente possa recedere – ad nutum, come si vedra’ – dal contratto, fatto salvo, a favore delle imprese distributrici, il rispetto di un preavviso di almeno un anno.
A tal riguardo, la Corte Europea ha affermato che l’articolo 5 regolamento n. 1475 del 1995, n. 3, comma 1, primo trattino, in quanto indica che le condizioni di esenzione previste da questo regolamento “non pregiudicano” il diritto del fornitore di recedere da un accordo con un preavviso di almeno un anno in caso di necessita’ di riorganizzare l’insieme o una parte sostanziale della rete, “si limita (…) a introdurre nel detto regolamento una semplice possibilita’ che, con riserva del rispetto delle condizioni di applicazione indicate dalla detta disposizione, non limita la liberta’ contrattuale delle parti”. Orbene – osserva la Corte – “se l’articolo 5 regolamento n. 1475 del 1995, n. 3, comma 1, primo trattino, consente, in base alla sua stessa formulazione, ad un fornitore di recedere da un accordo con un tale preavviso ridotto in caso di necessita’ di riorganizzare la sua rete, esso non ali impone per contro nessun obbligo particolare per quanto riguarda la motivazione formale di tale recesso e la forma o il contenuto della riorganizzazione. Si deve constatare che tali obblighi non risultano, del resto, da nessun’altra disposizione del detto regolamento” (Corte Giustizia, 07/09/2006, Vulcan Silkeborg A/5).
2.4. Se ne deve inferire – contrariamente all’assunto della ricorrente – che sia la normativa nazionale che quella Europea configurano il rapporto di concessione in parola come strutturato su di una posizione di preminenza del fornitore, anche nella fase di scioglimento del rapporto, bilanciata – almeno in parte, per quel che qui rileva – dal riconoscimento, a favore dei distributori, di un termine di preavviso di almeno un anno, onde consentire agli stessi la conversione dell’attivita’. D’altro canto, va osservato che la normativa nazionale in materia (L. n. 192 del 1998, articolo 9) non sanziona il comportamento, contrattuale o extracontrattuale in se’, che dia vita alla situazione di dipendenza economica, bensi solo l'”abuso” di essa, da valutarsi in concreto, ed il cui indice sintomatico – indicato dalla norma stessa – e’ dato dall’impossibilita’ per l’impresa, che si trovi nello stato di dipendenza, di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
2.5. Tanto premesso, deve ritenersi che, nel caso di specie, la Corte d’appello abbia correttamente accertato – sul piano del diritto – la conformita’ del contratto stipulato tra le parti alle disposizioni di cui al Regolamento CE n. 1475 del 1995, per avere le stesse previsto, in caso di recesso della (OMISSIS), un periodo di preavviso che, nel caso di ristrutturazione della rete di distribuzione – nella specie comunicata alla (OMISSIS) nell'(OMISSIS) e ribadita nella riunione del (OMISSIS), nella quale i vertici della (OMISSIS) evidenziavano che il progetto di ristrutturazione prevedeva “la concentrazione dei concessionari in centri specializzati di grandi dimensioni (CMA)” (p. 4 della sentenza d’appello) -, doveva avere la durata di un anno.
La Corte ha, peraltro, accertato in fatto che, con l’atto di recesso del (OMISSIS) la casa madre aveva concesso alla concessionaria addirittura il termine doppio di ventiquattro mesi, come per l’ipotesi del recesso ordinario, ossia non dovuto ad esigenze organizzative. Lo scioglimento del rapporto e’, pertanto, da reputarsi – in concreto – legittimamente avvenuto, non essendo la concedente, in forza della normativa comunitaria succitata, neppure tenuta a motivare il recesso dal contratto di concessione, motivazione – nella specie – peraltro ampiamente fornita dalla casa madre, come dianzi detto. Ebbene, e’ di tutta evidenza che l’esercizio di una facolta’ – prevista nel contratto e legittimata dalla normativa nazionale e comunitaria – non puo’ dare luogo di per se’, in special modo quando – come nella specie – derivi dalla esigenza della fornitrice di riorganizzare la propria rete commerciale, ad abuso di posizione dominante, laddove non sia dimostrato, in concreto, che tale facolta’ sia stata esercitata per finalita’ diverse da quelle per le quali essa era stata pattuita o, comunque, prevista dall’ordinamento.
In altri termini – stante il tenore letterale dell’articolo 9 cit., che fa riferimento alla “reale possibilita’ per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti”, per tali intendendosi, come in precedenza detto, idonee a consentirle di mantenere in vita e di utilizzare gli investimenti operati per l’ingresso nella altrui rete distributiva – la (OMISSIS) avrebbe dovuto allegare e dimostrare che l’imposizione della fusione con altro concessionario, al fine di creare un centro specializzato di grandi dimensioni (CMA), ed il successivo recesso di (OMISSIS) dal contratto di concessione, fossero stati preordinati al solo fine di porre l’odierna ricorrente al di fuori del mercato, costringendola ad accettare condizioni di fusione inique. E tuttavia, la istante si e’limitata a dedurre sul punto, del tutto genericamente, che la (OMISSIS) s.r.l., il concessionario con il quale doveva avvenire la fusione, “non intendeva scendere a patti se non a condizioni inaccettabili” (p. 5), senza in alcun modo specificare in che cosa tali patti fossero consistiti, e che il recesso della casa madre era stato posto in essere con modalita’ “impreviste ed arbitrarie (p. 28), laddove – come visto – il recesso era stato espressamente motivato dalla (OMISSIS) con l’esigenza di riorganizzazione della propria rete commerciale, ed era stato operato con un preavviso doppio di quello dovuto.
2.6. Ne’ coglie nel segno – una volta escluso che la risoluzione del contratto sia avvenuta con modalita’ diverse da quelle previste dalla normativa nazionale e comunitaria – il riferimento della ricorrente alla violazione del principio di buona fede ex articolo 1375 c.c., ed alla violazione del divieto di interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto, ai sensi della L. n. 192 del 1998, articolo 9, alla luce di quanto affermato da questa Corte nella stessa decisione citata sia dalla (OMISSIS) s.r.l. che dal giudice di appello (che, peraltro, si riferiva ad un caso in cui non era stato dato ai concessionari alcun termine di preavviso). La decisione in parola ha, invero, statuito che si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalita’ non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facolta’ furono attribuiti (Cass., 18/09/2009, n. 20106).
Nel caso concreto, per le ragioni suesposte, il recesso della (OMISSIS) non presenta – per contro – i suddetti caratteri dell’arbitrarieta’, e non e’ stato esercitato con modalita’ prevaricatrici ed emulative. 3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.