Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 9 ottobre 2018, n. 45464.
Le massime estrapolate:
Per distinguere le fattispecie di corruzione da quella di induzione indebita a dare o promettere utilita’ non e’ necessaria la valorizzazione del profilo inerente all’assunzione di una iniziativa da parte del pubblico ufficiale, poiche’ quest’ultima puo’ costituire solo un indice sintomatico dell’induzione, mentre l’elemento differenziale va individuato nel fatto che nel reato di corruzione le parti agiscono in posizione di parita’ e il privato si determina al pagamento per mero calcolo utilitaristico e non per timore, laddove nel reato di induzione indebita il pubblico funzionario pone in essere una condotta di prevaricazione idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre “l’extraneus”, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, e l’indotto accede alla illecita pattuizione condizionato dal timore di subire un pregiudizio in conseguenza dell’esercizio dei poteri pubblicistici.
L’accordo corruttivo, dunque, presuppone, diversamente dal reato di induzione indebita, una situazione di par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro libero e consapevole della volonta’ delle parti
Sentenza 9 ottobre 2018, n. 45464
Data udienza 5 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente
Dott. DE AMICIS Gaetan – rel. Consigliere
Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere
Dott. VIGNA Maria Sabin – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/11/2017 della Corte di Appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DE AMICIS Gaetano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANIELLO Roberto, che ha concluso per la inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, Avvocato (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21 novembre 2017 la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, che all’esito di giudizio abbreviato condannava (OMISSIS) per il reato di cui agli articoli 81 cpv., 319, 321 cod. pen., concedendogli l’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, e riducendo ad un anno di reclusione la pena irrogatagli, con la conferma nel resto della sentenza impugnata.
Il ricorrente, amministratore della societa’ ” (OMISSIS)” s.r.l., e’ stato ritenuto dai Giudici di merito responsabile per avere in piu’ occasioni corrisposto a (OMISSIS), nella sua qualita’ di pubblico ufficiale in quanto direttore generale della societa’ in house providing ” (OMISSIS) s.r.l.” – societa’ partecipata al 100% dall’Agenzia territoriale per la casa del Comune di Torino (A.T.C.) e affidataria di lavori di manutenzione edile ed impiantistica commissionati nell’ambito del locale patrimonio di edilizia residenziale e pubblica – somme di denaro per un complessivo ammontare di circa Euro 3.700,00, allo scopo di ottenere affidamenti di lavori ed agevolazioni nei pagamenti delle relative prestazioni.
2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo, con un primo motivo di doglianza, violazioni di legge e vizi della motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine alla invocata derubricazione dei fatti nel delitto di cui all’articolo 319-quater c.p., comma 2, avendo la Corte distrettuale omesso di considerare la circostanza che il direttore generale della ” (OMISSIS) s.r.l.” pretendeva dal (OMISSIS), a fronte dell’assegnazione delle opere, non soltanto il riconoscimento di un’utilita’ per se’ stesso, ma anche l’applicazione di sensibili “ribassi” alle offerte economiche avanzate dall’impresa di cui l’imputato era titolare: un’imposizione di sconti del 3-4%, la cui mancata applicazione avrebbe determinato la perdita dell’affidamento dell’opera.
2.1. Con il secondo motivo si censurano violazioni di legge e vizi della motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine alla ritenuta sussistenza di un concorso di reati, sebbene la fattispecie in esame, come dalla difesa dedotto sin dalle conclusioni formulate nel primo giudizio, configurasse un unico fatto penalmente rilevante, con la conseguente necessita’ di escludere gli aumenti derivanti dal riconoscimento della continuazione.
Si assume, al riguardo, che ad una pluralita’ di atti contrari ai doveri d’ufficio consistiti nella pluralita’ di affidamenti da parte del direttore generale della (OMISSIS) s.r.l., “gia’ operati o ancora da operare” – non consegue un concorso di reati di corruzione avvinti dalla continuazione, poiche’ il delitto di cui all’articolo 319 cod. pen. ben puo’ manifestarsi come reato a consumazione prolungata, la cui struttura consta di piu’ condotte naturalisticamente autonome, facenti parte, tuttavia, di un’azione criminosa unica sul piano giuridico.
Nel caso di specie, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, sia il pubblico ufficiale che il privato hanno fatto riferimento, nelle loro dichiarazioni, ad un’unica pattuizione avente ad oggetto l’assegnazione di opere a fronte di elargizioni di denaro che hanno avuto luogo, in concreto, “in due o tre occasioni”, allo scopo, per il (OMISSIS), di beneficiare di ulteriori futuri affidamenti.
2.2. Con il terzo motivo, infine, si censurano violazioni di legge e vizi della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, per i reati-satellite, essendo stata siffatta attenuante applicata dalla Corte d’appello solo in relazione alla pena-base inflitta per la violazione piu’ grave fra quelle all’imputato ascritte, sebbene quest’ultimo avesse integralmente risarcito il danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e va rigettato per le ragioni di seguito indicate.
2. Muovendo dal complesso delle emergenze probatorie compiutamente illustrate in motivazione, la Corte distrettuale ha congruamente esaminato e disatteso le medesime obiezioni difensive qui sostanzialmente reiterate, confermando le ragioni giustificative addotte a sostegno dell’epilogo decisorio cui era pervenuto il primo Giudice ed altresi’ evidenziando, con argomenti immuni da vizi logico-giuridici in questa Sede rilevabili, i seguenti, dirimenti, elementi ricostruttivi in punto di fatto: a) che il (OMISSIS) ha dichiarato di aver ricevuto in piu’ occasioni somme di denaro dal (OMISSIS) – titolare della ditta che si occupava di lavori di spurgo e che aveva da poco ottenuto un incarico per lavori di demolizione nel cantiere di “(OMISSIS)” – collocando le dazioni di danaro tra la fine dei lavori nel su indicato cantiere e l’inizio dei lavori nel cantiere di “(OMISSIS)” (in epoca ricompresa fra il 2011 e il 2012) ed altresi’ indicando i luoghi ove sono avvenuti i pagamenti, per il complessivo importo di Euro 3.500,00, suddivisi in piu’ tranches; b) che specifici elementi di riscontro sono stati al riguardo offerti dalle dichiarazioni rese dallo stesso (OMISSIS), avendo questi ammesso di aver versato in piu’ occasioni al (OMISSIS) la su indicata somma di denaro dopo la chiusura dei lavori in un cantiere e in attesa della ripresa dei lavori in altro cantiere, nella consapevolezza che cio’ gli avrebbe consentito di “continuare a lavorare”, mantenendo un buon rapporto con il (OMISSIS), dal quale pensava di continuare ad essere chiamato; c) che il direttore generale della ” (OMISSIS)” s.r.l., quale articolazione operativa della predetta Agenzia territoriale del Comune (ente pubblico non economico, ausiliario della Regione, tenuto a rispettare le norme dell’evidenza pubblica e a perseguire finalita’ di interesse pubblico nell’affidamento dei lavori), non avrebbe potuto affidare questi ultimi ad imprese sub-appaltatrici con trattativa privata (secondo quanto emerso anche in relazione ad ulteriori episodi di corruzione indicati nelle decisioni di merito), ma avrebbe dovuto procedere alla indizione di gare pubbliche, come in seguito effettivamente avvenne dopo la sollecitazione dell’Autorita’ per la vigilanza sugli appalti; d) che le su indicate dazioni di danaro erano, da un lato, finalizzate alla remunerazione di un gia’ attuato, da parte del (OMISSIS), comportamento contrario ai doveri d’ufficio (l’affidamento dei lavori nel cantiere di (OMISSIS)), dall’altro lato risultavano strumentalmente orientate ad ottenere (per il (OMISSIS)) un impegno per l’affidamento di ulteriori lavori; e) che la vicenda storico-fattuale in esame doveva inquadrarsi all’interno di un piu’ ampio contesto ricostruttivo che aveva registrato il coinvolgimento dell’imputato in numerosi, analoghi, episodi corruttivi legati all’affidamento di lavori ad imprese private scelte in modo del tutto arbitrario, ossia non attraverso gare disciplinate dalle regole dell’evidenza pubblica, ma individuandole in una sorta di albo da lui stesso predisposto per la selezione degli imprenditori ritenuti utili per i lavori da eseguire, che a loro volta, per remunerare i frutti di tali vantaggiose scelte, gli consegnavano delle somme di denaro.
3. Per distinguere le fattispecie di corruzione da quella di induzione indebita a dare o promettere utilita’ questa Corte ha stabilito il principio secondo cui non e’ necessaria la valorizzazione del profilo inerente all’assunzione di una iniziativa da parte del pubblico ufficiale, poiche’ quest’ultima puo’ costituire solo un indice sintomatico dell’induzione (Sez. 6, n. 52321 del 13/10/2016, Beccaro Migliorati, Rv. 268520), mentre l’elemento differenziale va individuato nel fatto che nel reato di corruzione le parti agiscono in posizione di parita’ e il privato si determina al pagamento per mero calcolo utilitaristico e non per timore, laddove nel reato di induzione indebita il pubblico funzionario pone in essere una condotta di prevaricazione idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre “l’extraneus”, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, e l’indotto accede alla illecita pattuizione condizionato dal timore di subire un pregiudizio in conseguenza dell’esercizio dei poteri pubblicistici (Sez. 6, n. 50065 del 22/09/2015, De Napoli, Rv. 265750; Sez. 6, n. 53436 del 06/10/2016, Vecchio, Rv. 268791).
L’accordo corruttivo, dunque, presuppone, diversamente dal reato di induzione indebita, una situazione di par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro libero e consapevole della volonta’ delle parti (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258474).
Di tale quadro di principii la sentenza impugnata ha fatto buon governo, avendo escluso la presenza di qualsiasi condotta prevaricatrice sulla base di una motivata illustrazione del compendio probatorio, la’ dove ha segnatamente posto in rilievo i decisivi elementi di fatto qui di seguito indicati: a) che lo stesso imputato ha dichiarato di aver conosciuto anni prima il (OMISSIS), il quale, gia’ all’epoca, quando ricopriva un incarico direttivo in altra societa’, gli aveva prospettato il suo inserimento in un elenco di fornitori che aveva intenzione di creare quando fosse andato a dirigere una societa’ in house della A.T.C.; b) che la dazione di denaro e’ avvenuta perche’ intendeva lavorare e mantenere un buon rapporto con il (OMISSIS), dal quale pensava di continuare ad essere chiamato per l’affidamento di ulteriori lavori; c) che la sua intenzione era, come gia’ sopra rilevato, quella di remunerare l’affidamento gia’ ricevuto e, al contempo, di creare i presupposti per l’ottenimento di ulteriori commesse.
Coerentemente esclusa, pertanto, deve ritenersi qualsiasi intenzione prevaricatrice da parte del pubblico ufficiale, avendo i Giudici di merito spiegato che l’imputato si e’ spontaneamente determinato alle dazioni di denaro, senza che in alcun passaggio delle sue dichiarazioni o dei suoi comportamenti sia mai affiorata una posizione di squilibrio ovvero una limitata capacita’ di autodeterminazione legata a manifestazioni di timore o di soggezione nei confronti della controparte, rientrando nella dimensione di un tipico rapporto sinallagmatico l’evidenziata interlocuzione fra le parti intercorsa in merito alla consistenza delle percentuali dei ribassi da effettuare rispetto alle offerte.
4. Parimenti infondata, inoltre, deve ritenersi la seconda ragione di doglianza in ricorso prospettata, avendo questa Suprema Corte stabilito il principio secondo cui, a fronte di una plurima attivita’ pubblica eventualmente posta in essere dal pubblico ufficiale corrotto, il reato rimane unico solo nell’ipotesi in cui l’accettazione della promessa e la ricezione dell’utilita’ si rivelino unitarie, nel senso che sono riconducibili alla stessa fonte, anche se in funzione di una pluralita’ di atti da compiere, non quando sia riscontrabile, come verificatosi nel caso in esame, una pluralita’ di pattuizioni e di remunerazioni relative ad una pluralita’ di atti (Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234358; Sez. 6, n. 47191 del 28/10/2004, Lacatena, Rv. 230465; Sez. 6, n. 5913 del 25/01/1982, Albertini, Rv. 154240).
Le conformi decisioni di merito si sono uniformate a tale insegnamento giurisprudenziale ed hanno motivatamente escluso, alla stregua delle risultanze offerte dal compendio probatorio ivi coerentemente rappresentato, la possibilita’ di ravvisare nel caso in esame l’esecuzione di un unico accordo illecito ab origine intervenuto, sottolineando il fatto che la pluralita’ delle dazioni, giustificate da una pluralita’ di affidamenti, gia’ operati o ancora da operare, da parte del (OMISSIS), consentiva di configurare l’istituto della continuazione, non potendosi ritenere che quegli affidamenti fossero concretamente riconducibili ad una forma di rateizzazione di una sola, illecita, pattuizione.
5. Infondata, infine, deve ritenersi anche l’ultima delle su esposte ragioni di doglianza (v., in narrativa, il par. 2.2.), ove si consideri che, diversamente da quanto ivi dedotto, delle implicazioni logicamente sottese al riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, la decisione impugnata ha specificamente tenuto conto in sede di determinazione del trattamento sanzionatorio con riferimento agli effetti della ritenuta continuazione nel reato.
La pena, infatti, e’ stata congruamente individuata sulla base di un globale apprezzamento della condotta e della personalita’ dell’imputato, il cui epilogo sul piano della concreta dosimetria della relativa entita’ si e’ tradotto nella intervenuta riduzione in suo favore (due mesi di reclusione in luogo dei tre indicati nella decisione di primo grado) dell’aumento dalla Corte d’appello operato a titolo di continuazione interna sulla pena base ivi determinata dopo l’applicazione delle gia’ concesse attenuanti generiche e della su indicata attenuante comune (anno uno e mesi quattro di reclusione), e ancor prima di procedere all’abbattimento dovuto all’applicazione della diminuente legata alla scelta del rito abbreviato (si’ da pervenire, muovendo dalla pena di anno uno e mesi sei di reclusione come sopra complessivamente rideterminata dalla Corte di merito, alla ridotta misura finale di un anno di reclusione).
6. Al rigetto del ricorso consegue, ex articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.