Il tribunale, dopo la revoca della confisca non può negare il diritto alla restituzione delle somme sequestrate alla società

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 16 luglio 2018, n. 32692.

La massima estrapolata

Il tribunale, dopo la revoca della confisca non può negare il diritto alla restituzione delle somme sequestrate alla società, chiarendo che il denaro è stato utilizzato per sostenere spese utili alla conservazione di un altro bene confiscato.

Sentenza 16 luglio 2018, n. 32692

Data udienza 15 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio – Presidente

Dott. CATENA Rossella – rel. Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V.S. – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 18/02/2013 del TRIBUNALE di CATANIA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO;
lette le conclusioni del PG, Zacco Franca la quale ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con provvedimento del 27/04/2017 il Tribunale di Catania ha rigettato l’opposizione proposta da (OMISSIS) avverso la decisione con la quale il medesimo Tribunale aveva respinto la richiesta formulata, ai sensi del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articoli 28 e 46 al fine di ottenere la condanna del Ministero dell’Interno e dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla restituzione della somma di Euro 75.000,00, oltre rivalutazione.
2. Il Tribunale ha rilevato: a) che con decreto del 01/02/2006, n. 49 del Tribunale di Catania, divenuto definitivo a seguito della sentenza della Corte di Cassazione del 29/11/2007, era stata disposta la confisca, ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, articoli 1 e 2-ter di una serie di cespiti, tra i quali le quote della (OMISSIS) s.r.l. nonche’ il saldo attivo del conto corrente n. (OMISSIS) acceso presso la (OMISSIS) e intestato al (OMISSIS); b) che, con ordinanza del 18/02/2013 la Corte d’appello di Catania aveva accolto la richiesta di revocazione della confisca di prevenzione e aveva ordinato la restituzione dei beni confiscati, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Catania, affinche’ provvedesse, ove del caso, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 46; c) che, in epoca antecedente alla revocazione, l’amministratore dei beni confiscati e liquidatore della (OMISSIS) s.r.l., era stato autorizzato dalla Agenzia Nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati a presentare istanza di ammissione alla procedura di concordato preventivo e, a tal fine, aveva aperto un libretto di deposito vincolato all’ordine del giudice delegato, versandovi il 28/03/2012 la somma di Euro 75.000,00, a titolo di deposito cauzionale; d) che tale importo era stato prelevato, ai sensi della L. n. 575 del 1965, articolo 2-octies dal conto corrente appena indicato; e) che il concordato preventivo non era andato a buon fine ed era stato dichiarato il fallimento della societa’; f) che il (OMISSIS), dopo il rigetto, da parte del giudice delegato, della istanza di rivendica della somma di Euro 75.000,00 presentata nella procedura fallimentare, aveva richiesto la “restituzione per equivalente” della somma ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 46; g) che appunto avverso il rigetto di tale richiesta era stato presentato ricorso per cassazione, che questa Corte, con sentenza del 07/07/2016, aveva qualificato come opposizione; h) che l’articolo 46 cit. disciplina l’ipotesi che il bene al quale si riferisca la confisca successivamente oggetto di revocazione non possa essere restituito per le ragioni indicate dalla norma, realizzando un contemperamento tra il diritto alla restitutio in integrum e l’interesse pubblico che l’assegnazione del bene ha inteso soddisfare; i) che tale ipotesi era del tutto estranea al caso di specie, nel quale la somma di Euro 75.000,00 era stata utilizzata per sostenere spese utili per la conservazione di altro bene confiscato, con la conseguenza che non poteva essere restituita non gia’ perche’ destinata a fini istituzionali, ma per vicende (il fallimento) che riguardavano il bene interessato; l) che riprova dell’esattezza di tale conclusione si trae dal fatto che, ai sensi dell’articolo 46 cit., il pagamento e’ posto a carico del Fondo Unico di Giustizia, nel caso di bene venduto prima della confisca definitiva e, negli altri casi, a carico dell’amministrazione assegnataria, laddove, nel caso di specie, non sarebbe individuabile un soggetto beneficiario dell’arricchimento.
3. Nell’interesse del (OMISSIS) e’ stato proposto ricorso per cassazione affidato ai seguenti motivi.
3.1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’articolo 24 Cost. e Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28 rilevando che quest’ultima previsione, prendendo atto delle conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla disciplina previgente (Sez. U, n. 57 del 19/12/2006 – dep. 08/01/2007, Auddino, Rv. 234955), persegue la finalita’ di rimuovere, con effetto ex tunc una confisca illegittima, perche’ adottata in assenza dei necessari presupposti di legge, e impone di assicurare la riparazione della ingiusta perdita patrimoniale inflitta al destinatario della misura.
3.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’articolo 24 Cost. nonche’ Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 45, 46, 47 e 48 rilevando: a) che l’articolo 46 cit. riguarda la totalita’ dei beni appresi dallo Stato attraverso la confisca di prevenzione, dettando limitazioni ed eccezioni per il caso dei beni culturali, di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 10, comma 3, degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico, ai sensi degli articoli 136 ss. cit. codice, dei beni assegnati per finalita’ istituzionali o sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile di cui all’articolo 48, comma 3, lettera a), b) e c), del D.Lgs., quando la restituzione possa pregiudicare l’interesse pubblico, e, infine, dei beni venduti prima della confisca definitiva, ossia per ipotesi estranee alla situazione del ricorrente; b) che il riferimento dell’articolo 46, comma 2, ai beni venduti prima della confisca definitiva, dimostra l’erroneita’ dell’argomento secondo il quale la previsione opererebbe solo nel caso in cui il bene sia stato assegnato a finalita’ istituzionali, giacche’ queste ultime, al contrario, presuppongono la definitivita’ della confisca, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 47, comma 2; c) che dalla disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011 e’ ben possibile individuare il destinatario dell’obbligo restitutorio della somma confiscata al (OMISSIS): si tratta dell’Agenzia nazionale, cui il Decreto Legislativo cit., articolo 44 demanda la gestione dei beni confiscati e la destinazione degli stessi, ai sensi dei successivi articoli 47 e 48.
3.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge, con riguardo alla motivazione apparente del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I primi due motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione logica, sono fondati.
Preso atto che, nel caso di specie, la revocazione disposta ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28 scaturisce da provvedimento intangibile, si osserva che l’istituto introdotto dal legislatore delegato trova il suo antecedente storico nel rimedio previsto dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 7, comma 2, che era stato individuato dalla giurisprudenza di questa Corte, per consentire la revoca ex tunc” della misura, nel caso di accertamento, sulla base di elementi nuovi, dell’invalidita’ genetica del provvedimento irrogativo (v., di recente, Sez. 1, n. 11548 del 02/03/2012, Lipari, Rv. 252611, che, peraltro, proprio sull’esistenza di tale istituto ha fondato la conclusione della compatibilita’ del procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali con l’articolo 4 del Protocollo n. 7 CEDU, che riconosce il diritto all’imputato di ottenere la riapertura del processo nel caso di sopravvenienza di fatti nuovi).
La soluzione aveva ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite di questa Corte, per le quali il citato articolo 7, comma 2, consentiva di rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l’irreversibilita’ dell’ablazione determinatasi, che non esclude la possibilita’ della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita (Sez. U, n. 57 del 19/12/2006 – dep. 08/01/2007, Auddino cit.).
L’articolo 28 cit., u.c., prevede che, quando accoglie la richiesta di revocazione, la corte d’appello trasmette gli atti al tribunale che ha disposto la confisca, affinche’ provveda, ove del caso, ai sensi dell’articolo 46.
La finalita’ perseguita dalla disciplina impone, in conseguenza, di fornire dell’articolo 46 del medesimo Decreto Legislativo una lettura coerente con i parametri costituzionali e sovranazionali, che garantiscono sia la tutela della proprieta’ (articolo 42 Cost.; articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali) sia la effettivita’ della tutela giurisdizionale, principio generale del nostro ordinamento (Cost., articolo 24, 103 e 113), del diritto sovranazionale (articolo 6 e 13 della Convenzione cit.) e del diritto dell’Unione, attualmente sancito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, per come richiamata nell’articolo 6, par. 1, TUE con “lo stesso valore giuridico dei trattati” (Corte giustizia, 22/12/2010, DEB, §§ 30-31; Corte giustizia, 01/03/2011, Chartry, § 25; Corte giustizia, 28/07/2011, Samba Diouf, § 49; per una ricostruzione, v. Sez. 6, n. 17170 del 01/03/2016, Colucci, Rv. 267170).
A tal riguardo, Corte Europea 14/09/2017, Bozza c. Italia, ha ribadito che “il diritto a un tribunale sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva e vincolante rimanesse inoperante a scapito di una delle parti. L’esecuzione di una sentenza, indipendentemente da quale giudice l’abbia pronunciata, deve essere dunque considerata come facente parte integrante del processo, ai sensi dell’articolo 6” (par. 42) e che “da questi principi deriva l’obbligo per gli Stati contraenti di assicurare che ciascun diritto rivendicato trovi la sua effettiva realizzazione” (par. 43).
In tale prospettiva, non e’ ammissibile che il soggetto dell’ordinamento, dopo avere conseguito l’accertamento della fondatezza della sua pretesa, possa vedersi precluso il concreto soddisfacimento dell’interesse protetto.
Tale risultato puo’ essere raggiunto, nel presente procedimento, attraverso una piana lettura dell’articolo 46, il quale, a differenza di quanto ritenuto dal provvedimento impugnato, pur disciplinando analiticamente la restituzione per equivalente, in relazione a talune ipotesi correlate alla complessita’ che le vicende gestorie dei patrimoni confiscati possono presentare, presuppone, come regola generale, laddove sia venuto meno il titolo genetico, la restituzione dei beni confiscati.
Quando, infatti, l’articolo 46, comma 1 dispone che “la restituzione dei beni confiscati (…) puo’ avvenire anche per equivalente (…)” dimostra, in termini chiarissimi, che la regola generale e’ la restitutio in integrum e che le eccezioni sono rappresentate dai casi nei quali, per ragioni di efficiente svolgimento dei procedimenti di amministrazione dei beni confiscati, il legislatore si pone il problema della coesistenza di un interesse pubblico che giustifica il sacrificio, peraltro adeguatamente indennizzato, della pretesa restitutoria.
Del resto, sarebbe del tutto paradossale che il legislatore delegato si fosse occupato delle ipotesi nelle quali la natura del bene e, in generale, l’interesse pubblico (comma 1) o la vendita dello stesso (comma 2) giustificano l’esclusione della restituzione diretta e avesse lasciato prive di tutela le situazioni nelle quali neppure si pone quel problema di bilanciamento, che le ipotesi in principio ricordate sollevano, tra l’interesse del privato alla restituzione di un bene sottrattogli per effetto di un provvedimento emanato in assenza dei presupposti giustificativi e l’interesse pubblico alla conservazione dello stesso (comma 1) o del terzo acquirente (comma secondo).
Ne discende che colui che abbia ottenuto il provvedimento di revocazione ha diritto alla restituzione di quanto gli e’ stato confiscato e, in generale, come si desume dalla citata Sez. U, n. 57 del 19/12/2006 – dep. 08/01/2007, Auddino, al ripristino della situazione anteriore alla confisca, privata di effetti ex tunc.
Evidentemente, tale conclusione che riposa sul fondamento costituzionale e sovranazionale sopra ricordato e che impone una coerente lettura del dato normativo, non e’ messa in discussione dal fatto che le somme delle quali si tratta siano state impiegate per l’amministrazione di altro bene confiscato.
Ne’, in senso contrario, assume rilievo l’inciso contenuto nell’articolo 28, u.c., laddove prevede che il tribunale, al quale gli atti sono stati trasmessi dalla corte d’appello che abbia disposto la revocazione, provvede, ai sensi dell’articolo 46 “ove del caso”.
La norma non introduce valutazioni di opportunita’ – che sarebbero di dubbia legittimita’ costituzionale, in quanto sganciate da parametri normativi puntuali e prevedibili negli esiti applicativi – ma rinvia semplicemente ai possibili epiloghi decisori che l’articolo 46 prefigura, in relazione alle diverse situazioni che possono verificarsi in concreto.
In linea generale, ossia, a parte le ipotesi, non ricorrenti nel caso di specie, richiamate dal medesimo articolo 46, comma 3 che si giustificano per la destinazione impressa al bene confiscato nel frattempo, il soggetto obbligato alla restituzione e’ l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati, cui compete, ai sensi del D.Lgs., articolo 44 la gestione dei beni confiscati.
2. L’accoglimento dei primi due motivi comporta l’assorbimento del terzo e il conseguente annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Catania.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Catania.

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