Il giudizio in materia di accesso, anche se si atteggia come impugnatorio nella fase della proposizione del ricorso, in quanto rivolto contro l’atto di diniego o avverso il silenzio-diniego formatosi sulla relativa istanza ed il ricorso è da esperire nel termine perentorio di trenta giorni

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 8 giugno 2018, n. 3486.

La massima estrapolata:

Il giudizio in materia di accesso, anche se si atteggia come impugnatorio nella fase della proposizione del ricorso, in quanto rivolto contro l’atto di diniego o avverso il silenzio-diniego formatosi sulla relativa istanza ed il ricorso è da esperire nel termine perentorio di trenta giorni, è sostanzialmente rivolto all’accertamento la sussistenza o meno del titolo all’accesso nella specifica situazione, alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall’amministrazione per giustificarne il diniego

Sentenza 8 giugno 2018, n. 3486

Data udienza 1 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2827 del 2017, proposto da
Ca. Di Bi., rappresentata e difesa dall’avvocato Or. Ag., con domicilio eletto presso lo studio El. Co. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ge. Ma., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – sezione staccata di Salerno, Sezione I, n. 32/2017, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati D’A. su delega di Ag. e Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con atto di appello notificato nei tempi e nelle forme di rito, Ca. Di Bi., nella allegata qualità di componente di minoranza del Consiglio comunale di (omissis), impugnava la sentenza, meglio distinta in epigrafe, con la quale il TAR di Salerno aveva respinto il ricorso inteso a censurare il diniego opposto dal Comune alla propria richiesta di accesso generalizzato agli atti comunali mediante rilascio di apposita password di servizio per il programma contabile dell’Ente, senza limitazione di uso, postazione, orari e modalità.
2.- A sostegno del gravame:
a) premetteva che il Comune di (omissis), con delibera di giunta municipale n. 99 del 4 giugno 2015, aveva disciplinato le modalità di accesso ai documenti amministrativi ed al sistema informatico di contabilità comunale da parte dei consiglieri comunali, segnatamente prevedendo – al preordinato e concorrente fine di facilitare, per un verso, l’accesso ai consiglieri (mettendoli, con ciò, in condizione di espletare la meglio il proprio mandato) e di rendere, per altro verso, meno gravoso per l’Ente il generale obbligo di ostensione – l’istituzione, all’interno della casa comunale, di una postazione telematica certificata per l’accesso ai dati contabili, agevolmente consultabile da tutti i soggetti all’uopo abilitati;
b) aggiungeva che, con propria istanza del 2 agosto 2016, aveva richiesto il rilascio di una password di sistema, in modo da poter accedere anche da postazione remota;
c) precisava che sulla istanza si era formato un lesivo diniego, in virtù del silenzio serbato dall’Amministrazione per il successivo termine di trenta giorni e – comechessia – in forza di espressa determinazione reiettiva, della quale era venuta, peraltro, a conoscenza de auditu, in quanto mai formalmente partecipatale;
d) lamentava che – proposto rituale gravame – con l’impugnata sentenza i primi giudici avessero inopinatamente respinto le articolate ragioni di doglianza, sul complessivo ed argomentato assunto che l’istituzione di una apposita postazione informatica per la consultazione dei dati contabili dell’Ente non frapponesse significativi ostacoli (non prefigurando, come tale, una preclusione di tipo assoluto) al soddisfacimento delle valorizzate esigenze ostensive;
e) appellava, per l’effetto, la sentenza, prospettandone la complessiva erroneità (avuto complessivo riguardo al difettoso apprezzamento degli allegati precedenti giurisprudenziali in subiecta materia, alla erronea acquisizione della nozione di accesso c.d. da remoto, alla direttiva di cui all’art. 82 del d.lgs. 82/2005, in tema di c.d. amministrazione digitale, alla sostanziale irragionevolezza della compressione delle modalità di accesso al sistema telematico, legate alla imposizione della postazione informatica unica).
3.- Nella resistenza della intimata Amministrazione comunale – intesa alla diffusa argomentazione della inammissibilità e, comunque, della infondatezza del gravame – alla camera di consiglio del 1° febbraio 2018, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è fondato e merita di essere accolto.
2.- Il Comune di (omissis), con delibera di giunta comunale n. 99 del 4 giugno 2015, ha disciplinato le modalità di accesso ai documenti amministrativi ed al sistema informatico di contabilità comunale da parte dei consiglieri comunali, segnatamente prevedendo – al dichiarato fine di massimizzare la facilità dell’accesso secondo modalità tecniche compatibili con le risorse dell’ente – l’istituzione, all’interno della casa comunale, di una postazione telematica certificata per l’accesso ai dati contabili, come tale agevolmente consultabile da tutti i consiglieri.
3.- L’appellante assume, peraltro, l’insufficienza delle ridette modalità organizzative, rivendicando la concessione della facoltà di accesso anche da autonome postazioni remote, mediante rilascio di apposite credenziali (user id e password) e, per tal via, senza la limitazione riconnessa al necessario ricorso alla postazione fisica predisposta nei locali comunali.
A fondamento della pretesa (che – con ogni evidenza – non concerne l’an, ma esclusivamente il quomodo della ostensione) valorizza la direttiva emergente dalla complessiva digitalizzazione dei dati amministrativi (ex d.lgs. n. 82/2005) e la correlativa logica della massima semplificazione ed agevolazione delle modalità del relativo accesso, alla luce della miglior tecnologia disponibile.
4.- Per parte sua, l’Amministrazione premette, in fatto, di non disporre, allo stato, di un sistema in grado di garantire l’accesso da remoto (ciò che sarebbe confermato da apposita dichiarazione resa dalla società incaricata della gestione dei propri software) e ritiene, in ogni caso, adeguata, sufficiente e proporzionata, in diritto, la messa a disposizione in loco di postazioni dedicate.
5.- Ciò posto, in via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità, proposta ed argomentata dal Comune appellato, correlata alla mancata impugnazione della delibera di Giunta Comunale n. 99 del 4 giugno 2015, con cui era stato disciplinato e regolamentato il diritto di accesso agli atti.
Sul punto, giova puntualizzare che, per comune intendimento, il giudizio in materia di accesso, anche se si atteggia come impugnatorio nella fase della proposizione del ricorso, in quanto rivolto contro l’atto di diniego o avverso il silenzio-diniego formatosi sulla relativa istanza ed il ricorso è da esperire nel termine perentorio di trenta giorni, è sostanzialmente rivolto all’accertamento la sussistenza o meno del titolo all’accesso nella specifica situazione alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall’amministrazione per giustificarne il diniego (cfr., ex permultis, Cons. Stato, V, 7 novembre 2008, n. 5573).
Se ne desume che la mancata impugnazione delle disposizioni regolamentari (per giunta, suscettibili, in quanto tali di disapplicazione: cfr. Cons. Stato, IV, 23 febbraio 2009, n. 1074), non costituisce per definizione ragione di inammissibilità del ricorso.
6.- Tanto premesso, osserva il Collegio che, ai sensi dell’art. 43, comma 2 del d.lgs. n. 267 (recante il Testo unico degli enti locali), “i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato”.
A tal fine, le amministrazioni “assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine utilizzando con le modalità più appropriate e nel modo più adeguato al soddisfacimento degli interessi degli utenti le tecnologie dell’informazione e della comunicazione” (cfr. art. 2, comma 1 d.lgs. n. 82/2005, recante il c.d. Codice dell’amministrazione digitale).
La direttiva emergente dalle richiamate disposizioni è senz’altro nel senso: a) che la fruibilità dei dati e delle informazioni in modalità digitale debba essere garantita con modalità adeguate (alla precipua finalità informativa) ed appropriate (alla tecnologia disponibile); b) che – secondo un corrispondente e sotteso canone di proporzionalità – grava sull’amministrazione l’approntamento e la valorizzazione di idonee risorse tecnologiche, che – senza gravare eccessivamente sulle risorse pubbliche – appaiano in grado di ottimizzare, in una logica di bilanciamento, le esigenze della trasparenza amministrativa.
In siffatta prospettiva, l’Amministrazione non ha dimostrato, neanche nella presente sede, che il costo della predisposizione di un software adeguato a consentire (mediante il rilascio di credenziali certificate e personalizzate) l’accesso da postazioni remote sia concretamente sproporzionato (a fronte dei costi comunque necessari all’approntamento ed alla conservazione di una postazione fisica dedicata, all’interno dei locali dell’ente) ed economicamente esorbitante rispetto alla rivendicata finalità informativa.
All’incontro, dovrà considerarsi che – nel complessivo quadro delle risorse finanziarie destinate ai mezzi informatici – il costo imputabile alla acquisizione ed alla implementazione di idoneo software si palesa, notoriamente, non irragionevolmente superiore ai costi delle dotazioni informatiche.
Deve, per tal via, opinarsi, in difformità della valutazione sul punto espressa dai primi giudici, che la emergente e duplice direttiva del doveroso approntamento e del costante adeguamento delle tecnologie disponibili, ai fini di un migliore, efficace e funzionale accesso ai dati, milita per il riconoscimento del carattere indebitamente compressivo della limitazione di fatto frapposta alla pretesa ostensiva della ricorrente.
In riforma della impugnata statuizione, il ricorso merita, in definitiva, di essere accolto, con consequenziale ordine alla intimata Amministrazione di apprestare, entro il termine ragionevole di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione della presente statuizione, le modalità organizzative per il rilascio di password per l’accesso da remoto al sistema informatico.
La particolarità e la novità della fattispecie giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ordina al Comune intimato di procedere all’approntamento, nel termine di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione della presente sentenza, delle le modalità organizzative per il rilascio, a favore della ricorrente, di apposita password per l’accesso da remoto al sistema informatico.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore

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