La fattispecie di cui all’articolo 660 c.p. e’ reato c.d. plurioffensivo, in quanto tutela la pubblica tranquillita’ dai negativi riflessi che possono derivare dalle offese alla quiete della singola persona.

Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 18 aprile 2018, n. 17442

La fattispecie di cui all’articolo 660 c.p. e’ reato c.d. plurioffensivo, in quanto tutela la pubblica tranquillita’ dai negativi riflessi che possono derivare dalle offese alla quiete della singola persona.

Sentenza 18 aprile 2018, n. 17442
Data udienza 27 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. BIANCHI Michele – rel. Consigliere

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 22/03/2016 del TRIBUNALE di CIVITAVECCHIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MICHELE BIANCHI;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dptt.ssa DI NARDO MARILIA, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata in data 22.3.2016 il Tribunale di Civitavecchia ha dichiarato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) in ordine alla contravvenzione di cui all’articolo 660 c.p., commessa dal (OMISSIS), e lo ha condannato alla pena di Euro 300,00 di ammenda, oltre alle statuizioni civili.

Il primo giudice ha fondato il giudizio di colpevolezza sulla testimonianza della persona offesa, che aveva dichiarato di aver ricevuto, sino al (OMISSIS), dall’imputato, coniuge separato, numerosi messaggi telefonici, a contenuto offensivo e minaccioso, confermata dalla documentazione acquisita, riproducente il contenuto dei messaggi e attestante l’orario notturno degli stessi.

2. Contro tale provvedimento, il difensore dell’imputato ha proposto impugnazione, trasmessa a questa Corte ai sensi dell’articolo 568 c.p.p., comma 5, deducendo i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

– violazione di norme processuali, per non aver il Tribunale ammesso l’imputato alla oblazione;

– violazione della legge penale, per aver il primo giudice ritenuto la sussistenza del fatto nonostante l’assenza di pericolo per l’ordine pubblico;

– difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato e va percio’ respinto.

Si deve innanzitutto rilevare che, esattamente, l’atto di impugnazione, qualificato dalla parte come “atto di appello”, e’ stato trasmesso a questa Corte, essendo relativo a sentenza di condanna alla sola pena dell’ammenda e quindi non impugnabile con appello, ai sensi dell’articolo 593 c.p.p., comma 3, ma solo con ricorso per cassazione.

E’ stato precisato che trattasi di mera qualificazione giuridica dell’atto processuale e che la verifica delle condizioni di ammissibilita’ va compiuta alla stregua delle norme che disciplinano il mezzo di impugnazione ammesso dall’ordinamento (Sez. Un. 31.10.2001, Bonaventura, Rv. 220221).

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione di norme processuali per aver il primo giudice negato l’ammissione all’oblazione, pur ricorrendone i presupposti.

L’istituto previsto dall’articolo 162 bis c.p. richiede la sussistenza di alcuni requisiti di ammissibilita’ (il titolo del reato, il pagamento della meta’ del massimo edittale, le condizioni soggettive ed oggettive) e la positiva valutazione, discrezionale, del giudice in ordine alla entita’ del fatto.

A fronte dell’ordinanza di rigetto, che ha fatto riferimento alla gravita’ del fatto, il motivo di ricorso non ha proposto alcuna critica specifica alla motivazione data sul punto dal Tribunale, ma si e’ limitato a proporre una propria, e alternativa, valutazione dell’entita’ del fatto, contestando non la motivazione del rigetto, bensi’ il contenuto stesso della decisione.

Il motivo proposto risulta quindi formulato solo genericamente e comunque per motivi non consentiti.

2.1. Il secondo motivo deduce che erroneamente sarebbe stata ritenuta la sussistenza del fatto, pur in assenza di alcun pericolo per l’ordine pubblico.

Sul punto, e’ stato precisato che la fattispecie di cui all’articolo 660 c.p. e’ reato c.d. plurioffensivo, in quanto tutela la pubblica tranquillita’ dai negativi riflessi che possono derivare dalle offese alla quiete della singola persona (Sez. 1, 4.5.2016, Calo’, Rv. 267112; Sez. 1, 27.6.2014, Terzi, Rv. 261234; Sez. 1, 28.2.2002, Nurcaro, Rv. 221373).

Il ricorrente ha sostenuto che il Tribunale avrebbe affermato il pericolo per l’ordine pubblico, e quindi la sussistenza del fatto, solo sulla base della percezione, da parte della persona offesa, del carattere ambivalente dei messaggi telefonici.

In realta’, la sentenza impugnata ha dato atto del turbamento patito dalla persona offesa per il carattere ambiguo delle comunicazioni dell’imputato, ma ha anche evidenziato che quelle comunicazioni avevano interferito “sgradevolmente nella sfera privata della persona offesa, comprensibilmente privata della possibilita’ di vivere una quotidianita’ serena, attesa l’invadenza e l’intromissione continua da parte dell’ex coniuge”.

2.2. Il motivo denuncia anche il difetto di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato, che il Tribunale avrebbe desunto esclusivamente dall’accertato turbamento della tranquillita’ della persona offesa.

In realta’, dalla esposizione dei fatti compiuta dalla sentenza impugnata emerge coerenza piena tra il contenuto dei messaggi, gravemente offensivi, e la reazione di turbamento provata dalla persona offesa: la consapevolezza e volonta’ dell’imputato di recare disturbo non e’ provata dalla reazione soggettiva della persona offesa, bensi’ dalla condotta stessa posta in essere, dalle caratteristiche che chiaramente rivelano una volonta’ finalizzata a creare disturbo al destinatario dei messaggi.

Il motivo risulta quindi infondato.

3. Il ricorso va quindi respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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