Suprema Corte di Cassazione 

sezione III

sentenza n. 9432 del 11 giugno 2012

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Napoli dichiarava inammissibile l’appello proposto da P.M. avverso la sentenza del Giudice di pace (sentenza n. 35799 del 2007), che aveva respinto la sua domanda (notificata il 20 febbraio 2006) di risarcimento del danno in esito a un sinistro stradale (sentenza del 2 settembre 2009).
L’inammissibilità dell’appello veniva fondata sul valore della controversia (entro Euro 1.100,00), con conseguente emissione della sentenza secondo equità, e, quindi, sulla mancata denuncia della violazione di principi informatori della materia.
2. Avverso la suddetta sentenza, P. propone ricorso per cassazione con tre motivi di ricorso.
G.S. e la Zuritel Assicurazioni Spa, ritualmente intimati, non svolgono difese.

Motivi della decisione

1. Il giudice del merito ha ritenuto la sentenza secondo equità (ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2) sulla base delle seguenti argomentazioni:
a) nell’atto introduttivo di primo grado, i danni richiesti relativamente all’automobile sono quantificati in Euro 900,00, oltre interessi e rivalutazione;
b) ai fini del pagamento del contributo unificato, il valore è indicato in Euro 1.032,91;
c) per quanto tale dichiarazione sia rivolta al cancelliere e non incida sulla determinazione del valore della causa, ai sensi dell’art. 10 c.p.c., nella specie è confortata dalle conclusioni dinanzi al giudice di pace, nelle quali i danni furono quantificati in Euro 900,00. Quindi, ha ritenuto inammissibile l’appello – previsto, per le sentenze pronunciate secondo equità, nei limiti di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3, (come novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile ratione temporis, per essere il giudizio pendente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto (atto di citazione del febbraio 2006) e la sentenza del giudice di pace pubblicata dopo, nel 2007) – non essendo dedotta la violazione dei principi regolatori della materia, ma, sostanzialmente, solo la censura della valutazione delle prove effettuata dal giudice di primo grado.

2. Con il primo motivo di ricorso – deducendo la violazione degli artt. 10, 14, 16, 17 e 113, in relazione all’art. 339 c.p..c., comma 3, – si lamenta la non corretta riconduzione della domanda in quella che il giudice di pace decide secondo equità, dovendosi, invece, ritenere la domanda di risarcimento proposta senza precisazione di quantum e, quindi nei limiti della competenza per valore del giudice adito (Euro 15.493,71, ex art. 7 c.p.c., comma 2, applicabile ratione temporis), ai sensi dell’art. 14 cod. proc. civ..
A tal fine, in particolare, si sottolinea quanto segue.

a) Quanto al danno all’autovettura, mentre nella parte iniziale dell’atto introduttivo veniva quantificato in Euro 900,00, nelle conclusioni dello stesso atto, venivano chiesti tutti i danni (sotteso quello di fermo tecnico), oltre interessi e svalutazione, comunque nella misura provate e quantificata secondo “giustizia” e non secondo “equità”.
In sede i precisazione delle conclusioni, si quantificava in Euro 150,00, il fermo tecnico e si insisteva per gli interessi e rivalutazione. b) Comunque, la mancata espressa dichiarazione di voler contenere il danno nei limiti dell’equità vale come intenzione di contenere la domanda entro i limiti massimi di competenza del giudice adito. c) La dichiarazione di valore rispetto al contributo unificato, avente finalità esclusivamente fiscale, non incide sulla determinazione del valore della causa, da effettuarsi ai sensi degli artt. 10 e segg. c.p.c.; nè il convenuto ha mai contestato, nella prima difesa, il valore della causa.

2.1. Il motivo va accolto.
Il giudice di appello avrebbe dovuto ritenere il giudizio, non secondo equità, ma nei limiti della competenza per valore del giudice adito, con conseguente esperibilità dell’appello senza limiti.
2.2. Preliminarmente, deve escludersi che la dichiarazione per il contributo unificato abbia incidenza nella determinazione del valore della causa, ai fini della competenza.

La Corte, infatti, ha affermato il seguente principio la circostanza che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 14, comma 2 esclude la rilevanza degli interessi per la individuazione del valore ai fini del contributo unificato, mentre essi sono considerati dall’art. 10 c.p.c., comma 2, rilevanti ai fini dell’individuazione del valore della domanda ed il fatto che la dichiarazione della parte in funzione della determinazione del contributo unificato è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, escludono decisamente ogni possibile partecipazione di tale dichiarazione di valore alle conclusioni della citazione, cui allude l’art. 163, n. 4 e, quindi, la possibilità di considerare la dichiarazione come parte della “domanda”, nel senso cui vi allude l’art. 10 cit., comma 1, quando dice che “il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti” e fra queste dell’art. 14 c.p.c. (Cass. 13 luglio 2007, n. 15714).

2.3. Rilevanti, per la decisione della controversia, sono i principi, consolidati, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, in tema d’impugnazione delle sentenze del giudice di pace, non appellabili, ma ricorribili per Cassazione, in base al combinato disposto dall’art. 339 c.p.c., comma 3, e art. 113 c.p.c., comma 2, prima della modifica operata con il D.Lgs. n. 40 del 2006.
In generale, la Corte ha affermato, che “sono da ritenersi inappellabili (e perciò immediatamente ricorribili per Cassazione) tutte le sentenze pronunciate dal giudice di pace in controversie non eccedenti il valore previsto (dall’art. 113 c.p.c.), a prescindere dal fatto che esse siano pronunciate secondo diritto o secondo equità, a tal fine dovendo considerarsi non il contenuto della decisione ma, solamente, il valore della controversia, da determinarsi applicando analogicamente le norme di cui agli artt. 10 e segg. c.p.c. in tema di competenza” (es. Cass. 18 gennaio 2005, n. 899).
Ne consegue che, quando la controversia abbia ad oggetto somma di denaro non determinata ma orientativamente indicata in “quella maggiore o minore conforme a giustizia”, essendo indeterminata la domanda si presume, ai sensi dell’art. 14 c.p.c., u.c., pari al limite massimo della competenza per valore del giudice adito, rimanendo escluso che essa possa considerarsi resa in base ad equità (es. Cass. n. 899 del 2005).
In tale contesto, in riferimento a domanda determinata nell’ammontare, che si accompagna a richiesta generica di maggior somma, si è precisato “in caso di domanda di risarcimento del danno da circolazione stradale proposta davanti al giudice di pace, il valore della causa, per stabilire se la stessa debba essere decisa secondo equità (perchè non superiore al (valore previsto dall’art. 113 cod. proc. civ.)) va individuato applicando le norme relative alla competenza per valore, con la conseguenza che, se la parte, oltre ad indicare una somma specifica non superiore (all’importo suddetto), abbia anche richiesto, in via alternativa o subordinata, una somma maggiore, da determinarsi in corso di causa, il valore della causa, in forza del principio stabilito dall’art. 14 cod. proc. civ., si deve presumere, in difetto di tempestiva contestazione, nei limiti della competenza del giudice adito, (ai sensi dell’art. 7 cod. proc. civ.)” (Cass. 20 settembre 2002, n. 13795) e, cioè, in ragione della natura della domanda, in misura al di sopra del limite della giurisdizione equitativa.

2.4. Nella specie, nell’atto introduttivo il danno all’autovettura veniva quantificato in Euro 900,00 e nelle conclusioni dello stesso atto venivano chiesti tutti i danni (compreso quello di fermo tecnico, quantificato in Euro 150 in sede di precisazione delle conclusioni), oltre interessi e svalutazione, comunque nella misura quantificata secondo giustizia. Che la clausola “secondo giustizia” non sia di stile (Cass. 26 luglio 2011, n. 16318) si desume dalle risultanze di causa; basti considerare la richiesta di interessi e rivalutazione sull’importo quantificato nella domanda.
Pertanto, il primo motivo di ricorso va accolto sulla base del seguente principio di diritto:
“Ai fini della ammissibilità dell’appello a rime obbligate, previsto, per le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità (art. 113 c.p.c., comma 2), nei limiti di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3, (come novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile ratione temporis), non rileva se le suddette sentenze siano pronunciate secondo diritto o secondo equità, ma il valore della controversia, da determinarsi – indipendentemente dal valore dichiarato per il contributo unificato – applicando analogicamente le norme di cui agli artt. 10 e segg. c.p.c. in tema di competenza. Di conseguenza, in presenza di una domanda determinata nell’ammontare, inferiore al limite quantitativo previsto per la giurisdizione di equità, che si accompagni ad una richiesta generica di maggior somma conforme a giustizia (salvo che quest’ultima possa considerarsi mera clausola di stile sulla base delle risultanze di causa), essendo indeterminata la somma richiesta, la domanda, in difetto di tempestiva contestazione, si presume, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 14 c.p.c., pari al limite massimo della competenza per valore del giudice adito in ragione della natura della domanda (art. 7 c.p.c.) e, quindi, nella misura al di sopra del limite della giurisdizione equitativa. Consegue l’appellabilità secondo le regole generali e non nei limiti di cui all’art. 339 cit.”. 3. Con il secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa pronuncia da parte del Tribunale sui motivi di appello. Con il terzo motivo si censura la sentenza nella parte in cui ha condannato la parte soccombente alle spese processuali del grado, senza ricorrere alla compensazione per giusti motivi.
Entrambi restano assorbiti dall’accoglimento del primo motivo, logicamente preliminare.
4. In conclusione, la sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto e il giudice di rinvio, cui è rimessa la causa anche per le spese del presente processo, esaminerà l’appello nel merito senza le limitazioni di cui all’art. 339 cit.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese processuali del giudizio di cassazione.

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