Circa i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti vicini o appartenenti alla malavita organizzata, l’Amministrazione può ragionevolmente attribuire loro rilevanza quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità; se, di per sé, è irrilevante un episodio isolato ovvero giustificabile, sono invece altamente significativi i ripetuti contatti o le frequentazioni di soggetti coinvolti in sodalizi criminali, di coloro che risultino avere precedenti penali o che comunque siano stati presi in considerazione da misure di prevenzione; tali contatti o frequentazioni, anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono, possono far presumere, secondo la logica del “più probabile che non”, che l’imprenditore scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi.
Sentenza 8 settembre 2017, n. 4261
Data udienza 20 luglio 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2.267 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Pa. e -OMISSIS- Gu., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Pa. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di -OMISSIS-, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);
-OMISSIS-, non costituiti in giudizio;
-OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Re. e Fr. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Ca. in Roma, piazza (…);
-OMISSIS-., incorporante la -OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ro. Fr., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Sb. in Roma, via (…);
-OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pi. Al., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Pa. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la -OMISSIS- – -OMISSIS– SEZIONE QUARTA, -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente le informative antimafia interdittive emesse dal Prefetto di -OMISSIS-in data -OMISSIS-, le risoluzioni contrattuali disposte dalla -OMISSIS- (ora -OMISSIS-.) del -OMISSIS- e la revoca di autorizzazione al subappalto disposta da -OMISSIS-. del -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di -OMISSIS-, di -OMISSIS-., di -OMISSIS-., incorporante la -OMISSIS-. e di -OMISSIS-.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 luglio 2017 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per l’appellante, l’Avvocato Gi. Pa., per la -OMISSIS-., l’Avvocato Pi. Al., per -OMISSIS-., l’Avvocato Ar. Po., su delega dichiarata dell’Avvocato Ma. Re., per la -OMISSIS-., l’Avvocato Ro. Fr. e, per l’Amministrazione, l’Avvocato dello Stato Is. Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’odierna appellante -OMISSIS- ha impugnato, con due ricorsi proposti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la -OMISSIS-, le informative interdittive antimafia emesse in data -OMISSIS-nei suoi confronti dalla Prefettura di -OMISSIS-, di identico contenuto, nonché, per presunta illegittimità derivata, la revoca datata -OMISSIS- dell’autorizzazione emessa da -OMISSIS-., su richiesta di -OMISSIS-, al subappalto nei confronti di -OMISSIS- e le risoluzioni contrattuali disposte dalla -OMISSIS- il -OMISSIS- rispetto ai contratti di fornitura in corso di svolgimento con la ricorrente.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno, l’UTG – Prefettura di -OMISSIS-e la -OMISSIS-. (quest’ultima quale società incorporante la -OMISSIS-.), per il primo ricorso, chiedendo la terza l’estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva; sempre lo stesso Ministero, l’UTG – Prefettura di -OMISSIS-nonché -OMISSIS-. e -OMISSIS-. (quale cessionaria, dal -OMISSIS-, del ramo d’azienda ferroviario di -OMISSIS-, che include i rapporti di subappalto originariamente instaurati da quest’ultima, con le posizioni contrattuali da essi promananti) si sono costituiti per il secondo ricorso, controdeducendo alle censure avversarie e chiedendo il rigetto del gravame.
Il T.A.R. ha dichiarato l’inammissibilità del primo ricorso nei confronti della -OMISSIS-., per carenza originaria di legittimazione passiva e, nel merito, ha respinto entrambi i ricorsi, ritenendo che la lettura complessiva delle interdittive antimafia facesse emergere un quadro che, al di là dei singoli episodi in esse riportati e contestati all’istante, denota un contesto aziendale in cui il rischio di condizionamento mafioso, in base al consolidato criterio del “più probabile che non”, non può affatto essere escluso.
In particolare, il primo giudice ha ritenuto che assumessero importanza e significatività elementi quali:
– la localizzazione della sede operativa della società ricorrente presso lo stabilimento -OMISSIS-, di -OMISSIS-, trattasi, infatti, di area geografica nella periferia Sud della città, non solo nota alle Forze dell’ordine, ma notoriamente sotto l’influenza della famiglia della ‘-OMISSIS- dei -OMISSIS-;
– la sussistenza di rapporti esclusivi di lavoro della ricorrente con la società -OMISSIS-, presso le officine -OMISSIS-, sotto le direttive della stessa società -OMISSIS-, azienda leader nella produzione di rotabili ferroviari che, come evidenziato dall’Amministrazione, da sempre è oggetto delle mire criminali del -OMISSIS-;
– la presenza nello stesso quartiere, nella stessa via -OMISSIS-, della casa di residenza della famiglia -OMISSIS-;
– il passaggio di quote della -OMISSIS-, verificatosi in data -OMISSIS-, tra -OMISSIS- -OMISSIS- e il figlio, -OMISSIS- -OMISSIS- (ora amministratore unico della società) e tra -OMISSIS- e la figlia, -OMISSIS-, che ha visto formalmente subentrare nella società i due giovani (all’epoca, rispettivamente, di 27 e 24 anni, ciascuno al 50% delle quote della società), ma senza un’effettiva estromissione dei rispettivi genitori. Questi ultimi, infatti, come emerso nei controlli eseguiti dalle FF.PP. presso la sede operativa di -OMISSIS-, hanno continuato di fatto a svolgere un’attività significativa in termini di gestione della società, lavorando per la ricorrente in virtù di un contratto a progetto, sulla base del quale l’amministratore unico della ricorrente medesima ha conferito loro il potere di rappresentare l’azienda nei rapporti con i terzi e con gli enti pubblici;
– la vicinanza della famiglia -OMISSIS- alla famiglia della ‘-OMISSIS- dei -OMISSIS-, adeguatamente comprovata dagli esiti dei controlli effettuati dalle Forze dell’ordine in cui, al di là del numero degli incontri fra le singole persone, contestati dal patrocinio ricorrente, rilevano le circostanze in cui alcuni di essi sono inequivocabilmente avvenuti. Così, ad esempio, per i controlli del -OMISSIS- all’andata e al ritorno dal viaggio che ha visto assieme, in due distinti aeroporti, di -OMISSIS- e -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS- con -OMISSIS-, figlio del più noto -OMISSIS-, esponente di vertice dell’omonima cosca, e -OMISSIS-, figlio quest’ultimo di -OMISSIS-, pregiudicato per associazione mafiosa e fratello del capo clan -OMISSIS-, oltre a -OMISSIS-. Così, ancora, per i controlli che hanno coinvolto -OMISSIS- -OMISSIS-, padre di -OMISSIS- -OMISSIS-, che è stato controllato insieme con un esponente della famiglia -OMISSIS- (legata da rapporti di affinità con la famiglia di -OMISSIS-), ovvero insieme a -OMISSIS- -OMISSIS-, il quale risulta pluripregiudicato per diversi reati, arrestato il -OMISSIS- per il reato di cui all’art. 416-bis c.p.;
– la posizione della stessa -OMISSIS- la quale, benché priva di precedenti penali, vede non soltanto il padre, -OMISSIS-, denunciato in data -OMISSIS- per riciclaggio ex art. 648-bis c.p., ma è sorella di -OMISSIS-, destinatario di diverse segnalazioni (per associazione a delinquere ex art. 416 c.p., estorsione ex art. 629 c.p., detenzione abusiva d’armi ex art. 697 c.p., produzione e traffico di sostanze stupefacenti ex art. 73 D.P.R. 309/90, nonché associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis), e condannato a sette anni e quattro mesi di reclusione per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Ancora, sempre -OMISSIS- risulta aver convissuto, insieme alla figlia, con -OMISSIS-, il quale risulta deferito all’A.G. dai Carabinieri di -OMISSIS- il -OMISSIS-, per il reato di riciclaggio ex art. 648-bis c.p., e arrestato su esecuzione di un ordine di custodia cautelare in carcere, per violazione degli artt. 73 e 74 D.P.R. 309/90.
Avverso la sentenza ha interposto gravame la -OMISSIS-, articolando tre motivi d’appello, con i quali cerca di svalutare la rilevanza degli elementi emersi, in punto di fatto o di diritto.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura – U.T.G. di -OMISSIS-, la -OMISSIS-. e -OMISSIS-., per resistere al gravame avversario.
Si è altresì costituita la -OMISSIS-., che ha nuovamente contestato la propria legittimazione passiva e che, per il resto, ha chiesto l’integrale conferma della sentenza di primo grado.
All’udienza del 20 luglio 2017, la causa è passata in decisione.
Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso in appello nei confronti della -OMISSIS-., per carenza di legittimazione passiva. Con la decisione gravata, il primo giudice ha infatti dichiarato l’inammissibilità del ricorso nei confronti della predetta società, con conseguente condanna dell’odierna appellante alla rifusione delle spese processuali, e contro il relativo capo della sentenza non è stata formulata alcuna critica con l’atto d’appello, sicché difetta la legittimazione passiva di -OMISSIS-. nel presente giudizio di gravame.
Per quanto riguarda il merito della vicenda sub iudice, occorre invece preliminarmente ricordare i principi fissati dalla giurisprudenza in ordine all’interdittiva antimafia:
– l’interdittiva antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti con la pubblica amministrazione, che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
– tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua ragionevolezza in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
– la misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
– anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;
– gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata;
– il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;
– circa i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti vicini o appartenenti alla malavita organizzata, l’Amministrazione può ragionevolmente attribuire loro rilevanza quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità; se, di per sé, è irrilevante un episodio isolato ovvero giustificabile, sono invece altamente significativi i ripetuti contatti o le frequentazioni di soggetti coinvolti in sodalizi criminali, di coloro che risultino avere precedenti penali o che comunque siano stati presi in considerazione da misure di prevenzione; tali contatti o frequentazioni (anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono) possono far presumere, secondo la logica del “più probabile che non”, che l’imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario – scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi; quand’anche ciò non risulti punibile (salva l’adozione delle misure di prevenzione), la consapevolezza dell’imprenditore di frequentare soggetti mafiosi e di porsi su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità (che lo Stato deve invece demarcare e difendere ad ogni costo) deve comportare la reazione dello Stato proprio con l’esclusione dell’imprenditore medesimo dal conseguimento di appalti pubblici e comunque degli altri provvedimenti abilitativi individuati dalla legge; in altri termini, l’imprenditore che – mediante incontri, telefonate o altri mezzi di comunicazione, contatti diretti o indiretti – abbia tali rapporti (e che si espone al rischio di esserne influenzato per quanto riguarda le proprie attività patrimoniali e scelte imprenditoriali) deve essere consapevole della inevitabile perdita di fiducia, nel senso sopra precisato, che ne consegue (perdita che il provvedimento prefettizio attesta, mediante l’informativa).
Ciò premesso, si può passare all’esame delle questioni essenziali devolute con il gravame.
Con un primo motivo l’appellante deduce l’erroneità della sentenza gravata per violazione del D.L.vo 159/2011, con riferimento agli articoli 84 e 91 del suddetto provvedimento e con specifico riferimento al criterio e al principio dell’attualità e delle eventuali frequentazioni.
In particolare, si sostiene che il Prefetto, nell’effettuare la sua attività di valutazione, deve oltrepassare le indicazioni oggettive e valutare se quelle indicazioni, con riferimento all’attualità, alla logica ed alla ragionevolezza, siano idonee a desumere l’esistenza del pericolo di infiltrazione. Il Giudice, poi, è chiamato a verificare, se il provvedimento adottato sia conforme a logica e ragionevolezza, nel caso di specie, però, la sentenza non utilizza elementi e comportamenti effettivamente esistenti, attuali e, ragionevolmente e logicamente, utilizzabili. Il riferimento a dati oggettivi, come l’ubicazione all’interno di un quartiere, non può limitarsi all’enunciazione del dato, ma deve riportare un effetto causale all’ubicazione; la frequentazione deve anche comportare, ai fini della possibilità di infiltrazione, una comunanza di interessi lavorativi e di affari, da porre in diretta relazione con l’attività d’impresa esercitata; quest’ultima, poi, deve essere tale da poter subire infiltrazioni, e eventuali comportamenti sintomatici devono essere attuali e ripetitivi. La sentenza gravata, pur affermando di voler guardare tutti i dati sintomatici, sintetizza il complesso di questi dati intorno alla possibilità che una presunta frequentazione e vicinanza alla -OMISSIS- sia indice di pericolo di infiltrazione. Il perimetro di incidenza delle frequentazioni, però, deve essere ben delineato, le stesse non devono essere occasionali, non circostanziate e risalenti nel tempo, ma devono essere attuali e prossime alla verifica che precede l’emissione del provvedimento interdittivo. Le frequentazioni, poi, sono un dato di fatto che, a sua volta, non rileva in quanto tale, ma se e in quanto veicola nelle sue modalità elementi sintomatici di comunanza di interessi, legami personali che siano tali da consentire al controindicato di influire, in forza di essi, sulle scelte imprenditoriali dell’azienda. La sentenza impugnata, invece, focalizza gli incontri nell’anno -OMISSIS-, non riferendo come concretamente si traduce il pericolo di infiltrazione, considerato che l’attività espletata è attività meramente tecnica-manuale (realizzazione di impianti e strutture su vagoni ferroviari che altri progettano e in parte realizzano). Così motivando, la decisione appellata non applica, ovvero applica in maniera errata i principi normativi.
Il motivo di doglianza è infondato.
Sul punto va, in primo luogo, rilevato che, per ormai costante giurisprudenza, le valutazioni da compiere dal Prefetto nella decisione sull’adozione sull’informativa interdittiva costituiscono espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua ragionevolezza in relazione alla rilevanza dei fatti accertati.
La misura interdittiva, poi, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
Questi elementi possono essere costituiti, tra l’altro, dalle frequentazioni dei titolari dell’impresa e di altri soggetti coinvolti nell’attività imprenditoriale, alle quali può ragionevolmente attribuirsi rilevanza, quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità; se di per sé è irrilevante un episodio isolato ovvero giustificabile, sono invece altamente significativi i ripetuti contatti o le frequentazioni di soggetti coinvolti in sodalizi criminali, di coloro che risultino avere precedenti penali o che comunque siano stati presi in considerazione da misure di prevenzione.
Ebbene, nel caso di specie, va escluso che le frequentazioni, dettagliatamente riportate nella prima parte della motivazione della sentenza, possano considerarsi “casuali” o “necessitati”, dal momento che si tratta senz’altro di contatti consapevoli e non meramente occasionali; e, secondo costante giurisprudenza, ai fini della valutazione circa la legittimità di un provvedimento interdittivo, può essere in ogni modo tenuto conto anche di fatti risalenti nel tempo, qualora questi siano idonei ad avvallare il giudizio, al quale si giunge in base ad elementi più recenti, come nel caso in esame.
Dal momento che l’interdittiva è tipica misura di prevenzione, non è, poi, necessario che il provvedimento interdittivo spieghi nel dettaglio le modalità in cui le frequentazioni di soggetti controindicati e gli altri elementi sintomatici, della loro indubbia significatività, nel caso di specie, si dirà meglio nel proseguo, abbiano influito concretamente sulla gestione della società, e – per potersi affermare il pericolo di infiltrazione mafiosa – è sufficiente che le frequentazioni e gli altri elementi rilevati possano far presumere, secondo la logica del “più probabile che non”, che l’imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario – scelga consapevolmente di porsi in dialogo e in contatto con ambienti mafiosi, con ciò ponendo in essere una situazione che prelude a quella in cui si manifesta concretamente la sussistenza di interessi comuni.
La legittima adozione dell’interdittiva, infatti, non richiede che, a seguito delle frequentazioni si sia già manifestata una concreta alterazione della normale condotta imprenditoriale, ciò anche in quanto gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento.
Da ultimo va ricordato che, nel caso di specie, le interdittive non si fondano comunque esclusivamente sugli episodi di frequentazione della famiglia -OMISSIS- con esponenti della famiglia -OMISSIS- e loro affini, accertati dalle forze dell’ordine, ma anche su altri elementi, senz’altro attuali rispetto all’adozione della misura, che evidenziano ulteriori punti di “contatto” tra le due famiglie, elementi che vanno considerati nel loro insieme e che evidenziano un contesto aziendale, nel quale la famiglia -OMISSIS- compare in vari modi (si pensi, per esempio, alla localizzazione dello stabilimento nel quartiere “-OMISSIS-“, all’interno dello stabilimento -OMISSIS-, ed al rapporto esclusivo di collaborazione dell’appellante con la -OMISSIS-, da sempre oggetto delle mire criminali del -OMISSIS-).
Con il secondo motivo di gravame si deduce l’erronea ed illegittima applicazione del D.L.vo 159/2011, con riferimento agli articoli 84 e 91, in relazione alla violazione del criterio di logicità e ragionevolezza del provvedimento impugnato, avuto riguardo al pericolo di infiltrazione mafiosa.
In particolare, si sostiene che l’infiltrazione mafiosa deve essere supportata da elementi certi, idonei a rappresentare l’esistenza concreta del suddetto pericolo e non può essere desunta da frequentazioni che tali non sono; e le stesse frequentazioni non devono essere ascritte ad incontri casuali e non ripetitivi o a rapporti di parentela, così semplicemente intesi. Il provvedimento che applica la misura deve essere adeguatamente motivato con riferimento al caso specifico, in tale valutazione deve essere considerata l’attualità delle condotte contestate, se esistenti, il comportamento tenuto dal soggetto colpito da interdittiva, l’attività espletata e le modalità oggettive con cui può avvenire o può essere esercitato il condizionamento, oltre al comportamento del soggetto “mandante”, idoneo a determinare il pericolo di infiltrazione. Le informative oggetto di causa sono per contro carenti delle disposizioni motivazionali, necessariamente, richieste in correlazione agli elementi oggettivi che dovrebbero essere, invece, presenti per supportare il provvedimento interdittivo, visto e considerato che non esplicitano chi è il soggetto mandante e soprattutto come il cosiddetto soggetto mandante possa interferire nell’attività, né in forza di quale specifico episodio o comportamento, connesso e conseguente all’attività colpita da interdittiva, il mandante abbia, concretamente e direttamente, manifestato l’ingerenza, il condizionamento e la volontà di infiltrarsi. Manca, poi, altresì qualsiasi riferimento ad episodi o comportamenti effettivi, mentre una previsione generica ed astratta, non è idonea a rispettare la previsione normativa.
Il motivo di doglianza non merita accoglimento.
Sul punto va innanzitutto ricordato che gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile il pericolo di un condizionamento da parte della criminalità organizzata, cosa che è senz’altro possibile nel caso di specie.
Per quanto riguarda la questione dell’effettività e della significatività delle frequentazioni sotto il profilo in esame, invero, si ritiene sufficiente rimandare a quanto già esposto in relazione al primo motivo di gravame e a quanto si dirà meglio nel proseguo, così come va ribadito che, nell’esercizio del suo potere discrezionale, il Prefetto può in ogni modo tenere conto anche di fatti risalenti nel tempo, qualora questi sono idonei ad avvallare il giudizio al quale si giunge in base ad elementi più recenti, come nel caso di specie (cfr., sul punto, la ricostruzione in fatto nella prima parte della motivazione della sentenza).
In merito alla pretesa omessa indicazione del soggetto “mandante” e delle modalità con cui questi possa interferire nell’attività, nonché dei relativi specifici episodi o comportamenti, è sufficiente rilevare, invece, in primo luogo, che le informative impugnate sono fondate sul convincimento del Prefetto che l’appellante è impresa permeabile agli interessi del sodalizio criminale di stampo mafioso dei -OMISSIS-, da sempre interessato alle commesse affidate dalla -OMISSIS- che, come già detto, ha una propria sede operativa (c.d. officine -OMISSIS-) nel quartiere “-OMISSIS-“, ove detto sodalizio è fortemente radicato, e l’ipotesi maturata sulla base delle risultanze istruttorie è che, fra l’altro, il predetto sodalizio si serve anche dell’appellante che da sempre ha beneficiato di commesse provenienti dalla -OMISSIS-. Non è quindi dato comprendere cos’altro sarebbe stato necessario puntualizzare nelle informative impugnate, anche perché l’interdittiva costituisce misura a carattere preventivo, per cui, per l’emanazione del provvedimento, non è di certo necessario che si aspetti il verificarsi di eventi che dimostrano inequivocabilmente l’avvenuta ingerenza della malavita organizzata nell’attività imprenditoriale e non è nemmeno richiesto un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per provare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi mero valore sintomatico e indiziario. La motivazione dell’informativa interdittiva non deve quindi indicare né le concrete modalità con cui il sodalizio mafioso possa interferire nell’attività, né in forza di quale specifico episodio o comportamento lo abbia già fatto. Del resto, non è nemmeno necessario che il provvedimento de quo indichi puntualmente le forme del ritenuto probabile inquinamento mafioso, potendo questi assumere forme e caratteristiche diverse, di modo da non poter essere individuati a priori.
Con il terzo motivo di gravame l’appellante lamenta l’errata ed illegittima applicazione del D.L.vo 159/2011, con riferimento agli articoli 84 e 91, in relazione alla qualità del soggetto colpito, del suo comportamento e dell’attività espletata. In particolare, l’appellante cerca di svilire i vari elementi indiziari raccolti dalle forze dell’ordine, tentativo che non può essere apprezzato favorevolmente.
In primo luogo, si afferma che la circostanza che -OMISSIS- sia stato trovato due volte in compagnia dei sig.ri -OMISSIS- non potrebbe essere valorizzato ai fini dell’adozione del provvedimento: i due controlli di polizia sarebbero avvenuti in luogo pubblico, in occasione del medesimo viaggio, e non ci sarebbero stati ulteriori incontri. I due incontri, poi, risulterebbero avvenuti nel -OMISSIS-, quando -OMISSIS- non aveva alcun ruolo nella società.
Le argomentazioni dell’appellante non possono essere ovviamente condivise, in quanto la frequentazione di -OMISSIS- -OMISSIS- con esponenti della famiglia -OMISSIS- e loro affini non può essere considerata del tutto casuale (gli stessi sono stati trovati assieme all’andata e/o al ritorno da un viaggio in aereo). Inoltre, come già detto, si tratta comunque solo di uno dei tanti elementi che evidenziano il legame dei -OMISSIS- con la famiglia -OMISSIS-, tra cui il più volte rapporto dell’impresa appellante con la -OMISSIS-, da sempre oggetto delle mire criminali del -OMISSIS-, circostanza a fronte della quale appare quindi privo di qualsivoglia significato il fatto che la vicenda del comune viaggio risale a diversi anni fa. Parimenti del tutto irrilevante appare, poi, che, all’epoca dei fatti, -OMISSIS- non fosse ancora titolare di quote della società e non rivestisse la qualità di amministratore della stessa. Il fatto stesso di aver intrapreso insieme un viaggio, invero, è senz’altro indicativo dell’esistenza di un legame di amicizia maturato nel tempo e della consapevolezza di -OMISSIS- di porsi in contatto ed in dialogo con soggetti contigui ad ambienti mafiosi, mentre non può assumere alcuna importanza il fatto che agli atti non siano documentati ulteriori specifici episodi di frequentazione, il che, in effetti, si spiega, a parere del Collegio, tra l’altro, anche con il fatto che, per ovvie ragioni, le forze dell’ordine non sono di certo in grado di monitorare costantemente i soggetti interessati.
Del tutto ininfluente appare, poi, altresì, il rilievo che l’appellante non potrebbe condizionare il mercato, ma, al contrario, sarebbe condizionata dal mercato. Il pericolo di infiltrazione mafiosa, infatti, si può manifestare in una molteplicità di forme giuridicamente rilevanti, a prescindere dalla posizione di mercato del soggetto destinatario della misura. Gli elementi di inquinamento mafioso, invero, possono assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone.
Secondo l’appellante, sarebbe, poi, del tutto irrilevante anche il fatto che l’appellante ha la propria sede operativa nel quartiere “-OMISSIS-“, dato che quest’ultimo, in sostanza, sarebbe un quartiere come tanti altri. Per lo stesso motivo, sarebbe privo di qualsivoglia significato anche il fatto che la residenza di -OMISSIS- si trovi nel medesimo quartiere. Anche tale assunto non merita condivisione. Gli elementi de quibus, che prima facie potrebbero sembrare insignificanti, vanno infatti contestualizzati, ovvero considerati unitamente agli altri elementi raccolti, assieme ai quali rafforzano le valutazioni del Prefetto circa la sussistenza del legame della famiglia -OMISSIS- con la famiglia -OMISSIS-, anche alla luce dell’inserimento stabile dell’appellante nell’attività produttiva della -OMISSIS-, all’interno di una delle sedi operative (stabilimento -OMISSIS-) di quest’ultima, che da sempre è attenzionata dal clan dei -OMISSIS-, che, oltretutto, è fortemente radicato nel quartiere “-OMISSIS-“.
Per quanto riguarda l’accertato incontro di -OMISSIS- con tale -OMISSIS-, l’appellante rileva, invece, che si tratterebbe di un contatto unico e non recente, in un’epoca in cui -OMISSIS- era non solo un personaggio pubblico, ma era anche sempre a contatto con le forze di polizia per l’organizzazione di eventi di natura sportiva. Inoltre, -OMISSIS- sarebbe stato arrestato soltanto successivamente, nel -OMISSIS-, ossia quasi dieci anni dopo, quando -OMISSIS- non aveva più alcun ruolo all’interno della società appellante. Mancherebbe, quindi, l’assiduità delle frequentazioni e l’attualità, per cui va escluso ogni pericolo di condizionamento mafioso.
Sul punto va osservato che, se è vero che l’incontro appare a prima vista poco significativo, alla fine va comunque constatato che tale non è. Al di là del fatto che, nel -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS- è stato arrestato in quanto imputato del reato ex articolo 416-bis c.p., l’uomo è, infatti, anche padre di -OMISSIS- che è stato trovato in compagnia con -OMISSIS- e -OMISSIS- in occasione del ritorno dal viaggio di cui si è già detto sopra, circostanza che conferma ulteriormente la relazione stretta e certamente non puramente occasionale tra la famiglia -OMISSIS- e le famiglie -OMISSIS—OMISSIS-. Le frequentazioni di -OMISSIS-, poi, appaiono in ogni caso anche senz’altro significative, dal momento che, come non viene contestato in alcun modo dall’appellante, nonostante l’uomo non sia più né socio, né amministratore, egli ha comunque continuato di fatto a svolgere attività in termini di gestione della società, lavorando per quest’ultima in virtù di un contratto di progetto, sulla base del quale l’amministratore unico gli ha conferito il potere di rappresentare l’azienda nei rapporti con terzi e con gli enti pubblici.
Per quanto riguarda la posizione di -OMISSIS-, socia al 50% della società appellante, apparentemente priva di alcun ruolo al suo interno, l’appellante rileva, invece, che la donna non ha mai avuto contatti con soggetti imputati di reati di mafia e che le condotte di vita dell’-OMISSIS-, -OMISSIS-, l’avrebbero portata necessariamente ad allontanarsi da quest’ultimo. La posizione del padre della -OMISSIS- non dovrebbe invece avere alcuna rilevanza, atteso che non è partecipe alla società, né convivente. Il procedimento penale per riciclaggio del predetto non si sarebbe ancora concluso, ma il Tribunale della Libertà avrebbe escluso l’esistenza di fatti illeciti meritevoli di sanzioni cautelari e l’esistenza del reato. I precedenti penali del fratello, per contro, riguarderebbero il passato e le colpe e i comportamenti di un fratello non potrebbero ricadere su altri famigliari in base al mero rapporto di parentela.
Sul punto, va ribattuto, in primo luogo, che il padre della -OMISSIS- è senz’altro coinvolto nella vita aziendale (per il medesimo valgono le stesse considerazione già svolte sopra riguardo a -OMISSIS-) e la necessariamente sommaria delibazione della vicenda da parte del Tribunale della Libertà non equivale certamente ad un’assoluzione dall’addebito; risultando – come confermato dalla stessa appellante – il procedimento penale per il reato ex articolo 648-bis c.p. a carico -OMISSIS- ancora pendente, il medesimo può essere senz’altro apprezzato quale elemento indiziario per la sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa.
Il pregresso rapporto sentimentale e la convivenza di -OMISSIS- con tale -OMISSIS-, che si è reso responsabile di gravi reati, evidenzia poi, in ogni caso, la vicinanza della donna ad ambienti controindicati che denota il serio rischio di esposizione a pressioni e condizionamenti provenienti da contesti di criminalità organizzata che va a completare e rafforzare il quadro risultante dagli altri elementi indizianti raccolti, ciò anche perché è stato soltanto allegato ma non anche provato la rescissione di ogni rapporto della -OMISSIS- con il padre della comune figlia.
Analogo discorso vale, poi, altresì per quanto riguarda il rapporto parentale di -OMISSIS- con il fratello, a carico del quale risultano varie segnalazioni per gravi reati, tra cui anche quello di associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis c.p.. Infatti, specialmente nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza. Il rapporto di parentela tra stretti congiunti, può essere quindi senz’altro ritenuto uno degli elementi rilevanti, da cui è possibile, nell’ambito di una valutazione complessiva, desumere il pericolo di condizionamento dell’attività imprenditoriale del congiunto da parte della criminalità organizzata.
In conclusione, l’appello è infondato è la sentenza impugnata merita di essere integralmente confermata.
In applicazione del combinato disposto degli articoli 26 c.p.a. e 91 c.p.c., l’appellante soccombente va condannata a rifondere alle controparti costituite le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo.
Rimane definitivamente a carico dell’appellante il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, dichiarato il difetto di legittimazione passiva della -OMISSIS-., respinge il ricorso in appello.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore delle altre parti costituite, che liquida, per ciascuna delle quattro parti (Ministero dell’Interno – U.T.G. – Prefettura di -OMISSIS-, -OMISSIS-., -OMISSIS-., -OMISSIS-.), nell’importo di ? 2.500,00-, oltre accessori di legge.
Rimane definitivamente a carico dell’appellante il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, la -OMISSIS-, la -OMISSIS-, la -OMISSIS-., la -OMISSIS-., la -OMISSIS-. e la -OMISSIS-..
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Francesco Bellomo – Consigliere
Umberto Realfonzo – Consigliere
Giulio Veltri – Consigliere
Oswald Leitner – Consigliere, Estensore
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