Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 1 settembre 2015, n. 35806
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Frances – Presidente
Dott. CARCANO D. – rel. Consigliere
Dott. MOGINI Stefano – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere
Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedet – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 890/2014 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA, del 28/01/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOMENICO CARCANO;
sentite le conclusioni del PG Dott. BALDI Fulvio per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) impugna l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’appello cautelare de libertate, ha rigettato l’impugnazione proposta dallo stesso (OMISSIS) contro l’ordinanza di diniego di revoca o, in subordine, di sostituzione della custodia cautelare in carcere con altra misura meno afflittiva.
Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza del pericolo di reiterazione, riproducendo le stesse ragioni poste a fondamento dell’ordinanza di diniego resa dal giudice per le indagini preliminare.
Il Tribunale, con riferimento alla richiesta di applicazione dell’articolo 275 c.p.p., comma 4, – giustificata dalla situazione famigliare dedotta da (OMISSIS) e, in particolare, essenzialmente dovuta all’impossibilita’ per la mogie di prestare la necessaria assistenza e cura alla figlia minore di eta’ inferiore ad anni sei – ha preso in esame la consulenza medica sulle condizioni di salute e sulle sintomatologie di (OMISSIS) volte anche ad accertare la sussistenza di situazioni sanitarie di tale importanza da escludere che la stessa fosse “nell’impossibilita’ assoluta di prestare un livello di assistenza sufficientemente accettabile ai figli e in particolare a (OMISSIS) di eta’ inferiore ai sei anni. Il consulente tecnico ha risposto che non vi tale assoluta impossibilita’, e il Tribunale dopo avere riportato le conclusione della perizia, ha ritenuto di farle proprie.
2. Il ricorrente, dopo avere descritto la vicenda cautelare, deduce:
– vizio di motivazione sotto il profilo della mancanza, illogicita’ e contraddittorieta’ nella parte in cui il giudice d’appello ha confermato la sussistenza delle esigenze cautelari, riguardanti il pericolo di reiterazione delle condotte.
Per il ricorrente le consulenze mediche effettuate sono del tutto contraddittorie e prive di ogni logica giustificazione a sostegno delle conclusioni raggiunte.
Le patologie dalie quali e’ affetta il coniuge (OMISSIS) non sono tali da assicurare alla figlia (OMISSIS) di quattro anni adeguata assistenza.
– Illogicita’ e carenza di motivazione della perizia redatta dal dr. (OMISSIS), il quale dopo un’accurata e articolato esame della documentazione sanitaria si e’ espresso in termini contrari all’insussistenza di patologie tal che impedissero a (OMISSIS) di prestare la necessaria assistenza alla figlia (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato, sotto il profilo della mancanza di motivazione e nei termini di seguito indicati.
Come noto, specificita’, concretezza e attualita’ delle esigenze cautelari costituiscono ormai elementi di valutazione incontrovertibili che la Corte costituzionale ha ritenuto essere irrinunciabile dovere del giudice descrivere e valutare, escludendo ogni automatismo collegato al titolo dei reati per i quali la custodia e’ disposta, tranne per ipotesi tassative di “presunzione”, peraltro non assoluta (C. cost. 21 luglio 2010, n. 265; 12 maggio 2011, n. 164; 22 luglio 2011 n. 131; 2012 n. 110).
Ne discende che il giudice, sia nel momento in cui e’ chiamato a emettere la misura che in quello in cui e’ chiamato di riesaminare la correttezza dell’ordinanza emessa ovvero a valutare se la misura cautelare ab origine applicata risulti ancora adeguate alle esigenze da tutelare deve sempre esprimersi con specifico riferimento al caso concreto e, anzitutto, valutare se ricorrano le condizioni per adottare la misura richiesta sulla base di specifici elementi concreti e attuali richiesti dalla fattispecie processuale da applicare.
2. Per ineludibile scelta del legislatore, prevale, sulla norma di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3, per la quale e’ imposta la custodia cautelare in carcere la’ dove si proceda per determinati reati, la disposizione di cui allo stesso articolo articolo 275 c.p.p., comma 4; disposizione che – e cio’ ne conferma il rigore argomentativo imposto al giudice – esclude l’applicabilita’ della custodia cautelare in carcere nei confronti di chi versi nelle particolari condizioni, tassativamente indicate dalla norma stessa, sempre che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ravvisabili la’ dove il pericolo di recidiva sia elevatissimo e tale da formulare una prognosi di sostanziale certezza che l’indagato, se sottoposto a misure di carattere extramurale, continuerebbe a commettere delitti.
In tal contesto, assume un significato di particolare importanza il divieto di applicazione del misura cautelare carceraria nell’ipotesi prevista dall’articolo 275 c.p.p., comma 4, e il bilanciamento di valori a esso sotteso, nel senso che sulla esigenza processuale della coercizione intramuraria debba prevalere la tutela di altri interessi, correlati ai fondamentali diritti della persona, imposti dagli articoli 2 e 31 Cost. e cioe’ nella particolare tutela che il costituente riconosce all’infanzia.
Le situazioni soggettive, coinvolgenti la tutela di diritti fondamentali, sono quelle riguardanti la madre di prole in eta’ non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero quella del padre, qualora la madre sia deceduta o “assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli”.
La ratio della norma e’, dunque, individuabile nella necessita’ di salvaguardare “l’integrita’ psicofisica di soggetti in tenera eta’”, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari.
Ne discende che “l’assoluta impossibilita’”, richiesta dalla norma, va letta e interpretata nel senso che essa non riguarda solo il soggetto chiamato a provvedere a “dare assistenza”, ma anche, e soprattutto, i destinatari di essa, cioe’ i figli di eta’ inferiore a sei anni, nei cui confronti il deficit potrebbe compromettere in termini irreversibili il processo evolutivo-educativo, dovuto alla mancata, valida e efficace presenza di entrambi i genitori.
Una prima conferma di tale assunto interpretativo e’ nell’affermazione del principio secondo cui il divieto della custodia carceraria per il padre – nonostante prevista nel caso in cui la madre sia in condizioni tali da non poter prestare assistenza ai minori e cioe’ caratterizzate dalla “assoluta impossibilita’ di dare assistenza alla prole” – anche nel caso in cui i minori possano essere affidati a congiunti disponibili o a strutture pubbliche (Sez. 6, 30 aprile 2014, dep. 4 luglio 2014, n. 29355). E ancora dall’ulteriore regula juris per la quale sussiste il divieto di disporre o mantenere la custodia in carcere, ai sensi dell’articolo 275 c.p.p., comma 4, nei confronti di un imputato padre convivente di prole di eta’ inferiore ai sei anni, qualora la madre sia impossibilitata a dare assistenza al bambino, versando in precarie condizioni di salute e dovendo provvedere anche alle necessita’ di altro figlio minorenne, portatore di una grave malattia (Sez. 1, 12 dicembre 2013, dep. 31 gennaio 2014, n. 4748).
In questo contesto normativo, le valutazioni del giudice, anche con l’ausilio del perito, devono necessariamente avere come riferimento “situazione concreta nella sua interezza” su cui la custodia cautelare in carcere del padre di prole di eta’ inferiore a sei anni va incidere e il deficit complessivo che la fattispecie processuale in esame e’ volto a tutelare.
2. La disamina del quadro normativo di riferimento e la tutela dei diritti fondamentali coinvolti si e’ imposta per riaffermare che il giudice non puo’ far assumere alla perizia il significato di “prova legale”, limitandosi a riportare pressoche’ integralmente, o nelle parti piu’ significative, la relazione peritale e adeguandosi acriticamente alle conclusioni del perito.
Questa Corte di legittimita’ ha piu’ volte affermato che, anche nel caso in cui il giudice accolga le conclusioni del perito, pur se non tenuto a dimostrane l’esattezza, dalla motivazione del provvedimento adottato deve emergere un’adesione non acritica e passiva, bensi’ una riflessione frutto di attento e ragionato studio della fattispecie normativa e della situazione concreta cui essa fa riferimento.
Nel nostro caso, la dimensione giuridica della vicenda non avrebbe potuto essere risolta solo con la perizia, peraltro condivisa senza alcuna riflessione del collegio, per le ragioni gia’ esposte che avrebbero richiesto un esame complessivo della vicenda.
In particolare, gli aspetti – ben posti in rilievo nella relazione peritale e sui quali il giudice avrebbe dovuto esprimere le proprie valutazioni sulla “compromissione in termini irreversibili del processo evolutivo-educativo della minore”, con riferimento alla “situazione complessiva” sulla quale andava a incidere la custodia carceraria – sono racchiusi nelle conclusioni peritali.
Tra i quali, due appaiono particolarmente significativi:
L’uno, e’ quello secondo cui “non vi e’ alcun dubbio che la signora (OMISSIS) sia molto provata sul versante psicologico dagli aspetti clinico-prognostici della patologia oncologica, tenuto conto comunque che l’ultima PET – TAC del 20 giugno u.s. non ha evidenziato recidive della malattia che rimane pertanto in una fase di remissione…”; l’altro, e’ quello degli “… accadimenti successivi, relativi al compagno del figlio (OMISSIS) …rivelazione del figlio di essere stato abusato sessualmente da un cugino, quattordicenne vicino di casa…, abbiano ulteriormente messo a dura prova la sua gia’ precaria condizione psicologica..”.
Di non secondaria importanza sono gli altri aspetti riferibili agli interventi di sostegno dei famigliari e delle strutture pubbliche, che potrebbero mettere in crisi l’affermazione secondo cui il citato principio affermato da questa Corte, circa la ritenuta ininfluenza ai fini del “divieto della custodia in carcere” l’intervento di terzi (strutture pubbliche e famigliari), per i quali va chiarito in che termini siano “decisivi” o meno per la conclusione raggiunta dalla perizia e acriticamente accettata dal collegio.
In conclusione, l’ordinanza impugnata va annullata e disposto il rinvio per nuova deliberazione al Tribunale di Reggio Calabria.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria (sezione provvedimenti sulla liberta’).
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