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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 10 novembre 2014, n. 46282

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 17 dicembre 2013, la Corte d’Appello di Palermo ha riformato la sentenza del 4 giugno 2012 (in punto di inquadramento giuridico e, di conseguenza, in punto di pena), con la quale il Tribunale di Palermo ha condannato B.L. (direttrice della casa circondariale di Palermo), in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv e 314, comma 2, cod. pen. (così riqualificata l’originaria imputazione ai sensi del comma 1 della stessa norma), per avere utilizzato il telefono fisso del proprio alloggio di servizio per effettuare plurime telefonate ai propri familiari, reato commesso tra il 2007 ed il dicembre 2008.
In via preliminare, il giudice d’appello ha richiamato i principi espressi da questa Corte nella sentenza a Sezioni Unite n. 19054 del 2013 ed ha precisato che, sempre secondo l’insegnamento del giudice di legittimità, la verifica della integrazione della fattispecie incriminatrice deve essere compiuta avuto riguardo all’insieme delle telefonate compiute dal pubblico dipendente allorché per l’unitario contesto spazio-temporale vadano di fatto a costituire una condotta inscindibile. Tanto premesso, la Corte ha rimarcato come, nel periodo esaminato (dall’ottobre 2007 e al maggio 2008), l’indebito utilizzo dell’utenza di servizio da parte di B.L. sia stato connotato da costanza e ripetitività praticamente giornaliera e, spesso, anche da plurimi utilizzi nell’ambito della stessa giornata, perlopiù verso le utenze del marito G. e del figlio D. , all’epoca dimorante in (…). La Corte ha, dunque, escluso che il riconoscimento del debito fatto dall’imputata (che ha rifuso alla P.A. le somme di 46,14 Euro e 142,68 Euro per le telefonate indebitamente effettuate con la linea di servizio nel periodo gennaio 2007 – ottobre 2008) possa escludere il danno economico per la pubblica amministrazione: ad avviso del giudice a quo, non si può infatti sostenere che, nel periodo preso in considerazione, la differenza tra quanto calcolato e fatturato dai contabili della casa circondariale – conteggio accettato dall’imputata – e l’effettivo danno alla pubblica amministrazione sia di tale portata da annullare ogni rilievo delle indebite condotte da ella tenute, dovendosi di contro ritenere che l’appellante abbia procurato un danno economico stimabile in varie decine di Euro, dunque non trascurabile, né al di sotto della soglia minima di rilevanza penale del fatto.
2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. Vincenzo Lo Re, difensore di fiducia di B.L. , chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi.
2.1. Violazione ex art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81 cpv e 314, comma 2, cod. pen., per avere la Corte d’appello ritenuto integrato il reato nonostante, dalla documentazione della compagnia telefonica prodotta, emergesse che le telefonate compiute della B. con il telefono fisso presente presso l’alloggio di servizio avevano un modestissimo valore economico (circa 20 Euro), sicché non era stato cagionato un apprezzabile danno alla pubblica amministrazione; in ogni caso, avuto riguardo alla di gran lunga più consistente bolletta del telefono personale dell’imputata, doveva ritenersi insussistente l’elemento soggettivo.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio. L’Avv. Lo Re ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
2. A prescindere dalla inammissibilità delle deduzioni in fatto compiute dal difensore (laddove ha elencato le telefonate compiute dalla ricorrente verso la (…), cioè quelle che secondo l’ipotesi d’accusa dovrebbero essere le più costose, indicandone l’ammontare complessivo di 20 Euro circa, ed ha sollecitato una rivalutazione delle emergenze processuali, improponibile nella sede di legittimità), ritiene il Collegio che la sentenza in verifica non sia adeguatamente motivata, ed anzi si appalesi generica ed assertiva, nella parte in cui ha ritenuto che la condotta delittuosa serbata da B.L. abbia cagionato un apprezzabile danno alla pubblica amministrazione.
Al riguardo, occorre premettere che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire pronunciandosi a Sezioni Unite, in tema di peculato, la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizzi il telefono d’ufficio per fini personali al di fuori dei casi d’urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra il reato di peculato d’uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio, mentre deve ritenersi penalmente irrilevante se non presenta conseguenze economicamente e funzionalmente significative (Cass. Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, Vattani e altro, Rv. 255296).
Nella diffusa motivazione della citata pronuncia, si è in particolare evidenziato che “non può non rilevarsi, giusta quanto già segnalato nell’analisi generale del peculato (ma la sottolineatura è qui particolarmente doverosa), che il raggiungimento della soglia della rilevanza penale presuppone comunque l’offensività del fatto, che, nel caso del peculato d’uso, si realizza con la produzione di un apprezzabile danno al patrimonio della p.a. o di terzi ovvero con una concreta lesione della funzionalità dell’ufficio: eventualità quest’ultima che potrà, ad esempio, assumere autonomo determinante rilievo nelle situazioni regolate da contratto c.d. “tutto incluso”. L’uso del telefono d’ufficio per fini personali, economicamente e funzionalmente non significativo, deve considerarsi, quindi (anche al di fuori dei casi d’urgenza, espressamente previsti dall’art. 10, comma 3, del d.m. 28 novembre 2000, o di eventuali specifiche e legittime autorizzazioni), penalmente irrilevante. Considerata, poi, la struttura del peculato d’uso (che implica l’immediata restituzione della cosa), la valutazione in discorso non può che essere riferita alle singole condotte poste in essere, salvo che le stesse, per l’unitario contesto spazio-temporale, non vadano di fatto a costituire una condotta inscindibile”.
3. Ritiene il Collegio che la Corte territoriale non abbia fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte a Sezioni Unite, laddove non ha proceduto ad una commisurazione puntuale del danno economico cagionato alla pubblica amministrazione, così da poter affermare che la condotta abbia superato la soglia di rilevanza penale. In particolare, il giudice di secondo grado non ha verificato se l’utilizzo da parte dell’imputata del telefono presente nel suo alloggio di servizio abbia cagionato un apprezzabile danno al patrimonio della p.a., non ricorrendo, nella specie, i presupposti per ravvisare una concreta lesione della funzionalità dell’ufficio (stante la plurioffensività alternativa del delitto di peculato ribadita anche dalle Sezioni Unite), in quanto si trattava di situazione regolata da contratto “a consumo” e non “tutto incluso”.
Ed invero, pur a fronte di una specifica doglianza mossa con l’atto d’appello, la Corte territoriale si è limitata ad osservare sul punto che “È dunque da considerare certo che, nell’unitario spazio temporale preso in considerazione, che per il costante plurimo utilizzo giornaliero fatto del telefono di servizi a fini privati, non può che essere individuato in tutto il periodo preso in considerazione, l’appellante abbia comunque procurato un danno economico stimabile in varie decine di Euro, che, ovviamente, non può essere considerato trascurabile e, comunque, stimabile al di sotto della soglia minima di rilevanza penale”.
Tale passo della motivazione si appalesa censurabile sotto un triplice profilo.
3.1. Sotto un primo aspetto, la Corte territoriale si è limitata ad affermare che il danno procurato alla amministrazione è “stimabile in varie decine di Euro” e, “ovviamente, non può essere considerato trascurabile”, senza, in effetti, quantificarne in modo esatto l’ammontare, così da consentire – anche in questa sede di legittimità – la verifica in ordine alla correttezza della valutazione in termini di non irrilevanza del danno cagionato e, quindi, di obbiettiva offensività del fatto.
3.2. Sotto diverso e più rilevante profilo, va evidenziato come la Corte abbia proceduto alla commisurazione del danno economico cagionato alla pubblica amministrazione nell’intero ed unitario spazio temporale preso in considerazione, cioè dall’ottobre 2007 al maggio 2008 (come dato atto alle pagine 7 e 9 della impugnata sentenza), e ciò tenuto conto del “costante plurimo utilizzo giornaliero fatto del telefono di servizio a fini privati”.
Il che si pone – almeno per come è stato argomentato nella decisione in verifica – in evidente contrasto con le chiare indicazioni di questa Suprema Corte a Sezioni Unite, che al riguardo hanno evidenziato che la struttura del peculato d’uso, che implica l’immediata restituzione della cosa, impone la valutazione del danno economico cagionato alla pubblica amministrazione come “riferita alle singole condotte poste in essere, salvo che le stesse, per l’unitario contesto spazio-temporale, non vadano di fatto a costituire una condotta inscindibile”.
In altri termini, secondo l’insegnamento dato dalle Sezioni Unite, in caso di uso indebito, per scopi personali, dell’utenza telefonica di cui il pubblico ufficiale abbia la disponibilità per ragioni d’ufficio, ciascuna telefonata compiuta con l’apparecchio di servizio integra un’autonoma condotta di peculato d’uso, rispetto alla quale dovrà dunque essere compiuta la verifica di offensività e, quindi, di rilevanza penale del fatto; ciò salvo che, per l’unitario contesto spaziotemporale, le plurime chiamate non possano ritenersi integrare un’unica ed indivisibile condotta.
È invero connaturale alla fattispecie di peculato d’uso che l’agente agisca all’esclusivo fine di fare un uso momentaneo della cosa e che questa, dopo l’uso, sia stata immediatamente restituita. Come chiarito dalle Sezioni Unite nella già ricordata sentenza, l’elemento della “fisica” sottrazione della res alla sfera di disponibilità e controllo della pubblica amministrazione non è essenziale, in quanto estraneo allo specifico scopo perseguito dal legislatore, di tal che il peculato d’uso risulta configurabile anche nel caso in cui l’apparecchio non esca mai dalla materiale disponibilità della pubblica amministrazione e, nondimeno, il telefono assegnatogli per le esigenze dell’ufficio sia utilizzato dal pubblico agente per fini personali. Tuttavia, proprio la struttura della fattispecie del peculato d’uso, presupponendo l’uso momentaneo, è inconciliabile con un uso prolungato della cosa altrui (Cass. Sez. 6, n. 1862 del 20/10/1992, Riggio Rv. 193529).
Cercando di esemplificare, potrà allora ravvisarsi un’unitaria condotta di peculato d’uso allorché le plurime telefonate siano state compiute nello stesso giorno o in un arco temporale ristretto o ancora se, pur in un intervallo più ampio, l’utilizzo dell’apparecchio di servizio da parte dell’agente sia così intenso e senza soluzioni di continuità da poter considerare le diverse chiamate, in quanto cosi ravvicinate nel tempo, espressione di una condotta unitaria.
3.3. In ossequio a tali condivisibili principi, la Corte siciliana avrebbe pertanto dovuto argomentare, in modo puntuale e con specifico ancoraggio alle risultanze obbiettive del traffico telefonico fornito dal gestore, la ragione per la quale – sebbene, in linea generale, debbano ritenersi consumate tante condotte di peculato d’uso quante sono le telefonate fatte dall’agente con l’apparecchio di servizio – nel caso specifico, stante l’unitario contesto spazio-temporale, le diverse chiamate effettuate dall’imputata dovessero stimarsi integrare un’unica ed inscindibile condotta.
Onere argomentativo che non può ritenersi assolto in modo adeguato mediante l’apodittica e del tutto generica asserzione fatta sul punto dalla Corte territoriale, laddove ha commisurato il danno economico procurato alla pubblica amministrazione (ritenendolo appunto non trascurabile e quindi rilevante ai fini della integrazione del reato) “nell’unitario spazio temporale preso in considerazione” “per il costante plurimo utilizzo giornaliero fatto del telefono di servizi a fini privati”.
Il giudice d’appello avrebbe, infatti, dovuto rigorosamente: 1) verificare, lasciandone circostanziata traccia argomentativa nel provvedimento, se, nel lasso temporale di nove mesi sotto lente, potesse ravvisarsi, in taluni giorni o periodi, una concentrazione di chiamate tale da consentirne una valutazione unitaria; 2) accertare quale danno economico tali “grappoli” di conversazioni telefoniche integranti peculato d’uso avessero cagionato all’amministrazione; 3) evidenziare se le condotte così unitariamente considerate superassero la soglia di rilevanza penale.
4. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo perché proceda ad un nuovo giudizio, tenendo conto dei principi e criteri valutativi sopra precisati.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo per nuovo giudizio.

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