La massima
1. E’ affetto da annullabilità (e non da nullità) il provvedimento amministrativo (per sua natura autoritativo) che sia stato rilasciato sulla base di un atto la cui emanazione abbia comportato alla commissione di un reato.
2. La sussistenza della annullabilità consente l’adeguata tutela del territorio e degli interessi pubblici coinvolti. Difatti, a seguito dell’accertamento dei fatti in sede penale, d’ufficio o su istanza di chi vi abbia interesse, il Comune (così come la Regione, nell’esercizio del potere in precedenza attribuito allo Stato dall’art. 27 della legge n. 1150 del 1942 e dall’art. 7 della legge n. 865 del 1967, poi trasferito con il decreto legislativo n. 8 del 1972) deve valutare se (e sotto quale profilo) l’immobile realizzato si sia posto in contrasto con la disciplina urbanistica. Ove tale contrasto risulti, previo contraddittorio con i proprietari attuali l’amministrazione può rilevare il vizio dell’atto e – sussistendo inevitabilmente l’attuale interesse pubblico, per il contrasto con la disciplina urbanistica e l’esigenza di ripristinare la legalità – può disporne l’annullamento, con le conseguenze specificamente previste dall’art. 38 del testo unico sull’edilizia (cioè l’ordine di demolizione o la sanzione amministrativa pecuniaria).
3. L’obbligo dell’amministrazione – di prendere in considerazione i fatti accertati in sede penale – può essere attivato anche su istanza di un interessato (da determinare in base al consueto criterio della vicinitas) specie quando egli si sia costituito parte civile nel processo penale.
CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE VI
SENTENZA 31 ottobre 2013, n. 5266
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7515 del 2012, proposto dall’avvocato Claudio Carbone, rappresentato e difeso dagli avvocati Gaetano Cambrea e Giuseppe Vittorio Chindamo, con domicilio eletto presso Vincenzo Cavallaro in Roma, via Gregorio VII, n. 500
contro
I signori Antonino Saltalamacchia e Teresina Santoro, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario De Tommasi e Roberta Mazzulla, con domicilio eletto presso il signor Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2
nei confronti di
Comune di Palmi;
i signori Concetta Ortuso, Nadia Laface, Domenico Laface, Tiziana Laface, Angela Orsola Cosentino; Vincenzo Cosentino, rappresentati e difesi dall’avvocato Anna Romeo, con domicilio eletto presso il signor Giovanni Tripodi in Roma, via Circonvallazione Clodia, n. 5
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 536 del 2012;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di appello proposto ai sensi dell’articolo 96 cod. proc. amm. dal signor Vincenzo Cosentino;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei signori Antonino Saltalamacchia e Teresina Santoro;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 maggio 2013 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Anna Romeo e l’avvocato Buccellato, per delega dell’avvocato De Tommasi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’avvocato Carbone, appellante in via principale, riferisce di aver acquistato nel dicembre del 2005 un locale nell’ambito del c.d. ‘fabbricato Cosentino’ nel Comune di Palmi (locale ubicato al livello interrato del fabbricato in questione e da lui destinato ad archivio ad uso dello studio legale).
Egli riferisce, altresì, che con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria e recante il n. 90/2012, i signori Saltalamacchia e Santoro, premesso di essere proprietari di immobili vicini e di aver contestato in modi e forme diverse la legittimità (e, prima ancora, la liceità) degli atti sottesi al rilascio del titolo edilizio del 18 febbraio 1987, senza ottenere adeguati riscontri dal Comune di Palmi, avevano adito il Tribunale amministrativo, rassegnando le seguenti conclusioni:
a) accertare e dichiarare l’obbligo del Comune di Palmi di pronunciarsi, attraverso l’adozione di atti espressi, sulle diffide rivolte all’amministrazione comunale dagli stessi signori Saltalamacchia e Santoro;
b) accertare e dichiarare l’obbligo per il Comune di Palmi di pronunciarsi, attraverso l’adozione di atti espressi, sull’istanza di annullamento in autotutela della concessione edilizia in data 18 febbraio 1987 e della successiva variante del 6 settembre 1987;
c) accertare e dichiarare l’obbligo per il Comune di Palmi di pronunciarsi, attraverso l’adozione di atti e provvedimenti espressi, in ordine all’istanza finalizzata all’attivazione dei poteri repressivi e sanzionatori dei numerosi abusi edilizi relativi al c.d. ‘fabbricato Cosentino’;
d) accertare e dichiarare anche d’ufficio la nullità delle concessioni edilizie a suo tempo rilasciate ai sensi dell’articolo 21-septies della l. 241 del 1990 e s.m.i.
In punto di fatto i ricorrenti in primo grado avevano rappresentato che l’edificio denominato ‘fabbricato Cosentino’, il quale sorge accanto a quello di loro proprietà, insiste su suolo contraddistinto in catasto al foglio 41, particella 896, assentito tramite concessione edilizia n. 3337 del 18 febbraio 1987 e successiva variante del 5 agosto 1987, rilasciate in favore dell’Avv. Raffaele Cosentino.
I ricorrenti in primo grado avevano rappresentato che, a seguito di giudizio penale, era emerso che i titoli abilitativi in base ai quali l’edificio era stato realizzato erano stati accertati come posti in essere dal personale comunale responsabile delle pratiche edilizie in concorso, allo scopo di favorire congiunti, mediante false rappresentazioni ed attestazioni delle volumetrie realizzabili (Tribunale di Palmi, sezione penale in composizione collegiale, sentenza di condanna n. 237/2005; Corte di Appello di Reggio Calabria, sentenza in data 8 maggio 2008; Corte di Cassazione, V Sez, penale, sentenza n. 1188 del 4 giugno-30 settembre 2009).
Secondo i ricorrenti in primo grado, l’‘edificio Cosentino’ si troverebbe ancora oggi in stato di abbandono, privo di agibilità ed abitabilità, nonché di qualsiasi opera di finitura interna ed esterna e senza che sia mai stato oggetto di alcun utilizzo, per lo meno di natura abitativa.
Con atto stragiudiziale notificato il 22 febbraio 2011, i ricorrenti n primo grado (che si erano costituiti parti civili nel processo penale) diffidavano il Comune di Palmi ad annullare la concessione edilizia del febbraio 1987 e la successiva variante dell’agosto dello stesso anno e ad esercitare i poteri di vigilanza sull’attività urbanistico – edilizia nel territorio comunale, disponendo la repressione dei gravi abusi edilizi ivi indicati.
Con nota in data 16 marzo 2011, il Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Palmi comunicava al procuratore degli odierni istanti di non essere in possesso degli atti riguardanti la concessione edilizia, in quanto, gli stessi erano stati acquisiti dall’Autorità Giudiziaria all’epoca del procedimento penale n. 999/96. Tale circostanza avrebbe impedito all’Amministrazione di determinarsi in ordine alle richieste dei coniugi Santoro-Saltalamacchia fino a quando la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palmi (cui, in pari data, veniva rivolta apposita richiesta) non avesse restituito il fascicolo edilizio in originale o in copia.
Con successivo atto stragiudiziale di diffida e messa in mora, i ricorrenti in primo grado allegavano apposita documentazione, dalla quale si potevano evincere i contenuti del procedimento da avviare e dei provvedimenti da adottare, e così riproponevano motivatamente l’istanza di avvio del procedimento, rappresentando inoltre che, contrariamente a quanto ritenuto dal Comune, gli atti relativi alla concessione edilizia del 1987, ed alla successiva variante dell’agosto dello stesso anno, non erano nella disponibilità della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palmi, essendo stati acquisti nel corso del giudizio al fascicolo del dibattimento relativo al procedimento di I grado, definito con sentenza n. 237/05 dal Tribunale di Palmi, sezione penale in composizione collegiale.
Con nota in data 12 luglio 2011 il Dirigente dell’Ufficio Urbanistica del Comune di Palmi evidenziava di essere ancora nella materiale impossibilità di adottare gli eventuali provvedimenti sanzionatori, non essendo in possesso di tutti gli atti tecnici contenuti nel fascicolo edilizio; rappresentava di aver chiesto alla Cancelleria del Tribunale Penale di Palmi la restituzione del fascicolo, ovvero il rilascio di copia degli atti relativi, e rinviava, quindi, ogni determinazione in merito.
A fronte di tale comunicazione, i coniugi Santoro-Saltalamacchia inoltravano un ulteriore atto di diffida e contestuale istanza di accesso ai documenti amministrativi del 29 settembre 2011 con cui, oltre a contestare il comportamento sostanzialmente elusivo dell’obbligo di provvedere sino a quel momento tenuto dall’Amministrazione comunale, chiedevano di essere informati in ordine ad eventuali istanze, da chiunque presentate, aventi ad oggetto interventi edilizi, anche in sanatoria, inerenti il cd. fabbricato Cosentino, affinché nella qualità di proprietari dell’edificio contiguo potessero partecipare al relativo procedimento amministrativo, al fine di tutelare tanto il proprio diritto reale, quanto l’interesse al corretto assetto edilizio-urbanistico della zona.
A fronte di ciò, con nota in data 18 ottobre 2011, il Comune di Palmi rinviava sine die ogni decisione al momento dell’acquisizione del fascicolo edilizio presso l’Autorità giudiziaria penale e i ricorrenti in primo grado (i quali fino a quel momento avevano più volte contestato, sotto vari profili, la legittimità del fabbricato Cosentino, limitrofo alla loro abitazione), venivano invitati a “specificare l’interesse qualificato che li legittima ad esercitare l’accesso”.
A fronte di ciò, i coniugi Saltalamacchia e Santoro adivano il T.A.R. della Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria al fine di sentir dichiarare l’illegittimità, sotto vari profili, del diniego all’accesso.
In data 29 novembre 2011 la Cancelleria penale del Tribunale di Palmi notificava ai coniugi Santoro-Saltalamacchia il verbale in data 26 ottobre 2011, con cui veniva documentata la restituzione (ed affidamento in custodia) all’Arch. Servidio, in qualità di Responsabile dell’Area Urbanistica-Edilizia Privata del Comune di Palmi, dei fascicoli edilizi relativi al procedimento penale d’interesse dell’Ente.
Il Comune veniva quindi ulteriormente diffidato con atto di messa in mora depositato in data 16 dicembre 2011, che tuttavia rimaneva senza esito.
A questo punto, i coniugi Santoro-Saltalamacchia proponevano il ricorso di primo grado n. 90 del 2012, rassegnando le conclusioni dinanzi meglio specificate.
Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale adito ha accolto il ricorso e per l’effetto:
– ha accertato la nullità dei titoli edilizi sottesi all’edificazione del ‘fabbricato Cosentino’ in quanto posti in essere all’esito di condotte costituenti illecito penale accertato con sentenza definitiva;
– ha affermato che il rilascio di un titolo radicalmente ‘falso’ non può in alcun modo comportare la riferibilità di tale titolo al Comune, atteso che la commissione del reato ha determinato l’interruzione del nesso di riferibilità soggettiva degli atti del funzionario all’Ente (viene richiamata al riguardo la sentenza di questo Consiglio, Sez. V, n. 890/2008);
– ha affermato che nel caso in esame, siccome la sussistenza di un effettivo nesso di immedesimazione organica costituisce uno dei presupposti essenziali per il rilascio del titolo edilizio, il titolo comunque rilasciato è affetto da radicale nullità per carenza di un elemento essenziale ai sensi dell’articolo 21-septies della l. 241 del 1990);
– ha accertato l’obbligo del Comune di Palmi di provvedere sull’istanza dei ricorrenti dinanzi descritta e ha condannato il Comune a provvedere, nei modi e nei termini di cui in parte motiva;
– per il caso di mancata esecuzione nei termini e con le modalità prescritte, ha nominato Commissario ad acta il Dirigente del Settore 15 della Provincia di Reggio Calabria Ing. Pietro Foti (o funzionario da questi individuato), con il compito di insediarsi e di provvedere a propria volta alle condizioni e nei termini di cui pure in parte motiva;
– ha incaricato la Direzione Generale dei Lavori e del Demanio del Ministero della Difesa GENIODIFE di prestare, a richiesta del Comune o del Commissario ad acta, la propria collaborazione alla demolizione, avvalendosi delle necessarie risorse umane e strumentali, alle condizioni di cui in parte motiva.
La sentenza in questione è stata impugnata in sede di appello dall’avv. Carbone, il quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:
1) Violazione di legge per mancata applicazione del principio di cui all’art. 112, c.p.c. sotto il profilo dell’omessa pronuncia sulle censure ed eccezioni formulate dal controinteressato in prime sede. Eccesso di potere per difetto di motivazione.
I primi Giudici avrebbero limitato la propria attenzione al materiale proveniente dal giudizio penale, senza tenere di fatto in alcuna considerazione la specifica posizione, nonché le allegazioni difensive dell’odierno appellante, che sarebbero state integralmente disattese.
Del pari, i primi Giudici non avrebbero considerato che:
– l’odierno appellante si era reso acquirente in buona fede di una porzione dell’immobile in questione e che i contestati abusi non gli erano in alcun modo addebitabili;
– egli era del tutto estraneo alle vicende penali dinanzi richiamate;
– la questione relativa all’obbligo di adottare l’atto di annullamento in autotutela del titolo edilizio non potrebbe essere risolta semplicemente richiamando il principio del doveroso annullamento di titoli edilizi illegittimi, perché, al contrario, la questione dovrebbe essere riguardata alla luce del consolidato principio secondo cui l’esercizio dell’autotutela postula in via necessaria un giudizio di bilanciamento fra i vari interessi coinvolti (giudizio che, nel caso di specie, sarebbe totalmente mancato);
– più in generale, i primi Giudici non avrebbero radicalmente considerato le numerose peculiarità della posizione dell’odierno appellante (ad es., il fatto che la porzione di immobile di sua proprietà consistesse in un vano interrato e come tale fosse inidonea a comportare le problematiche in tema di volumetria non assentibile contestata in sede penale, con argomentazioni fatte proprie dai primi Giudici).
2) Violazione di legge per falsa applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ai sensi dell’art. 112, c.p.c. sotto il profilo del vizio di ultrapetizione delle domande dei ricorrenti di prima sede. Eccesso di potere per travisamento dei fatti.
Nel rendere la sentenza in epigrafe, i primi Giudici avrebbero travalicato i limiti di cui all’articolo 112, c.p.c. e – a fronte di un ricorso proposto nel c.d. ‘rito del silenzio’ – si sarebbero ingiustificatamente spinti sino a definire in modo estremamente minuzioso il contenuto degli atti da adottare, nonché le modalità stesse della demolizione dell’immobile, considerato un esito necessario della vicenda.
In tal modo decidendo, i primi Giudici avrebbero erroneamente ritenuto (ai sensi dell’articolo 31, co. 3, cod. proc. amm.) la manifesta fondatezza delle tesi avanzate dai ricorrenti in primo grado, senza invece considerare che il complesso degli atti di causa non consentisse loro in alcun modo di ritenere la sussistenza dei presupposti applicativi della disposizione da ultimo richiamata.
Sotto tale aspetto, i primi Giudici non avrebbero valutato l’orientamento del Consiglio di Stato secondo cui, anche a fronte di titoli edilizi al cui rilascio sono sottesi comportamenti costituenti reato, ciò non oblitera la vigenza del generale principio secondo cui non sussiste in generale in capo all’amministrazione alcun obbligo di esercitare il potere di autotutela, costituendo tale potere espressione di un potere lato sensu discrezionale, da esercitare ponendo in doverosa comparazione il complesso dei diversi interessi pubblici e privati nella specie rilevanti.
Si sono costituiti nel secondo grado di giudizio i signori Saltalamacchia e Santoro, i quali hanno concluso nel senso della reiezione dell’appello.
La sentenza in questione è stata, altresì, impugnata in sede di appello dal sig. Vincenzo Cosentino, proprietario di gran parte dell’omonimo fabbricato.
Il sig. Cosentino ha affidato il proposto gravame ai seguenti motivi:
Inconfigurabilità dell’inesistenza e della nullità del provvedimento di concessione;
Inconfigurabilità del dovere di provvedere nei procedimenti di secondo grado e limiti del sindacato giudiziale;
Inconfigurabilità della nullità come eccezione preventiva sostanziale e tardività dell’azione di nullità;
Sulla natura obbligatoria e vincolante dei poteri di controllo e sui limiti dell’accertamento penale.
Con ordinanza n. 4853/2012 (resa all’esito della Camera di consiglio dell’11 dicembre 2012), questo Consiglio di Stato ha accolto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe.
Alla pubblica udienza del 17 maggio 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giungono alla decisione del Collegio gli appelli proposti dai proprietari di un fabbricato sito nel Comune di Palmi avverso la sentenza del T.A.R. della Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria, che ha accolto il ricorso di primo grado n. 90 del 2012, proposto (col rito del silenzio, ai sensi degli articoli 31, 98 e 117 cod. proc. amm) dai proprietari di un immobile vicino per la declaratoria dell’obbligo di provvedere del medesimo Comune e, per l’effetto, ha dichiarato la nullità del titolo edilizio in base al quale l’immobile era stato realizzato ed ha dichiarato l’obbligo per il Comune di procedere alla sua demolizione.
2. I due ricorsi in appello richiamati in premessa devono essere decisi in modo congiunto, avendo ad oggetto la medesima sentenza (art. 96, cod. proc. amm.).
3. Ritiene la Sezione che:
– gli appelli sono fondati, nei limiti che seguono;
– risulta fondata la domanda, formulata dagli appellati in primo grado e riproposta in questa sede, volta ad ottenere provvedimenti espressi con cui il Comune di Palmi si deve pronunciare sulla istanza di annullamento della concessione edilizia n. 3337 del 18 febbraio 1987 e della successiva concessione in variante del 5 agosto 1987;
– il dispositivo della sentenza impugnata (di accoglimento del ricorso di primo grado) va confermato in tali limiti.
4. Come si è esposto in narrativa, uno dei presupposti fondanti della sentenza in epigrafe è quello secondo cui, una volta accertato che un titolo abilitativo edilizio sia stato emanato sulla base di comportamenti costituenti reato da parte di pubblici ufficiali (nel caso di specie, si trattava del reato di falso ideologico di cui agli articolo 479 e 480 cod. pen.), la conseguenza sarebbe nel senso di recidere nettamente la stessa riferibilità dell’atto in questione all’amministrazione pubblica. L’ulteriore conseguenza – mediata – di ciò, sarebbe nel senso di determinare la radicale invalidità del titolo edilizio in tal modo rilasciato in quanto carente di un elemento essenziale, e quindi affetto da un profilo di nullità ai sensi dell’art. 21-septies della l. 241 del 1990.
Una volta stabilita la radicale nullità del titolo edilizio (e quindi, l’avvenuta edificazione sine ullo titulo), ben sarebbe possibile per il G.A. conoscere, anche in sede di ‘rito del silenzio’, della fondatezza dell’istanza volta all’attivazione dei poteri repressivi e di controllo, nonché della fondatezza dell’istanza volta all’esercizio dell’autotutela (stante il carattere del tutto vincolato degli atti di autotutela, di controllo e repressivi, conseguenti alla ravvisata nullità del titolo abilitativo).
4.1. Ebbene, una volta richiamati i termini essenziali della questione, occorre osservare che l’iter logico-giuridico seguito dai primi Giudici non appare condivisibile.
4.1.1. In primo luogo, dall’esame degli atti di causa risulta che non sussista un accertamento definitivo in sede penale in ordine alla responsabilità dei dipendenti del Comune di Palmi, i quali avevano ritenuto di poter rilasciare il titolo alla demolizione del vecchio frantoio colà esistente e all’edificazione di un nuovo edificio di tre piani fuori terra, tenendo in non cale la circostanza per cui l’edificio in questione avrebbe dovuto essere realizzata in una delle cc.dd. ‘aree bianche’ del territorio comunale.
In particolare, non risulta nel caso di specie l’esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento alla quale (ai sensi dell’art. 651 c.p.p.) sarebbe da riconoscere, nell’ambito del giudizio amministrativo di danno, efficacia di giudicato in ordine all’illiceità penale del fatto commesso e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
Allo stesso modo, non risulta nel caso di specie l’esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento alla quale (ai sensi dell’art. 654 c.p.p.) sarebbe da riconoscere, nell’ambito di un giudizio amministrativo in cui vengano in rilievo gli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, l’efficacia del giudicato.
Ed infatti, la sentenza della Corte di cassazione penale n. 1188/09 si è limitata (ai fini che qui rilevano) a dichiarare l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato di falso ideologico contestato ai dipendenti dell’Ufficio tecnico comunale, procedendo ad esaminare i fatti loro contestati ai soli fini di cui all’articolo 578, c.p.p. (si tratta della disposizione secondo cui, quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili).
Pertanto, la sentenza in epigrafe risulta meritevole di riforma per la parte in cui (pag. 18 e seguente) ha ritenuto che la pronuncia della S.C. appena richiamata facesse stato nell’ambito del giudizio in questione ai sensi di cui agli articoli 651 e 654, c.p.p., con particolare riguardo all’avvenuto accertamento (con “sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento”) in ordine alla sussistenza del fatto materiale, alla sua qualificazione in termini di illecito e all’imputazione soggettiva della condotta sottostante (è appena il caso di rilevare che, per la parte che qui rileva, la sentenza della S.C. era di proscioglimento e non di condanna).
4.2. E’ evidente al riguardo che, una volta caduto il principale presupposto logico-giuridico posto a fondamento dell’intero iter argomentativo seguito dai primi Giudici (ossia, l’esistenza di un giudicato penale in ordine all’illiceità dei comportamenti dei funzionari comunali posti a fondamento del rilascio dei titoli edilizi), ne restino conseguentemente travolte le conseguenze cui i medesimi Giudici sono pervenuti (in termini di radicale nullità dei rilasciati titoli edilizi, nonché in termini di doverosità dell’azione amministrativa – esperibile anche attraverso il c.d. ‘rito del silenzio’- per ciò che attiene l’adozione di atti di autotutela e l’attivazione di provvedimenti di controllo e sanzione).
5. Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto dinanzi osservato, ritiene comunque la Sezione che un titolo edilizio (sia esso una concessione edilizia o un permesso di costruire) non sia affetto da nullità, quando la sua emanazione sia conseguenza di una condotta costituente un reato.
Va richiamata al riguardo la sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 3 del 1976, n. 3), che – nel caso di realizzazione di un edificio con una volumetria eccedente quella consentita, in conseguenza di falsi, accertati in sede penale – ha disposto l’annullamento degli atti emessi sulla base di condotte costituenti reato contro la fede pubblica e contro la pubblica amministrazione.
6. Malgrado il tempo decorso da quella pronuncia, ritiene questo Consiglio di dovere ribadire il principio secondo cui è affetto da annullabilità (e non da nullità) il provvedimento amministrativo (per sua natura autoritativo) che sia stato rilasciato sulla base di un atto la cui emanazione abbia comportato alla commissione di un reato.
Innanzitutto, la risalente giurisprudenza della Corte di cassazione sulla cd frattura del nesso di immedesimazione organica (per il caso di commissione di un reato doloso) riguarda la connessa, ma ben diversa, tematica della responsabilità dell’amministrazione, di cui risulti dipendente l’autore del reato: tale giurisprudenza a volte esclude la sussistenza della responsabilità dell’amministrazione, quando il dipendente abbia posto in essere una condotta materiale ‘per scopi egoistici’ (per il relativo dibattito giurisprudenziale e sulla eventuale rilevanza del cd requisito della occasionalità necessaria, cfr. Corte Cass. pen., n. 15030 del 2002; n. 1386 del 1998).
Non si può escludere, al riguardo, che l’illegittimità (sotto il profilo della annullabilità) di un atto amministrativo, conseguente alla commissione di un reato e pur sempre riferibile all’amministrazione, non determini la responsabilità di questa (ma è inutile approfondire in questa sede la questione, non trattandosi di domande risarcitorie conseguenti ai fatti già valutati in sede penale).
Inoltre, argomenti che supportino la tesi della nullità neppure sono desumibili dalla giurisprudenza della Corte di cassazione penale sulla disapplicabilità degli atti illegittimi (ad es., un ordine di sospensione di lavori, un ordine rilevante ex art. 650 c.p.): tale disapplicazione determina l’esito del processo penale, ma (a prescindere dalla avvenuta o meno costituzione di parte civile dell’amministrazione) non comporta di per sé conseguenze sugli effetti dell’atto disapplicato.
La tesi della nullità neppure risulta supportata dall’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990:
– tra le violazioni di legge – che comportano l’annullabilità dell’atto amministrativo ai sensi dell’art. 21 octies – non possono distinguersi quelle ‘più gravi’ (tra cui quelle costituenti reato) o quelle ‘meno gravi’.
– il difetto assoluto di attribuzioni è configurabile nei casi – per lo più ‘di scuola’ – in cui un atto non può essere radicalmente emanato da una autorità amministrativa, che non ha alcun potere nel settore, neppure condividendone la titolarità con un’altra amministrazione (risultando altrimenti un vizio di incompetenza).
7. Sotto il profilo sostanziale, l’affermazione della sussistenza della nullità comporterebbe gravi turbamenti all’esigenza di certezza dei rapporti di diritto pubblico.
Pur se di per sé le alienazioni del bene non incidono sui poteri repressivi di cui è titolare l’amministrazione, anche i subacquirenti sarebbero esposti in ogni tempo ad una declaratoria di nullità, per atti divenuti inoppugnabili e richiamati negli atti notarili di alienazione.
Una tale grave conseguenza della nullità, che la legge pur potrebbe astrattamente prevedere per la più indefettibile tutela del territorio, non è stata prevista dal legislatore, neppure con il richiamato art. 21 septies della legge n. 241 del 1990.
8. La sussistenza della annullabilità consente comunque l’adeguata tutela del territorio e degli interessi pubblici coinvolti.
A seguito dell’accertamento dei fatti in sede penale, d’ufficio o su istanza di chi vi abbia interesse, il Comune (così come la Regione, nell’esercizio del potere in precedenza attribuito allo Stato dall’art. 27 della legge n. 1150 del 1942 e dall’art. 7 della legge n. 865 del 1967, poi trasferito con il decreto legislativo n. 8 del 1972) deve valutare se (e sotto quale profilo) l’immobile realizzato si sia posto in contrasto con la disciplina urbanistica.
Ove tale contrasto risulti, previo contraddittorio con i proprietari attuali l’amministrazione può rilevare il vizio dell’atto e – sussistendo inevitabilmente l’attuale interesse pubblico, per il contrasto con la disciplina urbanistica e l’esigenza di ripristinare la legalità – può disporne l’annullamento, con le conseguenze specificamente previste dall’art. 38 del testo unico sull’edilizia (cioè l’ordine di demolizione o la sanzione amministrativa pecuniaria).
9. L’obbligo dell’amministrazione – di prendere in considerazione i fatti accertati in sede penale – può essere attivato anche su istanza di un interessato (da determinare in base al consueto criterio della vicinitas,) specie quando egli si sia costituito parte civile nel processo penale.
E’ indubbia quindi la legittimazione dei ricorrenti in primo grado.
10. Sulla base delle considerazioni che precedono, in accoglimento dell’appello, vanno riformate le statuizioni con cui il TAR ha dichiarato nulle le concessioni del 1987 ed ha dichiarato l’obbligo per il Comune di ordinare senz’altro la demolizione del manufatto.
In accoglimento delle censure complessivamente formulate in primo grado e riproposte in questa sede (che comunque hanno chiesto la declaratoria dell’obbligo del Comune di valutare le risultanze del processo penale e di emanare gli atti conseguenti), il ricorso di primo grado va però ugualmente accolto, nel senso che va dichiarato l’obbligo del Comune – previo contraddittorio con i proprietari attuali e con gli appellati – di esaminare l’istanza da questi ultimi proposti e di valutare se sussistano i presupposti per l’annullamento delle concessioni edilizie a suo tempo rilasciate a se, in caso affermativo, vada disposta la demolizione del fabbricato, ovvero vada irrogata una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 38 del testo unico sull’edilizia.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 7515 del 2012, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, in parziale riforma della sentenza del T.A.R., accoglie le censure di primo grado riproposte dagli appellati e dispone le misure indicate in motivazione, confermando il dispositivo della medesima sentenza, nella parte in cui ha dichiarato l’obbligo di provvedere del Comune di Palmi.
Spese compensate dei due gradi.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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