Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 18 luglio 2013 n. 17573
Svolgimento del processo
P..D.F. convenne in giudizio davanti al Tribunale di Pisa l’Azienda Ospedaliera Pisana esponendo che durante un lancio con paracadute era rimasto vittima di un infortunio alla gamba destra; che, trasportato al pronto soccorso, riscontrata una frattura, gli era stata praticata una ingessatura e consigliato il ricovero; che egli aveva preferito lasciare l’ospedale.
Dopo circa venti giorni, persistendo forti dolori, si era presentato presso l’ospedale di Carrara dove era stato sottoposto ad un nuovo esame radiografico e gli era stato consigliato un intervento chirurgico immediato che veniva ivi effettuato.
Sosteneva l’attore che il ritardo nel trattamento chirurgico aveva prolungato l’immobilizzazione in gesso a circa tre mesi, ritardando i processi riparativi per l’insorgenza di un quadro algodistrofico con conseguenti postumi permanenti.
Per queste ragioni l’attore, ritenendo che tali postumi avrebbero potuto essere più limitati nel caso in cui i sanitari dell’Ospedale pisano, anziché applicare un apparecchio gessato, avessero proceduto all’immediato intervento chirurgico, chiedeva che l’Azienda convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni da esso subiti.
L’Azienda Ospedaliera Pisana si costituiva sottolineando che era stato lo stesso attore a rifiutare il ricovero e che tale rifiuto poteva aver aggravato la patologia ed impedito una ulteriore e diversa valutazione dei medici. Contestava quindi il quantum del risarcimento richiesto e chiedeva il rigetto della domanda.
Il Tribunale rigettava le domande attrici.
Proponeva appello il D.F. con tre motivi.
La Corte d’Appello di Firenze ha rigettato il gravame proposto da P..D.F. nei confronti dell’Azienda Ospedaliera Pisana avverso la sentenza del Tribunale di Pisa che ha confermato.
Propone ricorso per cassazione P..D.F. con due motivi e presenta memoria.
Resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera Pisana.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso P..D.F. denuncia “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso (inesatta esecuzione della prestazione medica) e decisivo per il giudizio (art. 360, 1 comma n. 5 cpc, con conseguente violazione dell’art. 1218 c.c.)”.
Con il secondo motivo si denuncia “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso (mancato esercizio del dovere di informazione) e decisivo per il giudizio (art. 360, 1 comma n. 5 cpc, con conseguente violazione dell’art. 1218 c.c.)”.
I motivi, strettamente connessi, devono essere congiuntamente esaminati.
La Corte d’Appello di Firenze ha ritenuto che l’Azienda Ospedaliera abbia effettuato una corretta esecuzione della prestazione medica e, successivamente, di aver dato una adeguata informazione al paziente consigliandogli il ricovero.
Secondo il ricorrente invece, se il ricovero era necessario, bastava disporlo o prescriverlo e non limitarsi a consigliarlo: un consiglio infatti non può mai essere vincolante implicando la possibilità di scelte alternative. L’Azienda doveva pertanto rendere edotto il D.F. dell’insufficienza del trattamento operato in pronto soccorso per una cura ottimale della patologia.
In conclusione, il ricorrente sostiene di aver dato la prova dell’evento dannoso e dell’inadempimento della struttura sanitaria, mentre quest’ultima non ha provato che egli fu assistito e curato in modo idoneo e professionalmente corretto.
Il motivo è infondato.
Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno da attività medico – chirurgica, l’attore deve infatti provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) ed allegare l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, rimanendo a carico del medico convenuto dimostrare che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato causa del danno.
Ne consegue che se, all’esito del giudizio, permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale fra condotta del medico e danno, tale incertezza ricade sul paziente e non sul medico (Cass., 24 gennaio 2013, n. 4792; Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 577).
Emerge dall’impugnata sentenza che i medici dell’Azienda Ospedaliera Pisana, a seguito di un controllo radiografico, consigliarono il ricovero ospedaliero per proseguire il trattamento della lesione.
La soluzione prospettata non fu perseguita per esclusiva volontà del paziente che decise di sottrarsi liberamente alle cure della struttura ospedaliera.
La distinzione che il ricorrente tenta di introdurre tra prescrizione del medico, che sarebbe obbligatoria, e consiglio che sarebbe invece opinabile, è arbitraria. In alcun caso il medico può imporre una cura. Essa è sempre consigliata. E sempre il paziente, debitamente informato, è libero di seguirla.
Tale decisione costituisce fatto interruttivo del nesso causale fra la condotta dei sanitari e le conseguenze pregiudizievoli ascrivibili al ritardato intervento chirurgico al quale il D.F. si sottopose presso un’altra struttura ospedaliera, dopo aver lasciato trascorrere circa trenta giorni senza controlli sull’evoluzione della patologia.
Non può essere neppure attribuita una responsabilità all’Azienda Ospedaliera Pisana per difetto di informazione circa la necessità di sottoporsi ad un immediato intervento chirurgico, dovendosi ritenere assolto tale dovere con l’indicazione della insufficienza della riduzione incruenta della frattura e della necessità di proseguire la cura.
La Corte d’Appello, con adeguata motivazione, ha escluso che possa essere sorta una responsabilità a carico dell’Azienda Ospedaliera, avendo il D.F. liberamente deciso di sottrarsi alle cure della struttura ospedaliera pisana e di seguire autonomamente il decorso della malattia.
Il ricorrente invece, con le sue doglianze, chiede una revisione del fatto, non consentita in sede di legittimità, in presenza di una congrua motivazione, immune da vizi logici o giuridici.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
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