Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 10 luglio 2013, n. 17096
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 68 del 17.10.2011 il Tribunale per i Minorenni di Cagliari dichiarava lo stato di adottabilità di S.G., nato il 14.03.2004, figlio di R.P. e G.G..
Con sentenza del 19-30.07. 2012 la Corte di appello di Cagliari respingeva l’appello proposto dal G. e dalla P. compensando integralmente fra le parti le spese del giudizio.
Avverso questa sentenza il G. e la P. hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo e notificato il 12.10.2012 al PG presso il giudice a quo ed il 1215.10.2012 all’avv.to Maria Vitalia Anedda, curatore speciale del minore, che non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso il G. e la P. denunziano “Violazione e falsa applicazione degli artt.1 e 8 della legge n.184/1983 e degli art. 29 e 30 Cost., omessa c/o insufficiente motivazione anche per erroneità di presupposti in fatto”.
Sostengono che l’impugnata sentenza si fonda su presupposti erronei e carenti argomentazioni a fronte anche del fatto che il procedimento è stato più volte sospeso onde consentire l’esperimento di un progetto di recupero del rapporto e delle condizioni di vita familiari e si dolgono in particolare sia del fatto che in nessun modo sia stata presa in considerazione e quindi esplorata e sviluppata l’ipotesi dell’affidamento familiare ai parenti di S. e specificamente alle importanti figure di riferimento dei nonni paterni, C.G. e R.M. e della zia paterna, P.D.G., e così omessa ogni valutazione circa il contesto familiare e parentale, in violazione del disposto dell’art. 8 della Legge n. 184/1983, sia che l’assunta situazione di abbandono non sia stata ricondotta a forza maggiore, tenendo in debito conto l’indigenza economica di tutto il nucleo familiare e quindi la generale situazione di bisogno del medesimo e sia ancora che sia stata omessa ogni valutazione di tutti quei dati di sofferenza traumatica evidenziati nel minore e riconducibili, come anche riportato in sede di CIU, ai ripetuti distacchi emotivi.
Il ricorso in relazione ai vari articolati profili non merita favorevole apprezzamento, risolvendosi in infondate o inammissibili censure, anche implicanti rilievi critici generici e privi di decisivi riscontri o smentiti dal contenuto dell’impugnata sentenza, da cui anche emerge puntualmente accertata oltre alla incapacità genitoriale dei ricorrenti, 1a mancanza di nuclei parentali idonei a sostenere la coppia genitoriale o a vicariarla (pag. 8), sicché non risulta nemmeno trascurata l’indagine sulla reperibilità di familiari atti a svolgere tali funzioni, pure a fronte della riscontrato periodo di convivenza, della medesima coppia con i familiari di G.G. D’altra parte nel ricorso non è stata nemmeno allegata l’esistenza di rapporti significativi del minore con i nonni e la zia paterna, tipologia di rapporto il cui mantenimento condiziona l’assunzione di dette funzioni, ai sensi dell’art. 12 della legge n. 184 del 1983. Quanto poi alle condizioni di indigenza dei genitori del minore, risulta che sono state adottate fattive e durevoli iniziative per farvi fronte, tramite i servizi sociali, e che non sono state giustamente (art. 1 comma 2 legge n. 184 del 1983) valutate come di ostacolo all’esercizio del diritto del minore stesso alla propria famiglia. Giova inoltre ricordare che lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psico-fisico del minore, secondo una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito ed è incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivata. Dunque, lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità non ricorre qualora sussista una causa di forza maggiore, cioè un ostacolo esterno posto dalla natura, dall’ambiente, da un terzo che s’impone alla volontà del genitore e che il legislatore del 1983, innovando rispetto alla disciplina del 1967, ha qualificato come “transitorio”, alla luce del preminente interesse del minore, sicché tale transitorietà deve essere necessariamente correlata al tempo di sviluppo compiuto e armonico del minore stesso, evenienza nella specie non evincibile. Nel complesso l’avversata conclusione appare frutto di verifiche e valutazioni ineccepibilmente aderenti alle regole normative, adeguatamente motivate e suffragate dalle risultanze del lungo iter giudiziario, attivato il 22 marzo 2006 dal PM minorile e richiamato nei vari e salienti passi, articolatisi pure in indagini mediche ufficiose d’indole psicologica e psichiatrica e nel monitorato utilizzo di strutture e mezzi pubblici di aiuto e sostegno anche economico al nucleo familiare e non solo al minore, da ultimo inserito in comunità, con effetti rivelatisi per lui positivi, risultanze che hanno conclusivamente ed irreprensibilmente portato i giuridici d’appello ad affermare nel preminente interesse del bambino stesso, che egli aveva necessità di una situazione familiare, che gli potesse assicurare accudimento, affetto e sostegno psicologico, in modo stabile, certo ed in tempi rapidi, stanti anche le risorse di recupero che aveva evidenziato nel breve periodo in cui era stato inserito in Comunità e considerato pure che era risultato affetto da un lieve deficit cognitivo, per cui esigeva particolari cure ed attenzioni. A fronte: delle emerse risultanze i giudici di merito hanno, pertanto, argomentatamene e logicamente affermato che le esigenze del bambino e i tempi che tali esigenze comportavano non consentivano di procrastinare oltre la procedura in attesa di un futuro ed eventuale stabile recupero di una sufficiente idoneità genitoriale, al quale non avevano condotto neppure anni di importanti e costanti interventi dei servizi pubblici.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Non deve statuirsi sulle spese del giudizio di legittimità, atteso il relativo esito ed il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Leave a Reply