Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 giugno 2024| n. 16526.
Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese
Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione.
Ordinanza|13 giugno 2024| n. 16526. Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese
Data udienza 7 maggio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Spese giudiziali civili – Di appello spese giudiziali – Appello – Rigetto del gravame – Riforma della sentenza di primo grado sulle spese – Mancanza di specifico motivo del gravame – Divieto di riforma – Sussistenza.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta da
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere Rel.
Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere
Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso per revocazione iscritto al n. 12178/2023 R.G. proposto da
Br.Lu. e Gr.Do., rappresentati e difesi dall’Avv. Te.Ge. (p.e.c. indicata: …);
– ricorrenti –
contro
(…) Srl, e per essa, quale mandataria, (…) Spa, rappresentata e difesa dall’Avv. Al.Vi. (p.e.c. indicata: …);
– controricorrente –
e nei confronti di
(…) Spa oggi (…) Spa;
– intimata –
avverso l’ordinanza della Corte Suprema di Cassazione, n. 335/2023, pubblicata il 10 gennaio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 maggio 2024 dal Consigliere Emilio Iannello.
Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese
FATTI DI CAUSA
1. Br.Lu. e Gr.Do. proposero, davanti al Tribunale di Castrovillari, opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. alla esecuzione immobiliare intrapresa da (…) Banca Spa in forza di contratto di mutuo stipulato in data 4 settembre 1997, deducendo l’indeterminatezza della somma indicata nell’atto di precetto, la violazione del divieto di anatocismo, nonché, limitatamente alle rate scadute in data successiva al 31 dicembre 2000, la violazione dell’art. 1 del D.L. n. 394 del 2000.
Il Tribunale accolse parzialmente l’opposizione, rideterminando il credito di (…) Banca Spa alla data del 5 agosto 2005 in Euro 30.429,99, “oltre interessi convenzionali adeguati al tasso soglia sulla somma di Euro 29.933,25 dalla data di notifica del ricorso in opposizione (5 agosto 2005) fino al soddisfo”; pose le spese di lite, unitamente a quelle di c.t.u., per metà a carico degli opponenti, compensandole per la restante parte.
La Corte d’appello di Catanzaro rigettò il gravame, ponendo definitivamente le spese di c.t.u. a carico di entrambe le parti e condannando gli appellanti al pagamento delle spese per l’intero quanto al primo ed al secondo grado.
2. Dei sei motivi posti a base del ricorso per cassazione proposto dagli opponenti, la S.C., con ordinanza n. 335 del 10 gennaio 2023, ha accolto solo il sesto, in punto di spese del giudizio di primo grado, mentre ha rigettato il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo, e dichiarato inammissibile il secondo motivo; ha quindi cassato la sentenza d’appello in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, ha ripristinato la statuizione in punto di spese prevista nella sentenza di primo grado. Ha condannato i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità nella misura del 30 per cento, liquidata in Euro 1.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, compensandole per il resto.
3. Avverso tale ordinanza Br.Lu. e Gr.Do. propongono ricorso per revocazione in quanto asseritamente viziata da errori di fatto ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ., illustrati con quattro motivi.
Vi resiste, con controricorso, la (…) Srl, e per essa, quale mandataria, (…) Spa
Rimane intimata (…) Spa
4. È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. A fondamento della proposta istanza di “revocazione parziale” i ricorrenti prospettano l’esistenza di errori di fatto ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ. che avrebbero determinato: a) anzitutto (primi due motivi del ricorso per revocazione), l’erronea individuazione dei soggetti legittimati a partecipare al giudizio di legittimità (quanto in particolare alla controricorrente); b) in secondo luogo (terzo motivo), il rigetto del primo motivo del ricorso per cassazione con cui si contestava la legittimazione di (…)Banca (…) Spa a resistere all’appello; c) infine, la declaratoria di inammissibilità del quinto motivo del ricorso per cassazione, nella parte in cui con esso si denunciava l’illegittima applicazione di interessi anatocistici in difetto di domanda da parte della banca mutuante.
In particolare:
– con il primo motivo del ricorso per revocazione, Br.Lu. e Gr.Do. assumono che l’indicazione nell’epigrafe dell’ordinanza impugnata, quale controricorrente, della (…) Srl, e per essa di (…) Spa, quale mandataria, è frutto di una erronea percezione delle indicazioni contenute nel ricorso per cassazione, essendo stato questo proposto contro la (…) S.p.A, e non contro la (…) Srl;
– con il secondo motivo essi deducono che la detta indicazione della controricorrente è, nella ordinanza impugnata, frutto di “errore di fatto nella lettura” di altri atti interni del giudizio di cassazione, quali: a) il controricorso della stessa (…) Srl, non corredato da copia del contratto di cessione; b) la memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. di parte ricorrente che, diversamente da quanto affermato nella parte narrativa dell’ordinanza, non conteneva una “ulteriore illustrazione” dei sei motivi del ricorso per cassazione, bensì, per l’appunto, la contestazione della legittimazione della (…) Srl per non avere essa documentato e provato “… l’asserita cessione in proprio favore del credito”;
– con il terzo motivo i ricorrenti deducono che il rigetto del primo motivo del ricorso per cassazione, nella parte in cui si sosteneva che fosse (…) Spa, e non (…) Spa, legittimata a resistere all’appello, è frutto di errore percettivo rappresentato dall’omesso esame del motivo nella parte in cui si denunciava la violazione, da parte del giudice d’appello, degli artt. 110 e 111 cod. proc. civ. sul rilievo che “la società incorporante per fusione la (…) Banca Spa è sempre e solo la (…) Spa e, quindi, è tale ultimo istituto che andrebbe individuato quale successore a titolo universale della (…) Banca Spa nel processo ex art. 110 cod. proc. civ. …”, mentre (…) aveva incorporato la società (…) Spa, “cessionaria ex art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993 (e quindi cessionaria a titolo particolare) …”, per cui la predetta (…) poteva considerarsi legittimata a intervenire nel processo, ma non a sostituirsi alla parte cedente;
– con il quarto motivo i ricorrenti deducono che, diversamente da quanto affermato a fondamento della valutazione di inammissibilità del quinto motivo del ricorso per cassazione, essi avevano assolto l’onere di specifica indicazione degli atti da cui desumere l’assenza della domanda giudiziale ex art. 1283 c.c., dal momento che: a) in ricorso, a pag. 21, righi 23-25, era stato detto testualmente che “… nel caso che ci occupa l’istituto bancario si è limitato in comparsa di costituzione e risposta (depositata all’udienza del 18.10.2005) a richiedere il rigetto della domanda proposta dai coniugi Br.Lu. – Gr.Do.”; b) con la memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. essi avevano allegato in copia conforme l’intero fascicolo d’ufficio del primo grado di giudizio, avendone essi rilevato il mancato invio da parte del giudice a quo, nonostante la tempestiva richiesta ex art. 369 cod. proc. civ.
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2. Il primo motivo di ricorso per revocazione è fondato.
Quanto rappresentato nella intestazione della ordinanza impugnata, circa l’ambito soggettivo della pronuncia, è con immediata evidenza oggettivamente in contrasto con i dati emergenti dagli atti del processo e in particolare dal ricorso per cassazione, chiaramente diretto contro la (…) S.p.A, e non contro la (…) Srl
In mancanza, nell’ordinanza, di alcun cenno alla questione relativa alla individuazione dell’ambito soggettivo del giudizio di legittimità e, in particolare, alla legittimazione di (…) Srl a parteciparvi quale controricorrente – questione peraltro espressamente posta nella memoria depositata dai ricorrenti ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. – la detta indicazione non può che essere attribuita ad errore di fatto revocatorio, in cui deve ritenersi incorso il giudice di legittimità in quanto palesato dall’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa.
In accoglimento del detto motivo l’ordinanza impugnata deve pertanto essere revocata, restando conseguentemente assorbito l’esame degli altri motivi di revocazione.
3. Procedendo, dunque, in fase rescissoria, a nuovo scrutinio del ricorso per cassazione (iscritto al n. 13994/2020 R.G.), deve preliminarmente darsi atto che:
– tale ricorso è stato proposto da Br.Lu. e Gr.Do. nei confronti di (…) Spa che, nonostante la rituale notifica, non ha svolto difese nel relativo giudizio;
– ha invece depositato controricorso, per il tramite della mandataria (…) Spa, la (…) Srl, nella dedotta qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso;
– l’ammissibilità di detto controricorso è stata contestata dai ricorrenti nella memoria depositata ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ., sotto il profilo del difetto di legittimazione a intervenire della predetta Srl, per non avere la stessa documentato l’asserita cessione in proprio favore del credito per cui è causa.
3.1. Occorre in proposito rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il successore a titolo particolare nel diritto controverso – sebbene non possa intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa che consenta al terzo la partecipazione a quel giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito (Cass. Sez. U. 18/11/2016, n. 23466, punto 1; Cass., 23/03/2016, n. 5759; Cass. 30/05/2014, n. 12179; Cass. 07/04/2011, n. 7986; Cass., 11/05/2010, n. 11375; Cass. 04/05/2007, n. 10215) – “è tuttavia legittimato ad impugnare la sentenza resa nei confronti del proprio dante causa allegando il titolo che gli consenta di sostituire quest’ultimo, essendo a tal fine sufficiente la specifica indicazione di tale atto nell’intestazione dell’impugnazione qualora il titolo sia di natura pubblica e, quindi, di contenuto accertabile, e sia rimasto del tutto incontestato o non idoneamente contestato dalla controparte” (così Cass. 11/04/2017, n. 9250, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto insussistente il dedotto difetto di legittimazione della cessionaria del ramo di azienda a ricorrere per cassazione avverso la sentenza di appello resa nei confronti della sua dante causa, rilevando che la contestazione dell’avvenuta successione a titolo particolare nella posizione sostanziale controversa era apoditticamente fondata sul mero rilievo dell’omessa produzione dell’atto di cessione del ramo di azienda; v. anche Cass. 17/07/2013, n. 17470; 15/05/2020, n. 8975).
Analogamente il successore a titolo particolare è ammesso a depositare controricorso, per resistere al ricorso proposto contro il proprio dante causa, nel caso in cui in cui quest’ultimo sia rimasto inerte, visto che altrimenti sarebbe irrimediabilmente vulnerato il diritto di difesa del successore (Cass. 07/06/2016, n. 11638; 06/10/2017, n. 23439; 27/12/2018, n. 33444; 10/10/2019, n. 25423; 01/03/2022, n. 6774; 29/12/2023, n. 36459; v. anche, in motivazione, Cass. 04/03/2021, n. 5987).
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3.2. Nel caso di specie, la mandataria di (…) Srl, in apertura della parte espositiva del proprio controricorso (v. controricorso per il giudizio di cassazione, pagg. 6-8), ha esplicitamente evidenziato che:
– in data 20 novembre 2014 (…) Spa, nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione ai sensi e per gli effetti della legge n. 130 del 30 aprile 1999, aveva ceduto ad (…) Srl, con contratto di cessione pro soluto, un pacchetto di crediti “individuabili in blocco”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 58 T.U. Bancario, di cui alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 25 novembre 2014, n. 139, tra cui la posizione debitoria in questione;
– nell’ambito di un’operazione unitaria di cartolarizzazione ai sensi della legge n. 130 del 1999 , relativa a crediti ceduti da (…) Srl, in forza di un contratto di cessione di crediti ai sensi degli articoli 4 e 7.1 della legge cit., concluso in data 14 luglio 2017 e con effetto in data 14 luglio 2017, (…) Srl aveva acquistato pro soluto da (…) Srl tutti i crediti (per capitale, interessi, anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni, indennizzi e quant’altro) che alla cedente derivavano da contratti di mutuo, di apertura di credito o da finanziamenti erogati in altre forme tecniche che alla data del 14 luglio 2017 risultavano nella titolarità di (…) Srl, limitatamente a quelli che:
(A) alla data del 3 luglio 2017: (i) non fossero stati integralmente soddisfatti o comunque estinti; (ii) non avessero formato oggetto di accordi stragiudiziali con (…) One con conseguente cancellazione rinuncia, remissione, annullamento ovvero quietanza totale del debito; iii) non fossero stati oggetto di cessioni in blocco di portafogli di cui agli avvisi in Gazzetta Ufficiale Parte Seconda n. 145 del 10/12/2016 e n. 68 del 10/06/2017;
(B) alla data del 3 luglio 2017, salvo ove diversamente previsto, presentassero altresì le seguenti caratteristiche (da intendersi cumulative salvo ove diversamente previsto): (i) fossero crediti derivanti da contratti di finanziamento (in qualsiasi forma tecnica) retti dal diritto italiano; (ii) fossero crediti denominati in Euro; (iii) fossero crediti derivanti da finanziamenti classificati “in sofferenza”, nell’accezione di cui alla Circolare n. 272 del 30 luglio 2008 della Banca d’Italia …; (iv) fossero crediti con ammontare della creditoria non superiore a Euro 63.530.630,46; (v) i relativi debitori ceduti fossero (i) persone fisiche residenti o domiciliate in Italia o (ii) persone giuridiche, o altri soggetti giuridici costituiti ai sensi dell’ordinamento italiano, ed aventi sede legale in Italia; (vi) i relativi debitori ceduti non fossero banche e/o altre istituzioni finanziarie; (vii) fossero crediti di cui la (…) Srl era divenuta titolare per averli precedentemente acquistati da (…) Spa in virtù di un contratto di cessione datato 20 novembre 2014, tra (…) Srl e (…) Spa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 58 del Testo Unico Bancario e della legge n. 130 del 1999 e per i quali era stato pubblicato un avviso di cessione nella Gazzetta Ufficiale parte II n. 139, del 25 novembre 2014;
– di detta cessione era stata data comunicazione sulla Gazzetta Ufficiale parte II n. 93 dell’8 agosto 2017;
– (…) Srl, con atto per Notaio Va.An. rep. 60852 e racc. 11352 del 20/07/2017, aveva nominato quale proprio procuratore (…) Spa (ora (…) Spa), affinché provvedesse in nome e per conto, ovvero soltanto per conto, della società medesima a compiere ogni atto, attività, adempimento e formalità dallo stesso procuratore ritenuti necessari e/o utili all’amministrazione, gestione, incasso e recupero anche attraverso le vie giudiziarie dei crediti, nonché all’eventuale escussione delle garanzie accessorie, di qualunque tipologia o natura che assistano tali crediti;
– per effetto della cessione e con riferimento al contenuto ed oggetto contrattuale (…) Srl era succeduta, a titolo particolare, in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi, nessuno escluso, già di titolarità della originaria cedente e della prima cessionaria;
– tra i crediti in sofferenza ceduti e relativi interessi maturati compresi quelli di mora rientrava anche quello vantato nei confronti dei signori Br.Lu. e Gr.Do.
3.3. I ricorrenti osservano di contro, nella memoria depositata per il giudizio di cassazione, che l’asserita cessione – a titolo particolare – della posizione creditoria nei loro confronti da (…) Spa ad (…) Srl in data 20/11/2014 e poi quella da quest’ultima alla (…) Srl in data 14/07/2017, non sono state documentate, non potendo in particolare evincersi, dagli avvisi di cessione in Gazzetta Ufficiale indicati da quest’ultima, le posizioni creditorie effettivamente cedute; ciò anche tenuto conto del fatto che, con la comparsa conclusionale depositata nel giudizio di appello, (…) Spa indica se stessa come titolare del credito a quella data, con la nuova denominazione di (…) Spa
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3.4. Detta contestazione è infondata.
In linea generale, va ribadito il principio secondo cui la parte che agisce affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del D.Lgs. 1 dicembre 1993, n. 385, ha l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale (così Cass. 22/02/2022, n. 5857; Cass. 05/11/2020, n. 24798).
Del pari, occorre rammentare che il menzionato art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, nel consentire “la cessione a banche di aziende, di rami d’azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco” detta una disciplina (ampiamente e sotto plurimi profili) derogatoria rispetto a quella ordinariamente prevista dal codice civile per la cessione del credito e del contratto (per questi aspetti, vedi, diffusamente, Cass. 31/12/2017, n. 31188): regolamentazione giustificata principalmente dall’oggetto della cessione, costituito, oltre che da intere aziende o rami di azienda, da interi “blocchi” di beni, crediti e rapporti giuridici, individuati non già singolarmente, ma per tipologia, sulla base di caratteristiche comuni, oggettive o soggettive, motivo per cui la norma prevede la sostituzione della notifica individuale dell’atto di cessione con la pubblicazione di un avviso di essa sulla Gazzetta Ufficiale, cui possono aggiungersi forme integrative di pubblicità (da ultimo, Cass. 16/04/2021, n. 10200).
Alla luce di siffatte, peculiari, caratteristiche dell’istituto, questa Corte ha più volte – con indirizzo cui si intende dare continuità – affermato che in tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca ex art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, contratto a forma libera, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché sia possibile individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione (in questo ordine di idee, oltre alla citata Cass. n. 31118 del 2017, cfr. Cass. 13/06/2019, n. 15884; 10/02/2023, n. 4277).
L’onere probatorio in capo alla cessionaria deve pertanto considerarsi, nel caso in esame, assolto con la produzione dei detti avvisi di cessione, appalesandosi per contro generica, a fronte del ricordato principio, la contestazione dei ricorrenti, non prospettandosi con essa alcun elemento per cui dubitare della veridicità o pertinenza delle specifiche indicazioni offerte nel controricorso. Tale in particolare non può considerarsi il riferimento, peraltro generico, a quanto asseritamente dichiarato da (…) Spa nella comparsa conclusionale del giudizio di appello, trattandosi di atto non presente nel fascicolo di causa e sottratto pertanto al vaglio consentito in questa sede.
4. Occorre, però, a questo punto dare pure atto che, nella memoria depositata per il giudizio di revocazione, i ricorrenti hanno dedotto, per la prima volta, che della qualità in capo a (…) Spa di mandataria di (…) Spa manca la prova, atteso che la procura generale depositata nel giudizio di cassazione come allegato n. 3 al controricorso vede in realtà come parte conferente la procura la diversa società denominata (…) Srl
4.1. Il rilievo è infondato.
La qualità in capo a (…) Spa di mandataria di (…) Srl – in forza di procura generale i cui estremi indicati nel controricorso (atto per Notaio Va.An. rep. 60852 e racc. 11352 del 20/07/2017) non coincidono con quelli dell’atto materialmente poi allegato (atto per Notaio Va.An. rep. 60850 e racc. 11358 del 20/07/2017), verosimilmente per un mero scambio documentale – non risulta essere stata mai contestata dai ricorrenti durante l’intero svolgimento del giudizio di cassazione, avendo essi piuttosto contestato, come detto, la legittimazione della rappresentata a intervenire nel giudizio, ma non la sussistenza del rapporto di mandato tra questa, come mandante, e (…) Spa, quale mandataria.
Tale mancata contestazione ha di fatto sollevato la controricorrente dall’onere di dar prova documentale del dedotto mandato (altrimenti possibile sino alla data di svolgimento dell’adunanza camerale, anche al di fuori delle ordinarie attività difensive: v. Cass. 17/06/2020, n. 11699), di modo che ininfluente deve ritenersi il mancato deposito del relativo atto notarile. Né un tale onere può ritenersi riattivato dalla contestazione per la prima volta sollevata dai ricorrenti nel susseguente giudizio di revocazione, peraltro nemmeno nel ricorso ma nella memoria depositata ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
5. Ciò precisato, dunque, con riferimento all’ambito soggettivo del giudizio di cassazione che si tratta di rinnovare nella presente sede rescissoria, può ora procedersi allo scrutinio dei relativi motivi.
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6. Con il primo di essi i ricorrenti deducono la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – in riferimento all’art. 2504-bis cod. civ., come novellato dal D.Lgs. n. 6/2003, in riferimento all’art. 58 del D.Lgs. n. 385/1993, nonché in riferimento all’art. 110 c.p.c. e all’art. 111 c.p.c.”.
Sostengono che la Corte territoriale, nel rigettare la richiesta di dichiarazione di contumacia della (…) Spa, dagli stessi avanzata in appello, a fronte della costituzione m giudizio della (…) Spa, ha violato le disposizioni normative evocate, posto che dalla stessa comparsa di costituzione depositata da quest’ultima in appello si evinceva che la (…) Banca Spa (parte processuale originaria) era stata incorporata per fusione nella (…) Spa in forza di rogito notarile del 20 ottobre 2008, rep. n. 47912; trattandosi di fusione per incorporazione successiva al D.Lgs. n. 6 del 2003, che aveva novellato l’art. 2504-bis cod. civ., la stessa doveva inquadrarsi come vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che pertanto conservava la propria identità.
Di conseguenza, avrebbe dovuto essere dichiarata la contumacia di (…) Spa (quale incorporante (…) Banca Spa), nei cui confronti avrebbe dovuto essere pronunciata la sentenza.
Soggiungono che, pur volendo accedere alla parificazione della fusione per incorporazione ad una successione universale mortis causa, avrebbe dovuto comunque considerarsi società incorporante la (…) Spa, da individuarsi quale successore a titolo universale nel processo.
7. La censura è infondata, quando non inammissibile.
7.1. Come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 21970 del 2021, la fusione per incorporazione non prospetta una mera vicenda modificativa, ma determina, invece, una vera e propria dissoluzione o estinzione giuridica, contestuale ad un fenomeno successorio.
In particolare, “la fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati”.
Di conseguenza, “la prosecuzione dei rapporti giuridici nel soggetto unificato fonda la legittimazione attiva dell’incorporante ad agire e proseguire nella tutela dei diritti e la sua legittimazione passiva a subìre e difendersi avverso le pretese altrui, con riguardo ai rapporti originariamente facenti capo alla società incorporata; viceversa quest’ultima, non mantenendo la propria soggettività dopo l’avvenuta fusione e la cancellazione dal registro delle imprese, neppure vanta una propria autonoma legittimazione processuale attiva o passiva”.
Le Sezioni Unite hanno pure sottolineato che: “in ragione del subentro omnicomprensivo in tutte le situazioni giuridiche attive e passive delle società, incorporate o fuse, da parte della società in esito della fusione, questa va assimilata alla successione universale fra persone fisiche. In via di principio, perciò, alla fusione, divenuta efficace in corso di causa, in mancanza di disposizioni derogatorie troverebbe applicazione il regime degli artt. 110 e 300 cod. proc. civ., con l’interruzione del processo e la sua prosecuzione dal successore universale o in suo confronto, previa riassunzione, quale fenomeno riconducibile al “venir meno” della parte, di cui all’art. 110 cod. proc. civ. Tuttavia, in presenza di fusione sopraggiunta nel corso del giudizio, la dizione dell’art. 2504-bis cod. civ. – secondo cui in tutti i rapporti giuridici delle società incorporate “anche processuali” vi è una “prosecuzione” dell’incorporante – vale ad evitare ex lege l’interruzione stessa, dato che l’incorporata ne prosegue senza soluzione di continuità i rapporti, anche processuali”.
7.2. Nella specie è incontestato che la (…) Banca Spa, nel corso del giudizio, sia stata incorporata per fusione, in forza di rogito notarile del 20 ottobre 2008, nella (…) Spa. Quest’ultima era dunque la parte nei cui confronti andava (ed è stato correttamente) notificato l’atto d’appello.
7.3. Emerge però pacificamente dagli atti ed è stato accertato dal giudice d’appello anche che: a) (…) Spa cedette ad (…) Spa il credito in questione nell’ambito di cessione in blocco ex art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993; b) (…) Spa venne successivamente incorporata in (…) successivamente, con atto notarile del 14 dicembre 2008.
In forza di tali operazioni (…) Spa, costituitasi in appello e nei cui confronti è stata emessa la sentenza qui impugnata, è dunque subentrata nella titolarità del rapporto dedotto in giudizio ed è stata correttamente ritenuta legittimata a resistere.
Tale conclusione non muove certamente da una falsata lettura dei dati di fatto indicati dai ricorrenti, ma anzi li prende in considerazione in termini perfettamente corrispondenti ai termini in cui essi li riferiscono, unitamente però ad altro dato decisivo rappresentato per l’appunto dal detto fenomeno successorio ex art. 111 cod. proc. civ. determinato dalla cessione in blocco di crediti (tra cui quello per cui è lite) ex art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993 da (…) Spa ad (…) Spa, poi incorporata da (…) Spa
7.4. A ben vedere gli stessi ricorrenti non contestano la legittimazione di (…) Spa a costituirsi in appello e resistere al gravame da essi proposto, ma solo si dolgono della mancata declaratoria di contumacia di (…) Spa (della cui rituale citazione in appello la stessa sentenza d’appello aveva dato atto): doglianza però con evidenza inammissibile, in difetto di alcun apprezzabile interesse al riguardo in capo ai ricorrenti.
8. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in riferimento all’art. 112 cod. proc. civ.” e lamentano l’erroneità di quanto riportato a pag. 7 della sentenza impugnata, là dove si legge: “Dalla disamina degli atti risulta che la domanda è stata promossa nei confronti di (…) Banca Spa (già (…) Spa per mutamento di denominazione sociale) che con comparsa depositata il 12.10.2005 si è costituita in giudizio in quanto: “… società cessionaria con effetto dal 1 gennaio 2000 anche a norma dell’art. 58 del D.Lgs. n. 385/1993 del ramo d’azienda della cedente Società (…) Italiano Spa nuova denominazione sociale del (…) Spa””.
9. Il motivo è inammissibile, in quanto le parti ricorrenti, pur facendo espresso riferimento nella rubrica ad una presunta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., omettono del tutto di illustrare le ragioni per le quali la sentenza gravata incorrerebbe nella violazione di tale disposizione normativa, di talché la doglianza è inesplicata ed incomprensibile.
10. Con il terzo motivo, denunciando la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – in riferimento all’art. 1283 cod. civ. ed in riferimento al combinato disposto di cui all’art. 1815 cod. civ. ed all’art. 2 della legge n. 108 del 1996, per avere disatteso il giudice di primo grado l’eccezione di nullità dei pattuiti interessi moratori”, i ricorrenti, dopo avere posto in rilievo che avevano lamentato che la sentenza di primo grado aveva erroneamente ritenuto che l’usurarietà degli interessi pattuiti non concernesse i primi tre trimestri, sostengono che i giudici di appello si sono limitati a ritenere corretta in parte qua la sentenza impugnata fondandosi sulle risultanze della c.t.u.. Evidenziano, a tale riguardo, che il c.t.u. aveva focalizzato la propria attenzione unicamente sugli interessi moratori, prescindendo dalla circostanza che gli stessi, essendo stati pattuiti in riferimento a rate di per sé comprensive di interessi corrispettivi, dovevano essere considerati anche in riferimento agli interessi corrispettivi al fine di verificare l’effettivo superamento o meno del tasso soglia ex art. 2 della legge n. 108 del 1996, superamento che, nel caso in esame, era sussistente, considerato che la pattuizione degli interessi moratori aveva ad oggetto la rata nella sua interezza (sorte capitale ed interessi corrispettivi) e, pertanto, poneva un tasso effettivo di gran lunga al di sopra della soglia usuraria, con conseguente nullità della relativa pattuizione ai sensi dell’art. 1815 cod. civ.
Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese
Sostengono che il giudice, nel quantificare la somma dovuta, avrebbe dovuto prescindere interamente dai pattuiti interessi moratori e seguire il calcolo adottato dal c.t.u. nella relazione integrativa, nella quale, attraverso una reimputazione dei versamenti effettuati, era stato conteggiato un residuo dare per sorte capitale pari ad Euro 21.543,79, oltre ad Euro 5.432,39 per interessi convenzionali.
11. Con il quarto motivo – rubricato “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in riferimento all’art. 1283 c.c. ed in riferimento al combinato disposto di cui all’art. 1815 c.c. ed all’art. 2 della legge n. 108/96, per quanto concerne l’omessa declaratoria di nullità dei pattuiti interessi corrispettivi” – i ricorrenti, richiamando la sentenza di questa Corte n. 350 del 2013, secondo cui l’interesse di mora va addizionato all’interesse corrispettivo al fine della verifica del superamento o meno del tasso soglia, con travolgimento, in caso positivo, sia dell’interesse corrispettivo che dell’interesse moratorio, sostengono che tali principi rendono ancor più evidente l’usurarietà degli interessi pattuiti che avrebbe dovuto indurre il giudice di primo grado e poi quello d’appello a dichiarare che non erano dovuti interessi ed a rideterminare il quantum debeatur.
12. Il terzo ed il quarto motivo sono infondati.
12.1. In linea generale, è opportuno osservare che la L. n. 108 del 1996 non ammette che la comparazione possa attuarsi tra il tasso soglia e la sommatoria degli interessi corrispettivi e moratori, giacché gli uni e gli altri costituiscono unità eterogenee, tra loro alternative (riferite l’una al fisiologico andamento del rapporto e l’altra alla sua patologia), ed è del tutto evidente, sul piano logico e matematico, che il debitore non debba corrispondere il cumulo di tali interessi.
Come già osservato da questa Corte, gli interessi corrispettivi e quelli moratori contrattualmente previsti vengono percepiti ricorrendo presupposti diversi ed antitetici, giacché i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento: essi, pertanto, non si possono tra di loro cumulare (Cass. 17/10/2019, n. 26286).
Di conseguenza, il problema relativo all’esorbitanza degli interessi corrispettivi e moratori rispetto al tasso soglia va risolto in modo differenziato. Per i primi deve ovviamente tenersi conto dell’art. 2, comma 4, L. n. 108 del 1996 e aversi riguardo al tasso medio risultante dalla rilevazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale aumentato della metà; per gli interessi moratori assume invece rilievo quanto precisato, di recente, dalle Sezioni Unite di questa Corte: in particolare, poiché la L. n. 108 del 1996 si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell’ambito del tasso effettivo globale medio (TEGM) non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali di cui all’art. 2, comma 1, della L. n. 108 del 1996, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, il tasso-soglia sarà dato dal TEGM, incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell’art. 2 sopra citato; laddove, invece, i decreti ministeriali non rechino l’indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andrà effettuata tra il tasso effettivo globale (TEG) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il TEGM, così come rilevato nei suddetti decreti (Cass. Sez. U. 18/09/2020, n. 19597).
12.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello, attenendosi ai suddetti principi, non ha operato un cumulo degli interessi moratori con quelli corrispettivi, ma ha chiesto al c.t.u., come emerge dal quesito trascritto a pag. 14 del ricorso, di rideterminare il quantum dovuto, tenuto conto “dei versamenti effettuati” e “calcolando gli interessi moratori, nei limiti del tasso-soglia tempo per tempo vigente, sulla sola quota capitale delle rate scadute o a scadere”; riscontrata la “superiorità costante del tasso di mora contrattuale rispetto ai limiti soglia periodici vigenti, ad eccezione dei primi tre trimestri”, ha proceduto al ricalcolo delle somme dovute previa rideterminazione degli interessi moratori, riferiti ai periodi in cui il tasso soglia è risultato superato, entro i limiti del tasso soglia. Dall’accertamento dell’usurarietà discende, infatti, l’applicazione dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ., di modo che gli interessi moratori sono dovuti non nella pattuita misura usuraria, bensì in quella degli interessi corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’art. 1224, primo comma, cod. civ. (Cass. Sez. U. 18/09/2020, n. 19597).
Si è al riguardo precisato che tale soluzione trova fondamento nella circostanza che una volta caduta la clausola degli interessi moratori resta un danno per il creditore insoddisfatto che viene automaticamente ristorato mediante la corresponsione degli interessi corrispettivi nella stessa misura dovuta per il tempo dell’adempimento in relazione alla disponibilità del denaro. A tale stregua, la nullità degli interessi moratori non determina di per sé la nullità degli interessi corrispettivi, sicché (anche) gli interessi moratori sono dovuti nella minor misura degli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti, dall’usurarietà dei soli interessi moratori non dovendo invero desumersi la totale gratuità del contratto di mutuo, venendosi altrimenti a determinare addirittura un vantaggio patrimoniale per il debitore inadempiente (Cass. Sez. U. 18/9/2020, n. 19597).
La sentenza impugnata si sottrae, dunque, ai vizi denunciati con i mezzi in esame.
13. Con il quinto motivo, denunciando la “nullità della sentenza o del procedimento”, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in riferimento all’art. 112 cod. proc. civ., i ricorrenti lamentano che i giudici d’appello avrebbero omesso di pronunciarsi sul secondo motivo di appello, con il quale avevano dedotto che il giudice di primo grado aveva erroneamente riconosciuto, in favore dell’istituto bancario, sulla somma di Euro 29.933,25 (comprensiva di capitale, interessi corrispettivi ed interessi moratori), conteggiata alla data del 5 agosto 2005, ulteriori interessi convenzionali “adeguati al tasso soglia … dalla data di notifica del ricorso in opposizione fino al soddisfo”.
Con il medesimo motivo, deducendo pure la “nullità della sentenza o del procedimento, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 1815 cod. civ., 1823 cod. civ. ed in riferimento all’art. 1282 cod. civ.”, i ricorrenti sostengono che la nullità dell’art. 2, lett. b), e dell’art. 8 del contratto di mutuo azionato non poteva che comportare l’applicazione del tasso legale sulla sorte capitale a far data dalla emissione della sentenza di primo grado (21 febbraio 2013) e che, in ogni caso, è erronea l’applicazione di ulteriori interessi in difetto di domanda giudiziale proposta dalla Banca e in assenza di liquidità del credito vantato dall’istituto bancario, come tale improduttivo di qualsiasi interesse.
Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese
13.1. Va, in primo luogo, escluso il vizio ex art. 112 cod. proc. civ., in quanto la Corte d’appello a pag. 12 della motivazione, nel rigettare l’appello, conferma la sentenza di primo grado anche nella parte in cui statuisce la debenza di “interessi convenzionali adeguati al tasso soglia …, dalla data di notifica del ricorso in opposizione (5.8.2005) fino al soddisfo”, in tal modo, implicitamente, disattendendo le doglianze fatte valere con il motivo di gravame.
Infatti, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass., sez. 3, 29/01/2021, n. 2151).
13.2. Inammissibili sono, invece, gli ulteriori profili di doglianza dedotti con il quinto motivo (violazione degli artt. 1815, 1283 e 1282 cod. civ.) per inosservanza dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., in quanto i ricorrenti, pur dolendosi che il giudice del merito abbia fatto decorrere ulteriori interessi convenzionali entro i limiti del tasso soglia a far data dal 5 agosto 2005, piuttosto che interessi al tasso legale sulla sorte capitale dalla data di emissione della sentenza, pur in difetto di una domanda in tal senso avanzata dalla Banca, omettono di riportare o di trascrivere, quanto meno nelle parti rilevanti, il contenuto della comparsa di risposta depositata dalla Banca in primo grado, nonché di quella depositata in grado di appello, al fine di dimostrare che la Banca non avesse formulato domanda volta ad ottenere gli interessi nella misura determinata dalla sentenza impugnata, in tal modo non ponendo questa Corte nelle condizioni di poter adeguatamente valutare la censura sulla sola base del ricorso e senza fare riferimento ad atti ad esso esterni.
La frase contenuta a pag. 21, righi 23-25, del ricorso per cassazione (“… nel caso che ci occupa l’istituto bancario si è limitato in comparsa di costituzione e risposta (depositata all’udienza del 18.10.2005) a richiedere il rigetto della domanda proposta dai coniugi Br.Lu.-Gr.Do.”) non è certo idonea a soddisfare tale requisito, né tanto meno a tal fine può assumere rilievo il contenuto della memoria, dal momento che la valutazione dell’osservanza dei requisiti di forma-contenuto del ricorso dettati dall’art. 366 cod. proc. civ. attiene per l’appunto al ricorso e non certo ad atto diverso e successivo qual è la memoria, né tanto meno ai documenti ad essa allegati.
Neppure indicano i ricorrenti, nel rispetto della citata disposizione normativa (Cass. Sez. U. 05/07/2013, n. 16887), se tali documenti sono stati allegati al ricorso, in base alla previsione del successivo articolo 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (Cass., sez. U, 02/12/2008, n. 28547).
Come è stato più volte ribadito, l’osservanza del requisito della specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, requisito previsto dall’articolo 366, n. 6, cod. proc. civ., richiede “che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur indicato nel ricorso, risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile” (Cass., Sez. U. 25/03/2010, n. 7161; Cass. 21/05/2020, n. 9341; 04/02/2020, n. 2520; 15/01/2020, n. 710; 07/11/2019, n. 28712; 27/06/2019, n. 17337).
13.3. Conviene precisare che, riguardando la rilevata inammissibilità solo alcune delle censure svolte con il motivo in esame, per le altre (esaminate nel sottoparagrafo 13.1) essendosi espresso un giudizio di infondatezza, il motivo deve essere nel complesso rigettato.
14. Con il sesto motivo si denuncia la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – in riferimento all’art. 91 cod. proc. civ.”.
I ricorrenti lamentano che la Corte territoriale, dopo avere confermato la sentenza di primo grado, abbia operato una reformatio in pejus della pronuncia, ponendo le spese di c.t.u. del primo grado a carico di entrambe le parti, laddove la sentenza di primo grado aveva compensato le stesse limitatamente alla metà e posto l’ulteriore metà a carico della (…) Banca Spa, e riliquidando le spese di lite del primo grado di giudizio in Euro 3.972,00 ponendole a loro carico, laddove il giudice di primo grado le aveva poste “per 1/2 a carico della (…) Banca Spa e compensandole per la restante metà”; il tutto in violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., poiché la sentenza di primo grado aveva, seppure in parte, accolto il ricorso in opposizione.
Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese
15. Il motivo è fondato.
Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. 13/07/2020, n. 14916).
Nel caso in esame, la Corte territoriale, in assenza di specifica impugnazione riguardante il capo della sentenza sulle spese processuali, ha erroneamente modificato la statuizione delle spese processuali del primo grado di giudizio e, pertanto, sul punto la sentenza deve essere cassata.
16. Conclusivamente, vanno rigettati il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo, dichiarato inammissibile il secondo motivo, e va accolto il sesto motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione oggetto della censura accolta.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con la eliminazione della condanna degli odierni ricorrenti al pagamento, per l’intero, delle spese relative al primo grado e delle spese di c.t.u., ed il ripristino della statuizione adottata, relativamente alle spese, nella sentenza di primo grado.
17. Avuto riguardo al parziale accoglimento del ricorso, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione, sia quanto alla fase rescindente sia quanto alla fase rescissoria.
Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso per revocazione; dichiara assorbiti i rimanenti; revoca l’ordinanza impugnata; pronunciando in fase rescissoria sul ricorso per cassazione iscritto al n. 13994/2020 R.G., rigetta il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo, dichiara inammissibile il secondo motivo ed accoglie il sesto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; decidendo nel merito, ripristina la statuizione in punto di spese prevista nella sentenza di primo grado. Compensa integralmente le spese del giudizio di revocazione e quelle del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2024.
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