Nell’ipotesi di concorso della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 giugno 2024| n. 16413.

Nell’ipotesi di concorso della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso

In materia di responsabilità civile, nell’ipotesi di concorso della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso, il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, patito “iure proprio” dai familiari del deceduto, deve essere ridotto in misura corrispondente alla parte di danno cagionato da quest’ultimo a sé stesso, ma ciò non per effetto dell’applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c., bensì perché la lesione del diritto alla vita colposamente cagionata da chi la vita perde non integra un illecito della vittima nei confronti dei propri congiunti, atteso che la rottura del rapporto parentale ad opera di una delle sue parti non può considerarsi fonte di danno nei confronti dell’altra, costituendo una conseguenza di una condotta non antigiuridica. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che ha liquidato per intero il danno da perdita del rapporto parentale in favore dei congiunti, senza effettuare alcuna decurtazione per il concorso di colpa della vittima primaria, affermando trattarsi di “soggetti terzi rispetto all’illecito”).

 

Ordinanza|12 giugno 2024| n. 16413. Nell’ipotesi di concorso della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso

Data udienza 4 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Sinistro stradale – Concorso della vittima dell’illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso – Riduzione del danno da perdita del rapporto parentale patito dai familiari nella misura corrispondente – Liquidazione del danno in misura inferiore rispetto alle tabelle milanesi – Carenza motivazionale – Regolazione delle spese in base all’esito globale del giudizio – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliera –

Dott. GUIZZI Stefano G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8214/2021 proposto da:

(…) Spa, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv.to VE.PE. (…);

– ricorrente –

contro

La.Mi. e La.Gi., in proprio e nella qualità di eredi di LA.GI., e tutti quali eredi di LA.VI., rappresentati e difesi dall’avv.to PI. SA. (…);

– controricorrenti e ricorrenti incidentali -e

In.Ma.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1897/2020 della CORTE D’APPELLO DI PALERMO, depositata il 21/12/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4/04/2024 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

Nell’ipotesi di concorso della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso

rilevato che

con sentenza resa in data 21/12/2020, la Corte d’appello di Palermo, in accoglimento dell’appello proposto da La.Mi. e La.Gi., in proprio e nelle qualità degli stessi spiegate, e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato In.Ma. e la (…) Spa al pagamento, in favore di La.Mi. e di La.Gi., delle somme agli stessi spettanti iure proprio a titolo di risarcimento per i danni sofferti a seguito del decesso del proprio congiunto, La.Vi., verificatosi in conseguenza del sinistro stradale dedotto in giudizio, nella specie provocato dalla concorrente responsabilità dello stesso La.Vi. e di In.Ma. (assicurato dalla (…) Spa), oltre che delle somme agli stessi spettanti iure haereditario in relazione ai danni direttamente sofferti da La.Vi. in conseguenza del sinistro;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, il decesso di La.Vi. dovesse causalmente ricondursi al sinistro dedotto in giudizio, con il conseguente diritto dei relativi congiunti ad ottenere il risarcimento del danno rivendicato per la perdita del rapporto parentale, oltreché del danno direttamente sofferto dalla vittima; il tutto, secondo gli importi analiticamente specificati nella medesima sentenza del giudice d’appello;

avverso la sentenza d’appello, (…) Spa propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo di impugnazione;

La.Mi. e La.Gi., in proprio e nella qualità di eredi di La.Gi., e tutti quali eredi di La.Vi., resistono con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale sulla base di cinque motivi d’impugnazione;

In.Ma. non ha svolto difese in questa sede;

La.Mi. e La.Gi. – dopo essersi costituiti con un nuovo difensore – hanno depositato memoria;

Nell’ipotesi di concorso della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso

considerato che,

con l’unico motivo di impugnazione proposto, (…) Spa censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2043, 2054, 2056, 2059, 1223 e 1227 c.c. nonché degli artt. 40 e 41 c.p. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere il giudice d’appello erroneamente quantificato l’entità del risarcimento dei danni spettante alle controparti, tanto iure proprio quanto iure haereditario, senza tener conto della percentuale di responsabilità riconosciuta a carico di La.Vi. nella causazione del sinistro stradale dedotto in giudizio, pervenendo, conseguentemente, ad una sovracompensazione del danno effettivamente subito dalle controparti;

il motivo è fondato;

osserva il Collegio come secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di concorso della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso, il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, patito iure proprio dai familiari del deceduto, dev’essere ridotto in misura corrispondente alla parte di danno cagionato da quest’ultimo a sé stesso, ma ciò non per effetto dell’applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c., bensì perché la lesione del diritto alla vita colposamente cagionata da chi la vita perde non integra un illecito della vittima nei confronti dei propri congiunti, atteso che la rottura del rapporto parentale ad opera di una delle sue parti non può considerarsi fonte di danno nei confronti dell’altra, costituendo una conseguenza di una condotta non antigiuridica (Sez. 3, Sentenza n. 9349 del 12/04/2017, Rv. 643998 – 01; v. anche Sez. 3, Ordinanza n. 25907 del 5/09/2023; Sez. 3, Sentenza n. 4054 del 9/02/2023, Rv. 667178 – 01);

Nell’ipotesi di concorso della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso

sulla base di tale premessa, l’affermazione del giudice a quo secondo cui il danno da perdita del rapporto parentale dovesse essere “liquidato in misura intera (cioè senza la decurtazione applicata per le poste accordate quali eredi, quindi per il concorso di colpa della vittima primaria) trattandosi di soggetti terzi rispetto all’illecito” (pag. 11, ultime quattro righe, della sentenza impugnata) deve ritenersi errata, con il conseguente accoglimento della censura in esame e la corrispondente cassazione della sentenza del giudice a quo;

con il primo motivo del proprio ricorso, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 richiamato dall’art. 2056 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale, nella liquidazione del danno per la perdita del rapporto parentale, disatteso i valori numerici minimi previsti dalle c.d. tabelle di Milano, che pure lo stessa corte territoriale ha dichiarato di voler applicare al caso di specie, non potendo nel caso di specie neppure applicarsi il limite costituito dal principio della domanda, avendo gli odierni ricorrenti incidentali espressamente rivendicato la liquidazione equitativa del danno subito anche nella ‘diversa misura maggiore o minore’ eventualmente ritenuta dal giudice;

con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale totalmente trascurato di indicare le ragioni poste a fondamento della liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale in una misura inferiore al minimo delle cosiddette tabelle milanesi;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono fondati;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, l’omessa o erronea applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano può essere fatta valere, in sede di legittimità, come violazione dell’art. 1226 c.c., costituendo le stesse parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge (Sez. 3, Sentenza n. 27562 del 21/11/2017, Rv. 646644 – 01);

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da tale premessa discende l’incongruità della motivazione del giudice di merito che, discostandosi dai parametri indicati da dette tabelle, non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri tratti dalle tabelle milanesi consenta di pervenire (Sez. 3, Ordinanza n. 17018 del 28/06/2018, Rv. 649440 – 01);

nel caso di specie, a fronte di una previsione, da parte delle tabelle milanesi (che il giudice a quo ha ritenuto di applicare), di un importo minimo tendenziale (a titolo di danno per la perdita del rapporto parentale) pari ad euro 165.960,00 (tanto per il coniuge, quanto per il figlio), la corte territoriale ha ritenuto di riconoscere i soli importi di euro 60.000 per ciascun figlio ed euro 98.000 per la coniuge, verosimilmente ritenendo di dover applicare il limite costituito dal principio della domanda (così come rivelato dalla lettura della motivazione a pag. 11 della sentenza impugnata);

ciò posto, in assenza di alcuna motivazione idonea a dar conto di tale liquidazione sottodimensionata, essendosi il giudice a quo limitato a riferirsi al limite imposto dal principio della domanda, assume carattere dirimente, ai fini della decisione, la circostanza che gli interessati abbiano rivendicato il riconoscimento, in proprio favore, di un risarcimento nella ‘diversa misura eventualmente maggiore’ di quella richiesta, ove ritenuto dal giudice: espressione che, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, libera, anche nella materia del danno da perdita del rapporto parentale, la discrezionalità del giudice dal limite costituito dalle indicazioni numerarie specifiche contenute nella domanda (v. Sez. 3, Sentenza n. 22330 del 26/09/2017 (Rv. 645825 – 01; v. anche Sez. 1, Ordinanza n. 35302 del 30/11/2022 Rv. 666456 – 01);

da tali premesse deriva la fondatezza delle censure in esame, con la corrispondente cassazione della sentenza impugnata;

con il terzo motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 1219 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente omesso il riconoscimento, in favore degli istanti, degli interessi e della rivalutazione sulle somme liquidate a titolo di danno, trascurandone la natura di debito di valore;

con il quarto motivo (proposto in via subordinata rispetto al terzo), i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, con conseguente violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., e all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., (in relazione all’art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di indicare le ragioni poste a fondamento dell’esclusione del riconoscimento degli interessi e della rivalutazione sulle somme riconosciute a titolo di risarcimento del danno, limitandosi all’elaborazione di una motivazione meramente apparente e contraddittoria;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati;

dev’essere in primo luogo disattesa la censura avanzata dai ricorrenti incidentali con riguardo al mancato riconoscimento della rivalutazione sugli importi liquidati a titolo di danno, avendo il giudice a quo espressamente affermato di voler liquidare un importo “in valuta attuale”, non essendovi peraltro “domanda su rivalutazione o interessi negli atti degli appellanti” (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata);

parimenti priva di fondamento deve ritenersi la censura avanzata dai ricorrenti incidentali con riguardo al mancato riconoscimento degli interessi sulla somma liquidata a titolo risarcitorio;

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osserva al riguardo il Collegio come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano costituisca un debito di valore, rispetto al quale gli interessi ‘compensativi’ valgono a reintegrare il pregiudizio derivante dalla mancata disponibilità della somma equivalente al danno subito nel tempo intercorso tra l’evento lesivo e la liquidazione; la relativa determinazione non è, peraltro, automatica né presunta iuris et de iure, occorrendo che il danneggiato provi, anche in via presuntiva, il mancato guadagno derivatogli dal ritardato pagamento (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19063 del 05/07/2023, Rv. 668163 – 01);

in particolare, nei debiti di valore il riconoscimento dei c.d. interessi compensativi costituisce una mera modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso con il limite costituito dall’impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell’illecito, senza che sia tenuto a motivarne il mancato riconoscimento, salvo non sia stato espressamente sollecitato mediante l’allegazione della insufficienza della rivalutazione ai fini del ristoro del danno da ritardo (Cass., Sez. L, Sentenza n. 1111 del 20/01/2020, Rv. 656651 – 01);

nel caso di specie, i ricorrenti incidentali non risultano aver neppure allegato la sussistenza, oltre che la richiesta, di danni derivati dal ritardo nella corresponsione dell’importo risarcitorio, o l’insufficienza della rivalutazione dell’importo liquidato ai fini del ristoro del danno da ritardo, con la conseguente inevitabile attestazione dell’infondatezza della censura in esame nella parte in cui ha rivendicato il riconoscimento degli interessi sulle somme liquidate a titolo risarcitorio;

sul punto, è peraltro appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, nei debiti di valore derivanti da fatto illecito, gli interessi compensativi sulla somma rivalutata non possono essere riconosciuti in mancanza di una specifica domanda di parte, perché tali interessi costituiscono la modalità liquidatoria del danno, che deve essere allegato e provato, causato dal ritardato pagamento dell’equivalente monetario attuale della somma dovuta all’epoca dell’evento lesivo e non potendosi onerare il creditore della prova di un danno in relazione al quale non abbia formulato una domanda (Sez. 3, Sentenza n. 4938 del 16/02/2023, Rv. 667257 – 01);

con il quinto motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 112 c.p.c., nonché per vizio di motivazione ed omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di liquidare, in proprio favore, il rimborso delle spese di lite e di quelle relative alla consulenza tecnica d’ufficio nel giudizio di primo grado a seguito dell’accoglimento dei motivi di appello, e per aver erroneamente ritenuto insussistente la corrispondente domanda degli appellanti sul punto in violazione dell’art. 112 c.p.c., incorrendo, in ogni caso, nei vizi di omessa pronuncia e di difetto assoluto di motivazione;

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il motivo è fondato;

osserva il Collegio come, una volta che il giudice d’appello abbia riformato la decisione di primo grado, lo stesso è tenuto d’ufficio a riesaminare i termini della regolazione delle spese relative a detto grado di giudizio; regolazione che, nel caso di specie, il primo giudice aveva disposto tenendo necessariamente conto dell’accoglimento assai più limitato, in termini quantitativi, di quello successivamente disposto dal giudice d’appello;

da tale premessa deriva l’accoglimento della censura in esame, con il conseguente obbligo del giudice del rinvio di provvedere sulle spese del giudizio di primo grado, sia all’esito della riforma della sentenza di primo grado nei termini non toccati dall’esito dei ricorsi qui decisi, sia in conseguenza della decisione da rendere a seguito della presente decisione di cassazione;

sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del ricorso principale, nonché del primo, del secondo e del quinto motivo del ricorso incidentale (disattesi il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al ricorso e ai motivi accolti, con il conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo, comunque in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

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P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale; accoglie il primo, il secondo e il quinto motivo del ricorso incidentale; rigetta il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso e ai motivi accolti e rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo, comunque in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 4 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 12 giugno 2024.

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