Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|29 maggio 2024| n. 15112.
Qualora la vittima di un danno sia deceduta prima della conclusione del giudizio per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito
Qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti.
Ordinanza|29 maggio 2024| n. 15112. Qualora la vittima di un danno sia deceduta prima della conclusione del giudizio per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito
Data udienza 23 aprile 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Risarcimento del danno – Patrimoniale e non patrimoniale (danni morali) morte del danneggiato sopravvenuta nel corso del giudizio – Liquidazione del danno biologico – Riferimento alla durata effettiva della vita – Necessità – Criterio della proporzionalità del pregiudizio liquidato alla vita residua – Validità.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere – Rel.
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. TASSONE Stefania – Consigliere
Ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18310/2022 R.G. proposto da:
Fo.Pi., domiciliato ex lege in Roma, Piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Ve.Fa. (omissis)
– ricorrente –
contro
(…) Spa (gia’ (…) Spa), domiciliato ex lege in Roma, Piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Sc.Lu. (omissis)
– controricorrente –
nonché contro
Ma.An.,
– intimata –
avverso la Sentenza della Corte d’Appello Milano n. 700/2022 depositata il 02/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/04/2023 dal consigliere Enrico Scoditti
Qualora la vittima di un danno sia deceduta prima della conclusione del giudizio per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito
RILEVATO CHE:
Fo.Pi., in qualità di erede di Fo.Br., convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano Ma.An. e (…) Spa (poi (…) Spa) chiedendo il risarcimento del danno cagionato alla Fo.Br. a seguito di investimento stradale. Il Tribunale adito, previa CTU che aveva concluso nel senso della presenza dell’invalidità permanente nella misura del 70%, condannò i convenuti in solido al risarcimento dei danni patrimoniali quantificati in Euro 360,39 e dei danni non patrimoniali quantificati in Euro 16.138,74 oltre rivalutazione ed interessi, di cui Euro 7.497,00 a titolo di danno da inabilità temporanea e Euro 8.641,74 (Euro 5.761,16, pari ad un sesto di Euro 34.567,00 previste per il primo anno, aumentato del 50% per personalizzazione), sulla base dei” criteri orientativi per la liquidazione del danno definito da premorienza” per cause indipendenti dal sinistro contenuti nelle Tabelle del Tribunale di Milano. In particolare, per la voce di danno non patrimoniale rispetto alle conseguenze personali riferibili ai postumi permanenti fu liquidata la somma di Euro 5.761,16 (pari ad un sesto di Euro 34.567,00 previste per il primo anno) in moneta attuale, applicando poi la personalizzazione del danno relativo ai postumi permanenti nella misura massima prevista del 50%, l’importo ascese ad Euro 8.641,74. Avverso detta sentenza propose appello l’attore. Con sentenza di data 2 marzo 2022 la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza, condannò gli appellati al pagamento della somma di Euro 13.500,00, oltre accessori, a titolo di invalidità permanente.
Premesso che la danneggiata, di anni 81 al momento del sinistro (a seguito del quale aveva riportato una invalidità permanente pari al 70%), era deceduta 55 giorni dopo la verificazione del sinistro stradale a causa di una patologia del tutto indipendente dal sinistro, osservò la corte territoriale, facendo applicazione del principio di diritto enunciato da Cass. n. 41933 del 2021, che spettava “un risarcimento a titolo di danno da invalidità permanente nella misura di Euro 13.500,00 così calcolata: le tabelle milanesi prevedono per una persona di anni 81, quale era la vittima al momento del sinistro, che riporti il 70% di invalidità, un risarcimento pari ad Euro 489.005,00; calcolando che per l’ISTAT a 81 anni la speranza di vita arriva a 9 anni, si ottiene un risarcimento di Euro 54.330,00 per il primo anno; considerato che la signora Fo.Br. è deceduta dopo 55 giorni dal sinistro si ottiene un risarcimento di Euro 9.000,00 (pari ad un sesto di Euro 54.330,00), in moneta attuale”. Aggiunse che sussistevano “i presupposti per provvedere ad una personalizzazione del danno relativo ai postumi permanenti nella misura massima del 50%, liquidando, pertanto, il danno in complessivi Euro 13.500,00 (9.000,00 più 4.500,00)”, oltre rivalutazione ed interessi.
Qualora la vittima di un danno sia deceduta prima della conclusione del giudizio per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito
Ha proposto ricorso per cassazione Fo.Pi., in qualità di erede di Fo.Br. sulla base di un motivo e resiste con controricorso (…) Spa.
Il consigliere delegato dal Presidente della sezione ha formulato la seguente proposta di definizione del giudizio: “sia dichiarata la manifesta inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis n. 1 c.p.c., oppure la sua manifesta infondatezza, poiché la sentenza impugnata ha liquidato il danno facendo corretta e puntuale applicazione dei principi di diritto stabiliti da questa Corte (Sez. 3, Ordinanza n. 41933 del 29/12/2021, Rv. 663500 – 01), ed in particolare ricavando la misura del risarcimento per 55 giorni di sopravvivenza applicando la regola proporzionale per cui 489.005 (risarcimento spettante) sta a 9 anni (vita attesa) come 1 (periodo di sopravvivenza) sta a “x” ovvero l’incognita, e quindi frazionando il risultato (54.330) in proporzione al numero di giorni di sopravvivenza (55). Né sono sindacabili in questa sede le valutazioni del giudice di merito, queste sì di puro fatto, concernenti la durata media della vita o la speranza di vita futura nel caso concreto”.
Essendo stata richiesta la decisione, è stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.. Il pubblico ministero non ha depositato le conclusioni scritte. È stata presentata memoria dal ricorrente.
Qualora la vittima di un danno sia deceduta prima della conclusione del giudizio per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito
CONSIDERATO CHE:
con il motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2059 c.c., 2, 29 e 30 Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale è partita da premesse errate, e cioè che l’aspettativa di vita di una persona di 81 anni sarebbe di 90 anni, laddove invece l’aspettativa di vita media è di 82,3 anni e che il criterio più aderente a quello di equità è quello che, per un caso come quello di specie in cui la morte della vittima di incidente è avvenuta entro l’anno, si basa sul valore del danno per una persona che si presume abbia un’aspettativa di vita minima, il quale è quello indicato per una persona di 100 anni, ossia il valore massimo come età prevista e minimo come valore del punto “base”, che nel caso di specie è pari ad Euro 411.580,00 al netto dell’aumento personalizzato. Aggiunge che, nell’ipotesi si ritenga di adottare il medesimo calcolo proporzionale proposto da Cass. n. 41933 del 2021, il danno ammonterebbe comunque ad Euro 244.502,50, pari ad Euro 489.005,00 (spettante alla persona di 81 anni che abbia subito una lesione pari al 70% dell’integrità biologica) diviso per i due anni di aspettativa di vita media presumibile e moltiplicato per uno in considerazione del decesso avvenuto entro l’anno.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 380-bis n. 1 c.p.c.. Reputa il Collegio che il giudizio vada definito in conformità della proposta.
Come indicato in termini precisi nella proposta di definizione, la liquidazione del danno non patrimoniale effettuata dalla corte territoriale è conforme al criterio enunciato da Cass. n. 41933 del 2021, cui il Collegio intende dare continuità ed il cui principio di diritto è il seguente: “qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato, e non a quella statisticamente probabile. Il giudice di merito è tenuto a liquidare tale danno seguendo il criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio, e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti”. In particolare, si precisa che “il calcolo del danno da premorienza deve essere calcolato considerando come punto di partenza (dividendo) la somma che sarebbe spettata al danneggiato, in considerazione dell’età e della percentuale di invalidità, se fosse rimasto in vita fino al termine del giudizio; rispetto a tale cifra, assumendo come divisore gli anni di vita residua secondo le aspettative che derivano dalle tabelle dell’ISTAT, dovrà essere calcolata la cifra dovuta per ogni anno di sopravvivenza, da moltiplicare poi per gli anni di vita effettiva”.
Qualora la vittima di un danno sia deceduta prima della conclusione del giudizio per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito
Nel motivo di ricorso si fa riferimento ad un criterio (il criterio dell’aspettativa di vita minima, corrispondente a quello indicato per una persona di 100 anni, ossia il valore massimo come età prevista e minimo come valore del punto “base”) che non è conforme a quello identificato dalla giurisprudenza di questa Corte. Quanto all’aspettativa di vita, il motivo, come rilevato nella proposta di definizione, indulge su un giudizio di fatto non consentito nella presente sede di legittimità.
Le considerazioni svolte sono pure idonee ad evidenziare l’infondatezza delle argomentazioni prospettate da parte ricorrente nella memoria. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. In base a quanto disposto dall’art. 380 bis c.p.c., trovano applicazione il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c.
Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
Qualora la vittima di un danno sia deceduta prima della conclusione del giudizio per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Dispone ai sensi dell’art. 96, comma 3, la condanna al pagamento in favore della controparte della somma di Euro 1.600,00 nonché al pagamento in favore della Cassa ammende della somma di Euro 500,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile il giorno 23 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2024.
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