Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 maggio 2024| n. 14960.

Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

In caso di originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c., è ammissibile la successiva proposizione, in comparsa conclusionale, di domanda ex art. 2050 c.c. se la parte ha tempestivamente allegato, in modo sufficientemente chiaro e preciso, le situazioni di fatto idonee ad integrare tale titolo di responsabilità, stante la diversità dei fatti costitutivi delle due fattispecie.

 

Ordinanza|28 maggio 2024| n. 14960. Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

Data udienza 13 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Procedimento civile – Domanda giudiziale – Nuova domanda domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. – Successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex artt. 2050 c.c. – Ammissibilità – Limiti – Fondamento

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta da:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6138/2021 R.G. proposto da:

Ca.Gi., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE (…), presso lo studio dell’avvocato DA.TE. (Omissis) che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Bo. Spa, ora (…) Srl in Liquidazione, in persona del liquidatore p.t., Bo.Be, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato FR.IN. (Omissis) che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonché contro

(…) Assicurazioni Spa, già (…) Spa;

– intimata –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 1526/2020, depositata il 05/08/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2024 dal Consigliere MARILENA GORGONI.

Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Ca.Gi. conveniva, dinanzi al Tribunale di Arezzo – sez. distaccata di Sansepolcro, la Bo. Spa, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in occasione di un infortunio sul lavoro occorso durante lo svolgimento delle mansioni di carico e scarico merci presso la sede della La.Ro. Bo. Spa In particolare, l’attore deduceva che il magazziniere della convenuta, intento a manovrare il muletto per scaricare a terra la merce dal furgone, aveva eseguito una manovra errata ed imprevedibile che ne aveva provocato la caduta, per causa della quale aveva riportato gravi lesioni all’arto interiore destro che oltre a un danno biologico permanente nella misura del 25% lo avevano costretto a rassegnare le dimissioni dalla Over Line.

La convenuta contestava la fondatezza della pretesa attorea e veniva autorizzata a chiamare in giudizio la (…) Spa

Il Tribunale, con la sentenza n. 1132/2005, rigettava la domanda ex art. 2049 cod. civ., negando la sussistenza di profili di responsabilità a carico dei dipendenti della Bo. Spa, e dichiarava inammissibile, perché tardiva, l’allegazione dell’attore secondo cui l’infortunio era da ascrivere a responsabilità per esercizio di attività pericolosa e comunque infondata la domanda anche a tale titolo, perché l’attività di scarico del furgone non aveva caratteri di intrinseca pericolosità e perché comunque dall’istruttoria era emerso che la caduta dell’attore era il risultato di un atto volontario.

Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

La Corte d’appello di Firenze, con la sentenza n. 1526/2020, resa pubblica in data 5/08/2020, ha rigettato l’impugnazione proposta da Ca.Gi.

Segnatamente, ha confermato la declaratoria di inammissibilità della domanda ex art. 2050 cod. civ., non avendo l’appellante dedotto sin dall’atto introduttivo del giudizio le situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, in quanto compiutamente precisate, a integrare la fattispecie contemplata dall’art. 2050 cod. civ.; ha escluso che l’appellante avesse provato anche per presunzioni che la caduta dal furgone era stata cagionata da una manovra errata ed incongrua del magazziniere della Bo. Spa, perché: a) nessun testimone aveva descritto le modalità della caduta; b) vi erano incongruenze, di cui non era stata data una convincente spiegazione, tra le affermazioni che l’appellante aveva reso al pronto soccorso e quelle contenute nella denuncia all’Inail; c) il referto del pronto soccorso era stato prodotto tardivamente; d) la giustificazione di tale ritardata produzione non provava che l’appellante si fosse trovato per causa a lui non imputabile nell’impossibilità di produrlo tempestivamente; e) la CTU medico-legale disposta in appello aveva confermato l’impossibilità di stabilire se la causa della caduta era da individuarsi in una manovra errata del magazziniere o in una scelta avventata dell’appellante; in assenza di prova in ordine al fatto che la caduta fosse stata determinata dal comportamento del dipendente della appellata – non bastando la dimostrazione che l’infortunio si fosse verificato nel corso delle operazioni di carico e scarico e che il muletto manovrato dal magazziniere fosse in prossimità della sponda del furgone quando il danneggiato era rovinosamente caduto – ha ritenuto inaccoglibile la domanda ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. e, stante la mancata dimostrazione del nesso di causa tra l’attività di carico e scarico del furgone e la caduta, ha rigettato la domanda anche ai sensi dell’art. 2050 cod. civ.; ha riformato, accogliendo sul punto il gravame, la sentenza di prime cure in ordine alla liquidazione delle spese di lite, disponendone la compensazione.

Ca.Gi., avvalendosi di quattro motivi, ricorre per la cassazione di detta sentenza.

Resiste con controricorso La (…) Srl in liquidazione.

Nessuna attività difensiva è svolta in questa sede da (…) Assicurazioni, già (…) Spa

La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod. proc. civ.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per essere stato notificato ad una società cancellata dal registro delle imprese, perché il ricorso risulta notificato alla (…) Srl società che ha incorporato la Bo. Srl – secondo Cass., Sez. Un., 30/07/2021, n. 21970, l’incorporazione estingue la società incorporata e la società incorporante subentra nella titolarità dei rapporti giuridici che ad essa facevano capo – che non risultava, al momento della proposizione del ricorso per cassazione, cancellata dal registro delle imprese. È vero che nell’intestazione del ricorso per cassazione il ricorrente afferma che anche la (…) Srl risultava cancellata dal registro delle imprese, ma è la stessa controricorrente a riconoscere che invece risultava regolarmente iscritta; il che non ha impedito né di notificare correttamente il ricorso, né alla controricorrente di proporre controricorso.

2) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2050 cod. civ. in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice a quo ritenuto tardive le allegazioni circa la ricorrenza di una responsabilità per esercizio di attività pericolosa e per aver comunque escluso la responsabilità ex art. 2050 cod. civ. per difetto di prova circa il nesso eziologico tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso.

Con il primo ordine di censure il ricorrente ritiene erroneo riferire la tardività alla qualificazione giuridica dei fatti descritti sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, essendosi limitato con la comparsa conclusionale a qualificare la domanda ex art. 2050 cod. civ., senza dedurre nuove circostanze di fatto idonee a supportare detta qualificazione.

Il ricorrente contesta anche la ratio decidendi con cui la Corte d’appello ha escluso la sussistenza di prova del nesso eziologico tra l’esercizio dell’attività pericolosa e l’evento di danno.

Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

L’errore della Corte d’appello consisterebbe nell’aver preteso la prova del nesso di causa tra uno specifico fatto imputabile all’agente (cioè un comportamento colposo posto in essere dal magazziniere della Bo. Spa) e l’evento dannoso, piuttosto che ritenere sufficiente la prova (offerta attraverso i testi escussi) che l’evento dannoso si era verificato durante lo svolgimento dell’attività pericolosa. E tanto anche in considerazione del fatto che la responsabilità ex art. 2050 cod. civ. può essere invocata anche quando la causa dell’evento dannoso sia rimasta ignota, a condizione che non risulti interrotto il nesso di causalità con l’esercizio dell’attività pericolosa, ciò che avviene solo qualora il danno sia causato dal dolo del soggetto danneggiato o dall’intervento di un fattore esterno.

Il ricorrente aggiunge che la Corte d’appello avrebbe dubitato della natura pericolosa dell’attività di scarico delle merci con l’utilizzo de muletto, senza alcuna motivazione oltre che erroneamente, non considerando che l’attività di manovra di un carrello elevatore può essere svolta solo da soggetti che abbiano svolto specifici corsi di formazione, informazione ed addestramento e che con frequenza i giudici penali si occupano delle lesioni subite da lavoratori o da terzi a seguito di sinistri cagionati proprio dall’uso del carrello elevatore.

Il primo ordine di censure è inammissibile.

Deve, infatti, ribadirsi che non è precluso tendenzialmente a chi abbia invocato la responsabilità del convenuto ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. di invocarne la responsabilità ai sensi dell’art. 2050 cod. civ., ma ciò non gli è consentito ove non abbia enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, perché compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata anche dal diverso titolo di responsabilità (Cass. 10/05/2022, n. 14732) e ciò a maggior ragione se si considera che la domanda ex art. 2049 cod. civ. e quella ex art. 2050 cod. civ. si pongono in una relazione di reciproca non fungibilità e derivano da diritti cd. “eterodeterminati”, per la cui identificazione, cioè, occorre far riferimento ai relativi fatti costitutivi, tra loro divergenti sul piano genetico e funzionale.

Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

Il ricorrente pretende di sostituirsi al giudice a quo nell’interpretazione della domanda; detto compito appartiene esclusivamente al giudice di merito e il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i limiti dell’art. 112 cod. proc. civ. o per vizio della motivazione (Cass. 17/01/2024, n. 1794).

Parimenti inammissibile è il secondo ordine di censure.

Va rilevato che, anche se “per mera completezza”, la corte territoriale ha ritenuto di escludere la responsabilità della appellata anche ai sensi dell’art. 2050 cod. civ., non perché, come erroneamente sostiene il ricorrente, evidentemente non cogliendo la ratio decidendi, non è stato dimostrato il nesso di causa tra il comportamento colpevole del magazziniere e l’evento dannoso, ma per “il mancato raggiungimento della prova in ordine alla dinamica del sinistro”, giacché ciò ha impedito “proprio di ravvisare il necessario rapporto di causalità tra l’attività ed il danno” (p. 9).

Nel caso in esame, i giudici di appello hanno espresso il convincimento che, dalla risultanze agli atti, non si evincesse prova certa della riconducibilità della caduta all’attività asseritamente pericolosa consistente nella movimentazione di merci attraverso il carrello elevatore; questo è un accertamento che è di merito e che non presta affatto il fianco alle censure di diritto, lamentate da parte ricorrente, risultando la decisione impugnata in linea con i principi che governano l’onere della prova nonché la materia della responsabilità per attività pericolosa.

3) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.

Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto mancante la prova del fatto illecito del dipendente della Bo. Spa, dal momento che non poteva escludersi che la caduta fosse dipesa da un fatto accidentale, come emergeva dalla denuncia Inail: detta statuizione sarebbe viziata per omessa valutazione delle risultanze della CTU espletata nel giudizio di appello che non aveva escluso, anzi aveva accertato, che le lesioni erano compatibili con una caduta in piedi, cioè con una caduta dinamica per evitare l’urto. La Corte d’appello, che pure aveva nominato un nuovo CTU, proprio allo scopo di accertare le cause dell’evento dannoso, avrebbe poi negato ogni rilievo agli esiti del suo accertamento, limitandosi a riferire che la CTU non era stata in grado di accertare se la caduta era stata determinata da un imminente pericolo per la sua incolumità, determinato da una manovra errata dello spedizioniere, o da una scelta avventata della vittima ed avrebbe altrettanto erroneamente rimesso al CTU l’accertamento dell’elemento psicologico dietro la caduta dal furgone.

Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

Il motivo è inammissibile.

Ciò deriva dal rilievo che le ragioni di doglianza formulate dal ricorrente non evidenziano discrasie del procedimento motivazionale, bensì riguardano la valutazione delle risultanze processuali, come è stata operata dalla Corte di merito e, riproponendo l’esame degli elementi fattuali e le stesse argomentazioni difensive già sottoposti ai giudici di seconde cure e da questi disattesi, mirano ad un’ulteriore valutazione delle stesse; e ciò sebbene a questa Corte non sia riconosciuto dalla legge il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

È appena il caso di rilevare che la Corte d’appello ha ritenuto che le risultanze della CTU espletata in grado d’appello collimavano con gli esiti della CTU svolta nel giudizio di prime cure (p. 8 della sentenza). Il che costituisce ragione ulteriore per disattendere anche la denuncia del vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ.; detta censura peraltro non supera la preclusione di cui all’art. 348 ter ult. comma, cod. proc. civ. secondo cui quando la sentenza di appello sia conforme in facto (fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata) a quella di prime cure non è deducibile il vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ. Il ricorrente per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ. deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 28/02/2023, n. 5947).

4) Con il terzo motivo il ricorrente imputa alla Corte d’appello la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2049 e 2729 cod. civ. nonché dell’art. 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.

Il ricorrente sostiene che, date le emergenze istruttorie e l’esito della CTU, la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere provata per presunzioni la responsabilità della Bo. Spa L’errore della Corte d’appello, che ha negato che la responsabilità della società Bo. fosse stata provata anche tramite presunzioni, sarebbe da ricondurre all’omesso accertamento del se i singoli elementi indiziari fossero privi, considerati isolatamente di valore indiziario, ma se fossero in grado nel loro complesso di completarsi a vicenda allo scopo di dimostrare, secondo l’id quod plerumque accidit, il fatto ignoto.

Anche questo motivo va incontro ad una declaratoria di inammissibilità.

Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

Le ragioni sono plurime.

Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, 1° comma, n. 4, c.p.c. (Cass. 24/09/2018, n.22478).

A p. 6 della sentenza la Corte d’appello ha rigettato il motivo con cui il ricorrente aveva lamentato che il Tribunale non avesse ritenuto provato per presunzioni il nesso di causa, rilevante per affermare la responsabilità della Bo. Spa, ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., e lo ha fatto con un’ampia motivazione che il ricorrente contesta sul piano del fatto e non del diritto. Benché formulate con riferimento a pretesi errori di diritto ed a vizi di motivazione, le sue obiezioni, nella misura in cui investono il modo nel quale la corte territoriale ha apprezzato le risultanze istruttorie del processo, si risolvono in censure di merito, come tali non proponibili in questa sede.

Fermo infatti il principio per cui è incensurabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice del merito circa il ricorso a presunzioni e circa l’idoneità delle stesse a dimostrare i fatti rilevanti ai fini della decisione della lite, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico ed immune da errori di diritto, deve escludersi che la decisione impugnata si sia discostata da siffatti canoni, né le censure del ricorrente evidenziano vizi logici dai quali la motivazione dell’impugnata sentenza sia affetta, limitandosi invece a prospettare una diversa valutazione degli elementi presuntivi. Va, del resto, ribadito che compete sempre e solo al giudice del merito procedere ad una valutazione degli elementi indiziari precedentemente selezionati ed accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione, e non piuttosto una visione parcellizzata di essi, sia in grado di fornire una valida prova presuntiva tale da ingenerare il convincimento in ordine all’esistenza o, al contrario, all’inesistenza del fatto ignoto; la delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori, salvo che esso non si presenti intrinsecamente implausibile tanto da risultare meramente apparente; pertanto chi censura un ragionamento presuntivo o il mancato utilizzo di esso non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio.

Né può sottacersi che la doglianza – relativa alla violazione delle norme sulle presunzioni non viene, neanche presentata nei termini indicati da S.U. 24/01/2018 n. 1785 che in motivazione identifica la violazione degli articoli 2727 e 2729 cod. civ. nell’avere il giudice di merito fondato la presunzione “su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota”, per cui ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., il giudice di legittimità può essere investito “dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso se considera grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi”, e lo stesso vale per il controllo della precisione e della concordanza; ontologicamente diversa è infatti – rimarca il giudice nomofilattico – la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito che si concreta appunto nell’addurre che la ricostruzione fattuale poteva essere espletata in altro modo.

5) Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2729, 2730 e 2735 cod. civ., in reazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello attribuito valore confessorio alla dichiarazione resa nel corso della denuncia all’Inail, mancando la consapevolezza e la volontà del dichiarante di ammettere fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte, non essendo necessario allo scopo di riconoscere il verificarsi dell’infortunio sul lavoro che esso fosse stato o meno cagionato da terzi; in aggiunta la dichiarazione non conteneva l’ammissione di fatti favorevoli alla controparte, ma solo favorevoli al magazziniere della società Bo. che non era parte del giudizio, non era stato accertato se contenesse l’identificazione completa del soggetto che l’aveva resa, se fosse stata sottoscritta e inoltre conteneva dichiarazioni contrastanti con quelle rese al pronto soccorso.

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Il ricorrente si duole dell’esito della valutazione comparativa della dichiarazione resa in sede di denuncia all’Inail e di quella resa ai medici del pronto soccorso, del fatto che il giudice a quo abbia erroneamente ritenuto che il magazziniere che manovrava il muletto era stato identificato solo dopo essere stato riconosciuto in una trasmissione televisiva, che non abbia esaminato il verbale redatto dalla Commissione della Direzione provinciale del lavoro di A, che non abbia ammesso la produzione del referto del pronto soccorso, con motivazioni erronee, illogiche e contraddittorie, che abbia esaminato un documento depositato in primo grado dalla difesa della società Bo. contumace in appello.

Il motivo è inammissibile.

Ebbene, il ricorrente sovrappone ed oppone a quella della Corte d’appello una propria diversa valutazione di quanto ha costituito oggetto di accertamento da parte del giudice di merito, peraltro, confrontandosi in maniera parziale con l’apparato argomentativo della sentenza impugnata, omettendo, cioè, il confronto con tutto ciò che verosimilmente non risultava strumentale a sorreggere la sua alternativa tesi ricostruttiva (ad esempio, ma è significativo, la Corte d’appello non ha attribuito alla dichiarazione resa all’Inail efficacia di piena prova: cfr. p. 7), adducendo circostanze fattuali di cui sfugge il rilievo (chi avesse riconosciuto nella trasmissione televisiva), invocando l’omesso esame di documenti non solo senza superare la preclusione processuale di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ., ma anche senza soddisfare gli oneri di allegazione imposti a chi denuncia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (p. 27 del ricorso circa il verbale redatto dalla Commissione della Direzione provinciale del lavoro), denunciando l’esame di un documento della controparte non regolarmente acquisito in appello; né la Corte territoriale può essere accusata di contraddittorietà per aver ritenuto tardiva la produzione in giudizio del referto del pronto soccorso con cui il ricorrente aveva chiesto di dimostrare le ragioni per cui aveva reso all’Inail, in sede di denuncia del sinistro, una versione delle cause della caduta diversa da quella che aveva riferito ai medici del pronto soccorso (all’Inail aveva dichiarato di essere caduto per aver perduto l’equilibrio, ai medici del pronto soccorso aveva detto di essersi buttato giù dal furgone per evitare la manovra incongrua di chi collaborava allo scarico delle merci). Infatti, il ragionamento del giudice a quo è molto chiaro e nient’affatto contraddittorio: erano state rese due versioni diverse sulle cause della caduta; la spiegazione di tale diversità che il ricorrente imputa al tentativo di evitare conseguenze, anche di carattere penale, al magazziniere della Bo. Spa, salvo poi cambiare idea avvedutosi della gravità delle lesioni riportate e del disinteressamento della Bo. Spa e del magazziniere della stessa circa le sue condizioni di salute non ha convinto il giudice a quo. Il referto alle autorità stilato dal pronto soccorso che conteneva, secondo il ricorrente, la descrizione della vera dinamica dell’incidente, è stato prodotto tardivamente per causa imputabile al ricorrente. In altri termini, la Corte d’appello ha inteso rafforzare la statuizione con un’argomentazione ulteriore. Quando la sentenza del giudice del merito basi la sua statuizione su una duplice ratio decidendi, al fine di sostenere la decisione pure nel caso in cui la prima ratio risulti erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, né contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum, non suscettibile di trasformarsi nel giudicato, ma configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata.

6) Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato.

7) Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Originaria proposizione di domanda di risarcimento danni ex art. 2049 c.c. e la successiva proposizione in comparsa conclusionale di domanda ex art. 2050 c.c.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, al competente ufficio del merito, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 13 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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