I motivi dell’impugnazione devono non solo indicare il quantum appellatum ma anche il quia

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 maggio 2024| n. 13565.

I motivi dell’impugnazione devono non solo indicare il quantum appellatum ma anche il quia

I motivi dell’impugnazione – prima e dopo il 2012 – devono non solo indicare il quantum appellatum, ma anche il quia: il motivo d’appello deve allora individuare le parti di cui l’appellante chiede la riforma e gli errori, in iudicando o in procedendo, da cui esse sono affette. In breve, si può dire, schematizzando, che il motivo di appello è specifico quando, esaminato ex ante, è idoneo a privare la sentenza impugnata della sua base logico-giuridica. Insomma, è motivo specifico quello che, valutato ex ante, ossia prima ancora della verifica di fondatezza, possiede l’attitudine a scardinare la ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata. La specificità si riassume, dunque, in ciò, tra il motivo e la sentenza impugnata deve correre una relazione di incompatibilità, di reciproca esclusione, nel senso che, ipotizzato il motivo come fondato, allora la sentenza impugnata è necessariamente errata. Non è superfluo aggiungere che il concetto di specificità del motivo di appello e che il legislatore del 2022 ha non solo espressamente ripristinato ma anche ampiamente rafforzato, non manifesta alcunché di formalistico od eccessivamente rigido e severo, ed anzi esso costituisce valorizzazione dei poteri delle parti, il che è perfettamente in armonia con principi basilari del nostro processo civile, quali il principio dispositivo, che si realizza anche attraverso la necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ed il principio del contraddittorio

Ordinanza|16 maggio 2024| n. 13565. I motivi dell’impugnazione devono non solo indicare il quantum appellatum ma anche il quia

Data udienza 9 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave:IMPUGNAZIONI – Appello – Motivi – Specificità – Necessità – Conseguenze. (Cpc, articolo 342; Decreto legge 22 giugno 2012 n 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012 n. 134, articolo 54; Decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, articolo 3)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente

Dott. PERRINO Angelina-Maria – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere – rel

Dott. GARRI Guglielmo – Consigliere

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 28638/2019 r.g. proposto da:

(…) Srl In liquidazione, con sede in P (L), alla via (…), in persona del liquidatore rag. Za.Ga., rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avvocati Mo.Ri. e Ma.Sa., con cui elettivamente domicilia presso lo studio della prima in Riccione (RN), alla via (…).

– ricorrente –

contro

Gi.Ni., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avvocato Ma.Ap., con cui elettivamente domicilia in Roma, al (…), presso lo studio dell’Avvocato Sa.Co.

avverso la sentenza, n. cron. 4164/2019, della Corte di Appello di Roma, pubblicata il giorno 19/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 09/05/2024 dal Consigliere dott. Eduardo Campese.

I motivi dell’impugnazione devono non solo indicare il quantum appellatum ma anche il quia

FATTI DI CAUSA

1. Con atto ritualmente notificato il 6 settembre 2012, (…) Srl in liquidazione citò Gi.Ni., suo ex amministratore, innanzi al Tribunale di Latina onde sentirne accertare la responsabilità, ex art. 2476 cod. civ., per i danni provocatile dalle specifiche condotte di mala gestio ivi descritte (avvenuta restituzione dei locali ove era esercitata l’attività aziendale alla propria moglie e suocera, comproprietarie dei medesimi, nel 2007, come dichiarato dall’ex amministratore, senza alcun motivo; ingiustificato abbandono, entro i locali medesimi, dei beni mobili della società; mancata convocazione dell’assemblea dei soci per assumere simili decisioni; continuazione dell’attività di ristorazione fino al 2010, quale amministratore tiranno ed in società di fatto con le comproprietarie, proprie parenti; avere inglobato debiti, non fisiologici, che avevano determinato la perdita del capitale sociale) ed ottenerne la condanna al corrispondente risarcimento.

1.1. Costituitosi il Gi.Ni., che contestò l’avversa pretesa, chiedendone il rigetto, e propose domanda riconvenzionale volta ad ottenere la sostituzione della liquidatrice, l’adito tribunale, espletata l’istruttoria, con sentenza del 21 marzo 2018, n. 777, respinse la domanda dell’attrice e dichiarò inammissibile quella riconvenzionale del convenuto.

2. Il gravame promosso da (…) Srl in liquidazione avverso quella decisione fu dichiarato inammissibile dall’adita Corte di appello di Roma, con sentenza del 19 giugno 2019, n. 4164, resa, ex art. 281-sexies cod. proc. civ., nel contraddittorio con Gi.Ni.

2.1. Per quanto qui di interesse, quella corte ritenne i tre motivi di gravame ivi spiegati tutti carenti del requisito di specificità di cui all’art. 342 cod. proc. civ. Quanto al primo di essi, inoltre, lo considerò volto a prospettare una domanda nuova, in quanto fondata su una circostanza fattuale dedotta per la prima volta in quella sede, ossia il rilascio di una porzione dell’immobile dove la società esercitava la propria attività non già nel 2007, bensì nel 2010.

3. Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso (…) Srl in liquidazione, affidandosi a due motivi, il secondo dei quali articolato in plurimi profili. Ha resistito, con controricorso, Gi.Ni.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:

I) “Nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – Violazione dell’art. 345 c.p.c.”. Si contesta la declaratoria di inammissibilità del primo motivo di appello motivata, in primo luogo, con la ritenuta violazione del divieto di domande nuove ex art. 345 cod. proc. civ. Si assume che: i) “… il fatto nuovo sarebbe rappresentato unicamente dalla data in cui il Gi.Ni. ha consegnato le chiavi del compendio immobiliare aziendale alle sue parenti in violazione dei propri obblighi quale amministratore. I fatti costitutivi della responsabilità ex art. 2476 c.c. del resistente, derivante dalla spogliazione volontaria ingiustificata ed ingiustificabile del bene primario della società, sono, invece, rimasti i medesimi in primo e in secondo grado. Tale circostanza non è stata trattata dalla Corte d’Appello la quale si è limitata a dare rilevanza all’elemento temporale”; ii) “… la collocazione temporale della cessione dei locali aziendali dall’amministratore Gi.Ni. alle proprie familiari nel 2007 è stata espressamente comunicata dallo stesso Gi.Ni., con spiccata e conclusiva ufficialità, sia ai soci della società (…) Srl, sia al giudice civile di Latina, Sezione distaccata di Gaeta, nel procedimento conclusosi con la sentenza n. 75/2010, che ineriva la causa di rilascio promossa dagli altri comproprietari… Nella propria comparsa di costituzione in primo grado, tuttavia, l’odierno resistente mutava la collocazione temporale dei fatti, sostenendo, a pagina 8, che “La consegna della porzione dei locali da parte di Gi.Ni. in favore della sig.ra Am.Do. e di Ma.Lu., avvenne nel maggio 2010”. Si deve, in sostanza, al Gi.Ni. la precisazione esatta del periodo temporale del “fatto”, relativo alla data di consegna alle sue familiari delle chiavi dell’intero compendio immobiliare… La Società, prima del deposito della comparsa di costituzione di controparte, non poteva rendersi conto del fatto che l’immobile è stato materialmente riconsegnato alle sig.re Am.Do. e Ma.Lu. solamente nel 2010 in quanto, come indicato nell’atto introduttivo, “Dall’anno 2007 l’amministratore sig. Gi.Ni. esercitò, in modo esclusivo, le funzioni di gestore dell’attività di ristorazione, occupandosi di ogni problematica senza mai, sostanzialmente, rendere conto del suo operato ai soci””; iii) “La difesa di (…) Srl ha accettato il contraddittorio sulla diversa collocazione temporale della cessione materiale dei locali da parte del Gi.Ni. e ha sviluppato le proprie difese in tale direzione”, come testimoniato dal riportato passaggio della memoria ex art. 183, n. 3, cod. proc. civ. di parte attrice. “La mera precisazione temporale del “fatto” della consegna delle chiavi, entrata nel contradittorio su indicazione del convenuto come avvenuta nel 2010, è circostanza che è stata, pertanto, espressamente accolta dalla difesa della società (…). Dal deposito della comparsa di costituzione e risposta, quindi, il contradittorio tra le parti è proseguito avendo quale riferimento il doppio binario temporale (2007-2010) di consegna delle chiavi dal Gi.Ni. alle proprie familiari, tant’è che anche l’istruttoria si è inserita in questo spazio temporale. Nelle comparse conclusionali la consegna delle chiavi è stata trattata da entrambe le difese come fatto avvenuto prima nel 2007 e poi reiterato conclusivamente nel 2010…”; iv) “La data di consegna riferita al 2010, dichiarata dal Gi.Ni. nella comparsa di costituzione, in spregio a quanto prospettato precedentemente, ha rappresentato, ulteriormente, un tema centrale del contradittorio di causa. Ad esso la difesa della società (…) ha correlato, infatti, l’ulteriore censura dello svolgimento dell’attività di ristorazione, appunto, nel periodo 2007-2010, in società di fatto tra il Gi.Ni. e le sue familiari e, quindi, in conflitto di interessi con la società stessa”; v) “… anche volendo aderire alla denegata tesi per cui l’accertamento della perdita dell’immobile nel 2010 rappresenti una domanda nuova, la Corte d’Appello avrebbe, in ogni caso, dovuto decidere nel merito con riferimento alla domanda di accertamento della responsabilità dell’amministratore Gi.Ni. per la consegna dei locali aziendali ai propri familiari nel 2007. Nell’atto di appello sono state analiticamente trattate, infatti, ai fini della critica alla sentenza di primo grado, anche le implicazioni conseguenti all’errata valutazione, operata dal Tribunale di Latina, relativa alla responsabilità del Gi.Ni. per la consegna delle chiavi dei locali aziendali alle sue parenti, qualora tale fatto si fosse realizzato nel 2007… Oltre alla evidenziata violazione, anche nel 2007, del metodo assembleare, si sono, ulteriormente prospettati e criticati i contenuti della sentenza di primo grado riferiti all’ipotesi di conflitto di interessi correlato alla consegna delle chiavi nel 2007”;

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II) “Nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – Violazione dell’art. 342 c.p.c.”. Questa censura, dopo una premessa generale in cui è riportata parte del contenuto di Cass., SU, n. 27199/2017, si sviluppa in tre autonomi profili, ciascuno dei quali ascrive alla corte distrettuale di avere erroneamente ritenuto inammissibili per carenza di specificità, rispettivamente, il primo, il secondo ed il terzo motivo di gravame ivi formulati dall’appellante, precisando, inoltre, quanto al primo di essi, che l’inammissibilità per tale ragione nemmeno era stata in alcun modo motivata, con conseguente “violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., con riferimento agli artt. 132, coma 2 n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.”.

2. La prima di tali doglianze è fondata.

2.1. Infatti, è vero che, nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado, la richiesta di rilascio di entrambe le porzioni costituenti l’immobile dove era esercitata l’attività aziendale (ristorazione) era stata temporalmente collocata nel 2007 (con consegna delle chiavi della prima di esse asseritamente avvenuta nel medesimo anno, mentre, quanto alla seconda, la stessa era stata oggetto di contenzioso definito con sentenza di condanna al rilascio del Tribunale di Latina n. 75/2010, cui era seguito un accordo transattivo sottoscritto il 20 maggio 2010. Cfr. quanto riportato, in proposito, nella decisione oggi impugnata alle pagine 2 e 15), ma è altrettanto innegabile che, dopo la costituzione del convenuto, che aveva sostenuto che la consegna/restituzione dell’intero cespite era avvenuto nel 2010, il contraddittorio tra le parti si era sviluppato proprio con riferimento a questo intervallo temporale (2007-2010). Tanto emerge chiaramente non solo dagli stralci degli atti processuali del primo grado come riportati in ricorso, ma dalla stessa decisione del tribunale, i cui ampi passaggi motivazionali riportati in quella oggi impugnata (cfr. pag. 7-8) puntualizzano chiaramente cosa era accaduto nel 2007 e cosa, invece, nel 2010.

2.2. È evidente, allora, che, pure alla stregua della medesima pronuncia di legittimità richiamata dalla corte di appello (Cass. n. 23415 del 2018, secondo cui “Costituisce domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello, quella che, alterando anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introduca una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, inserendo nel processo un nuovo tema di indagine, sul quale non si sia formato in precedenza il contraddittorio”), si rivela non corretta l’affermazione di quest’ultima secondo cui, nella specie, si era in presenza di una circostanza fattuale (rilascio dell’immobile nel 2010, anziché, come dedotto in primo grado, nel 2007), non dibattuta in primo grado.

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2.3. Il tutto non senza rimarcare, in ogni caso, che, nella misura in cui la condotta effettivamente contestata all’ex amministratore era la ingiustificata restituzione dell’immobile dove si era svolta l’attività della società, iniziativa, questa, nemmeno preceduta dalla sua preventiva sottoposizione ai soci, il preciso dato temporale in cui tale restituzione era avvenuta assume un profilo chiaramente secondario, come tale nemmeno avente valore decisivo al fine della valutazione, come legittima o non, di quella condotta.

3. Allo scrutinio del secondo motivo di ricorso, in ciascuno dei tre profili in cui esso si articola, giova premettere che, come ricordato da Cass. n. 4024 del 2024, quanto alla contestazione della inammissibilità dell’appello a norma dell’art. 342 cod. proc. civ., integrante un error in procedendo legittimante l’esercizio dal giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, ciò presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo: sicché, il ricorrente che censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di gravame, ha l’onere di puntualizzare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (cfr. Cass. n. 2320 del 2023; Cass. n. 24048 del 2021; Cass. n. 22880 del 2017).

3.1. La prescrizione di specificità posta, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6, cod. proc. civ. (in riferimento al profilo cd. di “autosufficienza” o, altrimenti detto, del “principio di autonomia” del ricorso per cassazione), deve essere declinata, peraltro, secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/Italia, la quale, anche richiamando (al p.to 23, in motivazione) il protocollo concluso il 17 dicembre 2015 tra la Corte di cassazione ed il Consiglio Nazionale Forense (il quale, nel dichiarato obiettivo di “arrivare ad una disciplina concreta del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione”, ha chiarito che il suo rispetto “non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento”, essendo sufficiente all’osservanza del principio di specificità imposto dal codice di rito, modulato nei criteri di sinteticità e chiarezza, la trascrizione essenziale di atti e documenti, per la parte d’interesse) ed il Piano Nazionale di Recupero e di Resilienza (il “PNRR”) adottato dal Governo nel 2021, mirante a rendere effettivo il principio della natura sintetica degli atti e quello della leale collaborazione tra il giudice e le parti (al punto 24, in motivazione), ha affermato, in sintesi: a) il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso, in quanto destinato a semplificare l’attività del giudice di legittimità ed allo stesso tempo a garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte (ai punti 74 e 75, in motivazione); b) la necessità, tuttavia, nell’applicazione concreta, della rispondenza di tale principio ad un criterio di proporzionalità della restrizione rispetto allo scopo, non potendosi giustificare una interpretazione troppo formale delle limitazioni imposte ai ricorsi, al punto da trasformarsi in uno strumento per limitare il diritto di accesso ad un organo giudiziario in modo o in misura tale da incidere sulla sostanza stessa di tale diritto (al punto 81, in motivazione); c) una tendenza da parte della Corte di cassazione, nell’applicazione del principio dell’autosufficienza del ricorso (almeno fino alle sentenze nn. 5698 e 8077 del 2012), a concentrarsi su aspetti formali esorbitanti rispetto alla legittimità dello scopo, in particolare “per quanto riguarda l’obbligo di trascrivere integralmente i documenti inclusi nei motivi di ricorso e il requisito della prevedibilità della restrizione dell’accesso alla Corte” (al punto 82, in motivazione).

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3.1.1. Alla luce degli appena enunciati rilievi e principi di diritto, dunque, deve essere ritenuta l’ammissibilità del motivo in esame, in quanto rispettoso del principio di specificità posto dall’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6, cod. proc. civ., avendo la ricorrente trascritto nel ricorso (pag. 12 e ss.) in modo adeguato i motivi di appello della cui avvenuta declaratoria di genericità, da parte della corte capitolina, oggi si duole, così da illustrare compiutamente il contenuto della critica mossa al provvedimento impugnato (cfr. Cass. n. 22880 del 2017; Cass. n. 29495 del 2020; Cass. n. 24048 del 2021; Cass. n. 2320 del 2023).

3.2. È opportuno rimarcare, altresì, che il ricorrente per cassazione che intenda impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata nella parte relativa alla dichiarata inammissibilità di uno dei motivi di gravame, ha l’onere (a) di denunziare l’errore in cui è incorsa la sentenza predetta e (b) di dimostrare che il motivo d’appello, ritenuto non specifico, aveva, invece, i requisiti di cui all’art. 342 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 4024 del 2024; Cass. nn. 35844 e 18776 del 2023; Cass. n. 21514 del 2019; Cass. n. 9243 del 2004; Cass. n. 2749 del 1995);

3.3. Infine, è doveroso evidenziare che, come ancora recentemente ribadito da Cass. n. 9727 del 2024 (cfr. in motivazione), ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado; non è necessaria, pertanto, l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 4024 e 1798 del 2024; Cass. n. 2320 del 2023; Cass. n. 23781 del 2020. Si vedano pure Cass., SU, n. 36481 del 2022 e Cass., SU, n. 27199 del 2017, a tenore delle quali “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata”). Invero, essendo l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi – previsto dall’art. 342, comma 1, cod. proc. civ. – prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 9727 e 4024 del 2024; Cass. n. 2320 del 2023; Cass. n. 21745 del 2006).

3.3.1. In definitiva, come significativamente chiarito da Cass. n. 30858 del 2023 (cfr. in motivazione), “I motivi dell’impugnazione – prima e dopo il 2012 – devono quindi non solo indicare il quantum appellatum, ma anche il quia: il motivo d’appello deve allora individuare le parti di cui l’appellante chiede la riforma e gli errori, in iudicando o in procedendo, da cui esse sono affette. In breve, si può allora dire, schematizzando, che il motivo di appello è specifico quando, esaminato ex ante, è idoneo a privare la sentenza impugnata della sua base logico-giuridica. Insomma, è come si diceva motivo specifico quello che, valutato ex ante, ossia prima ancora della verifica di fondatezza, possiede l’attitudine a scardinare la ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata: la specificità si riassume, dunque, in ciò, tra il motivo e la sentenza impugnata deve correre una relazione di incompatibilità, di reciproca esclusione, nel senso che, ipotizzato il motivo come fondato, allora la sentenza impugnata è necessariamente errata. Non è superfluo aggiungere che il concetto di specificità del motivo di appello, come emergente dalla giurisprudenza di questa Corte, e che il legislatore del 2022 ha non solo espressamente ripristinato ma anche ampiamente rafforzato, non manifesta alcunché di formalistico od eccessivamente rigido e severo, ed anzi esso costituisce valorizzazione dei poteri delle parti, il che è perfettamente in armonia con principi basilari del nostro processo civile, quali il principio dispositivo, che si realizza anche attraverso la necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ed il principio del contraddittorio” (in termini assolutamente analoghi, si veda anche, in motivazione, la più recente Cass. n. 9727 del 2024).

3.4. Tanto premesso, il Collegio osserva che l’esame della sentenza di primo grado e dell’atto di appello di (…) Srl in liquidazione, per come entrambi analiticamente riportati nella sentenza oggi impugnata, oltre che da questa Corte consultabili direttamente nel fascicolo di ufficio in ragione della natura processuale della questione posta con il ricorso (che, in sostanza, deduce un error in procedendo. Cfr. Cass. n. 20716 del 2018; Cass. n. 2320 del 2023; Cass. nn. 9727 e 4024 del 2024), consente di apprezzare l’idoneità, rispettivamente: i) della censura mossa dall’appellante, con il primo motivo di gravame (così come ritrascritta in ricorso), a sottoporre a critica adeguata e puntuale la corrispondente parte della decisione di primo grado ivi impugnata (ed analiticamente trascritte alle pagine 7-8 della sentenza impugnata, da intendersi qui, per brevità, riportate), e, quindi, la sufficiente specificità della stessa. Tanto emerge chiaramente dalle argomentazioni già esposte dalla società ricorrente a sostegno del suo primo motivo dell’odierno ricorso. A ciò deve aggiungersi pure che, una volta accolto (per quanto si è precedentemente riferito) quest’ultimo motivo, l’assunto della corte di appello di violazione (anche) dell’art. 342 cod. proc. civ., ove pure lo si volesse riferire (in assenza, per la verità, di diverse puntuali argomentazioni in proposito) alla ritenuta violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. (invece, come si è detto, insussistente), rimarrebbe comunque sfornito di qualsivoglia valida motivazione; ii) delle doglianze mosse da (…) Srl in liquidazione, con il secondo ed il terzo motivo di gravame (così come ritrascritte in ricorso), a sottoporre a critica adeguata e puntuale le corrispondenti parti della decisione di primo grado ivi impugnata (ed analiticamente trascritte, rispettivamente, alle pagine 8-9 ed alle pagine 6-7 della sentenza impugnata, da intendersi qui, per brevità, riportate), e, quindi, la sufficiente specificità delle stesse. Tanto si desume, affatto agevolmente, dai rispettivi stralci dell’atto di appello come riprodotti in ricorso.

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4. In conclusione, dunque, l’odierno ricorso promosso da (…) Srl in liquidazione deve essere accolto relativamente ad entrambi i suoi formulati motivi. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinché si pronunci, esaminandole nel merito, sulle censure proposta dall’appellante con i suoi tre motivi di gravame, da ritenersi ammissibilmente formulati, e provveda, altresì, alla regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie entrambi i motivi del ricorso di (…) Srl in liquidazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 9 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2024.

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