Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi si applica anche ai giudizi di cassazione pendenti alla data del 28 febbraio 2023

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 aprile 2024| n. 10955.

Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi si applica anche ai giudizi di cassazione pendenti alla data del 28 febbraio 2023

In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), che, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, richiama l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., si applica ai giudizi di cassazione pendenti alla data del 28 febbraio 2023, poiché l’art. 35, comma 6, del citato d.lgs. fa riferimento ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data dell’1 gennaio 2023 per i quali non sia stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio e una diversa interpretazione, volta ad applicare la normativa in esame ai giudizi iniziati in data successiva al 28 febbraio 2023, depotenzierebbe lo scopo di agevolare la definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi prive di giustificazione.

 

Ordinanza|23 aprile 2024| n. 10955. Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi si applica anche ai giudizi di cassazione pendenti alla data del 28 febbraio 2023

Data udienza 16 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Impugnazioni civili – Cassazione (ricorso per) – In genere definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380 – Bis c.p.c. nel testo riformato dal d.lgs. n. 149 del 2022 – Condanna per responsabilità aggravata ex art. 96, commi 3 e 4, c.p.c. – Giudizi di cassazione pendenti alla data del 28 febbraio 2023 – Applicabilità – Sussistenza – Ragioni.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente Aggiunto

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente di Sezione

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Rel. Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 11040-2023 proposto da:

(…) Spa sia in proprio che nella qualità di mandataria del costituendo (…) con la società (…) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato UM.IL., che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (…), presso gli Uffici dell’Avvocatura dell’Ente, rappresentata e difesa dall’avvocato FI.FU.;

Gi.Lu., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato DE.PA.;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 10906/2022 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 13/12/2022.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI.

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FATTI DI CAUSA

1.1. Con la sentenza riportata in epigrafe la III Sezione del Consiglio di Stato ha rigettato l’appello proposto da (…) Spa, in proprio e nella sua veste di mandataria del costituendo RTI con (…) Srl nei confronti della Regione Lazio per la riforma dell’impugnata decisione del TAR per il Lazio che, in merito agli esiti della gara d’appalto bandita dalla Regione Lazio per l’acquisizione del servizio di sorveglianza attiva antincendio presso i presidi sanitari della Regione, su istanza dell’impresa individuale Gi.Lu. aveva decretato l’annullamento dell’assegnazione dei lotti 6, 8 e 9 di detta gara in favore di (…), risultata terza nella graduatoria d’asta, ed aveva disposto che gli stessi fossero assegnati alla Gi.Lu. classificatasi al quarto posto.

1.2. Gi.Lu. si era indotta ad impugnare l’assegnazione operata in favore di (…) allegando che, sebbene la stazione appaltante fosse stata resa edotta che il presidente del consiglio di amministrazione di (…) era stato raggiunto da un provvedimento restrittivo del giudice penale – in ragione del che, risultandone compromessa la sua integrità e la sua affidabilità, (…) avrebbe dovuto essere estromessa dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 in allora vigente -, nondimeno aveva ritenuto che, in considerazione dei provvedimenti di self cleaning adottati da (…) nelle more della procedura, azzerando i vertici societari e provvedendo al loro rinnovo con persone di specchiata moralità, potesse trovare applicazione l’esimente dell’art. 80, commi 7 ed 8 e, giudicando perciò sufficienti le predette misure a prevenire la consumazione di ulteriori illeciti, aveva ritenuto di non escludere (…) dalla gara e di assegnarle così i lotti di cui si era resa aggiudicataria.

Il giudice di prime cure, accogliendo il ricorso di Gi.Lu., era andato però di contrario avviso, posto che a fronte della gravità degli illeciti emersi in sede penale le misure di self cleaning adottate da (…) non erano di alcuna rilevanza poiché, in disparte dalla loro adeguatezza, risultavano oggettivamente intempestive perché successive alla data di presentazione dell’offerta. E alla luce di questa constatazione aveva quindi annullato il provvedimento di aggiudicazione e disposto che nell’assegnazione dei lotti già aggiudicati a (…) subentrasse la Gi.Lu., che all’esito della gara si era collocata alle spalle di (…).

1.3. Dissentendo dalla decisione, (…) aveva appellato la sentenza di primo grado, a suo avviso segnatamente viziata laddove il decidente, censurando la motivazione di ammissione resa dalla stazione appaltante sulla base delle dette misure di self cleaning e della ricostituita affidabilità professionale della aggiudicataria, era pervenuto alla determinazione di estrometterla dalla gara ed, in luogo di restituire gli atti alla stazione appaltante perché rinnovasse il proprio deliberato, aveva ritenuto di operarne la sostituzione facendo subentrare al suo posto, la Gi.Lu.. In ciò, deduceva ancora l’appellante, era ravvisabile l’errore compiuto dal primo giudice poiché l’annullamento dell’aggiudicazione per carenza di motivazione non avrebbe dovuto determinare l’automatica esclusione dell’impresa aggiudicataria, ma l’amministrazione avrebbe dovuto procedere ad una nuova valutazione delle offerte e rinnovare le proprie determinazioni rendendo esplicita la motivazione mancante.

1.4. Con la sentenza qui impugnata il Consiglio di Stato ha respinto il gravame.

Muovendo dalla considerazione che il punto nodale del giudizio fosse rappresentato non “dall’accertamento della adeguatezza o meno delle valutazioni rese ai fini dell’aggiudicazione, bensì dall’accertamento della sussistenza delle condizioni che rendevano inevitabile l’esclusione dell’aggiudicataria”, il collegio decidente ha fatto rilevare che, contrariamente, perciò, a quanto dedotto dall’appellante, l’ammissione pronunciata dalla commissione di gara, era stata disposta “in base ad una chiara (quanto erronea) motivazione, avendo la commissione di gara, nonostante il riscontro della sussistenza di un grave illecito professionale che comportava l’esclusione dalla procedura, ritenuto di fare applicazione dell’esimente di cui all’art. 80, commi 7 ed 8, subordinata alla prova dell’adozione delle misure di self cleaning, che, in realtà, risultavano viceversa oggettivamente inadeguate, oltreché presumibilmente tardive”. Su questa premessa ha perciò affermato, sulla scorta degli inequivoci dati di fatto emersi nel corso dell’istruttoria processuale (le evenienze penali risalivano al 2018, le misure di self cleaning erano state adottate nel 2020, a termine di gara scaduto del 2019, senza tuttavia incidere sulla composizione sociale della società, dato che il soggetto che era rimasto coinvolto nell’inchiesta penale continuava a mantenerne il controllo), che “il venir meno della predetta esimente ha quindi comportato il riscontro di una condizione, già accertata dalla stessa stazione appaltante e quindi non bisognosa di alcuna ulteriore motivazione, di esclusione per grave illecito professionale, discendendone la necessità di escludere direttamente l’impresa dalla gara”.

1.5. La ricorrente lamenta l’eccesso di giurisdizione di questa pronuncia e di ciò ha chiesto che si faccia giustizia sulla base di due motivi di ricorso, illustrati pure con memoria. Ad essi si oppongono con controricorso la Regione Lazio e con controricorso e memoria Gi.Lu. .

1.6. La Prima Presidente in data 28.6. 2023 ha formulato proposta di definizione del giudizio ex art. 380-bis cod. proc. civ. nel testo novellato dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, avendone rilevato l’inammissibilità.

Parte ricorrente ha però chiesto la decisione del ricorso formulando apposita istanza nel termine di cui all’art. 380-bis, comma 2, cod. proc. civ.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo di ricorso (…) lamenta l’eccesso di giurisdizione per sconfinamento nella sfera di competenza riservata alla Pubblica Amministrazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver ritenuto, violando altresì l’art. 34. comma 2, cod. proc. amm., che l’iniziale regolazione della vicenda a cui aveva proceduto la commissione di gara, reputando applicabile, in considerazione delle viste misure di self cleaning adottate per i noti eventi dalla ricorrente, l’esimente dell’art. 80, commi 7 ed 8, D.Lgs. 50/2016 implicasse un già compiuto riscontro del grave illecito professionale di per sé idoneo a giustificare l’esclusione della ricorrente dalla procedura e l’assegnazione dei lotti già aggiudicati a questa all’impresa che la seguiva nella graduatoria finale di gara. In particolare si censura la decisione impugnata perché in luogo di restituire gli atti alla commissione di gara al fine di rinnovare il giudizio sull’affidabilità della ricorrente, il giudice amministrativo, sulla base del riscontro così operato, avrebbe ricavato per implicito e comunque in luogo della P.A. sostituendosi, perciò, ad essa, il riportato giudizio di inaffidabilità professionale, disponendo già in sentenza e sempre in luogo della P.A. che (…) fosse estromessa della gara.

3. Con il secondo motivo di ricorso (…) lamenta l’eccesso di giurisdizione per sconfinamento nella sfera di competenza riservata al legislatore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata perché, ragionando nei termini dianzi richiamati, essa non solo si era sostituita alla P.A. in una valutazione che, di seguito alla riscontrata sussistenza di un illecito professionale, sarebbe spettata alla stessa rinnovare, ma si era sostituita anche al legislatore laddove aveva stimato che le misure di self cleaning potessero operare solo pro futuro, malgrado in tal senso non fosse ravvisabile alcuna prescrizione né da parte del legislatore nazionale né da quello eurounitario.

4. Entrambi i motivi, scrutinabili congiuntamente in quanto svolgono sotto profili diversi la medesima censura, si offrono, come già ha anticipato la proposta di definizione accelerata, ad un comune giudizio di inammissibilità.

5. Nel dare ragione di ciò non è inopportuno ricordare in via preliminare che la Corte Costituzionale, nell’occuparsi ex novo di indicare, su impulso dell’ordinanza 6891/2016 di queste SS.UU., le coordinate di sistema entro cui il tema dell’eccesso di giurisdizione si colloca, ha, tra l’altro, affermato che il controllo di giurisdizione previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, “attinge il suo significato e il suo valore dalla contrapposizione con il precedente comma 7, che prevede il generale ricorso in Cassazione per violazione di legge contro le sentenze degli altri giudici, contrapposizione evidenziata dalla specificazione che il ricorso avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso per i “soli” motivi inerenti alla giurisdizione”. Deve di conseguenza ritenersi inammissibile ogni interpretazione di tali motivi che, sconfinando dal loro ambito tradizionale, comporti una più o meno completa assimilazione dei due tipi di ricorso. L'”eccesso di potere giudiziario”, denunziabile con il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici”.

6. Queste conclusioni – che rispecchiano peraltro affermazioni largamente reiterate nel tempo – riscuotono il placet pressoché indiscusso della giurisprudenza successiva di questa Corte (in motivazione, da ultimo, ex plurimis, Cass., Sez. U, 2/01/2024, n. 1) – la stessa ordinanza di questa Corte 19598/2020, di cui si dirà, ne assume il carattere di “diritto vivente” – resa, infatti, attenta a rimarcare che il controllo che la Costituzione attribuisce alla Corte di Cassazione in sede di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è circoscritto alle sole questioni inerenti alla giurisdizione, cioè al controllo dell’osservanza delle norme di diritto che disciplinano i limiti esterni della giurisdizione stessa, ovvero all’esistenza di vizi che attengono all’essenza stessa della funzione giurisdizionale, senza estendersi al modo del suo esercizio, con la conseguenza che con il ricorso per Cassazione avverso le decisioni del giudice amministrativo o del giudice contabile non possono essere dedotti altri eventuali errori, in iudicando o in procedendo (in motivazione, ad ultimo, ex plurimis, Cass., Sez. U, 19/10/2023, n. 29105). In particolare, si è precisato, intendendo in tal modo sottolineare che diversamente risulterebbe obliterata ogni distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione ed il sindacato di giurisdizione verrebbe di fatto ad avere una latitudine non dissimile da quella che ha sui provvedimenti del giudice ordinario (Cass., Sez. U, 4/07/2023, n. 18880), che “il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di Cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo”, senza che rilevi la gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, il quale rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, considerato che l’interpretazione delle norme costituisce il “proprium” distintivo dell’attività giurisdizionale” (Cass., Sez. U, 4/12/2020, n. 27770).

7. Né questo quadro di principi si presta a rimeditazioni in relazione al diritto unionale, come preconizzato dalla citata ordinanza 19598/2020, mossa dal dubbio che la prassi interpretativa invalsa sulla base di essi evidenziasse un contrasto con i principi di equivalenza e di effettività della tutela giurisdizionale assicurati dal combinato disposto degli artt. 19, paragrafo 1, TUE e 47 della Carta dei diritti fondamentali; e che in ragione di ciò si era appunto indotta ad interpellare la Corte UE, sottoponendo alla stessa perciò un primo quesito, onde appurare se i limiti del controllo giurisdizionale affidato dall’art. 111 Cost., comma 8, alla Corte di Cassazione sulle decisioni dei giudici speciali, secondo la ricostruzione di Corte Cost. 6/2018, meritino adesione anche nel caso in cui la decisione pronunciata dai medesimi in ambiti disciplinati dal diritto eurounitario si ponga in contrasto con l’interpretazione di esso resa dalla Corte di giustizia, con l’effetto di determinare il consolidamento di violazione del diritto comunitario e di pregiudicare l’uniforme applicazione di questo e l’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni soggettive dei singoli.

Nel rispondere al quesito la Corte di giustizia con sentenza 21/12/2021, C-497/20, Randstad Italia Spa – a cui si allinea graniticamente tutta la successiva giurisprudenza di questa Corte (in motivazione, da ultimo, ex plurimis, Cass., Sez. U, 6/07/2023, n. 19228) – ha infatti dissipato ogni superstite perplessità dichiarando che, sebbene nel caso specifico la decisione del Consiglio di Stato risultasse viziata per aver dichiarato, in contrasto con la disciplina comunitaria in materia di appalti, irricevibile il ricorso proposto in sede amministrativa, nondimeno “il diritto dell’Unione non impone allo Stato membro di prevedere per rimediare alla violazione di tale diritto a un ricorso effettivo, la possibilità di impugnare dinanzi all’organo giurisdizionale supremo tali decisioni di irricevibilità adottate dal supremo giudice amministrativo, qualora il diritto nazionale di detto Stato non preveda un siffatto mezzo di impugnazione”. Il che, nel mentre apre, su un altro versante, la strada ad insolite soluzioni riparatorie (cfr. il punto 80 della citata decisione), per ciò che qui interessa la chiude, forse in modo definitivo, al diverso approccio che si era fatto talora strada in relazione a quei casi in cui il diniego di giurisdizione da parte del giudice speciale implichi una violazione del diritto unionale e conferma il principio, già statuito da questa Corte, che “la violazione, da parte del Consiglio di Stato, di norme del diritto dell’Unione Europea o della CEDU che si risolva in un “error in iudicando” (sia pure “de iure procedendi”) non è sindacabile ad opera delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in sede di controllo di giurisdizione, in quanto il controllo in questione è circoscritto all’osservanza dei meri limiti esterni della giurisdizione, senza estendersi ad asserite violazioni di legge sostanziale o processuale – l’accertamento delle quali rientra nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione -concernenti il modo d’esercizio della giurisdizione speciale” (Cass., Sez. U, 6/03/2020, n. 6460).

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8. In questa cornice prendono forma, poi, anche le affermazioni per mezzo delle quali la giurisprudenza di queste SS.UU. ha voluto contestualizzare la nozione di sconfinamento in rapporto a ciascun ambito in cui l’eccesso di giurisdizione si rende, come visto, rilevabile.

Si è cosi ricordato (cfr. Cass., Sez. U, 16/03/2022, n. 8559) che, laddove lo sconfinamento si configuri ai danni della P.A., il vizio in parola deve ritenersi sussistente ogni qualvolta l’indagine compiuta dal Giudice amministrativo abbia ecceduto i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, traducendosi in una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto impugnato, ovvero quando la statuizione adottata, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, non lasci spazio per ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa, in tal modo facendo emergere la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’Amministrazione, mediante una pronuncia avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propri del provvedimento sostituito. La prima fattispecie ricorre quando il Giudice amministrativo invade arbitrariamente il campo dell’attività riservata alla Pubblica Amministrazione attraverso l’esercizio di poteri di cognizione e di decisione non previsti dalla legge, cioè compiendo atti di valutazione della mera opportunità dell’atto impugnato, la seconda quando sostituisca propri criteri di valutazione a quelli discrezionali dell’Amministrazione o adotti decisioni finali c.d. autoesecutive, ovverosia interamente sostitutive delle determinazioni impugnate, con conseguente trapasso da una giurisdizione di legittimità a quella di merito.

Viceversa lo sconfinamento in danno del legislatore postula che il giudice speciale non abbia applicato una norma esistente, ma una norma da lui creata, in tal modo esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non è pertanto configurabile qualora egli si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se non l’abbia desunta dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, dal momento che tale operazione non può dar luogo ad una violazione dei limiti esterni della giurisdizione, ma, al più, ad un error in judicando, non deducibile con il ricorso in Cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. e dell’art. 362 cod. proc. civ.

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9. Su queste premesse è agevole aver ragione delle doglianze di parte ricorrente prendendo atto della loro insindacabilità entro il perimetro in cui è esercitabile il controllo giurisdizionale che la Costituzione affida alla Corte di Cassazione sulle decisione dei giudici speciali. Alla decisione impugnata può addebitarsi al più, come ha già evidenziato la proposta ex art. 380-bis cod. proc. civ., un error in iudicando, che, come si è visto, non è mai fonte di un eccesso di giurisdizione in quanto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale attribuita al plesso di riferimento.

Giova, comunque, osservare, per l’insistenza che vi pone la ricorrente, anche in memoria, che non è ravvisabile alcuno sconfinamento della decisione impugnata nella sfera delle attribuzioni ordinamentali che competono alla Pubblica Amministrazione. Il giudice amministrativo, allorché ha divisato che l’annullamento dell’assegnazione in favore di (…) non rendesse necessaria la rinnovazione del sindacato amministrativo, si è limitato unicamente a trarre dalla norme applicate nella specie dalla commissione di gara quello che un normale effetto di legge. Va, infatti, considerato che, nel ritenere applicabile l’istituto del ravvedimento operoso di cui all’art. 80, commi 7 ed 8, D.Lgs. 50/2016, la commissione di gara era stata già chiamata a prendere atto che (…), essendone rimasto coinvolto il suo presidente in un grave illecito professionale, versava in una condizione che a mente dell’art. 80, comma 5, D.Lgs. 50/2016 ne comportava l’esclusione della procedura; sicché, giudicate tardive e di dubbia efficacia le misure concretanti il ravvedimento, il giudice amministrativo altro non ha fatto che applicare la legge, ovvero che, versando (…) nella detta condizione ostativa alla sua partecipazione alla gara, ne era obbligata l’estromissione dalla gara. Del resto, come a diretta confutazione delle riserve ricorrenti la sentenza si dà cura di spiegare, “il punto nodale del contendere è rappresentato non dall’accertamento della adeguatezza delle valutazioni rese ai fini dell’aggiudicazione, bensì nell’accertamento della sussistenza delle condizioni che rendevano inevitabile l’esclusione dell’aggiudicataria”, con ciò intendendo significare che l’anomalia riscontrata non era imputabile ad un vizio di motivazione – per emendare il quale, sussistendo effettivamente una riserva di potere in capo alla P.A. di procedere ad una nuova valutazione, gli atti le avrebbero dovuto esserle restituiti -, ma è frutto dell’accertamento in concreto di un dato di fatto che rendeva obbligata de lege lata l’esclusione di (…) dalla gara.

Così come, dunque, è insussistente lo sconfinamento in danno della P.A. , tanto meno lo è quello in danno del legislatore, giacché l’inidoneità delle misure adottate in funzione di ripristinare l’affidabilità e l’integrità di (…), rendeva in ogni caso inoppugnabile la constatazione operata dalla commissione di gara che (…) versasse in una condizione, per espresso disposto di legge, ostativa alla sua partecipazione alla procedura e, dunque, disponendone l’estromissione con conseguente annullamento dell’aggiudicazione operata in suo favore, come si é detto, il giudice amministrativo non ha fatto altro che attenersi alla legge, regolando la vicenda al suo esame in applicazione di quello che ne è un effetto imperativo di essa.

10. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

12. Considerato, poi, che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità a firma della Prima Presidente, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare l’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ. , come previsto dal citato art. 380-bis cod. proc. civ.

Trattasi di una novità normativa (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), D.Lgs. 149/2022, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs.) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna ad una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, comma 3, cod. proc. civ.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad Euro 500,00 e non superiore ad Euro 5.000,00 a favore della Cassa delle ammende (art. 96, comma 4, cod. proc. civ.).

In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale.

Quanto alla disciplina intertemporale sull’applicazione ai giudizi di Cassazione delle disposizioni di cui all’art. 96 commi 3 e 4, cod. proc. civ. per effetto del rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 380-bis cod. proc. civ. nel testo riformato, rileva la Corte che la predetta normativa – in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35, comma 1, D.Lgs. 149/2022 – è immediatamente applicabile a seguito dell’adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023.

Ed infatti la norma di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (che nella parte finale richiama l’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.) è destinata a trovare applicazione, come espressamente previsto dal comma 6 dell’art. 35 del D.Lgs. 149/2022, anche nei giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1 gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio.

Una diversa interpretazione (volta ad applicare la normativa in esame ai giudizi iniziati in data successiva al 28 febbraio 2023) finirebbe, a ben vedere, per depotenziare fortemente la funzione stessa della norma e contrastare con la sua ratio, che mira ad apprestare uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare ipotesi di abuso del diritto di difesa.

Sottrarre al corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuto nella norma in esame – che sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al D.Lgs. 149/2022, che la giustizia non è una risorsa illimitata di cui si possa disporre con piena libertà, sicché si giustifica che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo – verrebbe a limitare fortemente la portata applicativa della norma, che vedrebbe dispiegarsi compiutamente i suoi effetti solo a distanza di tempo, in contrasto con il chiaro intento del legislatore di offrire nell’immediato uno strumento di agevole e rapida definizione dei ricorsi che si palesino inammissibili, improcedibili ovvero manifestamente infondati.

Sulla scorta di quanto esposto, ed in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma equivalente alle spese liquidate in favore di ciascuno dei controricorrenti ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. e al pagamento della di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

In continuità con quanto stabilito in sede di appello dal Consiglio di Stato, va disposto che, in caso di utilizzazione della presente sentenza/ordinanza in qualsiasi forma, sia omessa l’ indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza/ordinanza .

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P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore della Regione Lazio in euro 7000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge ed in favore di Gi.Lu. in euro 7000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Condanna la ricorrente ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. al pagamento in favore della Regione Lazio dell’ulteriore somma di euro 7000,00 ed in favore di Gi.Lu. dell’ulteriore somma di euro 7000,00.

Condanna la ricorrente ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. al pagamento della somma di Euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza/ordinanza in qualsiasi forma, sia omessa l’ indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza/ordinanza.

Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezioni Unite civili il giorno 16 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

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