Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 aprile 2024| n. 10739.

Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

In tema di responsabilità degli amministratori di società di capitali, gli amministratori privi di deleghe che, pur a fronte di segnali di allarme, abbiano omesso di attivarsi con la diligenza imposta dalla natura della carica, adottando o proponendo i rimedi giuridici più adeguati alla situazione, rispondono in solido con gli amministratori delegati del danno cagionato, poiché un comportamento inerte si pone in contrasto con il dovere di agire in modo informato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto responsabili gli amministratori non esecutivi, i quali, nonostante la mancata trasmissione delle relazioni informative periodiche, avevano negligentemente omesso di chiedere chiarimenti ai delegati, denunciando il loro inadempimento ed attivando i rimedi più adeguati, come la revoca della delega gestoria o dell’amministratore delegato, l’avocazione al consiglio delle operazioni rientranti nella delega, la proposizione delle necessarie iniziative giudiziali).

Ordinanza|22 aprile 2024| n. 10739. Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

Data udienza 12 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Societa’ – Di capitali – Societa’ per azioni (nozione, caratteri, distinzioni) – Organi sociali – Amministratori – Responsabilita’ – In genere responsabilità degli amministratori privi di deleghe – Presupposti – Segnali di allarme – Obbligo di agire informati – Dovere di attivazione – Responsabilità solidale con gli amministratori delegati – Condizioni – Fattispecie.
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REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dai Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA sul ricorso 33850-2018 proposto da:

Br.Gi., rappresentato e difeso dall’Avvocato AN.ZO. per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (…) Srl, rappresentato e difeso dall’Avvocato DO.FE. per procura in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale-

nonché

Mo.Pi. e Mo.Al., rappresentati e difesi dall’Avvocato FE.AU. per procure in atti;

– ricorrenti incidentali -avverso la SENTENZA N. 4249/2018 DELLA CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il 26/9/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO nell’adunanza in camera di consiglio del 12/3/2024;

Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

FATTI DI CAUSA

1.1. Il Fallimento (…) Srl, dichiarato con sentenza dell’11/5/2012, ha chiesto la condanna di Br.Gi., Mo.Pi. e Mo.Al., nella qualità di componenti del consiglio di amministrazione della società fallita, al risarcimento dei danni cagionati a quest’ultima per non aver vigilato, in violazione degli obblighi previsti dall’art. 2476 c.c., sulle operazioni illecite e distrattive compiute dall’amministratore delegato Ri.Fe., che avevano provocato il dissesto della società.

1.2. Il tribunale di Milano, con sentenza del 31/10/2016, ha respinto la domanda sul rilievo che: – gli amministratori non operativi non sono tenuti a vigilare sull’operato dell’operato dell’amministratore delegato né, in assenza di specifici elementi d’allarme, di acquisire informazioni ulteriori rispetto a quelle necessarie per gli atti di loro competenza; – gli amministratori non operativi, pertanto, non sono obbligati ad un generale obbligo di consultazione e di lettura degli estratti conto bancari; – l’eventuale comportamento negligente dei convenuti non è in diretta connessione causale con le più rilevanti distrazioni dai conti sociali operate dal Ri.Fe. nel periodo antecedente il 23/11/2011.

1.3. Il Fallimento ha proposto appello avverso l’indicata sentenza.

1.4. L’appellante, in particolare, ha dedotto che: – la società (…), costituita con atto del 20/10/2010 su iniziativa dell’avv. Mo.Pi., del figlio Mo.Al. e di Ri.Fe., aveva per oggetto sociale l’acquisto e la vendita di prodotti come il riso; – la sede sociale è stata collocata a Milano, via Senato 19, e cioè “nello stesso stabile dove viveva e aveva lo studio l’avv. Mo.Pi.”; – con delibera del 15/11/2010, il consiglio di amministrazione, composto da Br.Gi., quale presidente, e da Mo.Pi., Mo.Al. e Ri.Fe., ha provveduto a designare quest’ultimo quale amministratore delegato, attribuendogli il potere di stipulare contatti con il limite unitario di Euro. 50.000,00 e di effettuare ordini di acquisto e vendita di materia prime nel limite unitario di Euro. 300.000,00, con l’obbligo di riferire periodicamente al consiglio di amministrazione; – l’amministratore delegato Ri.Fe. ha concluso, per conto della società, operazioni “esorbitanti dai limiti di valore indicati nella delega”, e cioè: 1) un contratto con

11 cliente giordano Sh. per la fornitura di riso per un valore di dollari 2.580.000,00, da effettuarsi entro il 30/9/2011, con la garanzia di una lettera di credito emessa da Europe Arab Bank il 22/8/2011 con scadenza al 21/10/2011; 2) un mutuo di scopo con la società slovacca (…) per Euro. 600.000,00, da rimborsare entro il 7/11/2011, di cui era amministratrice Pa.Mi.; -l’importo di Euro. 600.000,00 è stato bonificato il 9/9/2011 su un conto corrente della società aperto dal Ri.Fe. presso il (…); – l’affare Sh. è immediatamente naufragato in quanto la società ha prodotto soltanto 325 tonnellate di riso, a fronte delle 3.000 promesse, ed è riuscita a riscuotere soltanto 150.000,00 Euro, pagati da una società mandataria di Sh. il 28/11/2011 su un altro conto della società, aperto dal Ri.Fe. presso il Banco di (…) e (…); – la società è rimasta inadempiente anche rispetto all’obbligazione di rimborso del mutuo in favore di (…) poiché i conti correnti intestati alla società sono stati “depauperati da indebiti prelievi del Ri.Fe.”, in parte destinati ad una società da lui amministrata, in parte per scopi personali; – dopo una conversazione telefonica tra Pa.Mi. e Mo.Pi., nel corso della quale la Pa.Mi. chiedeva delucidazioni in ordine alla restituzione della somma concessa a mutuo, i componenti del consiglio di amministrazione Br.Gi., Mo.Pi. e Mo.Al., con lettera raccomandata del 23/11/2011, hanno rassegnato le loro dimissioni dalle cariche consiliari ricoperte; – il tribunale di Milano, su ricorso di (…), principale creditrice insoddisfatta, ha dichiarato, con sentenza del 11/5/2012, il fallimento della società (…).

1.5. Il Fallimento, quindi, sulla base di tali fatti, ha contestato ai convenuti Br.Gi., Mo.Pi. e Mo.Al. di non aver compiuto, pur essendovi tenuti in qualità di componenti non operativi del consiglio di amministrazione, le “basilari verifiche” e la “minima attività di vigilanza sull’operato” dell’amministratore delegato durante tutto il periodo in cui sono stati in carica.

1.6. Il Fallimento, in particolare, ha contestato agli stessi: – l’omesso controllo del conto corrente della società, “i cui estratti conto pervenivano regolarmente presso la sede della società, situata presso la casa-studio dell’avv. Mo.Pi.”; – la piena conoscenza da parte del consiglio di amministrazione dell’affare Sh., come si evince dalla conversazione telefonica intervenuta il 23/11/2011 tra Pa.Mi. e l’avv. Mo.Pi.; – la retrodatazione del verbale dell’assemblea recante la data del 17/10/2011 ma iscritto presso la Camera di Commercio il 20/12/2011.

1.7. Br.Gi., Mo.Pi. e Mo.Al. hanno resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

1.8. Gi appellati, in particolare, hanno dedotto di aver ignorato le attività illecite del Ri.Fe., che non potevano né prevedere né impedire.

2.1. La corte d’appello, con la pronuncia in epigrafe, dopo aver dato atto che all’udienza di precisazione delle conclusioni l’appellante aveva chiesto l’autorizzazione a produrre un “nuovo documento (elencato come doc. n. 29)”, rappresentato da una mail inviata dalla Pa.Mi. al curatore fallimentare in data 2/8/2017, ha accolto l’appello proposto dal Fallimento e, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato i convenuti in solido a pagare, in favore dello stesso, la somma complessiva di Euro. 690.423,81, oltre interessi e spese di giudizio.

2.2. La corte, in particolare, dopo aver premesso che il Fallimento appellante non aveva dimostrato di essersi trovato nell’oggettiva impossibilità di produrre tempestivamente il doc. n. 29 (e cioè la email della signora Pa.Mi.”), ha rilevato che, in linea di principio, gli amministratori non operativi rispondono delle conseguenze dannose della condotta degli amministratori operativi soltanto quando siano stati a conoscenza di elementi di fatto tali da sollecitare il loro intervento ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati, potendo la colpa consistere o nella colposa ignoranza dell’altrui fatto illecito per aver negligentemente ignorato i relativi segnali d’allarme ovvero nel non essersi diligentemente attivati al fine di scongiurare l’evento che poteva essere evitato con l’uso della diligenza imposta dalla carica, ed ha, quindi, ritenuto che, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, il Fallimento aveva, in realtà, dimostrato in giudizio che gli amministratori non esecutivi non avevano adeguatamente rilevato i “segnali d’allarme” che emergevano dalla “condotta illecita” dell’amministratore delegato Ri.Fe.

2.3. Risulta, invero, dagli atti di causa che “il consiglio di amministrazione”, con delibera del 15/11/2010, “aveva conferito all’amministratore delegato una delega circoscritta, che consentiva al … Ri.Fe. di stipulare contratti nel limite unitario di Euro 50.000,00 e di effettuare ordini di acquisto e di vendita di materie prime per l’importo massimo di Euro 300.000,00”.

2.4. Il consiglio di amministrazione, dunque, ha osservato la corte, aveva “il dovere di verificare regolarmente e periodicamente il rispetto dei limiti della delega”, come si evince dal fatto che, in forza della citata delibera del 15/11/2010, “l’amministratore delegato aveva l’obbligo di “riferire periodicamente” al consiglio di amministrazione in merito all’attività svolta”.

2.5. Gli amministratori non esecutivi, tuttavia, com’è rimasto pacifico tra le parti, hanno omesso di esercitare il dovere di controllo ad essi conferito, non avendo mai richiesto all’amministratore delegato “informazioni” in merito all’attività svolta, né hanno mai “sollecitato la convocazione” del consiglio di amministrazione per fare il punto sulla “situazione della società”.

2.6. Si tratta, ha proseguito la corte, di un’inerzia “senz’altro grave e colpevole” ove si consideri che, presso la sede della società, “situata nello stesso stabile ove si trova l’abitazione/studio dell’avv. Mo.Pi.”, “pervenivano regolarmente gli estratti del conto corrente” intestato alla società e aperto presso il (…).

2.7. La corte, sul punto, ha ritenuto che: – l’avv. Mo.Pi., “nel momento in cui aveva accettato di porre la sede della società presso il proprio domicilio”, aveva, di conseguenza, assunto “il dovere di controllare la corrispondenza indirizzata alla società” per cui lo stesso, essendo “in grado di verificare, pur senza aprire la posta, che pervenivano regolarmente missive indirizzate alla società” da parte del (…), aveva la possibilità “di rendersi conto che la società era dotata di un conto corrente”: in particolare, ha aggiunto la corte, “tale circostanza avrebbe dovuto destare, in un accorto e diligente amministratore, i primi sospetti circa le operazioni bancarie compiute dall’amministratore delegato e le conseguenti attività che il Ri.Fe. stava ponendo in essere”, laddove, al contrario, risulta che l’avv. Mo.Pi., “pur ricevendo periodicamente gli estratti del conto corrente bancario, non esercitò mai il dovere di verificare l’operato del consigliere delegato, chiedendogli chiarimenti al riguardo”; – il dr. Br.Gi., “pur essendo pacificamente un soggetto esperto in materia finanziaria”, per oltre un anno non ha chiesto “la convocazione del consiglio di amministrazione per verificare il rispetto della delega conferita al Ri.Fe., manifestando così un colpevole disinteresse per le sorti della società, in cui rivestiva la carica di Presidente del CdA”; – il dr. Mo.Pi., analogamente, “pur avendo dato un fattivo contributo alla costituzione della società”, è rimasto “colpevolmente inerte, in quanto per tutto il periodo in cui ricoprì la carica di amministratore” non ha mai esercitato “i suoi doveri di controllo”.

2.8. La corte, poi, ha ritenuto che la responsabilità dei convenuti ha trovato riscontro nelle dichiarazioni testimoniali rese in giudizio da Pa.Mi.

2.9. La corte, al riguardo: – ha respinto l’eccezione di nullità della testimonianza per incapacità a deporre della teste sul rilievo che, vertendosi in materia di nullità relativa, tale eccezione non è stata formulata immediatamente dopo l’escussione della testimone ed è stata, quindi, sanata a norma dell’art. 157 c.p.c.; – ha escluso l’inammissibilità della stessa perché de relato, trattandosi, piuttosto, di una deposizione che, “nella parte in cui è relativa alle dichiarazioni a lei rese dall’avv. Mo.Pi., sfavorevoli al convenuto, ha natura di confessione stragiudiziale, liberamente apprezzabile dal giudice ai sensi dell’art. 2735 c.c.” mentre, “nella parte in cui ha ad oggetto le affermazioni dell’avv. Mo.Pi., dirette a coinvolgere il dott. Br.Gi. nella conoscenza dell’affare Sh., acquisisce il significato di testimonianza de relato e può assumere rilievo al fine di corroborare il convincimento del giudice”; – ha rilevato come la testimone, con dichiarazioni precise e circostanziate, aveva in sostanza confermato, riferendo di una conversazione telefonica avuta con l’avv. Mo.Pi. il 23/11/2011, che lo stesso e il dr. Br.Gi. “erano a conoscenza dell’affare Sh. concluso dal Ri.Fe.”, al pari di Mo.Pi., figlio del primo, il quale “pacificamente, faceva capo allo stesso studio legale del padre” ed era stato senz’altro “immediatamente informato” dal padre una volta che lo stesso era venuto a conoscenza dell'”affare Sh.”; – ha ritenuto, infine, che gli stessi, invece di contestare all’amministratore delegato di aver stipulato un contratto che esorbitava dalla delega conferitagli quale amministratore delegato, non avevano reagito, anche quando erano “venuti a conoscenza della mancata restituzione del mutuo (…)”, alle “condotte distrattive del Ri.Fe.” denunciandone “l’operato”, essendosi, piuttosto, limitati, con missiva raccomandata del 23/11/2011, a rassegnare le loro immediate dimissioni dalle cariche consiliari ricoperte.

2.10. Si tratta, ha osservato la corte, di una condotta che conferma che gli amministratori non esecutivi, anche dopo aver appreso che il Ri.Fe. aveva compiuto “operazioni societarie di notevole importo economico, sconfinando dalla delega conferitagli”, avevano negligentemente omesso di attivarsi “per evitare gli effetti pregiudizievoli derivanti dal comportamento dell’amministratore delegato”.

2.11. In definitiva, ha osservato la corte, gli amministratori non esecutivi, pur avendo il dovere di “verificare regolarmente e periodicamente il rispetto dei limiti della delega attribuita all’amministratore delegato”, non hanno mai attivato, nell’arco di oltre un anno dalla costituzione della società, i loro doveri di controllo convocando il consiglio di amministrazione, né hanno mai sentito l’esigenza di “chiedere chiarimenti all’amministratore delegato circa l’operatività del conto corrente della società”, né, infine, hanno ravvisato la necessità di convocare il consiglio di amministrazione neppure dopo essere venuti a conoscenza dell’affare Sh., che implicava un ingente impegno economico della società, il cui dissesto, essendo “conseguente alla mancata restituzione del mutuo (…)”, “trova”, pertanto, “giustificazione causale anche nella condotta omissiva dei convenuti, che sono stati gravemente inadempienti ai doveri di verifica del rispetto della delega conferita al Ri.Fe.”, il quale, come da prospetto depositato dal Fallimento e non contestato dai convenuti, “aveva depauperato il conto corrente aperto presso il (…), dove era stata bonificata la somma di Euro 600.000, versata da (…), effettuando continui prelievi a titolo personale”.

2.12. La corte, infine, (escluso ogni rilievo alle affermazioni degli appellanti in ordine all’asserita responsabilità di Pa.Mi. e della stessa società (…), per aver effettuato un’operazione di finanziamento illegittima, trattandosi di “argomentazioni” che “coinvolgono la condotta di soggetti, rimasti estranei al giudizio”, al pari di quella concorrente del Ri.Fe.), ha ritenuto che, “soprattutto a fronte dei segnali d’allarme emersi nel periodo di svolgimento dell’incarico”, ciascuno dei convenuti aveva il dovere di esercitare i dovuti controlli sull’attività posta in essere dall’amministratore delegato e che la responsabilità per i danni subiti dalla procura fallimentare doveva essere, pertanto, attribuita solidamente a tutti (compreso il dr. Br.Gi., “soggetto di elevata esperienza in materia finanziaria”, che, “una volta venuto a conoscenza del fatto che l’amministratore delegato aveva stipulato un contratto di proporzioni così elevate, sconfinando dai poteri conferitigli” aveva verosimilmente sentito “l’esigenza di verificare la contabilità della società”), liquidandone l’ammontare, in quanto causalmente collegata alla “condotta omissiva degli amministratori non operativi i quali, ove avessero tempestivamente attivato i loro doveri di controllo, ben avrebbero potuto evitare le conseguenze dannose, poi conseguite”, nella misura corrispondente al passivo accertato (pari ad Euro. 660.434,29, di cui Euro. 600.000 per la mancata restituzione del mutuo concesso da Nasaya e distratto dall’amministratore delegato) e alle residue spese stimate per la procedura concorsuale (pari ad Euro. 30.000,00), per la somma complessiva di Euro. 690.423,81.

2.13. La corte d’appello, pertanto, ha condannato Br.Gi., Mo.Pi. e Mo.Al., in solido tra loro, al pagamento in favore del Fallimento della somma complessiva di Euro. 690.423,81, oltre interessi.

3.1. Br.Gi., con ricorso principale notificato il 23/11/2018, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello.

3.2. Mo.Pi. e Mo.Al., a loro volta, con (successivo) ricorso (incidentale)

notificato in data 23/11/2018, hanno chiesto, per cinque motivi, la cassazione della stessa sentenza.

3.3. Ha resistito il Fallimento, con controricorso notificato il 2/1/2019, proponendo, per un motivo, ricorso incidentale condizionato all’accoglimento dei primi quattro motivi dei ricorsi proposti dagli appellati soccombenti, cui i ricorrenti hanno resistito con distinti controricorsi.

3.4. Le parti hanno depositato memorie.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente principale, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2381, 2392 e 2476 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che Br.Gi. non aveva adempiuto al dovere di vigilare sulle operazioni concluse dall’amministratore delegato della società in violazione dei limiti di valore fissati dal consiglio di amministrazione con delibera del 15/11/2010, senza, tuttavia, considerare, innanzitutto, che gli amministratori non esecutivi rispondono delle conseguenze dannose degli amministratori operativi soltanto nel caso in cui siano stati a conoscenza di dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari per agire informati, e, in ogni caso, che i fatti rispetto ai quali il convenuto avrebbe dovuto acquisire informazioni al fine di adempiere ai propri doveri di amministratore si sono svolti, come dedotto nello stesso atto di citazione, tra il mese di luglio e il mese di settembre del 2011, e cioè in un tempo pari a circa due mesi, laddove il convenuto ha rassegnato le sue dimissioni nel mese di ottobre del 2011.

4.2. D’altra parte, ha aggiunto il ricorrente, il dr. Br.Gi. non ha percepito direttamente segnali d’allarme tali da imporgli l’acquisizione motu proprio di ulteriori informazioni sulle operazioni condotte dall’amministratore delegato e sul rispetto dei limiti della delega conferita a quest’ultimo, trattandosi, in realtà, di fatti, come la corrispondenza bancaria, che hanno interessato esclusivamente gli altri amministratori della società e rispetto ai quali lo stesso è rimasto assolutamente estraneo.

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4.3. Con il secondo motivo, il ricorrente principale, lamentando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’inadempimento di Br.Gi. al dovere di vigilare sulle operazioni concluse dall’amministratore delegato della società aveva trovato riscontro nella deposizione testimoniale resa nel corso del giudizio da Pa.Mi., senza, tuttavia, considerare che, in realtà, tale testimonianza, essendo de relato, è, dunque, per ciò solo, priva del minimo valore probatorio.

4.4. La Pa.Mi., infatti, ha dichiarato che, nel mese di novembre del 2011, l’avv. Mo.Pi. le avrebbe riferito che lo stesso e il dr. Br.Gi. erano a conoscenza dell'”affare Sh.”, laddove, in realtà, l’avv. Mo.Pi. è parte del giudizio ed in una posizione antitetica rispetto a quella del dr. Br.Gi. in quanto il mancato accertamento della responsabilità di quest’ultimo è senz’altro idonea ad incrementare l’area della responsabilità dello stesso Mo.Pi., con la conseguenza che alle dichiarazioni asseritamente rese da quest’ultimo non può attribuirsi alcun valore foss’anche al solo scopo di corroborare il convincimento del giudice in ordine all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto indurlo ad esercitare il proprio dovere di agire informato.

4.5. Il dr. Br.Gi., del resto, ha aggiunto il ricorrente, aveva chiesto al tribunale di essere autorizzato a chiamare in causa Pa.Mi. per proporre nei confronti della stessa un’autonoma domanda di manleva, per il caso in cui fosse accertata una sua responsabilità nei confronti del Fallimento, ma tale istanza è stata rigettata dal giudice istruttore solo per ragioni di opportunità processuale, così che la stessa, prima ancora di essere incapace a testimoniare a norma dell’art. 246 c.p.c., si trovava in un’assoluta situazione d’incompatibilità, essendo stata implicitamente riconosciuta parte sostanziale del giudizio e, per di più, svolgendo, come dimostrato anche dal nuovo documento depositato dal Fallimento nel corso dell’udienza di precisazione delle conclusioni del 14/3/2018, una vera e propria attività di patrocinio legale in favore del Fallimento.

4.6. Con il terzo motivo, il ricorrente principale, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’inadempimento del dr. Br.Gi. al dovere di vigilare sulle operazioni concluse dall’amministratore delegato della società aveva trovato riscontro nella deposizione testimoniale resa nel corso del giudizio da Pa.Mi., omettendo, tuttavia, di considerare il fatto decisivo per cui, in realtà, da tale testimonianza non risulta affatto che il dr. Br.Gi. e gli altri amministratori non esecutivi della società fossero a conoscenza del valore dell'”affare Sh.”.

4.7. La testimone, infatti, ha dichiarato che l’avv. Mo.Pi. e il dr. Br.Gi. erano a conoscenza del contratto concluso dalla società con “Sh.” ma non ha mai riferito il valore di tale operazione sicché non emerge alcun elemento che possa consentire di ritenere che il dr. Br.Gi. fosse a conoscenza del fatto che tale operazione era stata compiuta dall’amministratore delegato ultra vires.

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4.8. Con il quarto motivo, il ricorrente principale, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’inadempimento del dr. Br.Gi. al dovere di vigilare sulle operazioni concluse dall’amministratore delegato della società non era escluso dalle dimissioni dalla carica rassegnate dagli amministratori non esecutivi nel mese di ottobre del 2011, senza, tuttavia, considerare i fatti, senz’altro decisivi, che avevano indotto il dr. Br.Gi. e gli altri amministratori non operativi della società a presentare le proprie dimissioni.

4.9. Br.Gi., Mo.Pi. e Mo.Al., infatti, nel mese di ottobre del 2011, avevano ceduto le proprie partecipazioni al Ri.Fe. e contestualmente rassegnato le proprie dimissioni dalla carica amministrativa ricoperta. Tali dimissioni, pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla corte d’appello, non hanno trovato la loro origine nella conoscenza da parte degli stessi delle condotte distrattive del Ri.Fe., il quale, peraltro, come dedotto dal Br.Gi. nel corso del processo, era stato nominato dall’assemblea del 17/10/2011 amministratore unico della società.

4.10. Le operazioni fraudolente compiute da quest’ultimo, pertanto, ha concluso il ricorrente principale, sono sempre rimaste ignote al Br.Gi. e consumate nella parte più consistente quando lo stesso e gli altri amministratori non operativi non erano più né soci né amministratori della società e, quindi, non avevano più alcun potere o dovere di intervenire.

4.11. Con il quinto motivo, il ricorrente principale, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2476 e 1223 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha condannato i convenuti a versare in solido al Fallimento la somma di oltre 690.000 euro a titolo di risarcimento del danno che gli stessi avrebbero cagionato alla società con la violazione dell’obbligo di agire informati, liquidando tale pregiudizio in misura corrispondente al passivo accertato nel fallimento, senza, tuttavia, considerare che, a fronte del fatto imputato al dr. Br.Gi. e agli altri amministratori non operativi, e cioè di non aver vigilato sulle operazioni compiute dal Ri.Fe. nell’ affare Sh.”, il danno che può essergli tutt’al più addebitato deve comunque escludere le somme ricevute dalla società per la vendita della fornitura commissionata al cliente giordano, i debiti contratti con i fornitori e le spese stimate per la procedura concorsuale, che non possono essere in alcun modo ricondotte al comportamento degli amministratori non esecutivi della società poi fallita.

Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

5.1. Con il primo motivo, i ricorrenti incidentali Mo.Pi. e Mo.Al., lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., e/o la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che gli stessi, quali amministratori non esecutivi, non avevano adeguatamente rilevato i “segnali d’allarme” che emergevano dalla corrispondenza bancaria pervenuta presso lo studio/abitazione del primo relativamente alla condotta illecita compiuta dall’amministratore delegato Ri.Fe. nell’operazione “Sh.”.

5.2. La corte d’appello, infatti, hanno osservato i ricorrenti incidentali, ha erroneamente omesso di ammettere le istanze istruttorie che gli stessi avevano formulato nel corso del giudizio di primo grado proprio in ordine al fatto reputato generatore della responsabilità per dimostrare, da un lato, che gli estratti conto bancari non sono mai stati recapitati presso l’indirizzo dell’avv. Mo.Pi. né sono stati messi nella disponibilità dello stesso e, dall’altro lato, che tale indirizzo è riferibile solo all’avv. Mo.Pi. e non anche a suo figlio Mo.Al., , non convivente con il padre e titolare di autonome attività lavorative.

5.3. La corte d’appello, quindi, se avesse assunto le prove dedotte dai convenuti avrebbe dovuto certamente concludere nel senso che gli amministratori non operativi della società fallita non potevano essere a conoscenza dell’apertura del conto corrente e, dunque, che tale circostanza non poteva costituire un segnale d’allarme ai fini dell’esercizio del dovere di agire informato da parte degli stessi.

5.4. Con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali Mo.Pi. e Mo.Al., lamentando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato l’eccezione di nullità della testimonianza resa da Pa.Mi. per incapacità di testimoniare ed assunto le relative dichiarazioni quali fonti di prova contro i convenuti, omettendo, tuttavia, di considerare che il tribunale aveva ricevuto le dichiarazioni di quest’ultima nonostante la stessa, a seguito della sua chiamata in causa da parte del dr. Br.Gi., fosse, come implicitamente riconosciuto dal giudice istruttore, già parte sostanziale del giudizio.

5.5. Con il terzo motivo, i ricorrenti incidentali Mo.Pi. e Mo.Al., lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’inadempimento degli stessi al dovere di vigilare sulle operazioni concluse dall’amministratore delegato della società aveva trovato riscontro nella deposizione testimoniale resa nel corso del giudizio da Pa.Mi., senza, tuttavia, considerare il fatto decisivo secondo cui, in realtà, da tale testimonianza non risulta affatto che gli amministratori non esecutivi della società fossero a conoscenza del valore dell’affare Sh.”.

5.6. La testimone, infatti, hanno osservato i ricorrenti incidentali, non ha mai fatto riferimento al valore delle operazioni compiute dall’amministratore delegato sicché, anche se volesse attribuirsi un qualche valore probatorio a tali dichiarazioni, la corte avrebbe dovuto ritenere che dalle stesse non era emerso alcun elemento che potesse consentire di affermare che gli amministratori non esecutivi fossero a conoscenza del fatto che le operazioni compiute dall’amministratore delegato fossero ultra vires.

5.7. Con il quarto motivo, i ricorrenti incidentali Mo.Pi. e Mo.Al., lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’inadempimento di Br.Gi. al dovere di vigilare sulle operazioni concluse dall’amministratore delegato della società non era escluso dalle dimissioni dalla carica rassegnate dagli amministratori non esecutivi nel mese di ottobre del 2011, senza, tuttavia, considerare i fatti, senz’altro decisivi, che avevano indotto gli stessi a presentare le proprie dimissioni.

Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

5.8. Br.Gi., Mo.Pi. e Mo.Al., infatti, hanno osservato i ricorrenti incidentali, nel mese di ottobre del 2011, avevano ceduto le proprie partecipazioni al Ri.Fe. e, contestualmente, avevano rassegnato le proprie dimissioni dalla carica amministrativa ricoperta, le quali, pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla corte d’appello, non possono essere messe in relazione alla conoscenza da parte degli stessi delle condotte distrattive del Ri.Fe.

5.9. Le operazioni fraudolente compiute da quest’ultimo, peraltro, sono sempre rimaste ignote agli amministratori non operativi anche perché consumate nella parte più consistente quando gli stessi non erano più né soci né amministratori della società e, quindi, non avevano più alcun potere o dovere di intervenire.

5.10. Con il quinto motivo, i ricorrenti incidentali Mo.Pi. e Mo.Al., lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2476 e 1223 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha condannato i convenuti a versare in solido al Fallimento la somma di oltre 690.000 Euro a titolo di risarcimento del danno che gli stessi avrebbero cagionato alla società con la violazione dell’obbligo di agire informati, liquidando tale pregiudizio in misura corrispondente al passivo accertato nel fallimento, senza, tuttavia, considerare che, a fronte del fatto imputato agli amministratori non operativi, e cioè di non aver vigilato sulle operazioni compiute dal Ri.Fe. nell’ affare Sh.”, il danno che agli stessi può essere addebitato deve comunque escludere le somme effettivamente riscosse dalla società per la vendita della fornitura commissionata al cliente giordano, i debiti contratti con i fornitori e le spese stimate per la procedura concorsuale, che non possono essere in alcun modo ricondotte al comportamento degli amministratori non esecutivi della società poi fallita.

6. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato che ha articolato, il Fallimento, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che lo stesso, quale appellante, non aveva dimostrato di essersi trovato nell’oggettiva impossibilità di produrre tempestivamente il doc. n. 29 e ne ha, quindi, escluso l’utilizzabilità, senza, tuttavia, considerare che, in realtà, il curatore non aveva reperito tale documento tra quelli acquisiti alla procedura ma, trattandosi una mail proveniente da un terzo, come Pa.Mi., ne aveva avuto notizia esclusivamente il 2/8/2017, quando, cioè, il Fallimento si era già costituito nel giudizio d’appello, e che da tale documento emerge come il dr. Br.Gi., quale destinatario della comunicazione, sin dal 21/7/2011 era al corrente dell’affare Sh..

7.1. Il primo ed il quinto motivo del ricorso principale di Br.Gi. e del ricorso incidentale di Mo.Pi. e Mo.Al. sono infondati, con assorbimento delle residue censure e del ricorso incidentale condizionato del Fallimento controricorrente.

7.2. La corte d’appello, invero, per quanto ancora importa, dopo aver rilevato, in fatto, che: – il consiglio di amministrazione, composto da Br.Gi., quale presidente, e da Mo.Pi., Mo.Al. e Ri.Fe., aveva provveduto a designare quest’ultimo quale amministratore delegato; -” l’amministratore delegato aveva l’obbligo di “riferire periodicamente” al consiglio di amministrazione in merito all’attività svolta”; – gli amministratori non operativi, tuttavia, pur “a fronte dei segnali d’allarme emersi nel periodo di svolgimento dell’incarico”, non hanno provveduto a “verificare l’operato del consigliere delegato”, non avendo mai richiesto all’amministratore delegato “informazioni” in merito all’attività svolta, “chiedendogli chiarimenti circa l’operatività del conto corrente della società” e le “operazioni bancarie compiute” dallo stesso (come il mutuo di scopo stipulato con la società slovacca (…) per Euro. 600.000,00 e l’accreditamento del relativo importo su un conto corrente intestato alla società poi fallita) né hanno mai “sollecitato la convocazione” del consiglio di amministrazione per fare il punto sulla “situazione della società” e, dunque, le operazioni compiute per conto della stessa; ha, in sostanza, ritenuto che gli amministratori non esecutivi, anziché reagire alle “condotte distrattive del Ri.Fe.” (incontestatamente compiute dallo stesso attraverso “indebiti prelievi” dal conto corrente intestato alla società) e denunciarne l’operato, si erano limitati, con missiva del 23/11/2011, a rassegnare le loro dimissioni dalle cariche consiliari ricoperte, e che gli stessi avevano, pertanto, negligentemente omesso di attivarsi “per evitare gli effetti pregiudizievoli derivanti dal comportamento dell’amministratore delegato” ai danni del patrimonio della società poi fallita, il cui dissesto, in definitiva, essendo “conseguente alla mancata restituzione del mutuo (…)”, la cui provvista era stata distratta dal Ri.Fe., trovava, pertanto, “giustificazione causale anche nella condotta omissiva dei convenuti”.

Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

7.3. Tale statuizione è giuridicamente corretta. Non v’è dubbio, invero, che l’amministratore non operativo di una società di capitali che abbia conosciuto (o avrebbe dovuto diligentemente conoscere) un fatto pregiudizievole che abbia compiuto o stia per compiere l’amministratore delegato nell’esercizio delle prerogative gestorie allo stesso attribuite (vale a dire, nel caso in esame, gli “indebiti prelievi” operati dal Ri.Fe. dal conto corrente bancario intestato alla società poi fallita), ha il dovere giuridico di fare, secondo la diligenza professionale cui è tenuto, tutto quanto è possibile per impedirne il compimento o, se già compiuto, di evitarne o attenuarne, anche solo in parte, le conseguenze dannose.

7.4. Questa Corte, in effetti, ha condivisibilmente ritenuto che, tanto nella società per azioni, quanto nella società a responsabilità limitata, “gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la responsabilità solidale degli amministratori non esecutivi sono, sotto il profilo oggettivo, la condotta d’inerzia, il fatto pregiudizievole antidoveroso altrui ed il nesso causale tra i medesimi, e, sotto il profilo soggettivo, almeno la colpa”, la quale, a sua volta, “può consistere”, a seconda dei casi, “o nell’inadeguata conoscenza del fatto di altri” “il quale in concreto abbia cagionato il danno”, o, più radicalmente, “nella colposa ignoranza del fatto altrui, per non avere adeguatamente rilevato i segnali d’allarme dell’altrui illecita condotta, percepibili con la diligenza della carica”, ovvero “nell’inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta” (Cass. n. 2038 del 2018).

Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

7.5. L’amministratore delegante, pertanto, tutte le volte in cui abbia rilevato (o avrebbe dovuto diligentemente rilevare) l’insufficienza, l’incompletezza o l’inaffidabilità delle relazioni informative che gli amministratori delegati hanno (come nel caso in esame) il dovere di trasmettergli e, più in generale, quando abbia percepito (o avrebbe dovuto diligentemente percepire) la sussistenza di una qualsivoglia circostanza idonea ad evidenziare la sussistenza di un fatto illecito già compiuto o in itinere (i cd. “segnali di allarme”), a partire dalla mancata trasmissione di qualsivoglia informazione ancorché richiesta o comunque imposta (dalla legge, dallo statuto o, come nella specie, da una delibera consiliare), ha il potere (e, quindi, il dovere) di attivarsi per chiedere agli amministratori delegati di fornire le informazioni dagli stessi dovute; e ciò senza poter, in mancanza, invocare a propria discolpa il fatto che le informazioni fornite dagli organi delegati siano state lacunose o insufficienti o, come nel caso in esame, siano state addirittura omesse del tutto, e di avere, per l’effetto, ignorato il fatto o i fatti pregiudizievoli che gli stessi avevano compiuto o stavano per compiere.

7.6. Il dovere di agire in modo informato e il corrispondente diritto individuale di chiedere informazioni escludono, in effetti, che i componenti del consiglio di amministrazione siano autorizzati ad assumere un atteggiamento, per così dire, “inerte” e possano, dunque, limitarsi semplicemente ad attendere la trasmissione delle informazioni gestorie da parte degli organi delegati e a verificare il relativo contenuto solo se e nella misura in cui tali informazioni siano state effettivamente fornite, avendo, piuttosto, proprio in virtù di quel dovere, l’obbligo (da esercitarsi, a seconda dei casi e delle reazioni, sia in forma individuale, sia in forma collegiale) di sindacare la tempestività delle informazioni eventualmente ricevute e di verificarne la completezza e l’attendibilità e, in difetto, di attivarsi, con la diligenza imposta dalla natura della carica (e cioè quanto meno la diligenza professionale richiesta dall’art. 1176, comma 2°, c.c.), per ottenere le informazioni mancanti e, se del caso, di adottare o proporre i rimedi giuridici più adeguati alla situazione, come la revoca della delega gestoria o dell’amministratore delegato, l’avocazione al consiglio del compimento delle operazioni rientranti nella delega, la proposizione nei confronti dello stesso e dei relativi atti delle necessarie iniziative giudiziali anche a carattere cautelare ed altre misure reattive idonee a costituire o ripristinare almeno un quadro informativo sufficientemente aggiornato alla effettiva gestione.

7.7. Ne consegue che, in caso d’inadempimento (o d’incompleto o inesatto o intempestivo adempimento) a tale dovere, l’amministratore privo di delega che, pur a fronte di segnali di allarme, come la mancata trasmissione di qualsivoglia informazione dovuta nel periodo considerato (e cioè, quanto meno, nel termine minimo di sei mesi previsto dall’art. 2381, comma 5°, c.c.: come i ricorrenti hanno, del resto, espressamente affermato: v. il ricorso principale, p. 14 e 17, e il ricorso incidentale, p. 11), abbia per negligenza trascurato di chiedere ulteriori o più dettagliate informazioni ai delegati o che, prima ancora, abbia omesso di denunciare l’inadempimento degli amministratori delegati al dovere di fornire le relazioni informative periodicamente dovute, risponde, in solido con chi l’ha compiuto, dei danni arrecati alla società ed ai suoi creditori dall’atto illecito (dallo stesso, per l’effetto, colpevolmente ignorato) commesso dall’amministratore delegato nell’esercizio delle prerogative gestorie conferitegli (come la stipulazione del mutuo e la distrazione delle relative somme).

Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

7.8. La sentenza impugnata, pertanto, lì dove ha accertato che gli amministratori non operativi convenuti in giudizio, pur “a fronte dei segnali d’allarme emersi nel periodo di svolgimento dell’incarico”, come la mancata trasmissione delle relazioni informative periodiche dovute dall’amministratore delegato, non avevano mai sollecitato l’amministratore delegato a fornire le dovute “informazioni” in merito all’attività gestoria svolta, “chiedendogli chiarimenti circa l’operatività del conto corrente della società” e le “operazioni bancarie compiute” dallo stesso, ed ha, per l’effetto, ritenuto che ciascuno dei convenuti, avendo negligentemente omesso di attivarsi “per evitare gli effetti pregiudizievoli derivanti dal comportamento dell’amministratore delegato” ai danni del patrimonio sociale, vale a dire i prelievi indebiti dai conti correnti della società compiuti da quest’ultimo, doveva essere condannato, in solido con gli altri, al risarcimento dei danni conseguentemente arrecati, si è senz’altro uniformata ai principi esposti e, come tale, si sottrae alle censure svolte sul punto dai ricorrenti.

7.9. Non può, invero, escludersi, in mancanza di elementi fattuali che inducano a ritenere il contrario (come la sussistenza, la cui prova spettava ai convenuti, di una causa esterna “che abbia reso impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno”: Cass. n. 22848 del 2015, in motiv.), che (a prescindere dalla necessità di ulteriori segnali d’allarme, come l’eccedenza dell’operazione Sh. rispetto ai limiti della delega gestoria conferita al Ri.Fe.) il completo e tempestivo esercizio della vigilanza, così come in precedenza intesa, fosse non solo realmente possibile ma anche concretamente efficace, nel senso che, se diligentemente svolta (con la pretesa di ottenere dall’amministratore delegato le informazioni sull’attività gestoria svolta alla scadenza del secondo semestre a far data dalla delibera consiliare del 15/11/2010, e cioè alla metà di novembre del 2011) avrebbe, appunto, consentito agli amministratori non operativi (i quali, ancorché dimissionari, sono rimasti, rispetto ai terzi, come i creditori della società, senz’altro in carica fino a quando, in data 20/12/2011, è stata incontestatamente iscritta nel registro delle imprese la delibera di nomina del Ri.Fe. quale amministratore unico della società) non solo di venire a conoscenza, in tutto o in parte, dei fatti illeciti (commessi o in itinere) dell’amministratore delegato (come la stipula del mutuo (…), con l’accreditamento in data 9/9/2011 della relativa provvista su un conto corrente bancario della società, e i prelievi indebiti dallo stesso da parte del Ri.Fe.) ma anche di reagire adeguatamente, anche solo in parte, al relativo compimento (“nell’autunno 2011”, come rilevato dal tribunale: v. il ricorso principale, p. 7) con i necessari rimedi giuridici preventivi (rispetto ai prelievi indebiti successivi) e/o successivi (rispetto a quelli già effettuati).

Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

7.10. E non solo: una volta accertato, come ha fatto la sentenza impugnata, che il dissesto della società, essendo “conseguente alla mancata restituzione del mutuo (…)”, “trova(va)”, pertanto, la propria “giustificazione causale anche nella condotta omissiva dei convenuti, che sono stati gravemente inadempienti ai doveri di verifica del rispetto della delega conferita al Ri.Fe.”, non si presta, evidentemente, a censure, per violazione di legge, la decisione che la corte d’appello, sulla base di questo accertamento, ha, di conseguenza, assunto, vale a dire la pronuncia di condanna degli amministratori deleganti al risarcimento dei danni che gli stessi “ove avessero tempestivamente attivato i loro doveri di controllo, ben avrebbero potuto evitare”, nella misura corrispondente al passivo accertato in sede fallimentare (pari ad Euro. 660.434,29) e alle residue spese stimate per la procedura concorsuale (pari ad Euro. 30.000,00), per la somma complessiva di Euro. 690.423,81. Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, con la sentenza n. 9100 del 2015, hanno, come ha correttamente ricordato il Fallimento, affermato che l’amministratore della società può essere senz’altro chiamato a rispondere di un danno corrispondente all’intero deficit patrimoniale accumulato dalla società fallita, così come accertato nell’ambito della procedura concorsuale (comprese, dunque, le passività in prededuzione, che inevitabilmente conseguono alla sua stessa apertura), soltanto per “quei comportamenti che (come quelli accertati, in fatto, dalla sentenza impugnata) possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza”.

8. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere, quindi, rigettati, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato del Fallimento.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. La condanna al relativo pagamento, tuttavia, a fronte dell’ammissione del Fallimento controricorrente al patrocinio a spese dello Stato (per effetto dell’attestazione del giudice delegato in data 11/3/2024: art. 144 del D.P.R. n. 115/2002), dev’essere pronunciata, a norma dell’art. 133 del D.P.R. n. 115 cit., in favore dello Stato: “il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato”.

10. La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Responsabilità degli amministratori di società di capitali privi di deleghe

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale di Br.Gi. e il ricorso incidentale di Mo.Pi. e Mo.Al.; condanna il ricorrente principale e i ricorrenti incidentali al pagamento delle spese a favore del Fallimento controricorrente e, per esso, a rimborsare direttamente allo Stato le spese processuali, che liquida, a carico del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, in Euro. 14.500,00, di cui Euro. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, per ciascuna delle parti tenute; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 12 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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