La conoscenza da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore al fine della revocatoria fallimentare

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 aprile 2024| n. 10780.

La conoscenza da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore al fine della revocatoria fallimentare

La conoscenza da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore, al fine della revocatoria fallimentare, secondo la previsione dell’articolo 67, comma 2, della legge fallimentare, deve essere effettiva e non meramente potenziale; agli effetti della revoca, pertanto, assume rilievo non la semplice conoscibilità oggettiva dello stato di insolvenza dell’imprenditore ma soltanto la concreta situazione psicologica dell’acquirente al momento del compimento dell’atto impugnato, la quale, tuttavia, può essere desunta anche da semplici indizi, sempre che questi (come ad esempio protesti, procedure esecutive, ipoteche giudiziali), in ragione della loro gravità, precisione e concordanza, siano tali da far presumere l’effettiva scientia decoctionis da parte dell’acquirente, nel senso che quest’ultimo, a fronte dell’emergenza di siffatte circostanze, non possa non aver percepito i sintomi rivelatori dello stato di decozione in cui versava il venditore; in particolare, ai fini della revocatoria fallimentare di compravendita ai senso dell’articolo 67, comma 2, della legge fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo contraente, che deve essere effettiva e non meramente potenziale, può essere provata dal curatore, su cui incombe il relativo onere probatorio, tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili anche dall’esistenza di un’ipoteca giudiziale sul bene venduto, menzionata nel contratto e iscritta in virtù di un provvedimento definitivo di condanna della venditrice al pagamento di un rilevante importo.

Ordinanza|22 aprile 2024| n. 10780. La conoscenza da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore al fine della revocatoria fallimentare

Data udienza 13 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: FALLIMENTO – Azione revocatoria – Stato di insolvenza del debitore – Terzo acquirente – Rilevanza della effettiva conoscenza – Ricavabile anche da indizi – Sussiste. (Legge fallimentare, articolo 67; Cc, articoli 1366, 2729 e 2932)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dai Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA

sul ricorso 11419-2017 proposto da:

Gu.Fr., in proprio e quale unica erede legittima di Ga.Lu., rappresentata e difesa dagli Avvocati De.La.; e An.Sp. per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO Ed. Srl, rappresentato e difeso dall’Avvocato Ad.Si. per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA n. 6/2017 della CORTE D’APPELLO DI REGGIO CALABRIA, depositata il 5/1/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO nell’adunanza in camera di consiglio del 13/3/2024;

La conoscenza da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore al fine della revocatoria fallimentare

FATTI DI CAUSA

1.1. Il tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 9/5/2006, ha dichiarato l’inefficacia nei confronti del Fallimento del contratto con il quale la Ed. Srl, dichiarata fallita con sentenza del 21/5/1999, aveva venduto a Ga.Lu. e Gu.Fr., con atto pubblico del 6/11/1998, la proprietà di un appartamento ad uso civile abitazione in Reggio Calabria per il prezzo di Lire 240.000.000.

1.2. Ga.Lu. e Gu.Fr. hanno proposto appello che, con la pronuncia in epigrafe, la corte reggina ha respinto condannando gli appellanti al pagamento delle spese del relativo giudizio.

1.3. La sentenza, in particolare, per quanto ancora rileva, ha innanzitutto escluso che, nel caso al suo esame, potesse trovare applicazione l’esenzione dalla revocatoria prevista dall’art. 10 del D.Lgs. n. 122/2005 per gli atti a titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento della proprietà di immobili da costruire, sul rilievo che tale norma non è applicabile retroattivamente, vale a dire a “contratti stipulati ed a insolvenze dichiarate” prima della sua entrata in vigore, avvenuta il 21/7/2005.

1.4. La corte, in secondo luogo, ha ritenuto che il Fallimento aveva fornito in giudizio la prova che la compratrice fosse a conoscenza dello stato d’insolvenza in cui, al momento dell’atto, versava la società venditrice, rilevando che la stessa, come emerge dal contratto di vendita, era consapevole dell’avvenuta iscrizione sull’immobile acquistato, in forza di un decreto ingiuntivo emesso nel mese di settembre del 1997, di un’ipoteca giudiziale per un importo complessivo molto rilevante, pari a 850.000.000 di lire, oltre alla trascrizione di atti di pignoramento ai danni della venditrice, tra i quali un pignoramento dell’aprile 1996, un altro del settembre 1997 ed un terzo del maggio 1998.

1.5. Né rileva, ha aggiunto la corte, il fatto che, nel contratto di compravendita, la società venditrice aveva assunto l’impegno di provvedere alla cancellazione dell’ipoteca giudiziale, trattandosi, anzi, di un dato che ulteriormente supporta la sussistenza della scientia decoctionis in capo agli acquirenti: come si legge nel rogito, infatti, le parti hanno inserito una clausola con la quale si subordinava il pagamento del saldo del prezzo, pari a Lire 100.000.000, alla cancellazione delle ipoteche da parte della venditrice “senza però indicarne un termine certo, ovvero, prima ancora della cancellazione, con il patto aggiuntivo che la parte venditrice avrebbe utilizzato detta somma al solo fine di liberare l’immobile dal gravame ipotecario esistente”, vale a dire un clausola che, unitamente all’iscrizione ipotecaria giudiziale per un così rilevante importo, dimostra l’assoluta precarietà e l’oggettiva incertezza, all’epoca del rogito, della condizione economico-finanziaria della società debitrice, che di lì a pochi mesi sarebbe stata dichiarata fallita, ed esclude in sé la possibilità che gli acquirenti versassero in una situazione di effettiva buona fede.

2.1. Gu.Fr., in proprio e quale unico erede legittimo di Ga.Lu., deceduto in data 24/1/2016, con ricorso trasmesso per la notifica il 28/4/2017, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza, notificata, come da relata depositata insieme al ricorso, il 7/3/2017.

2.2. Ha resistito, con controricorso, il Fallimento.

2.3. La ricorrente ha depositato memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 10 del D.Lgs. n. 122/2005, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che le norme sopra invocate, essendo entrate in vigore in data 21/7/2005, non potessero trovare applicazione nella vicenda al suo esame senza, tuttavia, considerare che, al contrario, l’art. 5 del D.Lgs. n. 122 cit. prevede che soltanto la disciplina prevista dagli artt. 2, 3 e 4 dello stesso decreto si applica ai contratti aventi ad oggetto il trasferimento non immediato della proprietà per i quali il permesso di costruire sia stato richiesto successivamente alla data della sua entrata in vigore e che, pertanto, gli artt. 1, 5 e 10 sono entrati immediatamente in vigore e trovano, così, applicazione agli immobili, come quello acquistato dalla convenuta, per i quali era già stato rilasciato il permesso di costruire ma la costruzione non era stata ancora ultimata versando in uno stato tale da non consentire ancora il rilascio del certificato d’abitabilità.

3.2. Il motivo è infondato. Questa Corte ha, infatti, già condivisibilmente ritenuto che l’esenzione da revocatoria prevista dall’art. 10 del D.Lgs. n. 122/2005, riguardante gli atti a titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili da costruire, introducendo una diversa ed innovativa disciplina rispetto a quella previgente, non può retroagire fino ad applicarsi a contratti che, come quello impugnato, siano stati stipulati prima della sua entrata in vigore e con riguardo a procedure d’insolvenza aperte, come il Fallimento della Ed. Srl, in data anteriore al 21/7/2005 (Cass. n. 3237 del 2016).

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3.3. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 67, comma 2, l. fall. e degli artt. 2729, 1366 e 2932 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il Fallimento aveva dimostrato in giudizio che la compratrice era a conoscenza dello stato d’insolvenza in cui versava la società venditrice al momento della vendita, senza, tuttavia, considerare che: – la conoscenza dello stato d’insolvenza dell’acquirente dev’essere in ogni caso effettiva e non meramente potenziale, dovendosi avere riguardo alle competenze culturali e professionali dello stesso nonché alla continuità e frequenza dei suoi rapporti con il venditore poi fallito; – i convenuti, all’epoca impiegati, non erano in condizione di conoscere la situazione economica della società venditrice, né hanno avuto con la stessa altri rapporti oltre quello conclusosi con l’acquisto dell’appartamento in questione, e non hanno avuto, quindi, al momento dell’atto, alcuna conoscenza dello stato di insolvenza in cui versava la Ed.; – gli acquirenti, inoltre, al momento dell’atto di vendita, avevano già pagato buona parte del prezzo convenuto, pari a Lire 140.000.000, accollandosi, per il residuo ancora dovuto, il mutuo contratto dalla venditrice per Lire 100.000.000; – l’ipoteca giudiziale è stata iscritta solo il 18/9/1997 ed è stata conosciuta dagli acquirenti solo al momento della sottoscrizione del contratto di compravendita; – la società venditrice, nell’atto del 6/11/1998, si è obbligata a liberare l’immobile degli unici pesi gravanti sullo stesso; – la conoscenza dello stato d’insolvenza dev’essere valutata con riferimento al momento della stipula del contratto preliminare, avvenuta il 5/10/1994, e non del contratto definitivo di vendita.

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6.1. Il motivo è infondato in tutte le sue censure.

6.2. La ricorrente, in effetti, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge sostanziale e processuale, ha lamentato, in sostanza, l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, a dispetto delle asserite diverse emergenze delle stesse, hanno ritenuto che la convenuta compratrice era a conoscenza dello stato d’insolvenza in cui versava la società venditrice al momento dell’atto.

6.3. La valutazione delle prove raccolte, però, compresa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. (Cass. n. 1234 del 2019; Cass. n. 1216 del 2006) e l’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, i fatti ignoti da provare (Cass. n. 12002 del 2017), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito; le rispettive conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio consistito, come stabilito dall’art. 360 n. 5 c.p.c., nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.

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6.4. L’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora gli accadimenti fattuali rilevanti in causa, come fatti costitutivi del diritto azionato ovvero come fatti estintivi, modificativi ovvero impeditivi dello stesso, siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. SU n. 8053 del 2014; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.).

6.5. La valutazione delle prove, al pari della scelta, tra le varie emergenze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle che ritenga più attendibili senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017).

6.6. Il compito di questa Corte, del resto, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta (con le prove ammesse ovvero offerte) un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall’art. 132 n. 4 c.p.c., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).

6.7. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove indiziarie (come l’iscrizione a carico della società venditrice di un’ipoteca giudiziale) raccolte in giudizio ed (implicitamente) escluso quelle (asseritamente contrarie) invocate dalla parte convenuta, ha ritenuto, prendendo così in esame i fatti rilevanti ai fini della decisione sulla domanda proposta dalla procedura (e cioè la domanda di revoca della vendita immobiliare stipulata dalla società poi fallita in periodo sospetto in favore di acquirenti consapevoli del suo stato d’insolvenza) e indicando le ragioni del convincimento espresso in ordine agli stessi (e, precisamente, la scientia decoctionis dell’acquirente al momento della stipulazione del contratto di vendita) in modo nient’affatto apparente, perplesso o contraddittorio, che i convenuti, nel momento in cui hanno acquistato l’immobile, erano senz’altro a conoscenza dello stato d’insolvenza in cui versava la società venditrice poi assoggettata a fallimento.

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6.8. Ed una volta affermato, come la corte d’appello ha ritenuto senza che tale apprezzamento sia stato utilmente censurato per aver del tutto omesso l’esame di uno o più fatti storici controversi, principali o secondari, risultanti dal testo della sentenza stessa o dagli atti processuali ed aventi carattere decisivo, che i convenuti erano consapevoli, come emerso dagli indizi raccolti in giudizio, dello stato d’insolvenza della venditrice poi assoggettata a fallimento, non si presta, evidentemente, a censure, per violazione di norme di legge, la decisione che la stessa corte ha conseguentemente assunto, e cioè, a fronte della stipulazione del contratto di vendita in periodo sospetto, l’accoglimento della domanda proposta dal Fallimento, in quanto volta, appunto, alla revoca, a norma dell’art. 67, comma 2, l. fall., della compravendita di un immobile stipulata dalla società venditrice in periodo sospetto in favore dei convenuti e dagli stessi acquistato pur essendo consapevoli, in ragione dell’iscrizione sullo stesso di un’ipoteca giudiziale nei confronti della venditrice, dello stato di insolvenza in cui quest’ultima versava al momento della sua stipulazione.

6.9. Questa Corte, in effetti, in tema di revocatoria fallimentare, ha ripetutamente affermato che: – la conoscenza da parte del creditore dello stato di insolvenza del debitore, al fine della revocatoria fallimentare, secondo la previsione dell’art. 67, comma 2, l. fall., dev’essere effettiva e non meramente potenziale (Cass. n. 25635 del 2017); – agli effetti della revoca, pertanto, assume rilievo non la semplice conoscibilità oggettiva dello stato di insolvenza dell’imprenditore ma soltanto la concreta situazione psicologica dell’acquirente al momento del compimento dell’atto impugnato (Cass. n. 27070 del 2022, in motiv.; Cass. n. 25635 del 2017), la quale, tuttavia, può essere desunta anche da semplici indizi (Cass. n. 3081 del 2018; Cass. n. 13169 del 2020), sempre che questi (come ad es. protesti, procedure esecutive, ipoteche giudiziali), in ragione della loro gravità, precisione e concordanza, siano tali da far presumere l’effettiva scientia decoctionis da parte dell’acquirente (Cass. n. 14978 del 2007; Cass. n. 5265 del 2010; Cass. n. 3299 del 2017; Cass. n. 29257 del 2019; Cass. n. 3854 del 2019; Cass. n. 13169 del 2020), nel senso che quest’ultimo, a fronte dell’emergenza di siffatte circostanze, non possa non aver percepito i sintomi rivelatori dello stato di decozione in cui versava il venditore (cfr. Cass. n. 27070 del 2022; Cass. n. 3081 del 2018; Cass. n. 18196 del 2012; più di recente, Cass. n. 13445 del 2023); – in particolare, ai fini della revocatoria fallimentare di compravendita ai senso dell’art. 67, comma 2, l. fall., la conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo contraente, che deve essere effettiva e non meramente potenziale, può essere provata dal curatore, su cui incombe il relativo onere probatorio, tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili anche dall’esistenza di un’ipoteca giudiziale sul bene venduto, menzionata nel contratto ed iscritta in virtù di un provvedimento definitivo di condanna della venditrice al pagamento di un rilevante importo (Cass. n. 13169 del 2020, la quale ha confermato una sentenza nella quale il giudice di merito aveva tratto il convincimento dello stato soggettivo di consapevolezza da parte del terzo contraente dal fatto che, oltre all’emissione di due decreti ingiuntivi, risultavano iscritte sull’immobile due ipoteche menzionate nell’atto pubblico di vendita); – la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto (come la scientia decoctionis) costituiscono, peraltro, un apprezzamento di fatto che, se (come nel caso in esame) adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 3854 del 2019).

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6.10. Quanto al resto, non può che ribadirsi che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma: non anche quando, come invece pretende la ricorrente, la censura abbia avuto ad oggetto la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, lì dove ha ritenuto (in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad opera della parte che ne era gravata in forza della predetta norma, che è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018).

7. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

8. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

9. La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al Fallimento le spese processuali, che liquida in Euro 9.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso il 13 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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