Responsabilità medica iniziale individuazione errore nell’esecuzione dell’intervento e modifica successiva in errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 aprile 2024| n. 10901.

Responsabilità medica iniziale individuazione errore nell’esecuzione dell’intervento e modifica successiva in errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria

Nel giudizio di risarcimento del danno derivato da colpa medica, non costituisce inammissibile mutamento della domanda la circostanza che l’attore, dopo avere allegato nell’atto introduttivo che l’errore del sanitario sia consistito nell’imperita esecuzione di un intervento chirurgico, nel concludere alleghi che l’errore sia consistito anche nell’inadeguata assistenza postoperatoria. Ciò in quanto si deve considerare il fatto costitutivo, idoneo a delimitare l’ambito dell’indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall’attore, possano avere portata preclusiva, stante la inesigibilità della individuazione ex ante di specifici elementi tecnico-scientifici, di norma acquisibili solo all’esito dell’istruttoria e dell’espletamento di una c.t.u..

Ordinanza|23 aprile 2024| n. 10901. Responsabilità medica iniziale individuazione errore nell’esecuzione dell’intervento e modifica successiva in errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria

Data udienza 8 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità professionale sanitaria – Giudizio risarcimento danno da colpa medica – Iniziale individuazione errore nell’imperita esecuzione dell’intervento – Successiva individuazione ulteriore errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria – Non rilevabile mutamento domanda – Assenza portata preclusiva specificazioni condotta inizialmente allegate dall’attore
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REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere – Rel./Est.

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23773/2021 R.G. proposto da:

Lo.Sc., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GI.RE.;

– ricorrente –

contro

Ce.Se., Ma.Ge., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato VI.COL. che li rappresenta e difende;

Fr.Se., domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GU.PO.;

(…), (…), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato Ma.La. che le rappresenta e difende;

ASL (…) A – S – L, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato Sa.Da., rappresentata e difesa dall’avvocato Lu.De.;

– controricorrenti –

(…) ASSICURAZIONI Spa;

– intimata –

sul ricorso successivo proposto da:

(…) ASSICURAZIONI Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA (…), presso lo studio dell’avvocato ST.RO. che la rappresenta e difende;

– ricorrente (successiva – incidentale) –

contro

Ce.Se., Ma.Ge., elettivamente domiciliati in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato VI.CO. che li rappresenta e difende;

Fr.Se., domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GU.PO.;

– controricorrenti –

(…) LTD, (…) LTD., LO.SC., ASL (…) A – S – L

– intimati –

nonché sul ricorso incidentale proposto da:

ASL (…) A – S – L, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato Sa.Da., rappresentata e difesa dall’avvocato Lu.De.;

– ricorrente incidentale –

contro

Ce.Se., Ma.Ge., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato Vi.Co. che li rappresenta e difende;

– contro ricorrenti –

(…) LTD., (…) LTD., (…) ASSICURAZIONI Spa; Fr.Se., Lo.Sc.;

– intimati –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO de L n. 920/2021, depositata il 10/06/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 marzo 2024 dal Consigliere ENZO VINCENTI.

Responsabilità medica iniziale individuazione errore nell’esecuzione dell’intervento e modifica successiva in errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria

FATTI DI CAUSA

1. – Ma.Ge., Ce.Se. e Fr.Se. convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di A Lo.Sc., medico chirurgo, e l’ASL (…) A – S – L (di seguito, “ASL”) al fine di sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni patiti, iure proprio e iure hereditatis, a seguito del decesso di Eo.Se., rispettivamente marito e padre degli attori, asseritamente ricondotta a errore medico nell’esecuzione dell’intervento di colicistectomia, in laparoscopia, cui la vittima era stata sottoposto presso la struttura il 7 marzo 2009; nonostante un secondo intervento effettuato in data 8 marzo 2009 in cui la lacerazione intestinale venne saturata, la peritonite da perforazione di ansa ileale determinò in ogni caso uno stato di shock settico, causa del decesso di Eo.Se. in data 10 marzo 2009.

1.1. – Per il rigetto delle pretese attoree si costituirono in giudizio i convenuti; la ASL, a sua volta, chiese ed ottenne di chiamare in causa le compagnie di assicurazione QBE Insurance (Europe) Limited e (…) Europe Limited (successivamente divenuta (…) Assicurazioni Spa), al fine di essere manlevata dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti da una statuizione di condanna.

1.2. – Con sentenza del marzo 2017, l’adito Tribunale di A, discostandosi dalle conclusioni dell’espletata CTU medico-legale (che aveva escluso la responsabilità del medico chirurgo, ritenendo che la lesione intestinale rientrasse nel novero delle frequenti complicanze di un ordinario intervento in laparoscopia “che in grande percentuale restano misconosciute durante l’intervento perché rimangono fuori dal campo visivo”), accertò la responsabilità dei convenuti per il decesso di Eo.Se., affermando sussistere, da un lato, il nesso di causalità tra la condotta del medico (lesione intestinale) e l’evento di danno (decesso a seguito di shock settico) e, dall’altro, la colpa dell’autore del danno, giudicando quell’errore evitabile (l’accesso all’addome due dita al di sotto dell’arcata costale di sinistra lungo la sua linea mediana (punto di Palmer) anziché attraverso la zona perombelicale interessata da “numerosi e tenaci aderenze” in conseguenza dell’intervento di emicolicistectomia cui il paziente si era sottoposto 18 anni prima, avrebbe impedito di cagionare la lesione intestinale, causa iniziale del decorso causale infausto).

1.2.1. – Il giudice di primo grado, quindi, condannò l’ASL e lo Lo.Sc., in solido tra loro, al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale patito dagli attori iure proprio, liquidando, in base ai parametri indicati dalla tabelle del Tribunale di Milano, la somma di euro 327.990 in favore del coniuge e la somma di euro 327.990 in favore di ciascuno dei figli del paziente deceduto; per l’effetto, rigettando le censure di inoperatività della polizza proposte da (…) (accogliendo, invece, quelle avanzate da QBE), condannò la stessa (…) a manlevare la ASL da tutte le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla sentenza.

Il Tribunale rigettò, infine, la domanda di risarcimento del danno proposta dagli attori iure hereditatis, in ragione del “brevissimo lasso di tempo intercorso fra il primo intervento ed il decesso (3 giorni)” e della assenza di “prova che il paziente abbia avuto contezza del decesso imminente”.

2. – Avverso tale sentenza interponeva gravame (…), deducendo l’assenza di responsabilità del medico convenuto, l’insussistenza del diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale per difetto di prova e, in via subordinata, l’erroneità della liquidazione del danno parentale nonché l’inoperatività della polizza assicurativa in favore dell’ASL; impugnava, altresì, la sentenza del Tribunale, in via incidentale, Lo.Sc., contestando nel merito la sussistenza della sua responsabilità.

2.1. – La Corte d’Appello di L, con sentenza resa pubblica il 10 giugno 2021, in parziale riforma della decisione di primo grado: a) confermava la statuizione di responsabilità civile dei convenuti, avendo ritenuto assolto l’onere della prova, gravante sugli attori, dell’esistenza del nesso di causalità tra la condotta dello Lo.Sc. e il decesso del paziente, nonché reputando presente la colpa di quest’ultimo; a.1) a tal fine, l’errore imputabile non doveva essere ravvisato nel non aver effettuato l’accesso in laparoscopia dalla “zona di Palmer”, ma nell’aver effettuato l’accesso nella zona periombelicale nonostante le aderenze che rendevano più alto il rischio di lesione intestinale e nel non aver predisposto tutti gli accorgimenti, operatori e post-operatori, necessari per far fronte a tale rischio; b) confermava nell’an il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, rideterminandone, però, l’ammontare facendo applicazione del sistema “a punti” delle tabelle predisposte dal Tribunale di Roma (e, quindi, sui parametri quali l’intensità del rapporto con la persona deceduta, l’età di quest’ultima, la convivenza, la sopravvivenza o meno di altri congiunti), e così liquidando l’importo di euro 292.545,00, in favore del coniuge Ma.Ge., l’importo di euro 216.982,00, in favore del figlio Ce.Se. e quello di euro 226.416,00, in favore della figlia Fr.Se.; c) riconosceva agli attori il risarcimento del danno iure hereditatis, che liquidava in complessivi euro 30.000,00 (euro 10.000,00 in favore della moglie ed euro 5.000,00 in favore di ciascuno dei due figli, in ragione delle rispettive quote successorie), avendo accertato sia la lesione alla salute subita dal paziente nei tre giorni intercorsi tra l’intervento chirurgico e la morte (“danno biologico terminale”), sia il danno derivante dalla consapevolezza dell’aggravamento delle proprie condizioni fisiche nonché della potenziale rappresentazione del suo decesso (“danno morale peculiare, cd. catastrofale”); d) confermava, infine, la condanna di (…) a manlevare la ASL di quanto la stessa tenuta in favore degli attori, dando atto degli intervenuti pagamenti parziali.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre Lo.Sc., affidando le sorti dell’impugnazione a nove motivi; ha proposto ricorso anche la (…) Assicurazioni Spa sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso la ASL (…) A-S-L, proponendo, altresì, ricorso incidentale affidato a sei motivi.

Resistono con distinti controricorsi Fr.Se., Ce.Se. e Ma.Ge., (…) Ltd e (…) Ltd.

Lo.Sc. ha depositato atto di nomina di ulteriore difensore, in aggiunta all’originario.

In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio hanno depositato memorie ex art. 380-bis 1 c.p.c. la (…) Assicurazioni Spa e Lo.Sc.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso della (…) Assicurazioni Spa, in quanto (notificato il 14 settembre 2021) proposto successivamente a quello di Lo.Sc. (notificato il 10 settembre 2021), si converte in ricorso incidentale.

2. – Il ricorso principale di Lo.Sc.

2.1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 12 Preleggi, c.c. e dell’art. 346, c.p.c. o in subordine degli artt. 343 e 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente la responsabilità di esso chirurgo per mancato accesso al fianco destro, nonostante avesse accolto il motivo di appello sulla erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui individuava l’errore medico nel mancato accesso al fianco sinistro (punto di Palmer).

Il ricorrente sostiene che, aver riconosciuto come corretta la prestazione sanitaria per la scelta di non accedere al fianco sinistro, avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale ad escludere la responsabilità del medico e non anche ad individuare la colpa professionale nella diversa condotta (omissiva) riguardante il mancato accesso dal fianco destro (pag. 35 sentenza impugnata).

In ragione del riconoscimento della sussistenza di una responsabilità sulla base di una diversa imputazione, la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 12 Preleggi, da applicarsi in via analogica in sede di interpretazione della sentenza di primo grado; gli artt. 343 e, in subordine, l’art. 346, c.p.c., nella parte in cui ha individuato l’errore medico al momento del mancato accesso al fianco destro, senza che gli attori avessero spiegato appello incidentale al riguardo ovvero appello principale; e, infine, l’art. 112, c.p.c., per essere incorsa la Corte territoriale nel vizio di extrapetizione o ultrapetizione, “avendo la Corte pronunciato su critica necessaria, epperò mai avanzata dalle controparti contro la sentenza di primo grado”.

2.2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 163, 183, 346 e 112, c.p.c., per avere la Corte territoriale fondato la responsabilità di esso medico convenuto sul fatto della mancata applicazione di drenaggi idonei, pronunciandosi in tal modo su un fatto allegato dalle controparti in primo grado ben oltre i termini decadenziali (solo in comparsa conclusionale) e, in ogni caso, mai riproposta in appello con conseguente integrazione del vizio di extrapetizione o ultrapetizione.

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2.3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione o falsa applicazione dell’art. 112, c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente concluso nel senso della responsabilità di esso chirurgo derivante dalla mancata predisposizione di un’adeguata sorveglianza medica del paziente, mediante una sentenza che produce effetti nei confronti di esso Lo.Sc. e di Fr.Se., nonostante: a) l’appello incidentale contenente il fatto relativo all’assistenza post-operatoria sia stato spiegato dagli attori contro la ASL e non anche contro esso attuale ricorrente principale; b) la Fr.Se. abbia sollevato la questione della mancata assistenza postoperatoria in sede di appello incidentale teso all’accoglimento della sola domanda dell’attrice iure hereditatis e per danno catastrofale, non anche della sua domanda iure proprio per danno da perdita del rapporto parentale.

2.4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 40 e 41, c.p., in relazione agli artt. 2043, 2059 e 1218, c.c., per avere la Corte territoriale errato nel ritenere sussistente il nesso di causalità tra la condotta di esso medico e il decesso del paziente, nonostante il c.t.u., con giudizio controfattuale, avesse concluso nel senso di non ritenere “più probabile che non” la sopravvivenza del paziente in caso non fossero ricorse le asserite mancanze postoperatorie.

2.5. – Con il quinto mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059, c.c., artt. 2, 29, 30, Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente accolto la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, avanzata dalle controparti iure proprio, nonostante queste ultime non avessero allegato e dimostrato l’alterazione significativa della propria esistenza e delle proprie abitudini di vita derivanti dal decesso del congiunto.

2.6. – Con il sesto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 342, 343, 112 e 132, c.p.c., per avere la Corte territoriale errato nell’applicare le tabelle del Tribunale di Roma, anziché di quelle del Tribunale di Milano, al momento della liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale.

Il giudice di appello, modificando il parametro di liquidazione in assenza di impugnazioni sul punto, avrebbe illegittimamente pronunciato, per un verso, su profilo – applicazione delle tabelle milanesi – su cui era già sceso il giudicato e, per altro verso, senza tenere conto che la nullità denunciata in appello riguardava non l’adozione del parametro milanese, ma il modo di relativo utilizzo ad opera del primo giudice.

2.7. – Con il settimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 1226, c.c., per aver la Corte territoriale errato ad applicare le tabelle del Tribunale di Roma e non anche quelle del Tribunale di Milano, nonostante fossero queste ultime ad essere individuate dal diritto vivente come parametro equitativo di riferimento ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale.

Responsabilità medica iniziale individuazione errore nell’esecuzione dell’intervento e modifica successiva in errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria

2.8. – Con l’ottavo mezzo – in subordine, nel caso di accertata responsabilità di esso medico – è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente provveduto alla liquidazione del danno non tenendo in considerazione, ai fini della sua determinazione, le pregresse condizioni di salute di cui era portatore il paziente (“comorbilità”, aventi avuto efficacia causale e preponderante in ordine al decesso).

2.9. – Con il nono mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c., per essere la Corte territoriale incorsa nel vizio di omessa motivazione, sia sotto il profilo di motivazione apparente nella parte in cui ha affermato la sussistenza del danno biologico e morale terminale facendo acriticamente e genericamente riferimento al compendio istruttorio e alla documentazione sanitaria senza specifica indicazione dei documenti citati e del loro contenuto; sia sotto il profilo della contraddittoria, perplessa e incomprensibile motivazione, per aver concluso nel senso che il Eo.Se. avesse maturato la consapevolezza dell’exitus a partire dalla richiesta di un antidolorifico.

3. – Il ricorso incidentale della (…) Assicurazioni Spa

3.1. – Con l’unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 1226, 2043, 2056, 2059 e 2697, c.c., per avere la Corte territoriale errato nel non procedere, in applicazione dei criteri di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale definiti dalle tabelle del Tribunale di Roma, alla riduzione fino al 50% del danno risarcito in ragione dell’assenza del rapporto di convivenza sussistente tra la vittima e i figli superstiti.

In forza della presunzione (relativa) secondo cui dalla assenza di un rapporto di convivenza deriverebbe un minor grado di affectio materiale e spirituale, tale da giustificare un risarcimento del danno inferiore rispetto a chi “condivideva ogni aspetto del vivere quotidiano” ovvero il coniuge Ma.Ge., sarebbe dovuto ricadere in capo a Ce.Se. e Fr.Se. l’onere di provare che, nonostante l’assenza di convivenza, il rapporto con il padre possedeva una tale intensità affettiva tale da giustificare l’integrale risarcimento del danno, scevro da qualsiasi abbattimento.

La Corte territoriale avrebbe dunque errato non in punto di an debeatur, quanto piuttosto in sede di determinazione del danno, riconoscendo l’integralità del pregiudizio nonostante il mancato assolvimento della anzidetta prova e ponendo, in maniera doppiamente errata, la prova contraria (dell’assenza di un legame affettivo tale da giustificare la risarcibilità del pregiudizio conseguente al decesso del congiunto) in capo alle parti convenute.

4. – Il ricorso incidentale della ASL (…) A – S – L.

4.1. – Con il primo mezzo e prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 112 e 346, c.p.c., per avere la Corte territoriale errato nell’affermare la responsabilità del medico convenuto su un fatto diverso da quello su cui si è pronunciato il Tribunale di primo grado (mancata incisione a partire dal fianco destro, anziché mancato accesso dal punto di Palmer), in assenza di un appello incidentale sul punto; accertata la erroneità della sentenza del Tribunale, nella parte in cui affermava che la responsabilità del medico convenuto doveva ascriversi al mancato accesso a partire dal fianco sinistro, la Corte avrebbe dovuto concludere per l’assenza di responsabilità del sanitario.

4.2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 163 e 183, c.p.c., per avere la Corte territoriale errato nell’affermare la responsabilità del medico su un fatto – ossia, la mancata applicazione di drenaggi – tardivamente allegato dalle controparti, solo con la comparsa conclusionale.

4.3. – Con il terzo mezzo – condizionato dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso – è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 40 e 41, c.p.c., in relazione agli artt. 2043, 2059 e 1218 c.c., per avere la Corte territoriale errato nel ritenere sussistente una responsabilità del medico convenuto derivante anche da negligenza post-operatoria, presupponendo tale responsabilità quella per le condotte antecedenti integranti già il fatto illecito; sicché, venuta meno la responsabilità per le condotte antecedenti, verrebbe di conseguenza meno anche quella per il decesso del paziente in base all’addebito di omessa vigilanza post-operatoria, la quale, di per sé, avrebbe semmai determinato soltanto una riduzione della chance di sopravvivenza.

4.4. – Con il quarto mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 2043, 2059 e 2697 c.c., per avere la Corte territoriale errato nel riconoscere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale nonostante che le parti non avessero fornito prova, anche in via presuntiva, di come il decesso della vittima abbia stravolto le loro abitudini di vita, tale da determinare scelte radicalmente diverse e tale da giustificare un risarcimento per la sofferenza derivante da tale stravolgimento.

4.5. – Con il quinto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 324 e 112, c.p.c., per avere la Corte territoriale illegittimamente proceduto ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale all’utilizzo dei parametri indicati dalle tabelle del Tribunale di Roma, anziché di quelli previsti dalle tabelle del Tribunale di Milano.

Il giudice di appello, dopo aver affermato l’erroneità della sentenza del primo giudice nella parte in cui ha riconosciuto il danno nella sua liquidazione massima, avrebbe dovuto procedere ad una sua rideterminazione entro i valori tabellari stabiliti dal Tribunale di Milano.

4.6. – Con il sesto mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 1226 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente scelto di utilizzare, ai fini della liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, le tabelle del Tribunale di Roma, nonostante il diritto vivente abbia riconosciuto come parametro di riferimento le tabelle del Tribunale di Milano.

5. – La decisione sui ricorsi.

L’esame dei motivi – tenuto conto della priorità logica delle censure proposte con i tre ricorsi, da potersi scrutinare congiuntamente là dove sovrapponibili o strettamente connesse – seguirà l’ordine di trattazione cui appresso.

5.1. – censure concernenti l’affermazione della responsabilità sanitaria in capo ai convenuti Lo.Sc. e ASL (…).

Esame dei motivi: a) dal primo al quarto del ricorso principale Lo.Sc.; b) dal primo al terzo del ricorso incidentale ASL (…).

Gli anzidetti motivi sono in parte infondati e in parte inammissibili.

5.1.1. – Sono infondate, anzitutto, le doglianze che deducono l’illegittimità della sentenza impugnata per aver basato il giudizio di responsabilità medica, a carico dei convenuti, su un fatto diverso rispetto sia a quello posto a fondamento della condanna del Tribunale (cioè il mancato accesso dal fianco destro), nonostante che le parti danneggiate non avessero dispiegato appello incidentale sul punto, sia a quello dedotto con l’originario atto di citazione (introducendo illegittimamente addebiti concernenti la fase post-operatoria).

5.1.1.1. – Sotto quest’ultimo profilo, non è dato ravvisare nella sentenza impugnata alcun mutamento della domanda in ragione dell’introduzione di una causa petendi diversa da quelle dedotta dagli attori, con conseguente violazione dei principi (artt. 112, 163, 183 c.p.c.) del contraddittorio e di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Varrà, infatti, osservare che nel giudizio di risarcimento del danno derivato da colpa medica non costituisce inammissibile mutamento della domanda la circostanza che l’attore, dopo avere allegato nell’atto introduttivo che l’errore del sanitario sia consistito nell’imperita esecuzione di un intervento chirurgico, nel concludere alleghi che l’errore sia consistito anche nell’inadeguata assistenza postoperatoria (come nella specie).

E ciò in quanto si deve considerare il fatto costitutivo, idoneo a delimitare l’ambito dell’indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall’attore, possano avere portata preclusiva, stante la inesigibilità della individuazione ex ante di specifici elementi tecnico-scientifici, di norma acquisibili solo all’esito dell’istruttoria e dell’espletamento di una c.t.u. (Cass. (…)3269/2012; Cass. n. 6850 del 20/03/2018; così anche Cass. n. 2719/2023, che in motivazione ha ribadito la portata del principio anzidetto, ritenuto non applicabile, tuttavia, alla fattispecie decisa, rispetto alla quale non trovava rilievo, nelle allegazioni di parte, una specificazione del comportamento da tenersi rispetto al trattamento sanitario – le metodiche, la concreta utilizzazione delle stesse, la profilassi post-operatoria, etc. -, ma l’alternativa tra l’allegazione di una condotta commissiva inadempiente di esecuzione erronea di intervento chirurgico e l’addebito, totalmente diverso, di non essersi astenuti ad intervenire chirurgicamente).

5.1.1.2. – Sotto l’altro profilo preso in considerazione dalle censure svolte con i motivi in esame, i ricorrenti muovono da una erronea premessa di fondo, ovvero quella per cui al giudice d’appello è precluso l’accesso al corredo probatorio che ha orientato il giudice di primo grado nella sua decisione, con ciò incorrendo, altresì, nella non piena comprensione del giudizio d’appello come strumento di revisio prioris istantiae.

Responsabilità medica iniziale individuazione errore nell’esecuzione dell’intervento e modifica successiva in errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria

Giova, infatti, rammentare che, in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, né incorre nella violazione di tale principio il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti, ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (tra le altre: Cass. n. 20652/2009; Cass. n. 513/2019).

In altri termini, entro i limiti di ciò che è stato devoluto in appello, il secondo giudice, in coerenza con la natura del giudizio d’appello, ha pieno accesso al fatto nonché al materiale probatorio legittimamente acquisito al processo (tra cui, ad esempio, anche le relazioni peritali); l’oggetto del processo d’appello è, dunque, circoscritto nell’alveo degli specifici motivi articolati dall’appellante principale (ed, eventualmente, incidentale), che dunque devolvono, in tutto o in parte, le questioni oggetto del giudizio di primo grado.

Del resto, varrà ricordare che il giudicato interno non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (tra le altre: Cass. (…)0760/2019; Cass. n. 30728/2022).

Nel caso di specie, l’impugnazione di Lo.Sc. della sentenza di primo grado nella parte in cui ha accertato la sussistenza dell’errore medico nell’esecuzione dell’intervento chirurgico – e, quindi, segnatamente, per non aver egli effettuato l’accesso laparoscopico nella zona di Palmer – ha prodotto la devoluzione nel giudizio d’appello di questa questione e, di riflesso, di tutto il corredo istruttorio e probatorio di cui il giudice di primo grado si è avvalso per pervenire alla decisione; che, di conseguenza, diviene oggetto di cognizione del giudizio di appello.

Pertanto, proprio attraverso l’interpretazione della motivazione del Tribunale e una (ri)valutazione nel merito della CTU istruita in primo grado, il giudice di secondo grado è giunto ad affermare che “la imprudenza dello Lo.Sc., non è ravvisabile nel non avere egli effettuato l’accesso laparoscopico dalla zona di Palmer, ma nell’aver tentato di effettuarlo dalla zona periombelicale nonostante dovesse essere consapevole della presenza di aderenze in tale zona e nel non avere – dopo la conferma della presenza delle aderenze che avevano reso vano quel tentativo di accesso periombelicale e nonostante tale anomalia esecutiva aggravasse il rischio di lesioni intestinali, non agevolmente rilevabili in ambito laparoscopico – posto in essere e poi predisposto alcuno degli accorgimenti operatori e post operatori utili alla tempestiva rilevazione delle lesioni eventualmente (e, tutt’altro che imprevedibilmente) prodotte” (pp. 35 e 36 della sentenza d’appello).

La Corte territoriale si è, quindi, mossa entro i confini dell’oggetto del processo, così come perimetrato dai motivi che hanno originato l’atto d’appello e, nell’ambito delle allegazioni delle parti e del pertinente corredo probatorio acquisito agli atti, ha confermato il giudizio di responsabilità del medico sulla base di un giudizio fondato su elementi di fatto (relativi alla condotta operatoria e post-operatoria) diversi da quelli considerati dal primo giudice, ma individuati e specificati dallo stesso giudice di appello entro i limiti anzidetti, così da rivelarsi inconsistenti tutte le censure prospettate dai ricorrenti ai sensi degli articoli 112, 343 e 346 c.p.c.

5.1.2. – Le ulteriori censure svolte con i motivi in esame sono inammissibili.

Con esse, infatti, lungi dall’essere denunciati degli errores in iudicando, si mira a rappresentare una ricostruzione alternativa della quaestio facti rispetto a quella accertata dal giudice di appello, con l’obiettivo di escludere dalla valutazione del secondo giudice precisi fatti storici (mancato drenaggio; omessa vigilanza post-operatoria), considerati invece dalla Corte territoriale come inadempimenti imputati allo Lo.Sc. e, dunque, inseriti nel complessivo giudizio di responsabilità a suo carico.

5.2. – censure concernenti il riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale.

Esame dei motivi: a) quinto del ricorso principale Lo.Sc.; b) quarto del ricorso incidentale ASL (…).

Responsabilità medica iniziale individuazione errore nell’esecuzione dell’intervento e modifica successiva in errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria

I motivi sono infondati.

5.2.1. – In tema di prova del danno da perdita del rapporto parentale è orientamento consolidato di questa Corte – cui il Collegio intende dare continuità – che spetta alla vittima dell’illecito dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa e, dunque, l’esistenza del pregiudizio subito: onere di allegazione che potrà essere soddisfatto anche ricorrendo a presunzioni semplici e massime di comune esperienza (Cass., S.U., n. 26792/2008).

In particolare, poi, nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello) è l’esistenza stessa del rapporto di parentela che fa presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è, per comune esperienza, connaturale all’essere umano; trattandosi di una presunzione relativa sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (tra le altre: Cass. (…)2146/2016; Cass. n. 3767 del 2018; Cass. n. 31950/2018; Cass. (…)1212/2019).

Rimangono, in ogni caso, fermi i principi che presiedono all’identificazione delle condizioni di apprezzabilità minima del danno, nel senso di una rigorosa dimostrazione (come detto, anche in via presuntiva) della gravità e della serietà del pregiudizio e della sofferenza patita dal danneggiato, tanto sul piano morale-soggettivo, quanto su quello dinamico-relazionale, senza che tale serietà e apprezzabilità, peraltro, sconfini necessariamente in un vero e proprio radicale ed eccezionale sconvolgimento delle proprie abitudini di vita, che inciderà, se del caso, sulla personalizzazione del risarcimento, e che costituisce a sua volta onere dell’attore allegare e provare, in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Cass. (…)6992/2015; Cass. n. 21060/2016; Cass. n. 7748/2020; Cass. n. 26140/2023).

5.2.2. – Ciò posto, la Corte territoriale non ha fatto errata applicazione degli anzidetti principi, nella misura in cui, in ragione del legame di parentela venuto in rilievo (stretti congiunti) e dell’assenza di dimostrazione da parte dei convenuti che tra la vittima e i superstiti non intercorresse un rapporto effettivo tale da giustificarne il risarcimento, ha fatto ricorso allo strumento della prova per presunzioni.

Il giudice di appello ha, dunque, correttamente ritenuto sussistente l’an del danno da perdita del rapporto parentale presumendo lo stesso sussistente a partire dalle allegazioni, presenti nell’atto di citazione, con cui Ma.Ge., Fr.Se. e Ce.Se. hanno prospettato intime sofferenze soggettive, nonché alterazioni delle proprie abitudini di vita in conseguenza della morte di Eo.Se., di essi, rispettivamente, marito e padre.

5.3. – censure concernenti la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale: la scelta del parametro tabellare di riferimento.

Esame dei motivi: a) sesto e settimo del ricorso principale Lo.Sc.; b) quinto e sesto del ricorso incidentale ASL (…).

I motivi sono infondati.

5.3.1. – Priva di consistenza è, anzitutto, la censura con cui i ricorrenti, adducendo che la sentenza di primo grado non era stata impugnata sul punto, prospettano il passaggio in giudicato del criterio di liquidazione del danno utilizzato dal Tribunale, ossia l’applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano, in quanto con i motivi di impugnazione (sia dello Lo.Sc.: cfr. p. 22 del ricorso principale; sia di (…): cfr. p. 9 del ricorso incidentale) si censurava proprio la errata liquidazione del danno individuata “immotivatamente” nella misura massima del range senza specificazione dei criteri equitativi seguiti e si era, pertanto, rimesso al giudice di appello di procedere nuovamente, e correttamente, alla liquidazione del danno non patrimoniale, spettando, quindi, al giudice investito della cognizione della relativa questione individuare il congruo criterio equitativo di riferimento.

Devoluta, dunque, in appello la questione concernente la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, nella individuazione di parametri tabellari sulla base dei quali procedere alla liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale non ha errato la Corte territoriale nel fare riferimento alle tabelle predisposte dal Tribunale di Roma.

Come evidenziato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (tra le altre: Cass. (…)0579/2021), soltanto un sistema tabellare fondato sul punto variabile costituisce idonea garanzia della funzione per la quale esso è stata concepito, che è quella dell’uniformità e prevedibilità delle decisioni a salvaguardia del principio di eguaglianza.

5.3.2. – È infondata anche l’ulteriore specifica censura con cui i ricorrenti denunciano la “scelta” della Corte territoriale di applicare le tabelle romane piuttosto che quelle milanesi.

Come precisato da Cass. (…)0579/2021, l’eccezionalità del caso può imporre una liquidazione del danno senza fare ricorso ad una tabella basata sul “sistema a punti”, ma è necessario che il giudice del merito fornisca al riguardo adeguata motivazione; ciò che varrà segnatamente allorquando si sia pervenuti ad una quantificazione del risarcimento che, alla luce delle circostanze del caso concreto, risulti inferiore a quella cui si sarebbe giunti utilizzando la tabella anzidetta o, comunque, risulti sproporzionata rispetto alla quantificazione cui l’adozione dei parametri tratti da tale tabella avrebbe consentito di pervenire.

Pertanto, pur ritenendosi preferibile l’adozione di una tabella basata su un “sistema a punti” per le ragioni di prevedibilità e uniformità sopra evidenziate, il problema giuridico che emerge è piuttosto quello della concreta quantificazione del danno operata dal giudice alla luce di criteri adeguatamente esplicitati in motivazione.

E in tal senso soccorre il principio per cui la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento.

Ne consegue che, allorché non siano indicate le ragioni dell’operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.) sia nel vizio di violazione dell’art. 1226 c.c. (Cass. n. 22272/2018; Cass. (…)8795/2021).

Nel caso di specie, l’anzidetta complessiva ponderazione è stata compiuta dalla Corte territoriale – là dove, invece, come precisato nella stessa sentenza impugnata (pp. 39 e 40), il giudice di primo grado aveva riconosciuto il range tabellare massimo al coniuge e ai due figli in assenza di qualsiasi motivazione in ordine ai criteri e alle eventuali particolari circostanze del caso concreto utilizzati -, la quale, pertanto, non ha errato nel procedere ad una (ri)determinazione del danno da perdita del rapporto parentale secondo i parametri tabellari fondati sul punto variabile allora esistenti, ovvero in base alle tabelle del Tribunale di Roma del 2016.

Responsabilità medica iniziale individuazione errore nell’esecuzione dell’intervento e modifica successiva in errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria

5.4. – censure concernenti la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale: il “quantum debeatur”.

Esame dei motivi: a) ottavo del ricorso principale Lo.Sc.; b) primo del ricorso incidentale (…).

I motivi sono inammissibili.

5.4.1. – L’ottavo motivo del ricorso dello Lo.Sc. è inammissibile, in quanto sottopone all’esame di questa Corte una ricostruzione del fatto alternativa rispetto a quella accertata dal giudice di merito.

La Corte territoriale ha escluso, con una valutazione insindacabile in tale sede, che le preesistenti condizioni cliniche del paziente potessero assumere una qualche rilevanza ai fini della liquidazione di un danno oltre i limiti tabellari, valorizzando, in merito al carcinoma della colecisti, la efficacia risolutiva della colecistectomia eseguita e, in merito alle pregresse patologie respiratorie ed epatiche del paziente, l’assenza di una loro incidenza rispetto alla riduzione delle aspettative di vita futura, tanto da essere state ritenute compatibili, sotto il profilo anestesiologico, con l’intervento stesso.

Per potersi parlare di concorso di cause, naturali e umane, rilevante ai fini della liquidazione del danno (in quanto le prime semmai incidenti soltanto sul piano della causalità giuridica) è, in ogni caso, necessario che le stesse – cause naturali preesistenti e condotta umana colpevole – si inseriscano nella medesima serie causale produttiva dell’evento di danno; circostanza che non emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, che riconduce causalmente il decesso del paziente esclusivamente all’accertato errore medico la cui consistenza, indipendentemente dal pregresso quadro clinico, ha cagionato la morte del paziente.

Pertanto, la Corte non ha affatto errato – in sede di quantificazione del risarcimento del danno – nel reputare irrilevante il pregresso quadro clinico del paziente.

5.4.2. – In via preliminare all’esame del motivo di ricorso incidentale dell'(…), va superata l’eccezione di inammissibilità del ricorso medesimo, prospettata dai controricorrenti Fr.Se. e Ma.Ge. e Ce.Se., per inesistenza della notifica in quanto l’atto introduttivo del giudizio di cassazione sarebbe stato notificato a mezzo PEC ai rispettivi avvocati, anziché alle parti nel domicilio eletto presso lo studio dei rispettivi difensori.

Il vizio prospettato dai controricorrenti – come correttamente precisato anche da (…) con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. – deve essere anzitutto riqualificato in termini di nullità, attenendo lo stesso alle modalità con cui è stato portato a compimento il procedimento notificatolo.

In particolare, affinché la notifica di un atto possa ritenersi esistente, benché nulla, è necessario che la stessa acceda all’atto che si intende notificare; può poi accadere che la notifica sia nulla per le modalità con le quali viene portato a compimento il procedimento notificatorio, per l’irregolarità dello stesso e per l’inidoneità ad assicurare l’avvenuta comunicazione dell’atto che tuttavia ne deve costituire l’oggetto (Cass. n. 30044/2022).

Nella specie, l’Avv. St.Ro. – come confermato dalla relata di notifica a mezzo PEC allegata al ricorso – ha notificato il ricorso all’Avv. Gu.Po. e all’Avv. Vi.Co., quali procuratori costituiti in secondo grado, rispettivamente, di Fr.Se. e di Ma.Ge. e Ce.Se.;

notifica che, contenendo tutti i dati necessari per identificare la riferibilità della PEC al procedimento in cui sono coinvolti i loro assistiti, non avrebbe potuto ingenerare alcun tipo di confusione in ordine alle parti destinatarie della stessa.

Pertanto, la circostanza che l’atto introduttivo sia stato notificato a mezzo PEC utilizzando la seguente relata di notifica “all’avv. Gu.Po., quale procuratore costituito in secondo grado di Fr.Se.”, invece di essere notificato a “Fr.Se. nel domicilio eletto presso lo studio del suo difensore”, integra gli estremi di una mera irregolarità tale da non dispiegare alcun effetto in ordine a quello che è il fine dello strumento della notifica: portare a conoscenza delle parti coinvolte nel giudizio l’atto (nel caso, il ricorso) e il suo contenuto, affinché possa essere garantito il contraddittorio mediante l’eventuale proposizione delle pertinenti difese (nel caso, con il controricorso).

Peraltro, la effettuata notifica – indipendentemente anche dal vizio formale denunciato dalla parte – ha raggiunto il proprio scopo, essendo il ricorso a conoscenza delle parti, mediante i nominati difensori, e avendo le parti stesse proposto tempestivamente autonomi controricorsi, con la conseguenza che non è ravvisabile alcuna lesione del diritto alla difesa.

5.4.2.1. – Il motivo è inammissibile.

Con esso non è colta la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, in riferimento alla liquidazione del danno non patrimoniale in favore dei figli superstiti di Eo.Se., ha applicato in modo corretto la tabella romana non avendo affatto considerato i punti tabellari (4 nel massimo) relativi al profilo della “convivenza” con il padre, così da dar luogo, per l’appunto, ad un risarcimento non parametrato a detto criterio e, quindi, “abbattuto” rispetto a quello del coniuge del defunto, in cui il parametro della convivenza è stato considerato ed i punti sono stati assegnati nella misura massima.

Responsabilità medica iniziale individuazione errore nell’esecuzione dell’intervento e modifica successiva in errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria

5.5. – censura concernente la liquidazione del danno “iure hereditatis”.

Esame del nono motivo del ricorso principale Lo.Sc.

Il motivo è infondato.

5.5.1. – La motivazione affetta da anomalia che la rende al di sotto del c.d. “minimo costituzionale”, così da integrare violazione di legge (artt. 111, comma sesto, Cost., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), è vizio – attinente all’esistenza della motivazione in sé e deve risultare dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le molte, Cass., S.U., n. 8053/2014).

In particolare, poi, la motivazione è solo “apparente” quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, giacché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. Cass., S.U., n. 22232/2016; Cass. n. 22022/2017; Cass. n. 21037/2018; Cass. n. 27112/2018).

Nella specie, la Corte territoriale (cfr. p. 44 della sentenza impugnata) ha ritenuto che il paziente “, lungi dall’essersi trovato in stato di incoscienza, ebbe piena contezza e percezione non solo della sofferenza fisica determinata dalla lesione intestinale e dalla infezione che da questa scaturì, ma anche del successivo aggravamento delle proprie condizioni di salute che ne compromise gradualmente varie funzioni (ma non anche quella cerebrale o cognitiva) fino a condurlo al decesso, esito del quale egli fu pienamente in grado di rappresentarsi l’imminenza”. E tanto il giudice di appello ha, in particolar modo, desunto – nell’esercizio del potere riservatogli di valutazione delle prove agli atti del giudizio (delle quali ha indicato, in modo sufficiente, le rispettive fonti) – “oltre che dalla documentazione sanitaria, dalle testimonianze rese dalle infermiere cui, nelle ore successive all’intervento, il Eo.Se. chiese la somministrazione di un antidolorifico accusando dolori all’addome”.

La motivazione della sentenza impugnata si mostra, dunque, affatto intelligibile nel suo sviluppo logico, privo di insanabili contraddizioni (là dove anche la richiesta del paziente di un antidolorifico depone proprio per l’assenza di uno stato di incoscienza) e, dunque, rispettosa del c.d. “minimo costituzionale”.

6. – Conclusioni.

Vanno, dunque, rigettati tutti i ricorsi, quello principale dello Lo.Sc. e quelli incidentali della (…) Assicurazioni Spa e della ASL (…) A – S – L.

Tutti i ricorrenti, in solido tra loro, devono essere condannati al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore delle parti controricorrenti, da un lato, Fr.Se. e, dall’altro, Ma.Ge. e Ce.Se., come liquidate in dispositivo, tenuto conto anche della sostanziale identità delle difese spiegate dai predetti controricorrenti avverso le proposte impugnazioni.

Vanno, invece, integralmente compensate le spese del presente giudizio tra tutti i ricorrenti e le compagnie di assicurazione controricorrenti, non essendo le impugnazioni rivolte contro quest’ultime e, quindi, essendo la notificazione dei ricorsi da reputarsi effettuata al mero scopo di Utis denuntiatio.

Responsabilità medica iniziale individuazione errore nell’esecuzione dell’intervento e modifica successiva in errore nell’inadeguata assistenza postoperatoria

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale ed entrambi i ricorsi incidentali;

condanna tutti i ricorrenti, in solido tra loro, pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore sia di Fr.Se., che di Ma.Ge. e Ce.Se., in euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge;

compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità tra tutti i ricorrenti e le controricorrenti (…) Ltd e (…) Ltd.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. (…)15 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per i ricorsi incidentali, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione del presente provvedimento in qualsiasi forma, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di Eo.Se. ivi riportati.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, l’8 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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