Risarcimento del danno da fatto illecito e gli interessi c.d. compensativi

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 aprile 2024| n. 10376.

Risarcimento del danno da fatto illecito e gli interessi c.d. compensativi

In tema risarcimento del danno da fatto illecito, sulla somma dovuta, ancorché liquidata all’attualità, vanno sempre conteggiati, purché vi sia stata specifica domanda, gli interessi c.d. compensativi, con decorrenza dal momento dell’illecito.

Il rapporto di polizia fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria. (In applicazione del principio la Corte ha rigettato il motivo di ricorso con cui si censurava la sentenza impugnata per avere disatteso il valore di “piena prova” delle misurazioni effettuate dalla polizia stradale, intervenuta nell’immediatezza sul luogo di un sinistro, e riportate nel verbale).

Ordinanza|17 aprile 2024| n. 10376. Risarcimento del danno da fatto illecito e gli interessi c.d. compensativi

Data udienza 20 dicembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Obbligazioni in genere – Obbligazioni pecuniarie – Interessi – In genere danno da fatto illecito – Somma liquidata all’attualità – Interessi compensativi – Spettanza – Specifica domanda – Necessità – Decorrenza.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Rel. Consigliere

Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 31130-2021 proposto da:

Ma.Ga., Ma.Cl., Ma.Cr., domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica dei propri difensori, rappresentati e difesi dagli Avvocati An.Fi., Gi.Pe. e Ro.Il.;

– ricorrenti –

contro

Vi.As. Spa, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Le.Pa.;

– controricorrente –

nonché contro

Ma.Nu., Ur.Se.;

Da

– intimati –

Avverso la sentenza n. 1368/2021 della Corte d’appello di Venezia, depositata il 06/05/2021;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 20/12/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.

Risarcimento del danno da fatto illecito e gli interessi c.d. compensativi

FATTI DI CAUSA

1. Ma.Ga., nonché Ma.Cl. e Ma.Cr., ricorrono, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 1368/21, del 6 maggio 2021, della Corte d’appello di Venezia, che – respingendo sia il gravame proposto da costoro in via di principalità, sia quello incidentale di Vi.As. Spa, avverso la sentenza n. 1719/17, del 12 luglio 2017, del Tribunale di Verona – ha confermato quanto già statuito dal primo giudice.

Esso, in particolare, aveva condannato, in solido, Ur.Se. e le società A.T.M. di Ma.Nu. & Co. Sas (d’ora in poi, “ATM”) e Vi.As. Spa a pagare agli odierni ricorrenti, a titolo di danno patrimoniale, la somma di Euro 31.529,51, nonché, a titolo di danno non patrimoniale, le ulteriori somme – rispetto a quelle corrisposte in precedenza da Vi.As. – di Euro 162.824,25, a Ma.Ga., di Euro 122.824,25, a Ma.Cr. e di Euro 82.824,25, a Ma.Cl., oltre interessi e rivalutazione; condanna disposta in relazione all’avvenuto decesso del loro congiunto To.Ma., a causa di sinistro stradale occorsogli il 7 agosto 2012 sull’autostrada A 22, alla cui verificazione si è stimato che costui avesse, peraltro, contribuito nella misura del 20%.

2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di aver adito l’autorità giudiziaria per ottenere il ristoro dei danni, “iure proprio” e niure hereditatis”, conseguenti al decesso del loro marito e genitore, il predetto To.Ma. All’uopo allegavano che lo stesso – nelle circostanze di tempo e luogo sopra meglio specificate – era rimasto vittima di investimento, allorché, nello scendere, dal lato del guidatore, dal proprio autocaravan (posizionato sulla corsia d’emergenza dell’autostrada, a causa della foratura di uno pneumatico), veniva travolto da un autoarticolato che aveva invaso la corsia di emergenza, impattando contro il mezzo in sosta proprio all’altezza della portiera e in concomitanza con la sua apertura.

Convenuti in giudizio l’Ur.Se., conducente dell’autoarticolato, e le società ATM e Vi.As. (rispettivamente, l’una proprietaria del mezzo, l’altra assicuratrice dello stesso per la “RCA”), si costituiva la sola società di assicurazione. Al giudizio così radicato veniva riunito altro, successivo, incardinato – contro i medesimi convenuti – dai germani della vittima, Al., Fo. e Io.Ma.

Istruita la causa anche con lo svolgimento di consulenza tecnica cinematica, per chiarire le modalità di verificazione del sinistro, l’esito del giudizio consisteva nell’accoglimento della domanda risarcitoria, nei termini sopra meglio indicati, quanto alla posizione degli odierni ricorrenti. Soltanto costoro, e non pure i germani del defunto, gravavano, con appello, la sentenza del Tribunale scaligero, impugnata, in via incidentale, pure dalla società Vi.As., che chiedeva accertarsi l’integrale addebitabilità a To.Ma. dell’evento fatale.

Il giudice di seconde cure, tuttavia, rigettava entrambi i gravami, confermando la decisione appellata, ritenendo anch’esso che la dinamica del sinistro – ricostruita nel senso che l’autoarticolato condotto dall’Ur.Se. avesse “oltrepassato la propria corsia di marcia, dapprima con lo specchietto retrovisore destro, andando ad impattare contro lo specchietto del caravan, quindi con il rimorchio” – implicasse un contributo della stessa vittima nella verificazione dello stesso. Si ravvisava, infatti, a carico di costui “una violazione delle norme sulla circolazione stradale e di quelle di comune prudenza”, giacché il To.Ma. – “in un contesto autostradale, dove i veicoli transitano a velocità elevata e vi è la presenza di mezzi pesanti, soprattutto nella prima corsia di marcia” – risultava aver “aperto la portiera al fine di scendere dal mezzo senza adeguatamente ispezionare la strada”.

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3. Avverso la sentenza della Corte lagunare hanno proposto ricorso per cassazione la Ma.Ga. e i To.Ma., sulla base – come detto – di cinque motivi, precisando, in via preliminare, di non aver notificato il proprio atto di impugnazione alle parti contumaci in appello (ovvero, Al. e Io.Ma., nonché Ri.Ca. e Ca.Ys. To.Ma., le ultime due eredi di Fo. To.Ma., deceduto nelle more del giudizio), avendo costoro fatto acquiescenza alla pronuncia del primo giudice.

3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3), 4 e 5), cod. proc. civ. – “nullità della sentenza per errores in procedendo”, oltre a “violazione del combinato disposto di cui agli artt. 2700 cod. civ. e 116 cod. proc. civ.” e a “nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., nonché 111, comma 6, Cost.” per “motivazione inesistente e/o apparente e/o perplessa”. Viene, altresì, denunciato “difetto di motivazione” e “omesso esame di una decisiva circostanza di fatto rilevante dagli atti di causa e pretermessa dalla Corte territoriale” e, infine, “incorretto esercizio del prudente apprezzamento nella valutazione delle prove”.

Si censura la sentenza impugnata, innanzitutto, per aver escluso la natura di “piena prova” sia delle misurazioni effettuate dalla Polizia stradale, accorsa sul luogo del sinistro, e riportate nel verbale redatto nell’immediatezza dello stesso, sia delle “modalità di rilevamento ivi oggettivizzate e puntualmente descritte”. Difatti, pure la sentenza impugnata – nel rigettare il motivo di gravame, con il quale si era censurata la decisione del primo giudice per aver recepito quanto risultante dall’espletata CTU -sarebbe incorsa nel medesimo errore del Tribunale. Anch’essa, in particolare, avrebbe “indebitamente stravolto la misurazione fidefacente della pubblica autorità circa la distanza della parte posteriore del camper dalla linea delimitante la corsia d’emergenza, sostituendo senza alcuna ragione il riferimento allo spigolo posteriore dell’allestimento”, specificamente risultante dalla suddetta relazione, “con il mozzo ruota”, così “sottraendo dai 70,00 cm. rilevati dagli agenti i 19,50 di rientranza del mozzo ruota rispetto alla sagoma dell’allestimento e ricollocandone le sagome rispetto alla ricostruzione di Polstrada”.

Inoltre, si addebita alla sentenza impugnata – nell’aver “mutuato ad litteram dall’arresto di prime cure” il rilievo secondo cui “il riferimento fatto dal CTU non alla sagoma esterna del camper ma al mozzo ruota” non avrebbe avuto “nessuna effettiva incidenza sulla ricostruzione della posizione della parte anteriore del mezzo”, ovvero del camper – di aver “materialmente omesso un passaggio motivazionale”, così rendendo “assolutamente incomprensibile” quale sia “il rapporto di inferenza logica” che dalla premessa assunta permette di giungere alla conclusione proposta. Il tutto, inoltre, senza tacere del fatto – assumono i ricorrenti – che il suddetto passaggio motivazionale “sarebbe smentito dal tenore dell’elaborato peritale”, donde il “conseguente malgoverno delle risultanze istruttorie di lite, (censurabile ai sensi del n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ.”.

Ulteriore censura che si rivolge alla sentenza impugnata è di aver affermato che della “irrilevanza” del riferimento, fatto dal consulente tecnico d’ufficio, al mozzo ruota, avrebbero dato atto gli stessi appellanti principali, giacché essi, pur affermando – in comparsa conclusionale – che il “modus procedendi” adottato dall’ausiliario del giudice fosse “manifestamente illegittimo”, riconoscono che per il giudice di prime cure l’utilizzo dello stesso “non ha avuto effettiva incidenza sulla ricostruzione della posizione della parte anteriore del mezzo”. Assumono, per contro, gli odierni ricorrenti di non aver “mai riconosciuto (termine che sembra implicare una qualche accondiscendenza), ma semplicemente dato atto (che è diverso) dell’assunto del Tribunale”.

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Si contesta, infine, alla Corte territoriale di aver “adottato una tecnica motivazionale ammessa per il solo Giudice di legittimità” (è citata, al riguardo, Cass. Sez. 3, sent. 5 maggio 2020, n. 8460). Difatti, il giudice di seconde cure – nel premettere che gli appellanti principali avevano riproposto “le medesime doglianze espresse dal consulente di parte in sede di osservazioni” alla consulenza tecnica d’ufficio, per poi evidenziare, sul punto, come l’ausiliario del giudice avesse “puntualmente e correttamente replicato” – si sarebbe limitato a rinviare “sic et simpliciter ad alcuni numeri di pagina della C.T.U.”, e ciò “con una formula neppure recata dalla statuizione di primo grado, ma da un provvedimento interinale adottato in quella sede”, vale a dire l’ordinanza ex art. 186-quater cod. proc. civ., resa dal Tribunale veronese. La Corte lagunare, pertanto, avrebbe “omesso completamente di esaminare le puntuali e precise critiche (motivi di appello) che erano state rivolte alla sentenza di primo grado nel suo adagiarsi alla consulenza tecnica”, avendo, così, “platealmente disatteso quell’obbligo motivazionale su di sé gravante in forza dell’effetto devolutivo dell’appello e dell’atteggiarsi di quel giudizio a revisio prioris istantiae”.

3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – “violazione o falsa applicazione dell’art. 157, comma 7, cod. strada e della ivi dedotta regola di prudenza qualificata”.

Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto, nella misura del 20%, il contributo dello stesso To.Ma. nella causazione dell’evento consistito nel suo decesso, ravvisando a suo carico “una violazione delle norme sulla circolazione stradale e di quelle di comune prudenza”, giacché costui, “in un contesto autostradale, dove i veicoli transitano a velocità elevata e vi è la presenza di mezzi pesanti, soprattutto nella prima corsia di marcia”, risulta aver “aperto la portiera al fine di scendere dal mezzo senza adeguatamente ispezionare la strada”.

Rilevano, al riguardo, i ricorrenti che il richiamo – presente nella sola sentenza della Corte veneziana (giacché il primo giudice aveva fatto riferimento esclusivo alla “comune prudenza”) -all’art. 157, comma 7, cod. strada integrerebbe il vizio di violazione e falsa applicazione di norma di diritto. La disposizione suddetta, infatti, fa divieto a chiunque di aprire le porte di un veicolo, di discendere dallo stesso, nonché di lasciare aperte le porte, senza essersi assicurato che ciò non costituisca “pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada”. Orbene, nel caso di specie, il To.Ma. non avrebbe “affatto creato una situazione di pericolo o intralcio per gli altri conducenti”, giacché “non ha travalicato la linea di demarcazione della corsia di emergenza”, ciò, naturalmente, “ferme restando le doglianze relative all’illegittima riallocazione dei veicoli sulla scena del sinistro ad opera del CTU”.

D’altra parte, siffatta conclusione sarebbe viepiù confermata “da una lettura sistematica di detta norma in rapporto con altre previsioni di legge applicabili al caso di specie”, quali, in particolare, l’art. 162, comma 1, cod. strada. Difatti, poiché tale norma esonera i conducenti di veicoli fermi sulla carreggiata dal dovere di collocare il segnale mobile di pericolo, allorché gli stessi “possono essere scorti a sufficiente distanza da coloro che sopraggiungono da tergo”, ricorrendo una situazione siffatta (come avvenuto nel caso di specie, trattandosi di “verità processuale acquisita”), si determinerebbe “un allentamento delle cautele imposte al conducente del mezzo in stato emergenziale”, le quali vengono “spostate”, invece, “in capo agli altri automobilisti, sui quali è riversato l’obbligo di prestare massima attenzione nell’ipotesi in cui rilevino da lontano la presenza di un veicolo fermo nella corsia di emergenza”.

3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 4) e 5), cod. proc. civ. – “nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. nonché 111, comma 6, Cost.”, per “motivazione carente o apparente e/o perplessa”, oltre a “difetto di motivazione” e “omesso esame di una decisiva circostanza di fatto rilevante dagli atti di causa e pretermessa dalla Corte territoriale per “incorretto esercizio del prudente apprezzamento nella valutazione delle prove”. È denunciata, altresì, nullità della sentenza “per violazione degli artt. 112 e 113 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 347 e 167 cod. proc. civ.”.

Si censura la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di liquidazione della voce di danno patrimoniale costituita da “oneri di rimessaggio del camper incidentato”, come quantificati dalla fattura depositata, per la prima volta, in appello.

In particolare, la Corte veneziana – nel rigettare tale domanda -evidenziava come essa fosse stata “formulata per la prima volta in sede di appello e comunque sfornita di nesso di causa, non essendo stato neanche allegato il motivo per cui vi era stato un così lungo periodo di rimessaggio”.

La doglianza dei ricorrenti è articolata, anche in questo caso, su più piani, essendo in primo luogo dedotto “il vizio di omessa o apparente motivazione”. In tal senso, si addebita al giudice di appello di essersi limitato “a proclamare la tardività sic et simpliciter del documento in parola”, nel “più assoluto difetto di esplicitazione delle ragioni giuridiche” che l’hanno “indotta ad escludere i costi di rimessaggio dai danni risarcibili prodottisi dopo la sentenza di primo grado”, ex art. 345, comma 1, seconda alinea, cod. proc. civ.; assenza di motivazione ancor più rimarchevole, stante “la puntuale deduzione”, operata nell’atto di appello, volta ad evidenziare come la fattura, attestante l’avvenuta riparazione, risalisse ad epoca (6 febbraio 2018) successiva alla pubblicazione della sentenza di primo grado, la quale sola ha reso “certo, liquido ed esigibile” il relativo credito.

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Si evidenziano, inoltre, “i profili di perplessità e inconciliabilità logica delle ulteriori (… “e comunque” …) argomentazioni addotte” per negare il ristoro di tale danno, là dove si fa riferimento ad un supposto difetto di nesso causale, “così mostrando di ritenere la fattura (e quindi l’attività di custodia dell’autocarro ivi indicata a causale) aprioristicamente “sganciata” dai fatti di lite”.

Infine, si sottolinea come Vi.As. nulla avesse dedotto – se non, tardivamente, in comparsa conclusionale – su tale domanda.

3.4. Il quarto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ. – “violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e dell’art. 75 disp. att. cod. proc. civ. in riferimento all’art. 190 cod. proc. civ.”, oltre a “nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. nonché 111, comma 6, Cost.” per “motivazione perplessa o incomprensibile”. Viene, altresì, denunciato “difetto di motivazione” e “omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti” e, infine, “incorretto esercizio del prudente apprezzamento nella valutazione delle prove”.

In questo caso, si deduce “l’errata applicazione delle norme del codice di rito che governano l’allegazione e liquidazione delle spese di lite, per aver ritenuto il giudice di appello come tradiva l’allegazione degli oneri peritali di C.T.P.”, in realtà “compiegati alla nota spese di primo grado, a sua volta riversata telematicamente in uno alla comparsa conclusionale autorizzata dal Tribunale”. Richiamano, sul punto, i ricorrenti quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, in relazione “alle spese per l’assistenza in giudizio da parte di un esperto”, le forme per attivare la ripetizione “sono quelle della nota delle spese che il difensore deve unire al fascicolo di parte al momento del passaggio in decisione della causa (art. 75 disp. att. cod. proc. civ.)” (è citata Cass. Sez. Un., sent. 10 luglio 2017 n. 16990), sicché errata risulta l’affermazione della Corte lagunare che reputa tardiva la produzione della fattura, giacché “avvenuta solo con il deposito della comparsa conclusionale”.

Si censura, altresì, la sentenza impugnata per aver escluso la liquidazione di tale spesa per asserito difetto di corrispondenza “tra il soggetto emittente detta fattura (Studio Delta) e il consulente di parte (P.I. Si.Bo.)”, e ciò, tra l’altro, essendo tale documento “rimasto ex adverso incontestato”. Si sottolinea, inoltre, che la fattura prodotta “reca chiaro il riferimento al numero di ruolo generale del procedimento in seno al quale è stata prevista l’attività fatturata”.

3.5. Il quinto motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. – “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1226, 2043 e 2056 cod. civ.”, nonché degli “artt. 113, comma 1, 114 e 115 cod. proc. civ.”, oltre a “motivazione carente o apparente o perplessa e contraddittoria e/o incomprensibile” e a “nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. nonché 111, comma 6, Cost.”.

Si censura la sentenza impugnata “per avere la Corte di merito erroneamente confermato il modus decidendi del Tribunale” quanto “all’attualizzazione equitativa delle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale” (nelle specie costituito “da perdita del rapporto parentale”), avendone disatteso la natura di “debito di valore”. La Corte territoriale, infatti, nel ritenere che gli importi risarcitori fossero stati equitativamente attualizzati alla data della sentenza di primo grado, in ragione dell’utilizzo delle c.d. “tabelle milanesi” dell’anno 2014, si sarebbe discostata dai “criteri normativi previsti e consolidati nella costante giurisprudenza” di questa Corte (in particolare, da Cass. Sez. 3., ord. 28 agosto 2019, n. 21764). Essi, infatti, richiedono – secondo i ricorrenti – che l’attualizzazione avvenga secondo le seguenti modalità: “devalutazione dell’importo tabellare alla data del sinistro; successiva rivalutazione anno per anno secondo indice ISTAT; applicazione degli interessi legali sul totale annuo rivalutato di anno in anno”. Di qui, pertanto, il denunciato vizio di violazione e falsa applicazione di legge.

Assorbente, tuttavia, rispetto allo stesso vizio ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. si porrebbe quello motivazionale, poiché la decisione di procedere secondo il già descritto – ed erroneo – “modus operandi” risulta “affidata unicamente a massima giurisprudenziale” (quella di cui a Cass. Sez. 3, sent. 20 aprile 2020, n. 7948), che risulta “non conferente” – riguardando l’obbligazione risarcitoria da inadempimento contrattuale e non da illecito aquiliano – e “pure contraddittoria rispetto alle premesse logiche” del giudice di appello.

4. Ha resistito all’avversaria impugnazione con controricorso, Vi.As., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.

5. Sono rimasti solo intimati Ur.Se. e Nu.Ma., evocata in giudizio quale già legale rappresentante e socia accomandataria della società A.T.M., cancellata dal registro delle imprese.

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6. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..

7. Non consta la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati, ovvero solo in relazione al suo quinto motivo e per quanto di ragione.

9. In via preliminare, peraltro, deve rilevarsi che tutte le censure di “omesso esame” di fatti (presenti, in particolare, nei motivi primo, terzo e quarto) sono inammissibili, a norma dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ.

Al riguardo va, infatti, segnalato che – avendo gli odierni ricorrenti esperito gravame contro sentenza resa in prime cure in data 12 luglio 2017 – l’atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11 settembre 2012.

Orbene, siffatta circostanza determina l’applicazione “ratione temporis” dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. 26860, Rv. 63381701; in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonché Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in un caso – qual è quello presente – di cd. “doppia conforme di merito”, la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., salvo che la parte ricorrente non soddisfi l’onere, ciò che nella specie non risulta avvenuto, “di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lav., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01; Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2023, n. 5947, Rv. 667202-01). Dimostrazione, peraltro, che deve evidenziare l’esistenza di differenze sostanziali, dato che l’ipotesi di “doppia conforme” ricorre “non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice” (Cass. Sez. 6-2, ord. 9 marzo 2022, n. 7724, Rv. 664193-01).

9.1. Ciò premesso, il primo motivo di ricorso – che si articola in quattro diverse censure – risulta in parte non fondato e in parte inammissibile.

9.1.1. Non fondata è la censura – la prima – con cui si addebita alla sentenza impugnata di aver disatteso il valore di “piena prova” sia delle misurazioni effettuate dalla Polizia stradale, accorsa sul luogo del sinistro, e riportate nel verbale redatto nell’immediatezza dello stesso, sia delle “modalità di rilevamento ivi oggettivizzate e puntualmente descritte”.

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Invero, l’art. 2700 cod. civ. non è utilmente invocabile nel presente caso.

Difatti, con riferimento agli accertamenti espletati dall’autorità di pubblica sicurezza, “giunta sul luogo nell’immediatezza dell’incidente”, si è affermato – da parte di questa Corte – che “il particolare affidamento che si deve all’organo che li ha effettuati”, rende gli stessi “attendibili pur senza attribuire ad essi fede privilegiata” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 6 ottobre 2016, n. 20025, Rv. 642611-01) Analogamente, nel senso di ritenere che il rapporto di polizia faccia piena prova, fino a querela di falso, “solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un’attendibilità intrinseca”, (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 9 settembre 2008, n. 22662, Rv. 60468901), ma non efficacia probatoria privilegiata (in senso conforme anche Cass. Sez. 6-3, ord. 10 novembre 2022, n. 33208, non massimata).

9.1.2. Inammissibile, invece, è la seconda delle quattro censure articolate, ovvero quella che denuncia come “assolutamente incomprensibile” il percorso logico che ha portato la Corte territoriale ad affermare che “il riferimento fatto dal CTU non alla sagoma esterna del camper ma al mozzo ruota” non avrebbe avuto “nessuna effettiva incidenza sulla ricostruzione della posizione della parte anteriore del mezzo”. Secondo i ricorrenti, infatti, il “suddetto passaggio motivazionale “sarebbe smentito dal tenore dell’elaborato peritale”, donde il “conseguente malgoverno delle risultanze istruttorie di lite”.

Orbene, sul punto, deve ribadirsi che, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. – nel testo “novellato” dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01).

Il difetto di motivazione è, dunque, ipotizzabile solo nel caso in cui la parte motiva della sentenza risulti “meramente apparente”, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-0), o perché affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01). Ferma in ogni caso restando la necessità che il vizio “emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit.), vale a dire “prescindendo dal confronto con le risultanze processuali” (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata; in senso conforme, da ultimo, Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01).

Nella specie, proprio un confronto con le risultanze processuali (in particolare, quelle dell’espletata CTU) dovrebbe, secondo i ricorrenti, evidenziare il carattere incomprensibile della motivazione, sicché il vizio motivazionale denunciato non ha, come invece necessario, carattere “testuale”, nel senso di emergere direttamente dal testo della sentenza impugnata.

D’altra parte, neppure può sostenersi che il suddetto passaggio motivazionale sia “ex se” incomprensibile: la Corte veneziana, infatti, spiega le ragioni che l’hanno indotta a ritenere che “il riferimento fatto dal CTU non alla sagoma esterna del camper, ma al mozzo ruota non ha avuto nessuna effettiva incidenza sulla ricostruzione della posizione della parte anteriore del mezzo”. Essa, infatti, mostra di condividere quanto ritenuto già dal primo giudice, ovvero che fosse stato “l’autoarticolato a oltrepassare la propria corsia di marcia, prima con lo specchietto retrovisore destro, andato ad impattare contro lo sportello del Caravan, quindi con il rimorchio, travolgendo il To.Ma. e, per effetto della successiva deviazione a sinistra da parte del conducente Ur.Se., strisciando infine contro la fiancata del camper”.

Risarcimento del danno da fatto illecito e gli interessi c.d. compensativi

Quanto, poi, al “merito” di tale valutazione, esso è frutto di un giudizio di fatto, come tale non sindacabile in questa sede di legittimità.

9.1.3. Nuovamente inammissibile è la terza censura formulata con il presente motivo, giacché si risolve in poco più che un sofisma la pretesa di ricorrenti di non aver “riconosciuto”, ma (solo) “dato atto” che il “modus procedendi” adottato dall’ausiliario del giudice, sebbene “manifestamente illegittimo”, non avesse “avuto effettiva incidenza sulla ricostruzione della posizione della parte anteriore del mezzo”.

9.1.4. Infine, non fondata è la censura con cui si addebita alla Corte veneziana di aver “adottato una tecnica motivazionale ammessa per il solo Giudice di legittimità”.

Premesso che “non è carente di motivazione la sentenza che recepisce “per relationem” le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, ancorché si limiti a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini esperite e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione” (Cass. Sez. 6-3, ord. 14 febbraio 2019, n. 4352, Rv. 653010-01; in senso conforme Cass Sez. 1, sent. 13 ottobre 2020, n. 22056, Rv. 659275-01), non giova ai ricorrenti il riferimento all’arresto di questa Corte da essi citato (si tratta, come detto, di Cass. Sez. 3, sent. 5 maggio 2020, n. 8460, Rv. 657800-01).

Difatti, ciò che questa Corte ha inteso censurare, nella richiamata pronuncia, è l’enunciazione di quello che ha definito come “un manifesto programmatico” assunto dal giudice di appello “come regola per l’adempimento del suo dovere” decisorio, dichiaratamente ricalcato su principi “enunciati in sede di giudizio di legittimità” e, dunque, validi solo per l’esercizio “del controllo sulla decisione di merito impugnata con il ricorso pe Da cassazione”, destinato a svolgersi “entro confini ristretti, com’è consono alla natura del giudizio di cassazione, che è processo scritto innestato da una impugnazione a motivi limitati e tipizzati” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 8460 del 2020, cit.). In sostanza, non è stato il ricorso alla tecnica della motivazione “per reiationem” ciò che questa Corte ha inteso stigmatizzare, bensì “la logica programmatica” con cui la Corte territoriale aveva “ritenuto di espletare il suo compito di giudice d’appello”, vale a dire “come se avesse rivestito la funzione di giudice di legittimità e, quindi, come se avesse avuto i limiti di sindacato proprio del giudizio di cassazione” (Cass. Sez. 3, sent. n. 8460 del 2020, cit.).

Di tale “logica programmatica”, e, con essa, della pretesa del giudice di appello di rivalutare i fatti di causa “come se avesse avuto i limiti di sindacato proprio del giudizio di cassazione”, non vi è traccia, per vero, nella sentenza impugnata.

9.2. Il secondo motivo è inammissibile.

9.2.1. La denunciata violazione dell’art. 157, comma 7, cod. strada si fonda sull’assunto che To.Ma., nell’aprire lo sportello anteriore sinistro del proprio caravan, non avrebbe recato pericolo o intralcio per altri utenti della strada, giacché “non ha travalicato la linea di demarcazione della corsia di emergenza”, ma ciò, naturalmente, “ferme restando le doglianze relative all’illegittima riallocazione dei veicoli sulla scena del sinistro ad opera del CTU”.

In altri termini, il motivo di ricorso muove da un presupposto di fatto diverso da quello recepito dalla sentenza, secondo la quale l’ingombro dato dalla portiera del caravan si è collocato oltre tale linea di demarcazione.

Tanto basta per escludere che la censura prospettata possa ricondursi alla fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., se è vero che essa “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (“ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549 -02), e ciò in quanto il vizio di sussunzione “postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01). Ne consegue, quindi, che il “discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442); evenienza, quest’ultima, che ricorre nel caso di specie, visto che il presente motivo sollecita, in realtà, un apprezzamento delle risultanze istruttorie differente da quello operato dalla Corte veneziana.

In ogni caso, a prescindere da quello che fosse l’effettivo “ingombro” della corsia di marcia, determinato dall’apertura della portiera del caravan, resta il fatto che l’esecuzione di tale manovra – “in un contesto autostradale”, come sottolinea la sentenza “dove i veicoli transitano a velocità elevata e vi è la presenza di mezzi pesanti, soprattutto nella prima corsia di marcia” – richiedeva la verifica che essa non recasse “pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada”.

9.3. Il terzo motivo non è fondato.

9.3.1. Risulta, infatti, immune da vizi la decisione della Corte lagunare di ritenere inammissibile, in quanto “formulata per la prima volta in appello”, la domanda di risarcimento del danno (prima ancora che la documentazione volta a supportarla) consistente nella necessità di riparazione del caravan.

Vano è il tentativo dei ricorrenti di richiamarsi alla previsione di cui all’art. 345, comma 1, seconda alinea cod. proc. civ., giacché essa concerne i danni “sofferti” (e non già “quantificabili”) dopo la sentenza di primo grado. Invero, la necessità della riparazione del Caravan sussisteva dal momento del sinistro, sicché la relativa richiesta avrebbe dovuto essere formulata sin dal primo grado di giudizio, irrilevante essendo che la fattura attestante i costi per il ripristino (cioè a dire, il documento che ne consentirebbe la quantificazione) sia posteriore alla sentenza di primo grado.

Risarcimento del danno da fatto illecito e gli interessi c.d. compensativi

Sotto questo profilo, dunque, non è inutile ricordare che la previsione di cui all’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 345 cod. proc. civ. costituisce una deroga al generale divieto di “nova” in appello, il quale, a propria volta, “risponde al principio di ordine pubblico di garantire l’esigenza del rispetto del doppio grado di giurisdizione” (cfr., tra le molte, Cass. Sez. 2, sent. 24 novembre 2008, n. 27890, Rv. 605623-01), ciò che quindi rende del tutto irrilevante la circostanza che la società di assicurazione nulla abbia dedotto – se non, tardivamente, con la comparsa conclusionale – su tale domanda, atteso che il suddetto divieto è posto a salvaguardia di esigenza di carattere generale.

Quella invocata dai ricorrenti è, dunque, “norma eccezionale” (Cass. Sez. 2, sent. 30 luglio 1990, n. 7656, Rv. 468431-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 25 agosto 1962, n. 2666, Rv. 253974-01), prevista al solo fine di “evitare il frazionamento dei giudizi” (Cass. Sez. 3, sent. 15 marzo 2006, n. 5678, Rv. 58810701), da interpretare restrittivamente, sicché “la domanda di risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza è ammissibile in grado d’appello solo se nel giudizio di primo grado sia stata proposta un’azione di danni e gli ulteriori danni richiesti in appello trovino la loro fonte nella stessa causa e siano della stessa natura di quelli già accertati in primo grado”, con l’ulteriore conseguenza che la “nuova pretesa, se priva di tali essenziali e restrittivi requisiti, implicando nuove indagini in ordine alle ragioni poste a base della domanda iniziale e ampliamento del relativo “petitum”, costituisce inammissibile domanda nuova” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 3 marzo 2010, n. 5067, Rv. 611584-01).

9.4. Il quarto motivo – che concerne un particolare profilo che attiene alla liquidazione delle spese di lite – resta assorbito dall’accoglimento del quinto motivo.

Difatti, la “cassazione della sentenza di appello travolge la pronuncia sulle spese di secondo grado, perché in tal senso espressamente disposto dall’art. 336, comma 1, cod. proc. civ., sicché il giudice del rinvio ha il potere di rinnovare totalmente la relativa regolamentazione alla stregua dell’esito finale della lite” (Cass. Sez. 3, sent. 14 marzo 2016, n. 4887, Rv. 639295-01).

9.5. Il quinto motivo è, invece, fondato, per quanto di ragione.

9.5.1. Erra la sentenza impugnata, là dove afferma che non risultava censurabile “la decisone del Tribunale di operare la quantificazione dei suddetti importi” – ovvero, quelli riconosciuti in favore dei congiunti di To.Ma., in ragione del decesso dello stesso – “all’attualità, e quindi non rivalutabili, e già comprensivi degli interessi compensativi”. Difatti, mentre è corretta la decisione di non procedere alla “rivalutazione”, essendo stata quantificata “all’attualità” la somma dovuta a titolo di risarcimento (sicché non avrebbe avuto ragione d’essere la funzione di “reintegrazione” del valore del bene perduto, propria della rivalutazione), gli interessi dovevano essere autonomamente conteggiati, data la loro differente funzione “compensativa” del pregiudizio (ulteriore, oltre a quello costituito dalla lesione del diritto cagionata dall’illecito) consistente nel ritardato pagamento della somma che esprime in termini monetaria l’entità del danno subito.

Questa Corte ha, invero, costantemente affermato che “ai fini dell’integrale risarcimento del danno conseguente a fatto illecito sono dovuti sia la rivalutazione della somma liquidata ai valori attuali, al fine di rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, che deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale” (e alla quale, naturalmente, non si fa luogo se la somma risulta liquidata dal giudice già al valore “attuale” del bene perduto), “sia gli interessi compensativi sulla predetta somma, che sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito” (tra le molte, Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11899, Rv. 640204-01).

Affermazioni, queste, ancora di recente ribadite, essendosi sottolineato che gli “interessi “compensativi” (o risarcitori), in effetti, sono gli interessi dovuti dal debitore in caso di credito al risarcimento del danno extracontrattuale (che, in quanto illiquido, non consente la decorrenza degli interessi di pieno diritto) sulle somme liquidate a tale titolo, con decorrenza dalla maturazione del diritto, e cioè dal momento del fatto illecito (art. 1219, comma 2, n. 1, cod. civ.), fino al passaggio in giudicato della sentenza che decide sulla loro liquidazione” e ciò “in funzione compensativa del pregiudizio subito dal creditore per il tardivo conseguimento della somma corrispondente all’equivalente pecuniario dei danni subiti, dei quali, quindi, costituiscono, al pari della rivalutazione monetaria, una componente (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, ord. 10 dicembre 2012, n. 39376, Rv. 663173-01), sempre che, beninteso, “una domanda di liquidazione degli stessi sia stata formulata”. (Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2023, n. 4938, Rv. 667257-01).

10. In conclusione, va accolto solo il quinto motivo di ricorso, dichiarando assorbito il quarto e rigettando il ricorso per il resto, sicché la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa sezione e composizione, per la decisione nel merito e sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità, alla stregua del seguente principio di diritto:

“sulla somma dovuta a titolo di risarcimento danni da illecito aquiliano, ancorché liquidata all’attualità, vanno sempre conteggiati – purché in presenza di specifica domanda – gli interessi c.d. “compensativi”, con decorrenza dal momento dell’illecito”.

Risarcimento del danno da fatto illecito e gli interessi c.d. compensativi

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, dichiarando assorbito il quarto e rigettando il ricorso per il resto, cassando in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa sezione e composizione, per la decisione nel merito e sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 20 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2024.

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