In ipotesi di abusiva costruzione su terreno demaniale

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|23 febbraio 2024| n. 4914.

In ipotesi di abusiva costruzione su terreno demaniale

In ipotesi di abusiva costruzione su terreno demaniale, il positivo completamento della procedura di rilascio della concessione in sanatoria prevista dall’art. 32 della l. n. 47 del 1985. da accertarsi dal giudice di merito secondo i normali criteri di interpretazione dei contratti e degli atti amministrativi, supera l’originario difetto del titolo autorizzativo alla realizzazione del manufatto eretto dal privato su area di proprietà pubblica di talché al rilascio della concessione in sanatoria concernente un manufatto eretto su area demaniale consegue la configurabilità, in capo al soggetto che la ottenga, di un diritto reale sul bene, declinabile in termini di proprietà superficiaria, con esclusione dell’operatività del criterio dell’accessione.

Sentenza|23 febbraio 2024| n. 4914. In ipotesi di abusiva costruzione su terreno demaniale

Data udienza 16 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Superficie – In genere (nozione, caratteri, distinzioni) abusiva costruzione su terreno demaniale – Completamento procedura di rilascio della concessione in sanatoria ex art. 32 della l. n. 47 del 1985 – Conseguenze – Proprietà superficiaria del privato – Accessione ex art. 934 c.c. – Esclusione.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso 8918-2019 proposto da:

Me. DI Ga.Ma. & C. Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Si.Ca. e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (…), presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2675-2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23-10-2018;

udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere Oliva;

udito il P.G., nella persona del dott. FULVIO TRONCONE;

uditi l’avv. Ma.Gi.è, in sostituzione dell’avv. Si.Ca., per la parte ricorrente e l’Avvocatura Generale dello Stato, per la parte controricorrente

In ipotesi di abusiva costruzione su terreno demaniale

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 19.9.2008 la società Me. di St.Ro. e C. Snc evocava in giudizio l’Agenzia del Demanio innanzi il Tribunale di Bologna, invocando la nullità ed inefficacia della clausola di cui all’art. 6 dell’atto di concessione sottoscritto in data 10.6.2008, contenente il riconoscimento della proprietà di un chiosco in capo al Ministero dell’Economia e Finanze, e la rideterminazione del canone, con riferimento al solo terreno, e non anche al manufatto su di esso insistente. La società attrice assumeva, in particolare, che il chiosco, eretto su area demaniale, era di sua proprietà superficiaria.

Nella resistenza della parte convenuta il Tribunale, con sentenza n. 1473-2014, rigettava la domanda.

Con la sentenza impugnata, n.2675-2018, la Corte di Appello rigettava il gravame interposto dall’originaria parte attrice avverso la decisione di prima istanza, confermandola.

Propone ricorso per la cassazione di tale pronuncia la società Me. di Ga.Ma. & C. Snc, affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia del Demanio.

Il ricorso, chiamato una prima volta all’adunanza camerale del 14.10.2020, in prossimità della quale la parte ricorrente aveva depositato memoria, è stato rinviato a nuovo ruolo con ordinanza interlocutoria n. 9640 del 2021, per essere trattato in pubblica udienza.

Con istanza datata 15.12.2020, la parte ricorrente ha invocato la sospensione del presente giudizio di legittimità, ai sensi di quanto previsto dall’art. 100, comma decimo, del D.L. n. 104 del 2020, convertito in legge n. 126 del 2020, in quanto era stata presentata la domanda di definizione agevolata prevista dalla predetta disposizione.

In prossimità dell’udienza all’udienza pubblica del 16.1.2024 ambo le parti hanno depositato memoria. Alla stessa sono comparsi l’avv. Ma.Gi.è, in sostituzione dell’avv. Si.Ca., per la parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, l’Avvocatura Generale dello Stato, per la parte controricorrente, che ha concluso per il rigetto, ed il P.G., che ha concluso per l’accoglimento.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

Prima di esaminare i motivi del ricorso va scrutinata l’istanza di sospensione del presente giudizio di legittimità, proposta dalla società ricorrente con istanza del 15.12.2020, ai sensi di quanto previsto dall’art. 100, comma decimo, del D.L. n. 104 del 2020, convertito in legge n. 126 del 2020.

La stessa va rigettata, in quanto la disposizione invocata dalla società ricorrente si riferisce ai procedimenti concernenti il pagamento dei canoni di concessione demaniale; ipotesi, questa, che non ricorre nel caso di specie, avendo la Corte di Appello dato atto che la domanda di rideterminazione del canone, originariamente proposta in prime cure, era poi stata rinunciata (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Tale statuizione, non attinta da specifico motivo di ricorso, implica che al presente ricorso non si applica la normativa speciale dianzi richiamata.

Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 32 della legge n. 47 del 1985, 34 e 52 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la configurabilità della proprietà superficiaria del chiosco oggetto di causa nonostante il rilascio, da parte del Comune territorialmente competente, per lo stesso, di una concessione edilizia in sanatoria, con conseguente applicazione del regime previsto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985.

Con il secondo motivo, invece, la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 952 e 934 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale non avrebbe dovuto ritenere operante il criterio dell’accessione, in presenza del completamento della procedura di sanatoria ex art. 32 della legge n. 47 del 1985, di cui anzidetto.

In ipotesi di abusiva costruzione su terreno demaniale

Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono fondate.

L’art. 32, quinto comma, della legge n. 47 del 1985, prevede testualmente che “Per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione. La disponibilità all’uso del suolo, anche se gravato di usi civici, viene espressa dallo Stato o dagli enti pubblici territoriali proprietari entro il termine di centottanta giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità all’uso del suolo deve essere limitata alla superficie occupata dalle costruzioni oggetto della sanatoria e alle pertinenze strettamente necessarie, con un massimo di tre volte rispetto all’area coperta dal fabbricato. Salve le condizioni previste da leggi regionali, il valore è stabilito dalla filiale dell’Agenzia del demanio competente per territorio per gli immobili oggetto di sanatoria ai sensi della presente legge e dell’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, con riguardo al valore del terreno come risultava all’epoca della costruzione aumentato dell’importo corrispondente alla variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, al momento della determinazione di detto valore. L’atto di disponibilità, regolato con convenzione di cessione del diritto di superficie per una durata massima di anni sessanta, è stabilito dall’ente proprietario non oltre sei mesi dal versamento dell’importo come sopra determinato”.

La norma, pertanto, prevede espressamente che, per gli immobili edificati su suolo di proprietà pubblica, la concessione in sanatoria possa essere rilascia dal Comune territorialmente competente soltanto a condizione che l’ente pubblico proprietario dell’area esprima, entro 180 giorni dalla richiesta dell’interessato, la disponibilità alla concessione in uso a titolo oneroso dello spazio occupato dal sedime dell’opera realizzata senza titolo e che venga sottoscritta tra le parti una convenzione della durata massima di anni sessanta. Nel caso di specie la Corte di Appello ha espressamente affermato che “… il dante causa della società attrice, Fa.Gi., aveva ottenuto dal Comune di Cattolica il rilascio di una concessione in sanatoria ai sensi della legge 28.2.1985 n. 47 del chiosco bar realizzato sull’area demaniale marittima, precedentemente data in concessione a Za.Ro. e per ottenere tale sanatoria aveva richiesto la dichiarazione di disponibilità all’uso del suolo prevista dall’art. 32 della legge n. 47-1985, disponibilità che gli era stata concessa dal Ministero delle Finanze, Dipartimento del Territorio Sezione staccata di Forlì con atto prot. n. 7439-94 del 1 marzo 1995. Rilasciata la sanatoria, come previsto dall’art. 35 della legge 47-1985, il chiosco era stato iscritto a catasto in proprietà superficiaria 1-1 a nome della soc. Me.” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). Vi è quindi un accertamento di fatto, condotto dal giudice di merito, attestante il completamento della procedura di sanatoria in termini coerenti con quanto previsto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985. Nonostante questo, la Corte di Appello non ha svolto alcuna indagine in relazione all’esistenza, in concreto, della convenzione di cessione del diritto di superficie prevista dall’art. 32, quinto comma, della legge n. 47 del 1985; circostanza, questa, non pacifica, in quanto contestata della Agenzia del Demanio (cfr. pag. 7 del controricorso). Al contrario, il giudice di secondo grado ha ritenuto sussistere non già la proprietà superficiaria del soggetto che, avendo realizzato il manufatto, ne aveva ottenuto la regolarizzazione all’esito della procedura di sanatoria descritta dalla legge, bensì quella demaniale, in virtù del principio generale dell’accessione, valorizzando al riguardo le risultanze della circolare n. 412 del 1985 del Ministero delle Finanze, che è evidentemente fonte normativa certamente sottordinata rispetto alla legge.

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In tal modo, la Corte distrettuale ha violato l’ordine di graduazione delle fonti del diritto, attribuendo ad una norma secondaria valore derogatorio, ed anzi sostanzialmente abrogativo, di una norma primaria; risulta di conseguenza violato il già richiamato art. 32 della legge n. 47 del 1985, poiché l’esito della peculiare procedura di sanatoria disciplinato dalla predetta disposizione non può che essere quello di assicurare al privato che la ha promossa il conseguimento della proprietà superficiaria del manufatto originariamente eretto in assenza di titolo autorizzativo.

In tal senso, va ribadito il principio per cui “Il codice della navigazione non contiene una specifica disciplina in materia di costruzioni autorizzate sul suolo demaniale, sicché, in virtù del rinvio di cui all’art. 1, operano in materia le norme del codice civile sul diritto di superficie, in base alle quali colui che costruisce acquista la proprietà superficiaria a titolo originario. In particolare, si tratta di un diritto di consistenza reale ma temporaneo, in quanto ha la stessa limitata durata della concessione del bene demaniale, su cui insiste il fabbricato, e si estingue, a norma dell’art. 953 c.c., con la revoca della concessione (nei confronti di tutti i contitolari della concessione) o per la scadenza del termine di durata della stessa, con conseguente incremento per accessione della proprietà del dominus soli (nella specie, un comune)” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 1324 del 13-02-1997, Rv. 502390; negli stessi termini, cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1718 del 26-01-2007, Rv. 595666, secondo cui “Il diritto del concessionario di uno stabilimento balneare, il quale abbia ottenuto, nell’ambito della concessione demaniale, anche il riconoscimento della facoltà di edificare e mantenere sulla spiaggia una costruzione, più o meno stabile, e consistente in vere e proprie strutture edilizie o assimilate (sale ristoranti, locali d’intrattenimento o da ballo, caffè, spogliatoi muniti di servizi igienici e docce, etc.), integra una vera e propria proprietà superficiaria, sia pure avente natura temporanea e soggetta ad una peculiare regolazione in ordine al momento della sua modificazione, cessazione o estinzione”; nonché, in senso conforme al precedente da ultimo richiamato, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9935 del 16-04-2008, Rv. 602458; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21287 del 07-08-2008, Rv. 604255; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3761 del 18-02-2014, Rv. 630052; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 263 del 12-01-2016, Rv. 638821; nonché Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 21222 del 13-09-2017, Rv. 645305 concernente la posizione dell’ATER, concessionaria di aree espropriate dai comuni per la realizzazione di programmi di edilizia residenziale pubblica, ai sensi dell’art. 10 della L. n. 167 del 1962, come sostituito dall’art. 35 della L. n. 865 del 1971).

In ipotesi di abusiva costruzione su terreno demaniale

Va dunque considerato che il positivo completamento della procedura di rilascio della concessione in sanatoria prevista dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985 supera l’originario difetto del titolo autorizzativo alla realizzazione del manufatto eretto dal privato su area di proprietà pubblica, e rende quindi la posizione del soggetto che la consegua assolutamente coincidente con quella di chi abbia avuto ab origine un titolo idoneo a realizzare un’opera su area ricevuta in concessione dall’ente pubblico che ne sia proprietario. Di conseguenza, al rilascio della concessione in sanatoria concernente un manufatto eretto su area demaniale consegue la configurabilità, in capo al soggetto che la ottenga, di un diritto reale sul bene, declinabile in termini di proprietà superficiaria.

Sul punto, va infatti ribadito l’ulteriore principio, egualmente affermato da questa Corte, secondo cui “La concessione amministrativa su beni demaniali o su beni indisponibili, al di fuori dei casi in cui la legge, esplicitamente o attraverso la specifica regolamentazione adottata, abbia predeterminato la natura del diritto conferito al concessionario, non attribuisce necessariamente a quest’ultimo diritti di consistenza reale, ma può attribuire anche diritti assimilabili a quelli personali di godimento non esclusi della previsione dell’art. 823 c.c. e pienamente compatibili con i poteri d’imperio dell’ente concedente a tutela dell’interesse pubblico. Peraltro, al fine di stabilire nel singolo caso se a favore del concessionario sia stato costituito un diritto di natura reale o personale, occorre accertare, con indagine da compiersi dal giudice del merito secondo i normali criteri di interpretazione dei contratti e degli atti amministrativi, l’effettiva e concreta consistenza di quel diritto sulla base dell’intero contenuto della convenzione e delle sue clausole, nonché del provvedimento amministrativo di concessione” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5842 del 24-03-2004, Rv. 571466; in termini, cfr. anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9938 del 16-04-2008, Rv. 602651, secondo cui la detta indagine va compiuta anche “ai fini della soggezione all’imposta comunale sugli immobili”; nonché Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24498 del 20-11-2009, Rv. 610356, secondo cui “… per stabilire se il provvedimento amministrativo, qualificabile come concessione ad aedificandum, sia costitutivo di un diritto reale di superficie, con conseguente imponibilità, ovvero di un diritto avente natura meramente personale, configurabile ai sensi dell’art. 1322 c.c., assume rilievo decisivo la destinazione dell’opera costruita dal concessionario al momento della cessazione del rapporto, atteso che, se essa torna nella disponibilità del concedente, si è in presenza di un rapporto obbligatorio, mentre, se essa passa in proprietà del concessionario, il diritto in virtù del quale questi l’ha realizzata ha sicuramente la natura reale del diritto di superficie”; nonché, conforme a tale ultimo precedente, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12798 del 21-06-2016, Rv. 640162; ed infine, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15479 del 30-06-2010, Rv. 613880 secondo cui l’assoggettabilità del concessionario di beni demaniali all’obbligo di versamento dell’ICI “… presuppone che la concessione gli attribuisca uno ius aedificandi, costituente un quid pluris rispetto alla normale utilizzazione del bene demaniale, consentendogli la realizzazione di un’opera che passi in sua proprietà al momento della cessazione del rapporto, con insorgenza, a titolo originario, di una proprietà superficiaria separata dal suolo, mentre va esclusa se dalla concessione nascano diritti di natura obbligatoria, come quando la stessa riguardi l’uso di un immobile già esistente di proprietà demaniale, in quanto, in tal caso, le modalità di utilizzazione, mantenimento e restituzione del bene coincidono con le statuizioni della concessione e si esauriscono in essa, per cui l’atto è inidoneo a comprimere la latitudine originaria del diritto dell’ente pubblico sul bene demaniale e ad attribuire al terzo i poteri reali derivanti dalla costituzione di usufrutto, potendosi raggiungere tale risultato solo con il venir meno della natura demaniale del bene, ove non pertinente al demanio necessario, ed un successivo specifico atto di costituzione di usufrutto da parte dell’ente divenuto proprietario non qualificato”).

Il necessario coordinamento tra i principi appena richiamati impone al giudice di merito di interpretare il contenuto della concessione demaniale, ov’essa esista, per stabilire se l’attività edilizia realizzata dal concessionario possa essere, o meno, configurata in termini di quid pluris rispetto alla normale utilizzazione del bene demaniale che gli è stato concesso in uso. Nel caso di specie, tale indagine andava condotta tenendo anche conto che la concessione, ab origine, non esisteva; la Corte di Appello, quindi, avrebbe dovuto verificare se, tenendo conto della natura dell’area interessata dall’attività edilizia e dalla consistenza di quest’ultima, la stessa potesse essere ritenuta rientrante nella normale utilizzazione dello spazio oggetto di causa, o meno. Nel primo caso, la posizione del soggetto che ha realizzato il manufatto, o ne ha comunque la disponibilità, avrebbe dovuto essere configurata in termini di diritto personale di godimento, mentre nel secondo caso, per effetto del positivo completamento dell’iter di sanatoria di cui al già richiamato art. 32 della legge n. 47 del 1985, la stessa meritava di essere apprezzata in termini di proprietà superficiaria.

In ipotesi di abusiva costruzione su terreno demaniale

La Corte di Appello, anziché svolgere il predetto accertamento, ha ritenuto applicabile sic et simpliciter l’art. 934 c.c., in tal modo non confrontandosi con i principi appena richiamati, e violando l’ordine di graduazione delle fonti del diritto, avendo valorizzato una norma secondaria in funzione derogatoria di una disposizione di rango primario.

Inoltre, la Corte distrettuale ha ulteriormente errato nel richiamare il principio dell’irrilevanza delle risultanze catastali ai fini della configurazione del diritto di proprietà superficiaria di cui anzidetto (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Nel caso di specie, infatti, la sussistenza di un diritto reale, o la sua assenza, non dipende affatto dalle risultanze catastali, bensì dall’apprezzamento della natura dei luoghi, della consistenza dell’attività edilizia di cui si discute e dalla verifica del positivo completamento dell’iter di sanatoria di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985. Il giudice del rinvio dovrà dunque procedere ad una nuova valutazione della fattispecie, da condurre nel rispetto dei criteri sin qui evidenziati, verificando, all’esito, la coerenza dele risultanze catastali, che indicano la proprietà superficiaria in capo alla società ricorrente, come già accertato dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 7 della stessa).

Il terzo motivo, con il quale la parte ricorrente lamenta la violazione delle disposizioni di cui ai DD.MM. n. 140 del 2012 e n. 55 del 2014, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente governato le spese di lite, è assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi del ricorso.

In definitiva, vanno accolti i primi due motivi del ricorso e va dichiarato assorbito il terzo. La sentenza impugnata va quindi cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Bologna, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità. Il giudice del rinvio verificherà se, nel caso di specie, sussiste la convenzione di cessione del diritto di superficie prevista e disciplinata dall’art. 32, quinto comma, della legge n. 47 del 1985 e se quindi si è perfezionata la speciale procedura di sanatoria regolata dalla norma speciale appena richiamata, traendo poi da tale accertamento le dovute conseguenze in relazione alla configurabilità o meno, in favore della società odierna ricorrente, della proprietà superficiaria del chiosco oggetto di causa.

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P.Q.M.

la Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Bologna, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 16 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2024.

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