Nel comodato a tempo indeterminato il termine di prescrizione del diritto alla restituzione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 31434.

Nel comodato a tempo indeterminato il termine di prescrizione del diritto alla restituzione

Nel comodato a tempo indeterminato il termine di prescrizione del diritto del comodante alla restituzione della cosa inizia a decorrere da quando resta inadempiuta la richiesta di restituzione.

Ordinanza|| n. 31434. Nel comodato a tempo indeterminato il termine di prescrizione del diritto alla restituzione

Data udienza 27 ottobre 2023

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. ROLFI Federico – rel. Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11394/2022 R.G. proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO MILANO n. 314/2022 depositata il 01/02/2022;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 27/10/2023 dal Consigliere Dott. Federico Rolfi.

Nel comodato a tempo indeterminato il termine di prescrizione del diritto alla restituzione

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 1 febbraio 2022, la Corte d’appello di Milano ha respinto sia l’appello principale sia l’appello incidentale, proposti, rispettivamente, da (OMISSIS) e (OMISSIS) (anche nella veste di eredi di (OMISSIS)), da una parte, e dalla societa’ (OMISSIS) S.R.L., dall’altra, avverso la sentenza n. 46/2021 depositata dal Tribunale di Lodi in data 21 gennaio 2021.

2. (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano convenuto innanzi il Tribunale di Lodi la societa’ (OMISSIS) S.R.L. chiedendo accertarsi che (OMISSIS) – deceduto nel (OMISSIS) – e (OMISSIS) avevano acquistato per usucapione la proprieta’ di due appartamenti, siti in (OMISSIS), e per l’esattezza: (OMISSIS) l’appartamento situato al piano rialzato, oltre alla cantina e al box di pertinenza; (OMISSIS) l’appartamento posto al primo piano, oltre alla cantina e al box di pertinenza.

Si era costituita la convenuta (OMISSIS) S.R.L., la quale aveva concluso chiedendo non solo di rigettare le domande attoree ma anche, in via riconvenzionale, di accertare l’occupazione sine titulo degli immobili da parte degli attori e la condanna dei medesimi sia al rilascio degli immobili medesimi sia al pagamento di una penale convenzionalmente pattuita.

3. Il Tribunale di Lodi aveva disatteso la domanda principale, accogliendo invece quella riconvenzionale – seppur riducendo la penale pattuita – e gravando gli attori delle spese di lite.

A tale esito il Tribunale era pervenuto ritenendo che dalle prove era emerso che:

– con atto di compravendita del (OMISSIS), (OMISSIS) aveva venduto alla (OMISSIS) S.R.L. l’immobile sito in (OMISSIS), composto da due appartamenti (uno al piano rialzato e uno al piano primo), due cantine e due box, posti al piano seminterrato (doc. 1 parte attrice);

– all’epoca della compravendita, i fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) occupavano l’appartamento situato al piano rialzato, oltre alla cantina e al box di pertinenza, mentre i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) occupavano l’appartamento posto al primo piano, oltre alla cantina e al box di pertinenza;

– con scrittura privata del (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si impegnavano a rilasciare i predetti immobili, a favore della (OMISSIS) S.r.l, entro e non oltre il (OMISSIS);

– in caso di inottemperanza, la clausola pattuita con il contratto di compravendita impegnava i soli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento di una somma pari a Lire 300.000 (trecentomila) per ogni giorno di ritardo;

– alla data del (OMISSIS) i due immobili non erano stati liberati ed anzi, dopo la morte dei fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) aveva continuato ad occupare l’appartamento posto al piano rialzato, fino alla data della sua morte, avvenuta il (OMISSIS), cosi’ come (OMISSIS) aveva continuato ad occupare l’immobile sino ad (OMISSIS), quando si era trasferita di residenza – stipulando un contratto di comodato con la societa’ (OMISSIS) S.R.L. – ma continuando ad avere le disponibilita’ dell’immobile.

Il Tribunale aveva quindi concluso che l’occupazione da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) era iniziata come mera detenzione, in quanto in seguito alla compravendita, la societa’ (OMISSIS) S.R.L. aveva consentito agli attori di continuare ad abitare gli immobili e questi, con scrittura privata del (OMISSIS), si erano impegnati a rilasciare gli immobili il (OMISSIS).

Il Tribunale aveva quindi escluso che il mero utilizzo del bene oltre il termine fissato per il rilascio venisse a costituire mutamento di detenzione in possesso utile ad usucapionem.

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Disattesa la domanda principale di accertamento dell’acquisto per usucapione, il Tribunale aveva accolto la domanda riconvenzionale di condanna al rilascio degli immobili mentre, quanto alla domanda di condanna al pagamento della penale, aveva rilevato che l’impegno al pagamento della penale contenuto nella scrittura del (OMISSIS) era stato assunto dai soli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), conseguentemente respingendo la domanda nei confronti di (OMISSIS) e condannando il solo (OMISSIS), previa riduzione della penale, in quanto ritenuta manifestamente sproporzionata.

3. Nell’esaminare i motivi di appello, per quel che rileva ancora nella presente sede, la Corte ha:

– disatteso il primo motivo di appello – con il quale gli appellanti si dolevano del mancato accoglimento della domanda di usucapione e deducevano che, in virtu’ della mancata consegna degli immobili, non si erano compiuti gli effetti della compravendita – osservando che, ex articolo 1376 c.c., l’effetto traslativo si era realizzato con il semplice consenso e che, anche alla luce della scrittura del (OMISSIS), la societa’ appellata aveva acquistato il possesso degli immobili e quindi concludendo che il giudice di prime cure aveva correttamente qualificato la situazione degli appellanti come mera detenzione ed aveva quindi disatteso la domanda di accertamento dell’usucapione per assenza di prova di mutamento della detenzione in possesso;

– disatteso parimenti i due motivi di appello – con i quali gli appellanti si dolevano dell’accoglimento, da parte del giudice di prime cure, di una domanda di rivendicazione non formulata dall’appellata, la quale aveva invece formulato domanda di rilascio, da ritenersi peraltro prescritta – rilevando che il Tribunale aveva in realta’ effettivamente accolto una domanda di rilascio fondata sul fatto che la detenzione degli appellanti era da ricondursi ad un comodato precario, con la conseguenza che il rifiuto degli appellanti di restituire gli immobili aveva reso la detenzione sine titulo, legittimando la domanda di rilascio;

– disatteso, in virtu’ del rigetto degli altri motivi, anche il motivo di gravame con il quale gli appellanti censuravano la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva accolto la domanda riconvenzionale di condanna al pagamento della penale, rilevando che tale motivo era stato formulato dagli appellanti subordinatamente all’accoglimento del secondo motivo di gravame.

4. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorrono ora (OMISSIS) e (OMISSIS).

Resiste con controricorso la societa’ (OMISSIS) S.R.L..

5. La trattazione del ricorso e’ stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’articolo 375 c.p.c., comma 2, e articolo 380 bis.1 c.p.c..

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CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ affidato a tre motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione degli articoli 1140, 1141, 1158, 1164, 1362 segg., articoli 1453 segg., articoli 2727, 2728 e 2697 c.c. e dell’articolo 115 c.p.c..

I ricorrenti impugnano la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui ha disatteso il gravame concernente la domanda di accertamento dell’usucapione ritenendo che non fosse stato provato il mutamento della detenzione in possesso.

Argomentano i ricorrenti che, poiche’ con la compravendita del (OMISSIS) non era stato trasferito il possesso materiale e giuridico dell’immobile, rimasto sempre in capo all’originario venditore ed agli occupanti dell’immobile – e cio’ sia perche’ “la scrittura privata del (OMISSIS), quale presunzione di concessione di titolo detentivo, e’ solo una dichiarazione unilaterale degli occupanti possessori, che deve essere letta in combinato disposto con il contratto di compravendita collegato, nonche’ un riconoscimento da parte del venditore del possesso da parte di altri soggetti oltre al venditore, i quali si sarebbero impegnati tutti al rilascio dell’immobile in forza del possesso esercitato” sia perche’ la consegna degli immobili avrebbe dovuto avvenire il (OMISSIS) – la societa’ (OMISSIS) S.R.L. non avrebbe potuto concedere in detenzione l’immobile, non avendo di fatto la possibilita’ di disporne materialmente.

Deducono, conseguentemente, che la Corte ambrosiana avrebbe dovuto accertare l’avvenuta usucapione in forza del possesso nec vi nec clam nec precario “esercitato e mai perso, per oltre 20 anni dagli odierni appellanti, anche per il tramite dei loro danti causa”.

2.2. Il motivo e’ infondato.

Si deve rilevare che la rubrica del motivo viene a richiamare una nutrita serie di previsioni normative senza pero’ poi sviluppare in concreto tangibili argomentazioni in ordine alla loro violazione.

Si tratta di un richiamo generico, contrastante con il principio, piu’ volte affermato da questa Corte, per cui il vizio della sentenza previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilita’ del motivo giusta la disposizione dell’articolo 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimita’, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).

Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilita’ della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che e’ tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).

Ne’ a simile valutazione di inammissibilita’ si sottrae la deduzione della violazione degli articoli 1362 c.c. e segg., dovendosi rammentare che il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 c.c. e segg., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017), e cio’ perche’ l’interpretazione accolta nella decisione impugnata non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 28319 del 28/11/2017).

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Nel caso in esame, detti canoni non risultando rispettati dall’articolazione del ricorso, il quale, peraltro, giunge nelle proprie argomentazioni a dedurre una vera e propria – irrilevante – riserva mentale che avrebbe caratterizzato l’impegno unilaterale scritto del (OMISSIS) (pag. 21 del ricorso).

Affermata, quindi, la necessita’ di delimitare l’esame del ricorso entro il tema della violazione o falsa applicazione delle previsioni di legge oggetto di effettiva illustrazione da parte della ricorrente – e quindi, in definitiva, agli articoli 1140, 1141, 1158, 1164 c.c. – si deve rilevare che questa Corte ha costantemente affermato il principio per cui non e’ ravvisabile un costituto possessorio implicito nel negozio traslativo del diritto di proprieta’ o di altro diritto reale, nel senso che ad esso segua automaticamente il trasferimento del possesso della cosa all’acquirente, poiche’ tale trasferimento rappresenta, ai sensi dell’articolo 1476 c.c., l’oggetto di una specifica obbligazione del venditore, per la quale non sono previste forme tipiche, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui l’alienante trattenga la cosa presso di se’, occorre accertare caso per caso, in base al comportamento delle parti ed alle clausole contrattuali che non siano di mero stile, se la continuazione, da parte dell’alienante stesso, dell’esercizio del potere di fatto sulla cosa sia accompagnata dall’animus rem sibi habendi ovvero configuri una detenzione nomine alieno (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6893 del 24/03/2014; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6331 del 18/04/2003; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12621 del 21/12/1993).

Il persistente godimento della cosa compravenduta, da parte dell’alienante che non abbia provveduto a consegnarla, quindi, puo’ integrare possesso, idoneo al riacquisto della proprieta’ per usucapione, ove non risulti, anche alla stregua dei patti contrattuali, la ricorrenza di una mera detenzione nomine alieno (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1049 del 27/02/1989) ma, in detta situazione, la ricorrenza del requisito soggettivo dell’animus rem sibi habendi postula un inequivoco comportamento del possessore, che evidenzi il suo intento di considerarsi e farsi considerare ancora come titolare del diritto dominicale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 242 del 22/01/1985), fermo restando che l’indagine diretta a tale scopo implica l’accertamento, caso per caso, della volonta’ delle parti, svolto in base alle clausole contrattuali, nonche’ al comportamento dei soggetti successivo al contratto, e costituisce quindi un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimita’ se correttamente e congruamente motivato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6095 del 24/06/1994).

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A tali principi la Corte d’appello di Milano risulta essersi pienamente conformata.

Se, infatti, non era possibile affermare che la societa’ odierna controricorrente con la compravendita aveva automaticamente acquistato il possesso; e se, parimenti, risultava necessario verificare nel concreto se la conservazione da parte del venditore del potere di fatto sulla cosa fosse accompagnata dall’animus rem sibi habendi, ovvero configurasse una detenzione nomine alieno, vi e’ tuttavia da rilevare che la Corte territoriale – con valutazione che e’ adeguatamente e logicamente motivata sulla scorta delle prove e che non appare sindacabile in questa sede – ha ritenuto che la scrittura a latere, con la quale i venditori si erano impegnati a consegnare gli immobili entro il (OMISSIS), veniva a configurare – per ammissione stessa dei dichiaranti, non certo neutralizzabile con le gia’ richiamate argomentazioni dei ricorrenti medesimi circa la sussistenza di una sorta di riserva mentale – la persistente materiale disponibilita’ di quanto venduto come mera detenzione e non come possesso.

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Correttamente, quindi, la Corte territoriale – sulla scorta di un impegno che, per le sue caratteristiche in alcun modo puo’ essere qualificato mera clausola di stile, attesa anche la presenza di un impegno al pagamento di una penale – ha ritenuto che la persistente disponibilita’ degli immobili non potesse qualificarsi come situazione possessoria e non potesse, conseguentemente, fondare un successivo acquisto per usucapione.

3.1. Con il secondo motivo il ricorso deduce:

– in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., articoli 1353 segg., articoli 1803, 1810, 2043, 2058, 2934 e 2935 c.c..

– in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, la violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., articoli 948, 1803, 1810 c.c.. I ricorrenti, infatti, deducono l’erroneita’ della sentenza impugnata per avere accolto la domanda di restituzione dell’immobile:

– perche’ l’azione di tipo personale riferita all’inadempimento dell’obbligo di consegna dell’immobile era da ritenersi prescritta non essendo stata esercitata da parte della controricorrente un’azione di adempimento o di risoluzione per la scadenza del termine essenziale entro il termine decennale di prescrizione;

– perche’ la Corte d’appello, nell’accogliere la domanda di restituzione, avrebbe ritenuto sussistente un contratto di comodato a titolo precario, nonostante la stessa controricorrente non avesse qualificato in tal modo il contratto e sebbene la stessa societa’ (OMISSIS) S.R.L. avesse in appello rinunciato implicitamente all’originaria domanda di restituzione, argomentando di avere proposto in realta’ un’azione di rivendicazione.

3.2. Il motivo e’, anch’esso, infondato.

Infondate, in primo luogo, sono le deduzioni in ordine alla violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., articoli 1353 segg., articoli 1803, 1810, 2043, 2058, 2934 e 2935 c.c..

Rilevato che, anche in questo caso, i ricorrenti vengono ad invocare un’ampia serie di previsioni normative, omettendo, tuttavia, in molti casi, di dare un concreto contenuto alle proprie doglianze, si deve in ogni caso escludere che la Corte territoriale sia incorsa in una violazione o falsa applicazione degli articoli 1803, 1810.

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La Corte, infatti, ha concluso – del tutto coerentemente e sulla scorta di un processo interpretativo che, come visto in precedenza, non e’ stato adeguatamente impugnato – che la persistente disponibilita’ degli immobili veniva a configurare una detenzione riconducibile ad un comodato precario.

Tale qualificazione, effettuata sulla scorta delle concrete circostanze fattuali, risulta del tutto congruamente motivata e non trova alcun elemento contrario nell’impegno unilaterale assunto dai ricorrenti nella dichiarazione del (OMISSIS), trattandosi, appunto, di mera dichiarazione unilaterale che vincolava coloro che l’avevano rilasciata ma che non poteva determinare univocamente i caratteri del persistente rapporto con l’odierna controricorrente, valendo semmai ad escludere una situazione possessoria in capo ai dichiaranti, come appena visto.

Immune da censure risulta, pertanto, la conclusione cui e’ pervenuta la Corte d’appello, nel momento in cui ha affermato che, alla luce dell’atteggiamento della societa’ controricorrente, il rapporto in tal modo protrattosi tra le parti era riconducibile ad un comodato precario, conseguentemente escludendo che il termine di prescrizione della domanda di restituzione fosse decorso prima del momento in cui la societa’ (OMISSIS) S.R.L. non aveva formalmente chiesto, con la raccomandata del 2008, la consegna degli immobili, in tal modo determinando la cessazione del comodato.

La Corte territoriale, col suo percorso argomentativo, risulta quindi essersi pienamente conformata al principio per cui nel comodato a tempo indeterminato, il termine di prescrizione del diritto del comodante alla restituzione della cosa inizia a decorrere da quando resta inadempiuta la richiesta di restituzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1772 del 18/05/1976; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 357 del 03/02/1968).

Alla luce di tali considerazioni, risulta esclusa anche la sussistenza del vizio di violazione dell’articolo 112 c.p.c., in quanto la Corte ambrosiana, una volta qualificata la fattispecie, ha correttamente qualificato la domanda azionata dalla societa’ (OMISSIS) S.R.L. nei termini di domanda di restituzione, anche in tal caso conformandosi al principio per cui e’ qualificabile – semmai – come azione di rivendicazione la domanda con cui l’attore chieda di accertare la natura abusiva dell’occupazione di un immobile di sua proprieta’ da parte del convenuto – con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni – senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico originariamente idoneo a giustificare la consegna della cosa e la relazione di fatto tra questa ed il medesimo convenuto (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 18050 del 23/06/2023).

La correttezza della valutazione della Corte territoriale – peraltro operata confermando espressamente quella operata dal giudice di prime cure – non risulta infirmata neppure dalla deduzione dei ricorrenti relative alle argomentazioni che sarebbero state svolte nel giudizio di appello dall’odierna controricorrente, essendo sufficiente osservare che la dedotta rinuncia implicita all’originaria domanda da parte della societa’ (OMISSIS) S.R.L. e’ esclusa dal fatto che quest’ultima, nelle conclusioni formulate innanzi alla Corte d’appello – riprodotte nella sentenza impugnata – ha integralmente riproposto e richiamato le conclusioni rassegnate innanzi il giudice di prime cure.

4.1. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 1384, 2934, 2935 c.c..

Argomenta, in particolare, il ricorso che erroneamente la sentenza della Corte territoriale avrebbe ritenuto non prescritta la domanda di pagamento della penale, in quanto, alla luce dell’impegno unilaterale contenuto nella dichiarazione del (OMISSIS), detto termine doveva ritenersi decorrente dal (OMISSIS), con conseguente prescrizione alla data del (OMISSIS).

4.2. Il motivo deve essere disatteso, in quanto la decisione della Corte d’appello risulta conforme al diritto, sebbene erroneamente motivata, dovendosi quindi correggere la motivazione in conformita’ al disposto di cui all’articolo 384 c.p.c., u.c..

Erroneamente, infatti, la Corte territoriale, nel disattendere il motivo di gravame, si e’ limitata ad affermare che l’infondatezza delle deduzioni in ordine all’intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione degli immobili comportava l’infondatezza anche della tesi della intervenuta prescrizione del diritto al versamento della penale.

Se e’ vero, infatti, che stante la natura accessoria della clausola penale rispetto al contratto che la prevede, l’obbligo che da essa deriva non puo’ sussistere autonomamente rispetto all’obbligazione principale con la conseguenza che, se il debitore e’ liberato dall’obbligo di adempimento della prestazione per prescrizione del diritto del creditore a riceverla, quest’ultimo perde anche il diritto alla prestazione risarcitoria prevista in caso di mancato adempimento del predetto obbligo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18779 del 26/09/2005), e’ tuttavia vero che, costituendo la penale una forma convenzionale di liquidazione del danno da inadempimento contrattuale, la pretesa alla sua corresponsione rimane comunque soggetta al termine di prescrizione decennale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2656 del 08/02/2006).

Se, quindi, non appare corretta l’affermazione della Corte territoriale nel momento in cui la stessa ha radicalmente escluso la possibilita’ che il diritto alla corresponsione della penale si fosse prescritto, si deve tuttavia osservare che, per ammissione della medesima parte ricorrente (cfr. pag. 38 del ricorso) e come dedotto anche dalla societa’ controricorrente (cfr. pag. 40 del controricorso), la domanda relativa alla penale era stata formulata limitatamente all’ultimo decennio, e quindi limitatamente all’importo in relazione al quale la fondatezza della tesi degli odierni ricorrenti doveva ritenersi radicalmente esclusa.

5. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate direttamente in dispositivo.

6. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, articolo 13, comma 1-quater, se dovuto”, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U., Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.

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