Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 20503.

Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

In tema di contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo, qualora, a fondamento del recesso ex art. 27, comma 8, della l. n. 392 del 1978, il conduttore deduca il sopravvenuto andamento favorevole della congiuntura aziendale, la gravosità della persistenza del rapporto locativo deve essere valutata oggettivamente ed in concreto, utilizzando come parametri comparativi, da un lato, la dimensione e le caratteristiche del bene locato e del nuovo locale e, dall’altro, le nuove esigenze di produzione e di commercio dell’azienda, non essendo – di per sé – sufficiente l’incremento del fatturato aziendale o del personale lavorante. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la legittimità del recesso del conduttore, a fronte dell’incremento di sole sette unità del personale necessitante di una postazione fissa, tenuto conto altresì che la superficie destinata ad uso ufficio nell’immobile oggetto di locazione era superiore a quella di cui la società conduttrice disponeva nel nuovo immobile).

Ordinanza|| n. 20503. Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

Data udienza 24 maggio 2023

Integrale

Tag: Locazione – Disciplina delle locazioni di immobili urbani (legge 27 luglio 1978 n. 392) – Immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione – Durata – Recesso del conduttore durata – Recesso del conduttore gravi motivi – Congiuntura economica favorevole – Accertamento del giudice di merito – Criteri – Fattispecie.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28185/2020 R.G. proposto da:

(OMISSIS) SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dagli avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. (OMISSIS), e dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano – n. 84/2020, pubblicata in data 4 luglio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 maggio 2023 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

RILEVATO

Che:

1. (OMISSIS), deducendo di avere concesso in locazione alla (OMISSIS). s.c.s. l’unita’ immobiliare di sua proprieta’ ubicata in (OMISSIS), per lo svolgimento dell’attivita’ aziendale, con contratto di locazione sottoscritto in data (OMISSIS) e che, con lettera raccomandata del 30 ottobre 2015, la conduttrice aveva esercitato, L. n. 392 del 1978, ex articolo 27 il diritto di recesso anticipato dal rapporto, conveniva in giudizio la societa’ conduttrice al fine di far accertare l’illegittimita’ del recesso per difetto dei relativi presupposti e per sentir dichiarare la prosecuzione del rapporto di locazione, con condanna della controparte al pagamento dei canoni di locazione afferenti le mensilita’ da (OMISSIS) ad (OMISSIS). Chiedeva, altresi’, di accertare che i danni presenti nell’immobile, gia’ rilasciato dalla conduttrice che si era trasferita in altro immobile, fossero riconducibili a fatto, colpa e responsabilita’ della stessa conduttrice, con conseguente condanna al pagamento, a tale titolo, dell’ulteriore somma di Euro 19.091,91.

Si costituiva la (OMISSIS), la quale insisteva per il rigetto di tutte le domande, ed all’esito della costituzione degli eredi di (OMISSIS), nel frattempo deceduto, e dell’espletamento della prova orale, il Tribunale di Bolzano, dichiarava la legittimita’ del diritto di recesso esercitato dalla conduttrice e l’intervenuto scioglimento, con decorrenza dal mese di (OMISSIS), del contratto di locazione e respingeva la domanda di pagamento dei canoni di locazione, nonche’ ogni pretesa risarcitoria.

2. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), hanno proposto gravame avverso la sentenza di primo grado.

La Corte d’appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano -, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha ritenuto illegittimo il recesso esercitato dalla (OMISSIS), dichiarando efficace, sino alla scadenza del (OMISSIS), il contratto di locazione, ed ha condannato la conduttrice al pagamento, in favore degli appellanti, della somma di Euro 18.396,00 a titolo di canoni di locazione, oltre interessi; ha confermato nel resto la sentenza gravata.

In sintesi, per quel che ancora rileva in questa sede, i giudici di appello, premesso che, nella lettera del 30 ottobre 2015, la conduttrice aveva comunicato il recesso dal rapporto, deducendo gravi motivi riguardanti la “congiuntura favorevole che non poteva essere rilevata al momento della sottoscrizione del contratto in oggetto in quanto sopravvenuta e imprevedibile”, con conseguente necessita’ di ampliare la propria struttura per soddisfare le esigenze di produttivita’, stante l’insufficienza dei locali oggetto di locazione a soddisfare l’adeguato svolgimento dell’attivita’ di impresa, hanno ritenuto mancante la prova che l’andamento dell’impresa, in conseguenza della congiuntura economica, presentasse connotazioni tali da giustificare il recesso, sottolineando che ogni valutazione dovesse essere esclusivamente concentrata sulle circostanze indicate nella lettera di disdetta e non anche sulle ulteriori ragioni poste a giustificazione del recesso esplicitate successivamente alla dichiarazione di recesso.

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3. (OMISSIS) Societa’ Cooperativa Sociale ricorre per la cassazione della decisione d’appello, con quattro motivi.

(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) resistono con controricorso.

4. La trattazione e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1. c.p.c..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

CONSIDERATO

Che:

1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di giudicato.

I controricorrenti sostengono, a supporto di tale eccezione, che la Corte d’appello ha accertato l’illegittimita’ del recesso per difetto dei gravi motivi e che la ricorrente non ha investito di gravame il capo della sentenza impugnata che aveva accertato l’efficacia del recesso in relazione al primo sessennio di durata del rapporto e rilevato che il contratto aveva mantenuto gli effetti sino al (OMISSIS).

Detto accertamento, secondo i controricorrenti, sarebbe ormai divenuto “cosa giudicata”, cosicche’ sarebbe preclusa ogni indagine, da parte di questa Corte, sulla efficacia del recesso per gravi motivi, “perche’ cio’ implicherebbe assegnare al contratto di locazione efficacia limitata nel tempo perche’ anticipata al semestre successivo all’interposto recesso e quindi a (OMISSIS) (il recesso e’ stato interposto il (OMISSIS) e quindi sei mesi prima) in contrasto con l’ormai definitivo accertamento in merito alla durata del contratto, appunto, fino al (OMISSIS)”.

In realta’, la ricorrente, impugnando, con il terzo motivo di ricorso, la declaratoria di illegittimita’ del recesso per difetto dei gravi motivi richiesti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 27 ha investito anche la statuizione resa dalla Corte d’appello, che di essa e’ diretta conseguenza, con la quale si afferma che il contratto doveva ritenersi vigente sino alla data del (OMISSIS), coincidente con la naturale scadenza del primo sessennio.

E’, invero, evidente che tale ultima affermazione della Corte territoriale e’ parte della sentenza dipendente dall’esito dello scrutinio dell’appello sul recesso e, dunque, dell’accertata illegittimita’ dello stesso, per cui, impugnando con il terzo motivo, ma ancor prima con il secondo motivo (il cui accoglimento travolge in rito la sentenza), parte ricorrente non aveva bisogno di censurare detta parte dipendente, che sarebbe stata travolta automaticamente nel caso di accoglimento del secondo e del terzo motivo, in forza del disposto di cui all’articolo 336 c.p.c., comma 1.

Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

2. Con il primo motivo – rubricato: “In via preliminare: sul difetto della titolarita’ del diritto e della pretesa azionata in giudizio e/o di legittimazione attiva di (OMISSIS)” – la ricorrente deduce la carenza di legittimazione passiva della controricorrente, evidenziando che quest’ultima, diversamente da quanto dichiarato, ha espressamente rinunziato alla eredita’ di (OMISSIS), con atto notarile del (OMISSIS), come emerso da accertamenti svolti, cosicche’ la sentenza impugnata dovrebbe essere riformata con riguardo alla posizione della controricorrente, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese di lite.

2.1. Il motivo e’ inammissibile perche’ si basa su un documento – la rinuncia all’eredita’ – che, attesa la sua formazione, si sarebbe potuto e dovuto produrre nel giudizio di appello e che non e’, pertanto, producibile in sede di legittimita’, giusta il disposto di cui all’articolo 372 c.p.c.

2.2. In ogni caso, a prescindere da tale assorbente rilievo, il motivo e’ comunque inammissibile per le ragioni che di seguito si espongono.

Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, l’assunzione della qualita’ di erede non puo’ desumersi dalla mera chiamata all’eredita’, ne’ dalla denuncia di successione, che ha valore di atto di natura meramente fiscale (Cass., sez. 2, 11/05/2009, n. 10729; Cass., sez. 2, 28/02/2007, n. 4783), ma consegue solo all’accettazione dell’eredita’, espressa o tacita, che rappresenta elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio quale successore del de cuius (Cass., sez. 2, 6/05/2002, n. 6479; Cass., sez. 3, 10/03/1992, n. 2849).

Affinche’ un atto del chiamato all’eredita’ possa configurare accettazione tacita, e’ necessario che esso presupponga necessariamente la sua volonta’ di accettare e che si tratti di atto che egli non avrebbe il diritto di fare se non nella qualita’ di erede (Cass., sez. 2, 01/03/2021, n. 5569).

In proposito, questa Corte (Cass., sez. 2, 20/3/1976, n. 1021) ha chiarito che non solo gli atti dispositivi, ma anche gli atti di gestione possono dar luogo all’accettazione tacita dell’eredita’, secondo l’accertamento compiuto caso per caso dal giudice di merito, in considerazione della peculiarita’ di ogni singola fattispecie e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura ed importanza nonche’ della finalita’ degli atti di gestione compiuti dal chiamato. In ogni caso, occorre pero’ che si tratti di atti incompatibili con la volonta’ di rinunziare e non altrimenti giustificabili se non con la veste di erede, mentre sono privi di rilevanza tutti quegli atti che non denotano in maniera univoca un’effettiva assunzione della qualita’ di erede, occorrendo accertare se il chiamato si sia mantenuto o meno nei limiti della conservazione e dell’ordinaria amministrazione del patrimonio ereditario, potendosi in linea generale affermare che tutti gli atti previsti dall’articolo 460 c.c. (disciplinante i poteri del chiamato prima dell’accettazione, e cioe’: compimento di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari; compimento di atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea) non provochino la mutazione dello status da chiamato a erede.

Sulla base di tali premesse, questa Corte ha ritenuto che il fatto dei chiamati all’eredita’ che abbiano ricevuto ed accettato la notifica di una citazione o di un ricorso per debiti del de cuius, cosi’ come il fatto che essi si siano costituiti eccependo la propria carenza di legittimazione, non possono configurarsi come accettazione tacita dell’eredita’, trattandosi di atti pienamente compatibili con la volonta’ di non accettare l’eredita’ (cosi’ Cass., sez. 3, 03/08/2000, n. 10197).

Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

Quando pero’ i chiamati si costituiscano in giudizio dichiarando la propria qualita’ di eredi dell’originario debitore, senza in alcun modo contestare l’effettiva assunzione di tale qualita’ ed il conseguente difetto di titolarita’ passiva della pretesa, essi compiono un’attivita’ non altrimenti giustificabile se non con la veste di erede, che esorbita dalla mera attivita’ processuale conservativa del patrimonio ereditario, in quanto dichiarata non al fine di paralizzare la pretesa, ma di illustrare la qualita’ soggettiva nella quale essi intendono paralizzarla.

Non puo’ obiettarsi che la memoria di costituzione costituisce un atto del difensore, e che se non sottoscritta dalla parte personalmente non puo’ assumere valore di confessione giudiziale (Cass. n. 26686 del 2005), in quanto nel caso non di confessione si tratta, ma di declinazione degli elementi da cui deriva la titolarita’ passiva del rapporto controverso (v. in proposito Cass., sez. U, n. 2951 del 2016), che il difensore esplicita in virtu’ del mandato ricevuto ed in relazione ai quali nel caso e’ stata presa posizione in modo specifico sin dalla memoria di costituzione di primo grado.

L’assunzione in giudizio della qualita’ di erede costituisce quindi accettazione tacita dell’eredita’, che non puo’ essere rimessa in discussione per effetto di un atto successivamente intervenuto e dipendente da una libera scelta dei medesimi interessati, qual e’ la rinuncia all’eredita’.

Come evidenziato anche da Cass. n. 21287 del 14 ottobre 2011 (nel ritenere che la riassunzione del processo dopo il decesso della parte sia validamente effettuata nei confronti di coloro che risultano chiamati all’eredita’, se questi non contestino tempestivamente la loro qualita’ di eredi), l’interpretazione che pone a carico dei chiamati un onere di specificare tempestivamente nel processo la loro posizione in relazione al compendio ereditario e’ necessitata dall’applicazione dei principi di sollecita definizione del processo e di tutela del diritto di difesa, di cui all’articolo 111 Cost., ammettendosi in caso contrario la possibilita’ di protrarre una situazione di incertezza, addirittura sino al decennio, per il quale dovrebbe essere paralizzata l’iniziativa processuale del creditore del de cuius, o il relativo accertamento giudiziale.

Nella specie la rinuncia all’eredita’ da parte della (OMISSIS) e’ di per se’ irrilevante, in quanto intervenuta solo in data 16 maggio 2018, in un momento successivo alla costituzione della stessa nel giudizio di primo grado per resistere all’azione giudiziaria intrapresa dalla (OMISSIS).

E’ pur vero che, in base all’articolo 521 c.c., comma 1, “chi rinunzia all’eredita’ e’ considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”, con la conseguenza che, per effetto della rinuncia, viene impedita retroattivamente – cioe’ a far data dall’apertura della successione – l’assunzione di responsabilita’ per i debiti facenti parte del compendio ereditario. Va, tuttavia, considerato che, nel caso di specie, l’atto di rinuncia all’eredita’, essendo intervenuto successivamente alla costituzione nel giudizio di primo grado, e’, in realta’, privo di effetti, per essere la chiamata all’eredita’ decaduta dal relativo diritto in quanto gia’ accettante in dipendenza del comportamento dalla stessa tenuto, posto che la mancata contestazione della qualita’ di erede configura accettazione tacita dell’eredita’ (in senso conforme, Cass., sez. 3, 08/06/2007, n. 13384; Cass., sez. L., 18/01/2017, n. 1183).

Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

3. Con il secondo motivo, deducendo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’articolo 174 c.p.c., la ricorrente evidenzia che dall’esame del fascicolo del giudizio d’appello si evince come il consigliere relatore, presente alla udienza di discussione della causa celebratasi in data 10 ottobre 2018 ed individuato dal Presidente, sia stato successivamente sostituito, in forza di provvedimenti del 3 ottobre 2019 e del 17 giugno 2020, in vista dell’udienza fissata per il 24 giugno 2020 esclusivamente per la lettura del dispositivo. Sostiene, pertanto, che essendo intervenuta la modifica del collegio e del relatore dopo la udienza di discussione e prima della lettura del dispositivo della sentenza, la decisione impugnata sarebbe nulla per violazione del principio di immutabilita’ del giudice.

La censura e’ infondata.

In tema di processo del lavoro, non esistendo in grado di appello una fase istruttoria e non essendovi, quindi, alcun giudice istruttore, ma solo un relatore, non e’ applicabile il principio dell’immutabilita’ del giudice sancito dall’articolo 174 c.p.c., sicche’, con decreto presidenziale emesso ai sensi dell’articolo 435 c.p.c., e’ possibile sostituire un relatore ad un altro fino all’udienza di discussione (Cass., sez. L, 30/11/2009, n. 25229).

Poiche’ non e’ in discussione che, nel caso de quo, il giudice relatore sia stato nominato prima dell’udienza di discussione ed abbia alla stessa partecipato, la dedotta nullita’ non e’ ravvisabile.

4. Con il terzo motivo, denunciando la “violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, articolo 27 ed apparenza della motivazione – Motivo di ricorso ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui dichiara l’illegittimita’ del recesso.

Sostiene, in particolare, che l’impianto motivazionale e’ affetto da contraddittorieta’, perche’, se e’ pur vero che la comunicazione di recesso proveniente dal conduttore non puo’ prescindere dalla indicazione dei gravi motivi su cui si fonda anche per consentire al locatore di contestarne i presupposti, e’ altrettanto vero che e’ sufficiente l’esplicitazione dei motivi stessi, non essendo necessario addurre ed illustrare tutte le ragioni di fatto, di diritto ed economiche sottese, dovendo queste attivita’ essere svolte esclusivamente in caso di contestazione da parte del locatore.

La specificazione della avvenuta crescita del numero dei dipendenti occupati presso gli uffici aziendali con derivata insufficienza degli spazi a disposizione, prosegue la ricorrente, rappresentava una mera esemplificativa ragione di fatto gia’ contenuta nella lettera del 30 ottobre 2015 e poteva, pertanto, essere oggetto di approfondimento nella fase giudiziale in ragione della avversa contestazione; con la conseguenza che non potevano essere trascurati tutti gli altri elementi allegati e provati documentalmente, quali l’aumento del numero dei dipendenti, il numero delle commesse, l’aggiudicazione di nuove numerose gare di appalto, il numero dei clienti, la necessita’ di assicurare anche il rispetto della normativa dettata dall’ordinamento in materia di sicurezza e di tutela della salute. Soggiunge che, in ipotesi di esponenziale crescita delle dimensioni dell’azienda, si imponeva la necessita’ di assegnare a ciascun lavoratore impiegato negli uffici un vano autonomo, non condiviso con altri, anche per meglio gestire la clientela; pertanto, anche permanendo la stessa mole di addetti amministrativi (in ogni caso aumentati da 12 a 19 unita’), le mutate esigenze correlate allo sviluppo giustificavano la individuazione di una nuova sede piu’ capiente ed idonea e rendeva piu’ gravosa la permanenza in spazi ristretti ed angusti.

Evidenzia pure la ricorrente che era palese la differenza esistente tra il locale di cui al rapporto di locazione e la nuova sistemazione, anche alla luce di quanto emergeva dalla perizia estimativa redatta dall’arch. (OMISSIS). In sostanza, a fronte degli indiscussi elementi oggettivi di enorme aumento delle dimensioni di tutti i fattori aziendali, estranei alla volonta’ dell’imprenditore, la Corte territoriale non avrebbe dovuto affermare l’illegittimita’ del recesso dal contratto di locazione.

Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

4.1. Il motivo e’ infondato.

4.2. Con riguardo all’individuazione dei gravi motivi previsti, dalla L. n. 392 del 1978, articolo 27, u.c., a fondamento del legittimo esercizio del recesso dal contratto di locazione, da parte del conduttore, occorre considerare che, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, ai fini del valido ed efficace esercizio del diritto potestativo di recesso del conduttore, a norma della L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 27 e’ sufficiente che egli manifesti al locatore, con lettera raccomandata o altra modalita’ equipollente, il grave motivo per cui intende recedere dal contratto di locazione, senza avere anche l’onere di spiegare le ragioni di fatto, di diritto o economiche su cui tale motivo e’ fondato, ne’ di darne la prova, perche’ queste attivita’ devono esser svolte in caso di contestazione da parte del locatore.

Trattandosi di recesso “titolato”, e in cio’ distinguendosi dal recesso ad nutum, la comunicazione del conduttore non puo’, tuttavia, prescindere dalla specificazione dei motivi, con la conseguenza che tale requisito inerisce al perfezionamento della stessa dichiarazione di recesso e, al contempo, risponde alla finalita’ di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei relativi motivi sul piano fattuale o della loro idoneita’ a legittimare il recesso medesimo (Cass., sez. 3, 17/01/2012, n. 549; Cass. 26/11/2002, n. 16676; Cass. 29/03/2006, n. 7241; Cass., 24/04/2008, n. 10677), dovendo conseguentemente escludersi che il conduttore possa esplicitare successivamente le ragioni della determinazione assunta (Cass., sez. 3, 30/06/2015, n. 13368). In tal senso si e’ espressa anche la sentenza di questa Corte n. 24266/2020, richiamata dalla ricorrente nella memoria illustrativa a supporto della doglianza.

Le ragioni che consentono al locatario di liberarsi del vincolo contrattuale devono, inoltre, essere determinate da avvenimenti estranei alla sua volonta’, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione. Inoltre, con riferimento all’andamento dell’attivita’ aziendale, puo’ integrare grave motivo, legittimante il recesso del conduttore, non solo un andamento della congiuntura economica sfavorevole all’attivita’ di impresa, come e’ di intuitiva evidenza (Cass., sez. 3, 24/09/2019, n. 23639; Cass., sez. 3, 09/05/2023, n. 12461), ma anche uno favorevole – purche’ sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile (al momento della stipula del contratto) – che lo obblighi ad ampliare la struttura aziendale in misura tale da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo (cfr. Cass., sez. 3, 10/12/1996, n. 10980; Cass., sez. 3, 20/02/2004, n. 3418; Cass., sez. 3, 21/04/2010, n. 9443).

Nel caso di sopravvenuto andamento favorevole della congiuntura aziendale, i fatti, per essere tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del contratto, devono innanzitutto presentare una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all’opportunita’ ed alla mera vantaggiosita’ di continuare a occupare l’immobile locato, poiche’, in tal caso, si ipotizzerebbe la sussistenza di un recesso ad nutum, contrario all’interpretazione letterale, oltre che allo spirito della suddetta norma (cfr. Cass., sez. 3, 28/02/2008, n. 5293; Cass., sez. 3, 08/03/2007, n. 5328).

In tal caso, pertanto, la gravosita’ della persistenza del rapporto locativo deve essere valutata oggettivamente ed in concreto utilizzando come parametri comparativi, da una parte, la dimensione e le caratteristiche del bene locato e del nuovo locale e, dall’altra, le sopravvenute nuove esigenze di produzione e di commercio dell’azienda. Ne consegue che il giudice del merito non puo’ limitarsi a prendere in considerazione il fatto che vi sia stato un aumento del fatturato aziendale o un aumento del personale lavorante, indici di per se’ soli, utili ma non sufficienti al fine propostosi, ma deve altresi’ verificare, sulla base delle prove raccolte – il cui onere spetta al conduttore recedente secondo i principi generali in materia di ripartizione dell’onere probatorio – se nello specifico ed in concreto le caratteristiche dell’immobile oggetto di locazione siano divenute inadeguate alla accresciuta dimensione dell’azienda cosi’ da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la prosecuzione del rapporto locativo (Cass., sez. 3, 26/06/2012, n. 10624; Cass., sez. 3, 29/04/2015, n. 8706).

Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

Posto cio’, la Corte d’appello ha fatto piena e corretta applicazione dei suddetti principi, rilevando che, nel caso di specie, mancava la prova che l’andamento dell’impresa, in conseguenza della congiuntura economica, presentasse connotazioni tali da giustificare il recesso.

A fondamento del proprio ragionamento decisorio la Corte territoriale ha posto le seguenti considerazioni.

Ha, in primo luogo, posto l’attenzione sul numero dei dipendenti svolgenti attivita’ “all’interno degli uffici”, trattandosi della ragione addotta a giustificazione del recesso dal contratto di locazione, ponendo in rilievo che le risultanze istruttorie avevano consentito di acclarare che le unita’ lavorative, appartenenti all’area amministrativa, che operavano all’interno dei locali aziendali, per un numero totale, nel 2015, di diciannove, non avevano tutte l’esigenza di una postazione fissa in ufficio, come asserito dalla (OMISSIS), tanto che nella nuova sede sociale erano state allestite “ca. 14 postazioni fisse”; circostanza questa che imponeva di escludere una rilevante diversita’ tra la situazione al momento in cui la conduttrice aveva manifestato la volonta’ di recedere dal contratto ((OMISSIS)) e quella esistente al momento della stipulazione del contratto ((OMISSIS)), quando, secondo quanto emergeva dalla nota integrativa al bilancio chiuso al (OMISSIS), il numero degli addetti all’area amministrativa era pari a dodici, in difetto di prova, non offerta dalla conduttrice, che la differenza di sole sette unita’ (computata tra le 12 del (OMISSIS) e le diciannove del (OMISSIS)) potesse avere impattato in maniera “oltremodo gravosa” sulla prosecuzione del rapporto locativo. Ha, invece, escluso che potesse assumere rilevanza ai fini decisori un eventuale aumento degli altri dipendenti estranei all’area amministrativa, poiche’ essi espletavano la loro attivita’ all’esterno della sede sociale e degli uffici aziendali, come era emerso dalle testimonianze raccolte, con la conseguenza che “l’implementazione di sole 7 unita’ di personale amministrativo non pare(va) configurare una situazione di particolare gravosita’ in considerazione di una superficie locatizia maggiore nell’immobile oggetto del contratto de quo rispetto a quella – dedicata agli uffici – inferiore presente negli spazi ove ha traslocato la conduttrice”.

I giudici di merito hanno pure proceduto ad una comparazione tra la superficie dell’immobile oggetto di locazione e quella dell’immobile nel quale l’odierna ricorrente si era trasferita, verificando gli spazi adibiti ad ufficio, che, secondo la prospettazione della (OMISSIS), erano divenuti inidonei per l’imprevisto sviluppo della dimensione aziendale, ed hanno riscontrato, anche tenendo conto delle indicazioni fornite dal tecnico di parte, arch. (OMISSIS), che la superficie dell’immobile oggetto di locazione destinata dalla conduttrice ad uso ufficio si estendeva per mq. 394,00 ed era, quindi superiore a quella di cui la conduttrice disponeva nel nuovo immobile, pari a mq. 324,04. Prendendo in esame, inoltre, le osservazioni svolte dalla conduttrice concernenti una presunta non adattabilita’ ad ufficio della “zona del primo piano” e una inutilizzabilita’ limitata a “poche decine di metri quadri siti tutti al secondo piano” quale area uffici e reception, hanno verificato, in esito alle risultanze istruttorie, che “la mancata adibizione ad ufficio del primo piano era stata determinata da esigenze di “riservatezza della Banca Popolare di fronte come riferito dalla banca” e quindi per motivi estranei alla natura dei locali e ricondotte a motivi di preservazione dei rapporti con i vicini confinanti”.

Quanto, poi, al presunto mancato rispetto della normativa in tema di salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro (Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81), pure invocato dalla conduttrice a giustificazione del recesso, hanno escluso che risultasse violato, nell’immobile di via Siemens, l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione di ogni dipendente una “superficie di almeno mq. 2 (come previsto dall’allegato 4, punto 1.2.1.3. del Decreto Legislativo n. 81 del 2008)”.

Da tanto risulta con chiara evidenza come la Corte territoriale ritenendo correttamente motivi non dedotti nel negozio di recesso quello che la parte ricorrente sostiene essere mera specificazione dei motivi in esso indicati, non abbia tralasciato di prendere in considerazione tutti i fatti decisivi ed abbia argomentato adeguatamente sul merito della controversia con una motivazione sufficiente, logica e non contraddittoria, non essendo ravvisabili vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo dell’impugnata decisione, posto che il vizio di motivazione contraddittoria sussiste solo in presenza di un contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata che non consenta la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base del decisum (Cass., sez. L, 17/08/2020, n. 17196).

A cio’ deve aggiungersi che la sussistenza o meno degli elementi che rendono particolarmente gravosa la prosecuzione del rapporto locativo, costituendo uno dei presupposti necessari perche’ siano ravvisabili i gravi motivi che legittimano il recesso del conduttore L. n. 392 del 1978, ex articolo 27, u.c., non puo’ che essere rimessa all’apprezzamento del giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’ se, come nel caso in esame, e’ sorretto da congrua e coerente motivazione (Cass., n. 10624/2012, cit.; Cass., n. 8706/2015, cit.).

A fronte della corretta applicazione dei principi sopra richiamati ad opera del giudice d’appello, si osserva che, con il motivo in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – alleghi un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione delle norme di legge, inerendo bensi’ alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. L, 26/03/2010, n. 7394; Cass., sez. 5, n. 26110 del 30/12/2015), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in se’ incontroverso.

In altri termini, al di la’ del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, il nucleo delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruita’ dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e, pertanto, di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato, non sussistente per le ragioni gia’ esposte.

Si deve aggiungere conclusivamente – sebbene in relazione ad una prospettazione assunta in ricorso molto genericamente – che correttamente la Corte territoriale ha ritenuto motivi non dedotti nel negozio di recesso quanto parte ricorrente chiama specificazione dei motivi in esso effettivamente indicati.

5. Con il quarto motivo, censurando la decisione gravata per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e difetto di motivazione in punto determinazione dell’area destinata ad ufficio dell’immobile oggetto di locazione qualora confrontata con quella dell’immobile presso il quale la (OMISSIS). s.c.s. si e’ successivamente trasferita in assenza di acquisizione di consulenza tecnica d’ufficio sul punto invocata da controparte – motivo di ricorso ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, la ricorrente lamenta che la determinazione dello spazio adibito ad uffici nel bene di proprieta’ dei locatori sia avvenuta, da parte dei giudici di merito, in modo superficiale, in quanto l’unico elemento probatorio offerto sul punto dalle controparti era costituito dalla planimetria prodotta con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, priva di autenticita’ perche’ sprovvista di qualsiasi timbro o segno attestante la provenienza da competenti uffici catastali. Contesta, pertanto, alla Corte territoriale di non avere disposto la consulenza tecnica d’ufficio, peraltro richiesta dagli eredi del (OMISSIS), cosi’ incorrendo nel vizio di omesso esame di un fatto storico, decisivo e controverso. Ribadisce, altresi’, che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che la zona del primo piano dell’immobile locato era costituita da un vano magazzino non adattabile ad ufficio perche’ non dotato di finestre e pertanto sprovvisto di sufficiente luminosita’ ed aereazione, come confermato dai testi escussi.

La censura e’ inammissibile per inosservanza del principio di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto si fonda su documenti, quali la planimetria, e su risultanze istruttorie, quali le testimonianze rese dai testi escussi, di cui si omette di trascrivere il contenuto, al fine di porre questa Corte in condizione di poter avere piena cognizione dei fatti di causa e poter conseguentemente valutare la portata della doglianza (Cass., sez. U, 27/12/2919, 34469; Cass., sez. U, 18/03/2022, n. 8950).

Inoltre, essendosi dedotto il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 secondo la lettura di questa norma fatta dalle Sezioni Unite nelle sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, parte ricorrente avrebbe dovuto indicare dove e come aveva prospettato i fatti emergenti dai documenti invocati, mentre nulla ha dedotto in tale senso.

Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiche’ indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso e’ rintracciabile, sicche’ la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso, senza necessita’ di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico” (Cass., sez. 1, 10/12/2020, n. 28184).

Sotto diverso profilo, varra’ aggiungere che la consulenza tecnica d’ufficio e’ mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratta alla disponibilita’ delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego puo’ anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice.

Nella specie, le contestazioni circa la mancata ammissione della c.t.u. prospettate dalla ricorrente sono inammissibili, avendo i giudici del merito dimostrato, con adeguata e logica motivazione ed alla stregua del corredo probatorio acquisito, la superfluita’ di un accertamento tecnico finalizzato a rilevare le dimensioni dell’immobile locato (Cass., sez. 1, 05/07/2007, n. 15219; Cass., sez. 6-1, 13/01/2020, n. 326).

Va, infine, rilevato che il motivo nel suo complesso involge – fermi i rilievi svolti – anche una sostanziale sollecitazione a questa Corte a rivalutare la quaestio facti, prospettandone una lettura diversa da quella fatta dalla corte territoriale e con esclusione di qualsiasi decisivita’ evocata dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dichiara sussistenti i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

Recesso del conduttore gravi motivi e congiuntura economica favorevole

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