Appello e la dichiarazione di inammissibile uno dei motivi di gravame ritenendolo privo di specificità

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 18776.

Appello e la dichiarazione di inammissibile uno dei motivi di gravame ritenendolo privo di specificità

Ove il giudice d’appello abbia dichiarato inammissibile uno dei motivi di gravame, ritenendolo privo di specificità, la parte rimasta soccombente che ricorra in cassazione contro tale sentenza, ove intenda impedirne il passaggio in giudicato nella parte relativa alla dichiarata inammissibilità, ha l’onere di denunziare l’errore in cui è incorsa la sentenza gravata e di dimostrare che il motivo d’appello, ritenuto non specifico, aveva invece i requisiti richiesti dell’art. 342 c.p.c..

Ordinanza|| n. 18776. Appello e la dichiarazione di inammissibile uno dei motivi di gravame ritenendolo privo di specificità

Data udienza 3 aprile 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Cosa giudicata civile – Sentenze – Di appello dichiarazione d’inammissibilità di un motivo d’appello – Assenza di specificità – Ricorso in cassazione – Formazione del giudicato – Onere di denunciare l’errore circa la specificità del motivo d’appello – Sussistenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26828/2020 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta delega in calce al ricorso, dagli avv.ti (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima, in (OMISSIS) (c/o Studio avv. (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta delega a margine del controricorso, dagli avv.ti (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso l’Ufficio Legale, sito in (OMISSIS);

– controricorrente –

e nei confronti di:

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso il suo studio, in (OMISSIS);

– controricorrente –

e nei confronti di:

AZIENDA POLICLINICO UMBERTO I DI ROMA, in persona del legale rappresentante, (OMISSIS) e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 735/2020, pubblicata in data 31 gennaio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 aprile 2023 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.

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FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) conveniva in giudizio l’Azienda Policlinico Umberto I di Roma e (OMISSIS) per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito di due interventi chirurgici ai quali era stato sottoposto. Esponeva che il 10 febbraio 1997 era stato ricoverato presso la Neurochirurgia del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell’Universita’ La Sapienza di Roma con diagnosi di “adenoma ipofisario”; era stato sottoposto dal Dott. (OMISSIS) a due interventi in data 26 febbraio ed 8 marzo 1997 per l’asportazione dell’adenoma, il primo per via transfenoidale ed il secondo per via transcranica sub frontale destra, ma senza eliminare la massa tumorale, che era stata rimossa soltanto a seguito di un terzo intervento eseguito presso l’ospedale di Terni.

Deducendo che il secondo intervento aveva comportato la lesione iatrogena della ghiandola ipofisaria, con conseguente sindrome da ipopituitarismo globale, perdita di fertilita’ e difficolta’ nell’attivita’ sessuale, e lamentando di non essere stato adeguatamente informato in merito ai rischi dell’intervento, chiedeva la condanna in solido dei convenuti.

Nel corso del giudizio si costituivano il Policlinico Umberto I di Roma, l’ (OMISSIS) s.p.a., chiamata in causa dal Policlinico, l’Universita’ degli studi La Sapienza ed il Ministero del Tesoro, questi ultimi chiamati in giudizio dall’attore. L’Universita’ chiedeva a sua volta di essere manlevata da (OMISSIS) s.p.a..

Disposta la consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Roma rigettava la domanda avanzata dal (OMISSIS), il quale proponeva gravame.

2. In esito al giudizio d’appello, in cui si costituivano l’Universita’ degli Studi di Roma “La Sapienza”, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Azienda Policlinico Umberto I di Roma, (OMISSIS), l’Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia s.p.a., la Corte di Appello di Roma, con sentenza non definitiva depositata in data 13 ottobre 2008, dichiarava la responsabilita’ dell’Universita’ degli Studi di Roma “La Sapienza” e di (OMISSIS) e, per l’effetto, li condannava, in solido con l’ (OMISSIS) – (OMISSIS) s.p.a., nei limiti del massimale, al risarcimento dei danni a favore del (OMISSIS); quindi, con sentenza definitiva pubblicata il 31 ottobre 2011, determinava l’importo dovuto al danneggiato.

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3. Avverso le suddette sentenze proponevano ricorso per cassazione, in via principale, l’Ina (OMISSIS) s.p.a. e, in via incidentale, il (OMISSIS) ed il (OMISSIS).

Questa Corte, con sentenza n. 8984 del 2015 rilevava la nullita’ del giudizio svoltosi dinanzi alla Corte d’appello, per non essere stato l’atto di appello ritualmente notificato al (OMISSIS), e cassava la sentenza con rinvio.

4. Riassunto il giudizio, la Corte d’appello di Roma, quale giudice di rinvio, ha dichiarato inammissibili e, comunque, infondati, il primo ed il terzo motivo di gravame, con i quali il (OMISSIS) aveva denunciato la scarsa diligenza dell’equipe medica e si era lamentato che il giudice avesse condiviso il parere del c.t.u. in merito alle cause della ricomparsa dell’adenoma. Pur ritenendo che il paziente non fosse stato adeguatamente informato in merito ai rischi correlati al secondo intervento, ha osservato che a detta violazione non era causalmente correlabile alcun danno alla salute sia perche’ il paziente non aveva dimostrato che, qualora fosse stato adeguatamente informato circa i rischi dell’intervento, vi si sarebbe sottratto e, in ogni caso, perche’ i danni alla salute seguiti alla rimozione del tumore apparivano conseguenza non gia’ dell’intervento, ma di una recidiva del tumore stesso; ha, pertanto, riconosciuto il solo danno da pura lesione del diritto di autodeterminazione, liquidando in via equitativa la somma di Euro 10.000,00.

5. (OMISSIS) ricorre per la cassazione della suddetta decisione, sulla base di quattro motivi.

Resistono, con autonomi controricorsi, l’Universita’ degli Studi di Roma “La Sapienza” e (OMISSIS) s.p.a..

(OMISSIS) e l’Azienda Policlinico Umberto I di Roma non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.

La trattazione e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1. c.p.c..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Il ricorrente e la (OMISSIS) s.p.a. hanno depositato memorie illustrative.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce “violazione di legge ed omessa insufficiente contraddittoria motivazione circa documenti e punti decisivi della controversia in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonche’ per errata e/o omessa applicazione degli articoli 2697, 1218, 1176, 115 e 116 c.p.c.”.

Il ricorrente lamenta che erroneamente non e’ stata riconosciuta la responsabilita’ del (OMISSIS), al quale aveva contestato: a) di avere interrotto il primo intervento (l’approccio transfenoidale), adducendo un “decorso anomalo della carotide intracranica”, rivelatasi non corrispondente al vero; b) di avere effettuato il secondo intervento (quello transcranico, riservato ai soli casi estremi e gravissimi) senza una preventiva informazione, senza preparazione e con evidenti errori professionali (omessa asportazione dell’adenoma o asportazione solo parzialmente); c) di non avere effettuato il prelievo del liquido seminale prima dell’intervento, nonostante i sanitari fossero ben a conoscenza del rischio di infertilita’ a causa dell’abolizione della funzione della spermatogenesi, come era avvenuto a seguito del secondo intervento.

In particolare, quanto al primo intervento, si duole che la Corte abbia giudicato corretta la sospensione dell’operazione a causa della presenza di una carotide intracavernosa, quando, invece, il decorso della stessa era nella norma, e richiama a sostegno di tale assunto la T.C. preoperatoria, la Angio RM cerebrale ed il certificato del prof. (OMISSIS) dell’istituto di Neurochirurgia dell’Universita’ Cattolica del Sacro Cuore di Roma, nel quale si dichiarava che “il paziente non aveva mai avuto un decorso anomalo della carotide interna in sede parasellare bilateralmente”; sostiene pure che la sentenza impugnata e’ errata la’ dove ha accertato che il terzo intervento era stato determinato dall’anedoma e non a causa di una incompleta asportazione del tumore in esito al secondo intervento, e ribadisce che le conseguenze invalidanti subite (infertilita’) sono da ricondursi direttamente al secondo intervento operatorio al quale era stato sottoposto dal (OMISSIS), considerato che, in previsione di un possibile, se non addirittura certo, deficit ormonale e vista la giovane eta’ del paziente, sarebbe stato doveroso procedere ad un prelievo del liquido seminale al fine di consentire comunque la paternita’ attraverso una inseminazione artificiale.

2. Con il secondo motivo – rubricato: violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per errata e/o omessa applicazione degli articoli 1223, 1218, 1228 e 2697 c.c., nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c. e dell’articolo 112 c.p.c. – il ricorrente censura la decisione gravata per avere affermato che non sarebbe stato dimostrato che, ove avesse avuto precisa cognizione dei rischi post operatori, non si sarebbe sottoposto agli interventi chirurgici. Evidenzia di avere allegato e dimostrato di essere contrario all’intervento, mentre la controparte non aveva fornito alcuna prova di averlo informato che il secondo intervento lo avrebbe esposto, con alta probabilita’ statistica, a seri rischi di danno all’ipofisi e, quindi, alla completa impotenza.

3. Con il terzo motivo, denunciando la violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e degli articoli 115 e 116 c.p.c. e articolo 2697 c.c., il ricorrente contesta alla Corte d’appello di non avere ritenuto raggiunta la prova del dissenso all’intervento, nonostante il comportamento dallo stesso tenuto e descritto in cartella clinica.

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4. Con il quarto motivo, in via subordinata, il ricorrente denuncia la “violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per errata applicazione degli articoli 1226, 2056, 1218 e 1223 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c. nella determinazione del danno non patrimoniale” e si duole che i giudici di appello nel liquidare l’importo di Euro 10.000,00 per la violazione del principio di autodeterminazione abbiano omesso di prendere in considerazione l’estrema gravita’ della patologia accusata quale conseguenza del secondo intervento. Soggiunge che la gravita’ delle lesioni ha compromesso anche la sua attivita’ lavorativa di natura imprenditoriale e gli ha impedito di crearsi una famiglia.

5. Il primo motivo e’ inammissibile per la inestricabile mescolanza di vizi eterogenei, quali violazione di legge ed “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, senza la formulazione di circostanziate censure avverso specifiche statuizioni della sentenza impugnata. Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, e’ inammissibile la mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione ai quali si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione, o l’omesso esame di un fatto.

L’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimita’ il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’articolo 360 c.p.c., cosi’ attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimita’ il compito di dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass., sez. 1, 23/09/2011, n. 19443).

Sotto altro profilo, deve osservarsi che la Corte d’appello in sede di rinvio, nell’esaminare il motivo di gravame, attinente, come quello in esame, alla contestata scarsa diligenza dell’equipe operatoria, sia nella fase preparatoria che in quella esecutiva dei due interventi, l’ha ritenuto “ai limiti dell’ammissibilita’”, poiche’, in contrasto con l’articolo 342 c.p.c., evidenziando che il (OMISSIS) non aveva “preso specifica posizione sull’articolato percorso argomentativo compiuto dal primo giudice, snodatosi in numerose pagine di motivazione”, cosi’ rilevando che le censure mosse difettavano di specificita’.

Quando, come fatto dalla Corte di Napoli nel caso in esame, il giudice d’appello abbia dichiarato inammissibile uno dei motivi di gravame, ritenendolo privo di specificita’, il ricorrente per cassazione contro tale sentenza, ove intenda impedirne il passaggio in giudicato nella parte relativa alla dichiarata inammissibilita’, ha l’onere di denunziare l’errore in cui e’ incorsa la sentenza gravata e di dimostrare che il motivo d’appello, ritenuto non specifico, aveva invece i requisiti richiesti dell’articolo 342 c.p.c. (Cass., sez. 3, 09/03/1995, n. 2749; Cass., sez. L, 14/05/2004, n. 9243; Cass., sez. 2, 20/08/2019, n. 21514).

Appello e la dichiarazione di inammissibile uno dei motivi di gravame ritenendolo privo di specificità

Il ricorrente, invece, non ha formulato una specifica censura in ordine alla predetta statuizione di inammissibilita’, ma ha denunziato vizi di violazione di legge ed il vizio di motivazione, sicche’ il motivo, anche per tale ragione, e’ inammissibile.

In ogni caso, anche a prescindere da tali assorbenti rilievi, la doglianza per come formulata e’ volta a criticare l’accertamento svolto dai giudici di merito, che hanno puntualmente disatteso tutte le doglianze dell’odierno ricorrente, ed a sollecitare questa Corte ad un riesame delle questioni di fatto, non consentito in sede di legittimita’.

Invero, i giudici di appello, aderendo alle risultanze della c.t.u., hanno chiaramente escluso la responsabilita’ dei sanitari sotto tutti i profili contestati, spiegando che: “il fatto che la carotide si trovasse sulla via di accesso all’ipofisi era determinato da un possibile e di fatto attuale decorso anomalo della carotide, probabilmente ed attendibilmente legato alla compressione effettata dal macroadenoma sulle strutture anatomiche circostanti”; “il fatto che successivamente sia stato documentato dall’angio RM un decorso normale dell’albero arterioso endocranico e’ (era) spiegabile con l’effetto determinato dall’espletamento del secondo intervento effettuato dal convenuto per via sub-frontale”; “il terzo intervento (avvenuto a Terni) venne verosimilmente determinato da una recidiva dell’adenoma e non gia’ dalla mancata completa asportazione del tumore nel corso del secondo intervento”; “prima degli interventi la spermatogenesi, la libido ed in generale la funzione ipofisaria e la secrezione ormonale erano gia’ gravemente invalidate”.

Peraltro, anche laddove si volesse ritenere che il riferimento contenuto nell’illustrazione del motivo ad una “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” possa essere inteso come vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo”, secondo la nuova formulazione del vizio di legittimita’ introdotta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, il Collegio non puo’ esimersi dal rilevare che il vizio, cosi’ come denunciato, non e’ riconducibile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perche’ il “fatto” a cui si riferisce la norma e’ un accadimento fenomenico esterno al processo, rilevante e decisivo; detto vizio non puo’, pertanto, risolversi nella denuncia dell’omesso esame dell’insieme dei documenti e delle prove acquisite, ne’ tanto meno nell’omesso esame delle contestazioni mosse alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio (Cass., sez. 1, 16/03/2022, n. 8584; Cass., sez. 6-3, 24/06/2020, n. 12387).

6. Infondato e’ il secondo motivo di ricorso, risultando sul punto la decisione impugnata del tutto conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte.

Si e’ avuto modo di precisare che in tema di attivita’ medico chirurgica, la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, puo’ causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonche’ un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, rinvenibile quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravita’), diverso dalla lesione del diritto alla salute. Pertanto, nell’ipotesi di omissione od inadeguatezza diagnostica che non abbia cagionato danno alla salute ma che abbia impedito l’accesso ad altri piu’ accurati accertamenti, la lesione del diritto all’autodeterminazione sara’ risarcibile ove siano derivate conseguenze dannose di natura non patrimoniale, quali sofferenze soggettive e limitazione della liberta’ di disporre di se stessi, salva la possibilita’ della prova contraria (Cass. sez. 3, 11/11/2019, n. 28985); le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarita’ causale, dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria e’ costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della cd. vicinanza della prova), essendo, il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico, eventualita’ non rientrante nell’id quod plerumque accidit; al riguardo la prova puo’ essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile in re ipsa derivante esclusivamente dall’omessa informazione (Cass., sez. 3, 11/11/2019, n. 28985).

Appello e la dichiarazione di inammissibile uno dei motivi di gravame ritenendolo privo di specificità

Ebbene, nel caso specifico, i giudici di appello, nell’escludere che il danno derivato al (OMISSIS) dalla violazione del diritto all’autodeterminazione nelle scelte sanitarie potesse essere liquidato alla stregua di un danno alla salute, hanno ritenuto non provata la circostanza che, ove stato correttamente informato, il (OMISSIS) non si sarebbe sottoposto agli interventi, e cio’ in ragione della gravita’ della patologia riscontrata, ed hanno posto in rilievo che il (OMISSIS) non aveva dimostrato, neanche in via presuntiva, che non si sarebbe sottoposto al trattamento chirurgico ove fosse stato reso edotto delle conseguenze prevedibili dallo stesso derivanti, puntualizzando che difettava il collegamento causale tra il secondo intervento ed il malfunzionamento dell’ipofisi, considerato che la conseguenza derivatane (ipopituitarismo) era di per se’ connessa al tipo di patologia oncologica e si era in parte manifestata, secondo il c.t.u., gia’ in epoca antecedente al trattamento praticato dal (OMISSIS).

Non sono, dunque, ipotizzabili i vizi contestati, posto che la violazione dell’articolo 115 c.p.c. puo’ essere dedotta solo denunciando che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio), mentre e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c. (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867); la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice abbia solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione (Cass. sez. U, 30/09/2020, n. 20867).

Ne’ risulta configurabile, nella specie, la violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., che ricorre soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimita’, entro i ristretti limiti del “nuovo” articolo 360 c.p.c., n. 5) (Cass., sez. 3, n. 13395 del 29/05/2018; Cass., sez. 6-3, 23/10/2018, n. 26769).

Neppure, infine, e’ consentito a questa Corte scrutinare la legittimita’ della condanna al risarcimento del danno da violazione del diritto di autodeterminazione nei termini riconosciuti dalla Corte d’appello, alla luce dei principi sopra esposti, in assenza di ricorso incidentale.

7. Non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilita’ il terzo motivo, non solo per la mescolanza dei vizi dedotti, ma anche perche’, in violazione del principio di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il ricorrente poggia la censura su un documento – in particolare la cartella clinica dalla quale, secondo il suo assunto difensivo, si evincerebbe la prova del dissenso manifestato – senza riportarne in ricorso il contenuto, ed omettendo di localizzarla, al fine di consentire a questa Corte di valutare il motivo sulla base del solo ricorso e senza fare ricorso ad atti ad esso esterni (Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469).

Peraltro, la valutazione delle risultanze istruttorie e’ riservata al giudice di merito, sicche’ il vizio di motivazione non puo’ essere dedotto per criticare la sufficienza del discorso argomentativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali – acquisiti al rilevante probatorio – ritenuti determinanti oppure scartati perche’ non decisivi o non pertinenti. Ne segue che rimane estranea al vizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 qualsiasi contestazione che sia volta a criticare il convincimento che il giudice si e’ formato, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilita’ delle fonti di prova (Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892; Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).

8. Parimenti inammissibile e’ il quarto motivo.

Il ricorrente sostiene che il giudice d’appello, nel quantificare il danno per violazione di autodeterminazione, non avrebbe adeguatamente valutato la gravita’ della patologia dalla quale era affetto, il danno psichico e visivo, sessuale e procreativo e le ripercussioni della patologia sull’attivita’ lavorativa, ma, cosi’ facendo, per un verso, non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia che ha negato che la violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente abbia direttamente cagionato un danno alla salute e, per altro verso, omette qualsiasi riferimento al tenore dell’atto di appello sul punto, cosicche’ il motivo non si sottrae al rilievo di aspecificita’ (alla stregua del principio affermato da Cass. n. 4741/2005 e ribadito da Cass., sez. U, n. 7074/2017).

9. In controricorso l’Universita’ degli Studi di Roma “La Sapienza” ha avanzato domanda di restituzione delle somme versate all’odierno ricorrente in forza delle sentenze annullate da questa Corte con la sentenza n. 9894/15, allegando le relative quietanze.

La domanda e’ inammissibile.

Questa Corte ha, infatti, piu’ volte ribadito che in sede di legittimita’ non e’ mai ammissibile una pronuncia di restituzione delle somme corrisposte sulla base della sentenza cassata, neanche nel caso in cui la Corte di cassazione, annullando la sentenza impugnata, decida la causa nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., in quanto per tale domanda accessoria non opera, in mancanza di espressa previsione, l’eccezione al principio generale secondo cui alla Corte compete solo il giudizio rescindente, sicche’ la stessa, ove il pagamento sia avvenuto sulla base della sentenza annullata, va proposta al giudice che ha pronunciato quest’ultima, a norma dell’articolo 389 c.p.c. (tra le tante, Cass., sez. 3, 17/07/2012, n. 12218; Cass., sez. 3, 18/01/2016, n. 667; Cass., sez. 2, 04/10/2019, n. 24852).

10. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara inammissibile la domanda di restituzione di somme, avanzata dall’Universita’ degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Universita’ degli Studi di Roma “La Sapienza”, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed accessori di legge.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di (OMISSIS) s.p.a., delle spese del presente giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

 

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