Immobile di proprietà di un Comune riconosciuto di interesse storico è soggetto al demanio pubblico

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 18423.

Immobile di proprietà di un Comune riconosciuto di interesse storico è soggetto al demanio pubblico

L’immobile di proprietà di un Comune che, sebbene non iscritto nell’elenco di cui all’articolo 4, comma 1, legge 1° giugno 1939 n. 1089 sia riconosciuto di interesse storico, archeologico o artistico è soggetto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 822 e 824 del codice civile, al regime del demanio pubblico con la conseguenza che non può essere sottratto alla relativa destinazione, per cui non può essere soggetto neppure a usucapione. I beni muniti di interesse storico, artistico o archeologico appartenenti a enti pubblici devono essere considerati di per sé culturali: attraverso l’apposizione del vincolo archeologico non si costituisce su di essi una nuova qualità, ma si certifica una prerogativa che il bene già possiede per le sue caratteristiche che lo fanno appartenere alle cose di interesse archeologico.

Ordinanza|| n. 18423. Immobile di proprietà di un Comune riconosciuto di interesse storico è soggetto al demanio pubblico

Data udienza  9 giugno 2023

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente
Dott. CAVALLLINO Linalisa – rel. Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4577/2019 R.G. proposto da:

(OMISSIS), c.f. (OMISSIS), (OMISSIS), c.f. (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in Roma presso l’avv. (OMISSIS) nel suo studio in (OMISSIS);

ricorrenti

contro

(OMISSIS), c.f. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma presso di lei negli uffici dell’avvocatura civica in (OMISSIS);

controricorrente

avverso la sentenza n. 4527/2018 della Corte d’appello di Roma depositata il 4-7-2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9-6-2023 dal consigliere Linalisa Cavallino.

Immobile di proprietà di un Comune riconosciuto di interesse storico è soggetto al demanio pubblico

FATTI DI CAUSA

1.Con atto di citazione notificato il 21-12-2009 (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero avanti il Tribunale di Roma il Comune di (OMISSIS), esponendo che da tempo immemoriale loro, e prima i loro danti causa, avevano il possesso esclusivo e indisturbato dell’area antistante la loro proprieta’ immobiliare sita in (OMISSIS), censita al catasto al foglio (OMISSIS) e locale dichiarato con scheda n. (OMISSIS) registrata l’8-11-1971 al n. (OMISSIS); l’area era localizzata all’interno della particella (OMISSIS), era separata mediante siepe dalla via pubblica di (OMISSIS) e all’interno vi erano sistemati tavolini e ombrelloni, senza necessita’ di concessione per la relativa occupazione. Chiesero percio’ l’accertamento dell’acquisto del diritto di proprieta’ per usucapione ex articolo 1158 c.c.

Si costitui’ il Comune di (OMISSIS), chiedendo il rigetto della domanda, a fronte della demanialita’ dell’area e della sua sottoposizione a vincolo archeologico ai sensi della L. 1089 del 1939 in virtu’ di Decreto Ministeriale n. 15 novembre 1990, nonche’ per la mancanza dei requisiti del possesso ad usucapionem; in via riconvenzionale chiese che gli attori fossero condannati al rilascio dell’area.

Con sentenza n. 3422/2013 il Tribunale di Roma, all’esito della prova testimoniale svolta, rigetto’ la domanda principale e, accogliendo la domanda riconvenzionale, condanno’ gli attori al rilascio dell’area a favore del Comune, compensando le spese di lite.

2.Con atto notificato il 25-6-2013 proposero appello (OMISSIS) e (OMISSIS), che, con sentenza n. 4527 pubblicata il 4-7-2018, la Corte d’Appello di Roma ha respinto, confermando il rigetto della domanda di acquisto della proprieta’ per usucapione e condannando gli appellanti alla rifusione a favore del Comune appellato delle spese del grado.

La sentenza della Corte territoriale ha dichiarato che l’area oggetto di domanda era compresa nella zona ove insistevano le antiche grotte del (OMISSIS) di Roma; come si leggeva nella sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 12-7-1947 nella causa n. 3538 del 1946, nel ventennio successivo al 1668 alcuni terreni in quella zona erano stati ceduti a privati e fino dal 1698 i relativi atti avevano costituito oggetto di contenzioso sul carattere demaniale dei beni, sulla legittimita’ dell’acquisto, dell’occupazione da parte di privati e della realizzazione di nuovi costruzioni. Con decreto del 14-2-1942 n. 6602 il Prefetto di Roma “salvo migliore accertamento sul diritto di proprieta’” aveva autorizzato il Governatore di Roma a occupare in via di urgenza vari immobili ubicati al (OMISSIS), per la realizzazione del Parco Pubblico contemplato dal Piano Regolatore; con decreto del I-12-1943 n. 3425 il Commissario Straordinario al Governatorato aveva stabilito che non era dovuta alcuna indennita’ in relazione all’occupazione “essendo ben certa la natura demaniale del (OMISSIS) e del (OMISSIS)”. Tale deliberazione era stata impugnata da alcuni soggetti qualificatisi come proprietari di grotte al (OMISSIS) e all’esito di quel giudizio il Tribunale di Roma aveva dichiarato che gli attori, quali aventi causa di coloro che nel ventennio successivo al 1668 avevano acquistato dalla (OMISSIS) zone di terreno del (OMISSIS), sdemanializzate a seguito di tali vendite, erano proprietari di tali zone e delle sovrastanti costruzioni, limitatamente all’estensione posseduta dai rispettivi danti causa. Nel giudizio di appello avverso tale sentenza nel 1954 tra gli attori e il Comune di (OMISSIS) era intervenuta transazione, con la quale gli attori avevano rinunciato all’azione e alle loro pretese e il Comune aveva rimesso gli attori “in possesso delle grotte occupate dall’Amministrazione mediante verbali di riconsegna a cura della ripartizione II – Patrimonio”.

Quindi la sentenza ha dichiarato che esattamente il primo giudice aveva inquadrato l’area in oggetto nell’ambito delle previsioni degli articoli 822 comma 2 e 823 c.c., secondo le quali fanno parte del demanio pubblico gli immobili riconosciuti di interesse archeologico, gli stessi sono inalienabili e non possono essere oggetto di diritti a favore di terzi se non modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano, in quanto ai sensi dell’articolo 824 c.c. tale disciplina si applicava anche ai beni appartenenti a province e comuni. Ha evidenziato che la porzione immobiliare era stata sottoposta a vincolo archeologico ex lege 1989 del 1939 con Decreto Ministeriale n. 15 novembre 1990, era iscritta nell’inventario dei beni demaniali del Comune di (OMISSIS) alla matricola (OMISSIS) e non era stata data prova che, all’epoca dell’imposizione del vincolo archeologico, si fosse gia’ realizzato l’acquisto ex articolo 1158 c.c. Ha rilevato che i testimoni non avevano dichiarato nulla di preciso in ordine al titolo dell’utilizzazione del terreno in questione, senza che fossero emersi elementi dai quali trarre il convincimento del possesso con i requisiti richiesti dall’articolo 1158 c.c.; ha aggiunto che neppure dai documenti richiamati dagli appellanti si poteva trarre il convincimento dell’esistenza di possesso ad usucapionem, in quanto in nessuno dei documenti si faceva riferimento all’area in contestazione, ma solo alle grotte e ai grottini e ai relativi ampliamenti e sopraelevazioni, e non all’area compresa nella particella 81. Ha evidenziato che il possesso dell’area non poteva essere desunto neppure negli atti di acquisto stipulati tra il 1988 e il 1990, perche’ l’indicazione del confine ¦”via (OMISSIS)’ ivi contenuta nulla provava in ordine al possesso del terreno interposto tra la costruzione e la strada; quindi, in mancanza di chiari e univoci riferimenti, in quegli atti, al trasferimento del possesso anche delle aree in questione, non era applicabile l’articolo 1146 comma 2 c.c.

 

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3.Con atto notificato il 4-2-2019 (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza sulla base di sei motivi. Ha resistito con controricorso il Comune di (OMISSIS).

Il ricorso e’ stato avviato alla trattazione camerale ex articolo 380bis.1 c.p.c. e in prossimita’ dell’adunanza in camera di consiglio i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

All’esito della camera di consiglio del 9-6-2023 la Corte si e’ riservata il deposito dell’ordinanza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo rubricato “violazione degli articoli 2909 c.c., 115 e 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3” i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata abbia ritenuto di non poter trarre elementi utili al fine di ritenere il possesso ad usucapionem dalla sentenza del Tribunale di Roma del 1947 depositata dagli attori, evidenziando che l’interpretazione data dal giudice di merito al giudicato puo’ essere denunciata in cassazione sotto il profilo della violazione di legge e aggiungendo che comunque la sentenza poteva costituire elemento di prova documentale.

2.Con il secondo motivo rubricato “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5” i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata, nel dichiarare che la porzione immobiliare in oggetto era stata sottoposta a vincolo archeologico con Decreto Ministeriale n. 15 novembre 1990, non abbia considerato che quel decreto era stato notificato agli appellanti il 18-2-1991, siccome espressamente riconosciuti a quella data proprietari pro indiviso per la quota di 1/29 della particella 81.

3.Con il terzo motivo rubricato “violazione degli articoli 1362 c.c. e 2697 c.c. e articolo 1146, comma 2 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3” i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata abbia escluso l’operativita’ dell’articolo 1146 comma 2 c.c. erroneamente ritenendo che negli atti di acquisto stipulati tra il 1988 e il 1990 l’indicazione del confine “(OMISSIS)” nulla provasse in ordine al possesso del terreno interposto tra la costruzione e la strada di cui alla particella 81. Evidenziano che negli atti di acquisto stipulati tra il 1988 al 1990 le unita’ immobiliari vengono sempre descritte come —-¦”confinanti con via di (OMISSIS)’ e sostengono che cio’ stia a significare che nelle compravendite era ricompresa l’area cortilizia della particella 81. Percio’ lamentano la violazione delle regole sull’interpretazione della volonta’ delle parti ex articolo 1362 comma 1 e 2 c.c., secondo le quali nell’individuazione dell’immobile oggetto di compravendita e’ attribuito valore decisivo all’indicazione dei confini i quali, concernendo punti di riferimento esterni, consentono la massima precisione, mentre i dati catastali hanno carattere sussidiario.

4.Con il quarto motivo rubricato “violazione degli articoli 2729 c.c., 115 c.p.c. e 116 c.p.c., articolo 1362, comma 2 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3” i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia ritenuto non fosse possibile assumere alcun elemento utile ai fini della formazione del proprio convincimento sull’esistenza del possesso ad usucapionem neppure dal contenuto della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorieta’ resa il 7-10-1995 da (OMISSIS), dante causa di una dei danti causa degli appellanti, posto che le dichiarazioni contenute in quel documento erano idonee a dimostrare il possesso ad usucapionem e il giudice puo’ porre a base del proprio convincimento le prove dette ——-¦”atipiche’.

5.Con il quinto motivo rubricato “violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. in riferimento agli articoli 1140 c.c., 1141 c.c. e 1158 c.c., 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3” i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata abbia ritenuto che l’esistenza del possesso ad usucapionem non fosse desumibile dalle dichiarazioni rese dai testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS) sentiti dal giudice di primo grado; aggiungono che la prova testimoniale non era stata neppure l’unico strumento della dimostrazione del possesso, perche’ la circostanza che l’area fosse corte di pertinenza dei retrostanti fabbricati risultava anche dal verbale di contestazione elevato il 29-12-2009, dal contratto di locazione di data 1-10-2007, dalle sentenze che avevano definito il giudizio di risarcimento del danno nei confronti del Tribunale di Roma e dalla consulenza tecnica svolta in quel giudizio.

 

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6.Con il sesto e ultimo motivo rubricato “violazione degli articoli 822 e 823 c.c. e 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e all’articolo 360 comma 1 n. 4 c.p.c.” i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata non abbia pronunciato sul loro motivo di appello, con il quale essi avevano censurato la sentenza di primo grado laddove aveva erroneamente ritenuto che alla fattispecie si applicasse l’articolo 823 c.c., con conseguente non usucapibilita’ dell’area perche’ appartenente al demanio comunale. Evidenziano che non fanno parte del demanio accidentale gli immobili di cui alla L. 1 giugno 1939 n. 1089 rispetto ai quali gli enti pubblici siano titolari unicamente di diritto di comproprieta’, come nella fattispecie; quindi ripropongono gli argomenti volti a sostenere che la costituzione del vincolo archeologico sulla particella determini soltanto l’applicazione delle disposizioni dettate dalla L. 1 giugno 1939 n. 1089, ma non anche la demanializzazione di beni originariamente privati.

7.Il primo motivo, nella parte in cui lamenta la violazione del giudicato, e’ inammissibile per la considerazione, assorbente rispetto a ogni altra, che dalla stessa sentenza impugnata risulta che la sentenza alla quale si riferiscono i ricorrenti nel ricorso era stata oggetto di appello e nel corso del giudizio di appello era intervenuta una transazione che aveva definito il giudizio; quindi, dalla stessa sentenza impugnata risulta che la sentenza di primo grado del Tribunale di Roma non era passata in giudicato in ragione della proposizione dell’appello, senza che i ricorrenti deducano e dimostrino che la transazione fosse avvenuta con modalita’ processuali tali da comportare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Quindi i riferimenti eseguiti dai ricorrenti al vincolo del giudicato non sono correlati al contenuto della motivazione del provvedimento impugnato e cio’ comporta l’inammissibilita’ del motivo ai sensi dell’articolo 366 comma 1 n. 6 c.p.c. per carenza di specificita’.

Con riguardo alla parte in cui il motivo lamenta che la sentenza non sia stata considerata come elemento di prova, si esaminera’ il motivo unitamente al quarto e al quinto, al successivo punto 10.

8.Il secondo motivo e’ inammissibile, in quanto la censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio non e’ ammessa nel caso, come quello in esame, nel quale la sentenza della Corte d’Appello oggetto di impugnazione sia conforme a quella di primo grado (c.d. “doppia conforme”), ai sensi dell’articolo 348 ter comma 5 c.p.c. nella formulazione ratione temporis applicabile alla fattispecie, perche’ il giudizio di appello e’ stato introdotto dopo il termine del giorno 11-92012 posto dal Decreto Legge 22-6-2012 n. 83, articolo 54 comma 2 e 3-bis conv. in L. 7-8-2012 n. 124 e il ricorso per cassazione e’ stato proposto prima del termine del 28-2-2023 previsto dal Decreto Legislativo n. 10-10-2022 n. 149, articolo 35 comma 1 e 4. Deve darsi continuita’ al principio di diritto secondo il quale il ricorrente, per evitare l’inammissibilita’ del motivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve dimostrare che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e della decisione di rigetto dell’appello sono tra loro diverse (Cass. sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202-01, Cass. sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 643244-03); nella fattispecie i ricorrenti nel ricorso neppure hanno allegato questa diversita’, limitandosi invece a lamentare che ne’ nella sentenza di primo grado ne’ in quella di appello sia stata esaminata la circostanza.

9.Il terzo motivo e’ inammissibile in quanto, secondo indirizzo consolidato, l’accertamento della volonta’ delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito e il ricorrente per cassazione, al fine di fare valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 e ss. c.c., deve non solo specificare le norme asseritamente violate e i principi in essere contenuti, ma deve anche precisare in quale modo il giudice di merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se li abbia applicati in base ad argomentazioni illogiche o insufficienti, non potendo la sua censura risolversi nella mera contrapposizione tra la sua interpretazione e quella accolta dalla sentenza impugnata (Cass.sez.2 13-10-2022 n. 30109, Cass.sez.1 9-4 2021 n. 9461 Rv. 661265-01, Cass.sez.1 15-112017 n. 27136 Rv. 646063 01, per tutte).

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Nella fattispecie i ricorrenti si limitano a sostenere la violazione dell’articolo 1362 c.c. e a tal fine richiamano precedenti di legittimita’ che non riguardano l’interpretazione del contratto, ma l’individuazione dell’immobile oggetto di compravendita immobiliare, affermando che l’indicazione dei confini assume rilievo prevalente rispetto ai dati catastali. In questo modo i ricorrenti non individuano quale, tra i canoni posti dagli articoli 1362 e ss. c.c. sarebbe stato violato dal giudice di merito nel ritenere che l’indicazione del confine negli atti di acquisto nulla provasse in ordine al possesso del terreno interposto tra la costruzione e la strada e non fosse neppure chiaro e univoco riferimento al trasferimento del possesso di quel terreno.

10.Il quarto e il quinto motivo, da trattare tra loro congiuntamente e unitamente al primo motivo nella parte in cui fa riferimento al valore di prova della sentenza del Tribunale di Roma del 1947 stante la connessione, sono inammissibili nella parte in cui lamentano la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.; cio’ in quanto, sotto la qualifica della violazione di legge, i motivi tentano di introdurre nel giudizio di legittimita’ una ricostruzione dei fatti diversa da quella eseguita dal giudice di merito.

Si deve fare applicazione dei principi secondo cui “in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri ufficiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio), mentre e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c.”(Cass. sez. un. 30-9-2020 n. 20867 Rv. 65903701). Inoltre “in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa- secondo il suo —¦”prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, e il giudice abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione” (Cass. sez. un. 30-9-2020 n. 20867 Rv. 659037-02).

In ordine all’atto di notorieta’ reso il 7-10-1995 da (OMISSIS), la sentenza impugnata ha dichiarato che lo stesso non offriva alcun utile riscontro del possesso, perche’ l’avere il dichiarante affermato di avere “sempre fruito per la propria attivita’ dell’area antistante i civici n. 73 e 74 di (OMISSIS)” era circostanza del tutto generica, come tale inidonea a dimostrare un preteso possesso ad usucapionem. In questo modo la sentenza non ha pronunciato sull’illegittimita’ della prova atipica, che i ricorrenti avrebbero potuto censurare per violazione di legge, ma ha espresso la valutazione di merito, ad essa spettante e incensurabile in sede di legittimita’, sull’assenza di valore probatorio della dichiarazione per la sua genericita’.

In ordine alle testimonianze, la sentenza ha espressamente dichiarato che i testimoni non avevano fornito alcun specifico elemento sulla base del quale trarre il convincimento dell’esistenza del possesso ad usucapionem, in quanto era mancata qualsiasi indicazione sulla effettiva consistenza del bene; in questo modo la corte territoriale ha eseguito la valutazione a essa spettante e incensurabile in questa sede sul contenuto delle dichiarazioni testimoniali. La circostanza che la corte territoriale abbia aggiunto che i testimoni non avesse precisato nulla “in ordine al titolo in virtu’ del quale sarebbe avvenuta la riferita —-¦”utilizzazione’ delle aree” non significa, come sostengono i ricorrenti, che la corte abbia illegittimamente preteso la prova del titolo del possesso; indica soltanto che la Corte ha ritenuto l’utilizzazione dell’immobile alla quale avevano fatto riferimento i testimoni una definizione generica, che necessitava della spiegazione non fornita-riguardo la ragione dell’utilizzazione.

In ordine ai documenti, la circostanza lamentata dai ricorrenti secondo la quale la sentenza non abbia fatto riferimento ai documenti da loro indicati (tra i quali la sentenza di cui al primo motivo) e che, secondo la loro tesi, avrebbero dimostrato il possesso, non puo’ integrare violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.; cio’ in quanto si tratta di critica rivolta all’attivita’ valutativa della prova, rimessa al prudente apprezzamento del giudice e oggetto di censura solo ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella fattispecie di “doppia conforme” inammissibile.

11.Il sesto motivo, con il quale i ricorrenti lamentano l’omissione di pronuncia sul loro motivo di appello con il quale avevano dedotto il carattere non demaniale dei beni in quanto in comproprieta’ con privati e di conseguenza l’usucapibilita’ dei beni stessi, e’ inammissibile in quanto manca il carattere decisivo della prospettata omessa pronuncia.

Nella fattispecie la sentenza impugnata ha accertato (pag. 7) non solo che l’immobile e’ stato sottoposto a vincolo archeologico ai sensi della L. 1989 del 1939 con Decreto Ministeriale n. 15-11-1990, ma anche che il bene era iscritto nell’inventario dei beni demaniali del Comune di (OMISSIS) alla matricola (OMISSIS). Quindi, la sentenza contiene l’accertamento, non censurato in modo ammissibile dai motivi di ricorso, che l’immobile era bene demaniale del Comune di (OMISSIS).

A fronte di questo dato, seppure sussistesse il vizio di omessa pronuncia lamentato dai ricorrenti, tale omissione non avrebbe carattere decisivo, in quanto sussistono i presupposti per dare continuita’ a quanto gia’ statuito da questa Corte in casi analoghi, secondo cui non e’ accoglibile la domanda di usucapione di bene appartenente al demanio pubblico in ragione della sua intrinseca rilevanza archeologica, essendo irrilevante la data del provvedimento di apposizione del vincolo (Cass. sez. 2 23-5-2023 n. 14105, Cass. sez. 2 15-10-2018 n. 25690 Rv. 650776-01, con riguardo a immobili ugualmente ubicati in via di (OMISSIS); in precedenza Cass. sez. 1 10-2-2006 n. 2995 Rv. 586959-01).

In particolare, e’ stato statuito che l’immobile di proprieta’ di un Comune che, sebbene non iscritto nell’elenco di cui al L. 1 giugno 1939 n. 1089, articolo 4 comma 1 sia riconosciuto di interesse storico, archeologico o artistico e’ soggetto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 822 e 824 c.c., al regime del demanio pubblico (Cass. sez. un. 7-5-2003 n. 6898 Rv. 562696-01) con la conseguenza che non puo’ essere sottratto alla relativa destinazione, per cui non puo’ essere soggetto neppure a usucapione. I beni muniti di interesse storico, artistico o archeologico appartenenti a enti pubblici devono essere considerati di per se’ culturali: attraverso l’apposizione del vincolo archeologico non si costituisce su di essi una nuova qualita’, ma si certifica una prerogativa che il bene gia’ possiede per le sue caratteristiche che lo fanno appartenere alle cose di interesse archeologico (Cass. 25690/2018 e precedenti ivi richiamati). Ne consegue che, nel caso di specie, la rilevanza archeologica del bene immobile oggetto di controversia, sebbene dichiarata, attraverso l’apposizione del vincolo specifico, solo nel 1990, era gia’ insita nel bene, con la conseguenza che il bene non era neppure assoggettabile a usucapione.

12. In conclusione il ricorso e’ inammissibile e, in applicazione del principio della soccombenza, i ricorrenti devono essere condannati alla rifusione a favore del Comune controricorrente delle spese di lite del grado, in dispositivo liquidate.

In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 comma 1-quater si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna i ricorrenti alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi, oltre accessori ex lege.

Sussistono ex Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 comma 1-quater i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

 

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