Ricorso per cassazione e la deduzione della omessa pronuncia su un motivo di appello

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 giugno 2023| n. 16028.

Ricorso per cassazione e la deduzione della omessa pronuncia su un motivo di appello

In tema di ricorso per cassazione, la deduzione della omessa pronuncia su un motivo di appello – per erronea lettura del suo contenuto da parte del giudice di merito – integra un “error in procedendo” che legittima il giudice di legittimità all’esame degli atti del giudizio, in quanto l’oggetto di scrutinio attiene al modo in cui il processo si è svolto, ossia ai fatti processuali che quel vizio possono aver provocato; tale deduzione presuppone, comunque, che la censura sia stata formulata nel rispetto delle norme di contenuto-forma del ricorso.

Ordinanza|| n. 16028. Ricorso per cassazione e la deduzione della omessa pronuncia su un motivo di appello

Data udienza 23 maggio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità civile – Cose in custodia – Risarcimento danni – Presupposti – Articolo 2697 cc – Onere della prova – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 17931 del 2013 – Impugnazioni – Articoli 342 e 345 cpc – Criteri – Motivazione del giudice di merito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32063/2020 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), (p.e.c. indicata: (OMISSIS)), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Comune di Fano;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona n. 1025/2020, depositata il 7 ottobre 2020;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 23 maggio 2023 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Ricorso per cassazione e la deduzione della omessa pronuncia su un motivo di appello

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione di primo grado che aveva solo parzialmente accolto la domanda risarcitoria proposta da (OMISSIS) contro il Comune di Fano per i danni subiti a seguito dell’incidente occorsole il giorno (OMISSIS), alle ore 12, allorquando, mentre percorreva in bicicletta un tratto di strada comunale, cadeva a terra a causa di una buca non visibile e non segnalata sul manto stradale.

Con valutazione condivisa dalla Corte d’appello, il primo giudice aveva infatti riconosciuto il concorso di colpa della danneggiata nella misura del 70% sul rilievo che, dalla visione delle fotografie agli atti e dal tenore delle deposizioni testimoniali, emergeva che la buca si trovava al di la’ del limite destro della carreggiata, ben segnato sull’asfalto, vale a dire in una posizione nella quale il ciclista rispettoso delle regole di circolazione non avrebbe dovuto marciare.

2. Avverso tale decisione (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidandolo a cinque motivi.

Il Comune non svolge difese nella presente sede.

3. E’ stata fissata la trattazione per la odierna adunanza camerale con decreto del quale e’ stata data rituale comunicazione alle parti.

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

La ricorrente ha depositato memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e articoli 115 e 116 c.p.c..

Permette che, con l’appello, essa aveva contestato sia la violazione del principio dispositivo che quello sulla disponibilita’ delle prove per avere il Tribunale ricostruito la dinamica del sinistro, quanto in particolare alla posizione della buca, in termini diversi dalle allegazioni delle parti e dalle risultanze istruttorie.

2. Con il secondo motivo denuncia “omessa motivazione ex articolo 132 c.p.c., su un motivo d’appello sotto il profilo di cui dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (cosi’ testualmente nell’intestazione).

Lamenta che la Corte d’appello ha distorto il contenuto delle censure da essa mosse ed e’ dunque venuta meno al dovere di motivare, avendo ritenuto che non fosse contestata “la ricostruzione del sinistro come effettuata dal primo giudice, ossia il fatto che parte attrice si trovasse al di fuori della carreggiata” ma che le critiche si soffermassero sulla circostanza che, “essendo la linea di margine discontinua, parte attrice poteva sorpassarla e trovarsi quindi al di la’ della carreggiata”.

3. Con il terzo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli articoli 342 e 112 c.p.c., per omessa pronuncia su un motivo di appello, sotto il profilo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4” per avere il giudice d’appello ritenuto la responsabilita’ solo concorrente dell’ente, sebbene nessuna colpa fosse addebitabile ad essa istante date le condizioni dell’asfalto e le dimensioni e la posizione della buca che non la rendevano visibile se non quando era ormai impossibile evitarla.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione degli articoli 342 e 112 c.p.c., per omessa pronuncia su un motivo di appello, sotto il profilo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sulla iterata richiesta di ispezione dei luoghi.

5. Con il quinto motivo la ricorrente, infine, deduce “violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 1226, 2056 e 2059 c.c., ed omessa motivazione ex articolo 132 c.p.c., sotto il profilo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”, in relazione al rigetto del motivo di gravame con il quale essa si era doluta del mancato pieno riconoscimento del danno morale.

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6. Il primo motivo e’ inammissibile.

Esaminando il terzo motivo di gravame, la Corte d’appello ha osservato che l’articolo 112 c.p.c., “esclude che il giudice possa pronunciarsi su domande diverse da quelle avanzate dalle parti, ma non vieta che possa motivare la propria decisione alla luce di una ricostruzione del fatto diversa da quella offertagli dalle parti rilevabile dal materiale probatorio acquisito agli atti. Inoltre, l’ambito delle questioni per le quali si pone l’obbligo di stimolare il contraddittorio si estende alle questioni di fatto o eccezioni rilevabili d’ufficio ma non anche ad una diversa valutazione del materiale probatorio”.

Tale parte della motivazione e’ attaccata con il motivo in esame sostenendosi, in sostanza, a quanto e’ dato comprendere, due cose, e cioe’ che:

a) sulla descrizione della dinamica del sinistro contenuta nell’atto introduttivo del giudizio, la’ dove in particolare si era detto che la buca insidiosa si trovava sulla sede carrabile, non vi era stata specifica contestazione da parte del convenuto;

b) la diversa ricostruzione operata dal Tribunale (secondo cui la buca non si trovava nel punto indicato dall’attrice ma “al di la’ del limite destro della carreggiata e precisamente nella banchina, vale a dire in una posizione nella quale il ciclista rispettoso delle regole di circolazione non avrebbe dovuto marciare”) e’ “estranea alle risultanze istruttorie” (foto e prove testimoniali).

Entrambe tali censure sono inammissibili.

6.1. La prima sottende la violazione del principio di non contestazione ma, in questa direzione, si espone ai seguenti plurimi rilievi di inammissibilita’ e infondatezza:

– trattandosi di valutazione gia’ compiuta dal giudice di primo grado la violazione del detto principio avrebbe dovuto essere dedotta come motivo di gravame, in mancanza di che l’eventuale error in procedendo non potrebbe piu’ essere rilevato in cassazione per il giudicato interno (formatosi sulla correttezza del modus procedendi) che lo impedisce; che tale censura sia stata proposta in appello non vi e’ traccia nella sentenza impugnata, dalla quale piuttosto si trae la sola diversa denuncia del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; che essa fosse stata proposta in appello e’ bensi’ affermato in ricorso (pag. 9, terzultimo capoverso), ma in termini chiaramente irrispettosi dell’onere di specifica indicazione dell’atto richiamato, imposto a pena di inammissibilita’ dall’articolo 336 c.p.c., n. 6;

– pur prescindendo dal superiore assorbente rilievo dovrebbe comunque rilevarsi che la censura e’ dedotta in termini inosservanti dei requisiti di specificita’ a tal fine richiesti; deve invero rammentarsi che il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericita’ o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (v. ex multis Cass. 22/05/2017, n. 12840); l’onere processuale in discorso non risulta assolto, essendosi la ricorrente limitata a richiamare un passaggio della comparsa di costituzione del Comune nel giudizio di primo grado, per il resto affidando alla sua mera asserzione l’assunto della insussistenza di rilievi contrastanti riguardo alla posizione della buca;

– deve, infine, in ogni caso, rilevarsi che detto principio, se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento; l’articolo 115 c.p.c., comma 1, non reca alcuna finzione di dimostrazione del fatto non specificatamente contestato, bensi’ si limita a stabilire una relevatio ab onere probandi a favore della parte che lo ha allegato; la circostanza narrata, in difetto di una specifica contestazione, dovra’ essere valutata dal giudice nella formazione del suo convincimento, potendo, pur sola e indimostrata, fondare la decisione, ma potra’ anche essere reputata inesistente, qualora constino agli atti prove in senso contrario (v. in tal senso Cass. 04/04/2012, n. 5363, la quale ha precisato che nel rito del lavoro, la mancata contestazione di un fatto costitutivo della domanda esclude il fatto non contestato dal tema di indagine solo allorche’ il giudice non sia in grado, in concreto, di accertarne l’esistenza o l’inesistenza, ex officio, in base alle risultanze ritualmente acquisite; v. anche, conff. Cass. 10/07/2009, n. 16201; 15/11/2018, n. 29404; 20/12/2016, n. 26395; 09/07/2020, n. 14448; 17/02/2023, n. 5166).

6.2. Il secondo argomento di critica (v. supra, par. 6, sub lettera b) sembra evocare un vizio di c.d. “travisamento di prova”.

Una siffatta ipotesi censoria e’, in astratto, bensi’ presente nella giurisprudenza civile di questa Corte, che la identifica tuttavia nell’errore di “percezione” della “informazione probatoria” (ricadente sul contenuto oggettivo della prova: demonstratum; denunciabile quale error in procedendo, per violazione dell’articolo 115 c.p.c.: v., ex aliis, Cass. 12/04/2017, n. 9356 e, da ultimo, Cass. 26/04/2022, n. 12971; 03/05/2022, n. 13918; 06/09/2022, n. 26209; 21/12/2022, n. 37382), tenendo ben fermo che “travisamento delle prove” e’ nozione distinta da quella di “valutazione delle prove”.

Per la sua definizione puo’ farsi riferimento alla giurisprudenza sull’articolo 606 c.p.p., lettera e), la quale ha chiarito che il travisamento della prova non tocca il livello della valutazione, ma si arresta alla fase antecedente dell’errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio.

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E’ errore sul significante, che si traduce nell’utilizzo di un elemento di prova inesistente (o incontestabilmente diverso da quella reale), e non sul significato della prova.

Il travisamento concerne il livello percettivo che precede la valutazione. Quest’ultima interviene in una fase successiva, quando, delimitato il campo semantico o dei segni grafici nella loro materialita’, si aprono le diverse opzioni valutative.

Proprio nella consapevolezza di tale distinzione questa Corte ascrive a travisamento di prove (error in procedendo per violazione dell’articolo 115 c.p.c.) solo la postulazione in sentenza di informazioni probatorie che possano considerarsi obiettivamente e inequivocabilmente contraddette dal dato formale-percettivo delle fonti o dei mezzi di prova considerati o che, addirittura, risultino inesistenti e dunque sostanzialmente “inventate” dal giudice.

Il criterio da utilizzare per l’individuazione di un siffatto errore e’ quello stesso dettato dall’articolo 395 c.p.c., n. 4, per la definizione di errore di fatto percettivo (deve cioe’ trattarsi di una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile ex actis o, come e’ stato detto, del travisamento di un “dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi ed alternativi” ed inoltre “decisivo”), distinguendosi da questo solo perche’ inerente ad un fatto controverso e dibattuto in giudizio.

Orbene, nella specie un siffatto vizio e’ inammissibilmente evocato in ricorso.

Ed invero, quel che in questa sede viene denunciato e’ chiaramente non un errore percettivo ma un supposto errore di valutazione della prova, documentale e testimoniale, da parte del giudice del merito, come tale certamente sottratto al sindacato di legittimita’.

Non si ricava dalla sentenza, almeno in maniera esplicita, una ricostruzione del contenuto oggettivo delle prove (sul piano dei segni grafici e degli enunciati linguistici) diverso da quello rappresentato come da esse ricavabile.

La contestazione ricade piuttosto sulla correttezza della denominazione come “banchina” della parte nella quale la buca ricade siccome raffigurata nelle foto.

Essa si muove pertanto sul piano della selezione tra i possibili contenuti informativi ricavabili da un mezzo di prova, espressione piu’ propria della discrezionalita’ valutativa del giudice di merito e come tale estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimita’ e, conseguentemente, non denunciabile dinanzi a quest’ultima.

Deve dunque anche escludersi che, sullo scrutinio del motivo, possa interferire la questione da ultimo rimessa al vaglio delle Sezioni Unite con ordinanze interlocutorie della Sezione Lavoro n. 8895 del 29/03/2023 e di questa Sezione n. 11111 del 27/04/2023, in quanto oggetto di contrasto all’interno della giurisprudenza di questa Corte, circa l’ammissibilita’, nel vigente ordinamento processuale civile, del c.d. vizio di travisamento di prova nei termini sopra indicati.

7. Il secondo motivo e’ infondato.

Al di la’ della contorta e contraddittoria intestazione, con esso si intende denunciare nella sostanza (da valorizzarsi nell’esercizio del potere/dovere di autonoma qualificazione della censura attribuito alla S.C.: v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931) un error in procedendo – essenzialmente sub specie di omessa pronuncia su motivo di gravame (nella specie, il terzo motivo di appello) – in conseguenza della errata lettura del suo effettivo contenuto censorio.

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7.1. Giova premettere che, con riferimento al contiguo tema dei limiti dello scrutinio in sede di legittimita’ della censura riguardante la violazione dell’articolo 342 c.p.c., si contrapponevano nella giurisprudenza di questa Corte due indirizzi: uno, piu’ risalente, secondo il quale la verifica del rispetto dell’onere di specificazione dei motivi di impugnazione – richiesta dagli articoli 342 e 434 c.p.c. – non e’ direttamente effettuabile dal giudice di legittimita’, poiche’ e’ esclusivo compito giudice del merito interpretare la domanda – e, dunque, anche la domanda di appello – in quanto implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della correttezza giuridica del relativo procedimento e della logicita’ del suo esito (cfr. Cass., 16/12/2005, n. 27789; 30/08/2007, n. 18310; 01/02/2007, n. 2217; 27/05/2014, n. 11828); e l’altro, invece, secondo il quale la specificita’ dei motivi di impugnazione, richiesta dall’articolo 342 c.p.c., e’ verificabile in sede di legittimita’ direttamente, poiche’ la relativa censura e’ riconducibile nell’ambito degli errores in procedendo (cfr. Cass. 14/08/2008, n. 21676; 15/01/2009, n. 806; 10/09/2012, n. 15071).

Il contrasto deve ora ritenersi risolto alla luce della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza 22/05/2012, n. 8077, hanno affermato che, in tutti i casi accomunati dalla natura processuale del vizio denunciato dal ricorrente e dalla sua interdipendenza con l’interpretazione da dare ad una domanda o ad un’eccezione di parte, l’oggetto dello scrutinio che e’ chiamato a compiere il giudice di legittimita’ (a differenza di quel che accade con riferimento agli errores in indicando denunciati a norma dell’articolo 360, comma 1, n. 3), non e’ costituito dal contenuto della decisione formulata nella sentenza (che segna solo il limite entro cui la parte ha interesse a dedurre il vizio processuale), bensi’ direttamente dal modo in cui il processo si e’ svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver provocato. E’ percio’ del tutto naturale che la Corte di Cassazione debba prendere essa stessa cognizione di quei fatti, sempre pero’ che la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformita’ “alle regole di ammissibilita’ e di procedibilita’ stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della corte”, e quindi anche nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass. Sez. U. n. 8077 del 2012).

7.2. Reputa il Collegio che non diverso ragionamento debba condurre a ritenere ammissibile, nei sensi e nei limiti sopra detti, la denuncia che, come quella in esame, lamenti l’erronea lettura da parte del giudice di merito di un motivo di gravame, ove diretta a far valere altro tipo di error in procedendo, quale quello per l’appunto rappresentato dal fatto che, per effetto di tale erronea lettura, il giudice non si sia pronunciato sul motivo di appello realmente veicolato nell’atto.

Anche in tal caso, infatti, “l’oggetto dello scrutinio che e’ chiamato a compiere il giudice di legittimita’ (a differenza di quel che accade con riferimento agli errores in indicando denunciati a norma dell’articolo 360, comma 1, n. 3), non e’ costituito dal contenuto della decisione formulata nella sentenza (che segna solo il limite entro cui la parte ha interesse a dedurre il vizio processuale), bensi’ direttamente dal modo in cui il processo si e’ svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver provocato”.

7.3. Cio’ precisato deve pero’ rilevarsi l’infondatezza della doglianza.

La parte dell’atto di appello testualmente trascritta in un riquadro di pag. 14 del ricorso non esibisce invero un contenuto oggettivo sostanzialmente diverso da quello sul quale la Corte d’appello ha condotto la propria disamina.

Oltre a prospettare, nei primi tre capoversi del testo riportato nel riquadro, una lesione del contraddittorio per violazione dell’articolo 101 c.p.c. – critica sulla quale la Corte anconetana si e’ pronunciata nella parte di motivazione che precede quella focalizzata dal motivo in esame -, si legge nell’ultima parte di detto riquadro la seguente testuale affermazione: “Vero che la carreggiata e’ la “parte della strada… delineata da strisce di margine”, il Tribunale dimentica che queste strisce “possono essere continue e discontinue” e che solo le prime, quelle continue, “non devono essere attraversate”. Le altre, quelle discontinue, possono infatti essere liberamente oltrepassate (articolo 40 C.d.S.). Sono discontinue, aggiunge l’articolo 141 del regolamento, quelle in corrispondenza di piazzuole o zona di sosta e di passi carrabili”.

Non si vede, dunque, ne’ la ricorrente lo spiega, quale argomento di critica, cosi’ diverso da quello postulato in sentenza, fosse da tale affermazione desumibile, al punto da potersi configurare un vizio di omessa pronuncia.

7.4. La Corte d’appello ha in realta’ esattamente individuato il senso di quella censura, ma l’ha ritenuta inidonea ad escludere la colpa della danneggiata.

Ha invero osservato che, se e’ vero che le strisce di margine della carreggiata possono essere continue o discontinue, a seconda di cio’ che e’ posto al di la’ della carreggiata, “cio’ non toglie che abbiano pur sempre la funzione di delimitare la carreggiata e quindi lo spazio entro cui un veicolo deve marciare”.

Rispetto a tale valutazione la successiva illustrazione del motivo esprime solo una generica insoddisfazione e una critica meramente oppositiva che non riesce a individuare l’errore ascrivibile alla sentenza, tanto meno sul piano processuale.

8. Il terzo motivo e’ inammissibile.

Lungi dall’indicare in quale parte della sentenza e per quale ragione siano configurabili gli errores in procedendo evocati in rubrica, la sua illustrazione e’ diretta a prospettare un errore di qualificazione giuridica della fattispecie, in relazione al ritenuto concorso del fatto colposo della danneggiata, a sua volta pero’ dedotto esclusivamente attraverso una mera diversa ricostruzione del fatto e la sollecitazione di una diversa valutazione del materiale istruttorio, certamente non consentita a questa Corte.

Lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione “squisitamente di merito” (tra le molte, Cass. n. 2480 del 2018), che, come detto, la Corte territoriale ha compiuto sulla scorta delle risultanze istruttorie raccolte e in armonica applicazione delle coordinate in diritto fissate dalla giurisprudenza di questa Corte (per le quali v. da ultimo Cass. Sez. U. 30/06/2022, n. 20943; Cass. 27/04/2023, n. 11152; 05/05/2023, n. 11942; 11/05/2023 n. 12960). Rispetto a tale valutazione gli ulteriori profili di doglianza si risolvono in una critica sul cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito, che non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione.

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9. Il quarto motivo e’ inammissibile.

Il rigetto implicito della chiesta ispezione giudiziale e’ insindacabile in sede di legittimita’; l’articolo 258 c.p.c., prevede la totale discrezionalita’ del giudice di merito nel disporre detto mezzo di prova e l’insindacabilita’ di tale scelta in sede di legittimita’ (cosi’ Cass. 03/05/1996, n. 4092; v. anche, conff., Cass. 13/07/2001, n. 9516).

Piu’ in generale va ricordato che la mancata ammissione dei mezzi prova richiesti dalle parti pone solo un problema di coerenza e completezza della ricostruzione del fatto in rapporto agli elementi probatori offerti dalle parti e puo’ pertanto essere denunciata in sede di legittimita’ (solo) per vizio di motivazione nei limiti in cui un tale vizio e’ oggi deducibile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Vizio nella specie, peraltro, non deducibile sia per la preclusione che deriva, ex articolo 348-ter c.p.c., u.c., dall’essere la decisione d’appello confermativa di quella di primo grado e fondata su conforme ricostruzione della fattispecie concreta, sia perche’ comunque riferito ad un fatto, la collocazione della buca, gia’ esaminato dalla Corte di merito.

10. Il quinto motivo prospetta due distinte censure: la prima diretta a contestare, se ben si comprende, la mancata personalizzazione del danno; la seconda diretta invece a lamentare l’omessa liquidazione del danno morale, come conseguenza della sua inclusione nel calcolo tabellare del danno biologico.

10.1. La prima di tali censure e’ inammissibile.

Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, “in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) puo’ essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa eta’ non giustificano alcuna personalizzazione in aumento” (v. ex multis Cass. 07/05/2018, n. 10912; 30/10/2018, n. 27482; 11/11/2019, n. 28988; 10/11/2020, n. 25164; 04/03/2021, n. 5865; 06/05/2021, n. 12046).

Sul piano concettuale occorre invero rammentare che il grado di invalidita’ permanente indicato da un bareme medico legale esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione si presume riverberi sullo svolgimento delle attivita’ comuni ad ogni persona; in particolare, le conseguenze possono distinguersi in due gruppi:

– quelle necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare grado di invalidita’;

– quelle peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili.

Tanto le prime quanto le seconde costituiscono forme di manifestazione del danno non patrimoniale aventi identica natura che vanno tutte considerate in ossequio al principio dell’integralita’ del risarcimento, senza, tuttavia, incorrere in duplicazioni computando lo stesso aspetto due o piu’ volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni.

Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali allegate dal danneggiato, che rendano il danno piu’ grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa eta’, e’ consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (v. Cass. n. 10912 del 2018, cit.).

Nella specie, la doglianza non e’ supportata dalla indicazione di elementi che, alla luce dei principi sopra richiamati, possano giustificare una ancora maggiore personalizzazione del danno.

Al di la’ del riferimento al danno morale (sul quale si tornera’ appresso nell’esame del secondo sub-motivo) e della rappresentazione del lungo e doloroso percorso ospedaliero e postoperatorio, la censura si appunta sulla asserita mancata considerazione dei gravi riflessi sulla vita relazionale in termini pero’ generici e comunque inidonei a rappresentare l’esistenza di quelle sofferenze peculiari che giustificherebbero un allontanamento in aumento (c.d. personalizzazione) dai valori punto risarcitori standard fissati nelle tabelle in uso.

Gli asseriti pregiudizi non sono infatti conseguenze peculiari e non comuni di una determinata menomazione.

Pertanto, delle due l’una: o sono stati gia’ considerati dal c.t.u. e poi dal tribunale nella determinazione della complessiva percentuale invalidante e poi del danno biologico per cosi’ dire base, e in tal caso non si giustifica alcuna personalizzazione, trattandosi di conseguenze comuni e non eccezionali di quella complessiva situazione di invalidita’; o non lo sono stati, ma in tal caso la censura avrebbe dovuto appuntarsi sulla determinazione del grado di invalidita’ e, in questa sede, avrebbe ancor prima dovuto allegarsi, nel rispetto degli oneri di specificita’, che in tali termini era stata gia’ proposta in appello e non esaminata come tale.

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10.2. La seconda censura e’ infondata.

La Corte d’appello, infatti, come espressamente affermato in sentenza, ha liquidato il danno da lesione del diritto alla salute facendo applicazione delle “tabelle milanesi” le quali includevano nel valore del punto di invalidita’, rapportato in funzione crescente alla gravita’ della menomazione (percentuale di invalidita’) ed in funzione decrescente all’eta’ della persona lesa, una quota riferibile anche al danno morale.

Come chiarito da questa Corte (superando precedente difforme orientamento espresso da Cass. 04/02/2020, n. 2461), ferma l’ontologica autonomia del danno morale dal danno biologico, nulla impedisce di operare in tal modo la liquidazione del danno morale, dal momento che la componente dell’importo risarcitorio cosi’ calcolato destinato a compensare la sofferenza morale e’ il risultato essa stessa di un implicito ragionamento fondato sull’attendibile criterio logico-presuntivo della “corrispondenza, su di una base di proporzionalita’ diretta, della gravita’ della lesione rispetto all’insorgere di una sofferenza soggettiva: tanto piu’ grave, difatti, sara’ la lesione della salute, tanto piu’ il ragionamento inferenziale consentira’ di presumere l’esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall’aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa” (cosi’, in motivazione, Cass. 10/11/2020, n. 25164).

11. Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.

Non avendo l’ente intimato svolto difese nella presente sede non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese.

12. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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