Il riscontro in sede di appello dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario anziché con il rito speciale

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 10864

Il riscontro in sede di appello dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario anziché con il rito speciale

Il riscontro, in sede di appello, dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario, anziché con il rito ex artt. 28 della l. n. 794 del 1942 e 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, impone al giudice d’appello unicamente di valutare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva, secondo le norme del rito seguito, ormai consolidatosi, avendo dunque riguardo alla data di notifica della citazione, senza spiegare effetti invalidanti sull’attività processuale in precedenza compiuta, né comportare la nullità della sentenza di primo grado o, comunque, la rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c.

Sentenza|| n. 10864. Il riscontro in sede di appello dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario anziché con il rito speciale

Data udienza 22 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Avvocato – Erronea trattazione della causa – Momento della sua introduzione con il rito ordinario anziché con il rito ex artt. 28 della l.n. 794 del 1942 e 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 – Giudice d’appello – Valutazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva secondo le norme del rito seguito – Data di notifica della citazione – Effetti invalidanti sull’attività processuale in precedenza compiuta – Nullità della sentenza di primo grado o rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c. – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7193-2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

-controricorrenti-

avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di MILANO n. 4565-2016 depositata il 12/12/2016.

Viste le conclusioni motivate, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14), formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale ALESSANDRO PEPE, il quale ha chiesto di respingere il ricorso.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/03/2023 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.

Il riscontro in sede di appello dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario anziché con il rito speciale

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 4565-2016 della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 12 dicembre 2016.

Resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

2. Il giudizio ebbe inizio con un decreto ingiuntivo reso in data 19 ottobre 2011 dal Tribunale di Milano, sezione distaccata di (OMISSIS), intimato nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) su domanda dell’avvocato (OMISSIS) ed avente ad oggetto il pagamento dei compensi professionali, nell’importo di Euro 12.667,98, oltre interessi, inerenti all’attivita’ difensiva svolta in un giudizio civile di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto. Il decreto ingiuntivo fu notificato in data 2 novembre 2011 e opposto dagli intimati con citazione notificata il 12 dicembre 2011, nella quale (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) proposero anche riconvenzionale per sentir accertare la negligenza ed imperizia con cui aveva agito l’avvocato (OMISSIS) e condannare lo stesso ai danni correlati. Con sentenza del 18 febbraio 2015 il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), accertato il parziale inadempimento dell’avvocato (OMISSIS), revoco’ il decreto ingiuntivo emesso in data 19 ottobre 2011, condanno’ gli opponenti al pagamento in favore del (OMISSIS) della somma di Euro 6.333,99, oltre interessi, e condanno’ (OMISSIS) al risarcimento dei danni subiti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), liquidati per ciascuno nell’importo di Euro 4.140,41, oltre interessi, in sostanza ritenendo l’avvocato responsabile nei limiti delle condanne alle spese processuali sostenute nel giudizio presupposto per effetto della soccombenza.

La Corte d’appello ha respinto il gravame interposto dall’avvocato (OMISSIS), affermando, in particolare: a) quanto al primo motivo di appello, con cui veniva dedotta l’inammissibilita’ dell’opposizione per violazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 28, che tale procedura, per costante giurisprudenza, non e’ applicabile quando la controversia riguardi non soltanto la semplice determinazione della misura del compenso spettante al professionista, bensi’ anche altri oggetti di accertamento e decisione, essendo nella specie in contestazione “non soltanto il quantum, ma anche l’an”; b) quanto al secondo motivo di appello, che comunque l’opposizione di (OMISSIS) e (OMISSIS), notificata il 12 dicembre 2011, era tempestiva rispetto al momento della notificazione del decreto ingiuntivo, agli stessi eseguita nelle forme di cui all’articolo 140 c.p.c., e dunque da ritenersi perfezionata da momento della “ricezione” della raccomandata, “o comunque, trascorsi dieci giorni dalla relativa spedizione”; c) quanto al terzo motivo, che l’avvocato (OMISSIS) aveva “errato nel risolvere questione giuridica priva di margini di opinabilita’”, giacche’ “la richiesta di conclusione del contratto di compravendita e contemporaneamente dell âââEurošÂ¬Ã‹Å”actio quanti minoris, con riferimento al bene oggetto del contratto preliminare di compravendita, che avesse subito danneggiamenti o presentasse vizi o difformita’ che incidessero sul suo valore, era ineccepibile, ed una semplice ricerca giurisprudenziale ne avrebbe confermato la correttezza e legittimita’”.

3. Il ricorso e’ stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma del Decreto Legge 29 dicembre 2022, n. 198, articolo 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14).

Il ricorrente ha presentato memoria.

Il riscontro in sede di appello dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario anziché con il rito speciale

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Il primo motivo del ricorso dell’avvocato (OMISSIS) denuncia l’inammissibilita’ “dell’opposizione proposta dagli (OMISSIS) avverso il decreto ingiuntivo per violazione e falsa applicazione della l. 794 del 1942, articolo 28 “. Il ricorrente lamenta che il giudice di primo grado avesse omesso di esaminare tale questione, come poi censurato col primo motivo di appello, avendo riguardo al Decreto Legislativo n. 1 settembre 2011, n. 150, articolo 14, che assoggetta al rito sommario di cognizione le controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 28, sicche’ l’opposizione contro il decreto ingiuntivo doveva essere proposta mediante ricorso da depositare entro il termine di quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo. Tale procedimento, si dice nel primo motivo, “trova applicazione anche quando si discute dell’an debeatur”.

Il secondo motivo del ricorso dell’avvocato (OMISSIS) allega la “tardivita’ dell’opposizione a decreto ingiuntivo da parte di (OMISSIS) e conseguente esecutorieta’” dello stesso, con “violazione e falsa applicazione dell’articolo 641 c.p.c.”. Si espone che il decreto ingiuntivo era stato notificato a (OMISSIS) nelle forme dell’articolo 140 c.p.c., con deposito nella casa comunale avvenuto il 2 novembre 2011 e ritiro del plico della raccomandata informativa operato il 5 novembre 2011, giorno da cui sarebbe decorso il termine per l’opposizione, da verificare, secondo il ricorrente, con riguardo al “deposito in Cancelleria dell’atto di citazione in opposizione notificato”, essendo stata poi “iscritta a ruolo solo in data 16 dicembre 2011”.

Il terzo motivo di ricorso censura, inoltre, l’erroneita’ della sentenza della Corte d’appello “per violazione degli articoli 1176, 2236 e 2697 c.c.”. Viene contestata la decisione che ha ravvisato la responsabilita’ del legale “per aver consigliato ai clienti di resistere alle domande proposte” dalla loro controparte.

Il quarto motivo di ricorso deduce, infine, la violazione degli articoli 1176 e 2697 c.c. Si assume che “la prova del corretto e diligente svolgimento del mandato e degli obblighi gravanti sull’Avv. (OMISSIS) e’ documentale ed emerge dalla semplice lettura degli atti”.

2. I controricorrenti chiedono di dichiarare inammissibile o comunque di rigettare il ricorso.

3. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, risultano infondati, nei sensi di cui alla motivazione che segue.

3.1. Deve correggersi la motivazione in diritto della sentenza impugnata, agli effetti dell’articolo 384, comma 4, c.p.c..

La Corte d’appello di Milano ha, invero, respinto il gravame interposto dall’avvocato (OMISSIS), affermando, quanto al primo motivo di appello, con cui veniva dedotta l’inammissibilita’ dell’opposizione per violazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 28, che tale procedura non e’ applicabile quando la controversia riguardi non soltanto la semplice determinazione della misura del compenso spettante al professionista, bensi’ anche altri oggetti di accertamento e decisione, essendo nella specie in contestazione “non soltanto il quantum, ma anche l’an”.

3.1.1. Va al contrario condiviso il principio di diritto enunciato da Cass. sezioni unite 23 febbraio 2018, n. 4485, secondo il quale la controversia di cui alla l. n. 794 del 1942articolo 28, introdotta sia ai sensi dell’articolo 702-bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze per prestazioni giudiziali dell’avvocato, resta soggetta al rito sommario di cognizione di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14 (nella specie, applicabile ratione temporis, trattandosi di procedimento instaurato successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, ne’ rilevando le modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 10 ottobre 2022, n. 149), anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all’an debeatur. Soltanto qualora il convenuto ampli l’oggetto del giudizio con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale) non esorbitante dalla competenza del giudice adito ai sensi dell’articolo 14 Decreto Legislativo cit., la trattazione di quest’ultima dovra’ avvenire, ove si presti ad un’istruttoria sommaria, con il rito sommario (congiuntamente a quella proposta ex articolo 14 dal professionista, fermo, come ha poi affermato Cass. sez. 2, 25 febbraio 2022, n. 6321, il regime di impugnazione di cui all’articolo 702-quater c.p.c.) e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena (ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena), previa separazione delle domande.

3.2. Alla stregua del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, qui applicabile, e’ competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera, il tribunale decide in composizione collegiale e l’ordinanza che definisce il giudizio non e’ appellabile.

3.3. Doveva avere quindi applicazione in tale procedimento altresi’ la disciplina di mutamento del rito di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 4.

Come infatti chiarito dalle sentenze delle Sezioni Unite civili di questa Corte n. 758 del 12 gennaio 2022 e n. 927 del 13 gennaio 2022, nei procedimenti disciplinati dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011 (e quindi pure dall’articolo 14 per le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato), anche di opposizione a decreto ingiuntivo, da introdursi con ricorso ed invece erroneamente promossi con citazione (come qui avvenuto), il giudizio e’ correttamente instaurato ove quest’ultima sia notificata tempestivamente, producendo gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte, e tale sanatoria si realizza indipendentemente dalla pronunzia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, ex Decreto Legislativo n. 150 cit., articolo 4.

In particolare, la sentenza n. 758 del 2022 ha evidenziato che la disciplina sul mutamento del rito di cui al d. lgs. n. 150 del 2011, articolo 4 non postula una regressione del processo ad una fase anteriore a quella gia’ svoltasi, non serve a valutare la legittimita’ degli atti di parte (e del giudice) adottati sino a quel momento alla stregua delle regole del nuovo rito, e neppure costituisce un presupposto per la salvezza dei relativi effetti, i quali si producono in relazione alle norme del rito iniziale, ma indica solo il discrimine temporale tra l’applicazione delle regole del rito iniziale e quelle del rito da seguire nel prosieguo del giudizio, consentendo alle parti di adeguare le difese alle regole del rito da seguire. In tal senso, l’ordinanza di mutamento del rito rivela una valenza costitutiva pro futuro e, a differenza di quanto previsto dagli articoli 426, 427 e 439 c.p.c., in forza dei quali il mutamento del rito puo’ essere disposto anche in grado di appello, la prima udienza di comparizione delle parti nel sistema del d. lgs. n. 150 del 2011, articolo 4 costituisce uno sbarramento per il mutamento del rito, conseguendone la stabilizzazione del rito erroneo. Avvertiva la sentenza n. 758 del 2022 che neppure possono sorgere dubbi, in relazione al fenomeno del consolidamento del rito, nel caso in cui il giudice, non provvedendo al mutamento, ometta di rilevare la difformita’ dell’atto introduttivo dal modello legale astratto, atteso che dalla violazione delle regole sul rito processuale non deriva alcuna nullita’, a meno che l’errore non abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o abbia cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte.

Il riscontro in sede di appello dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario anziché con il rito speciale

3.4. Da tali principi derivano queste conseguenze.

3.4.1. L’opposizione ex articolo 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo notificato in data 2 novembre 2011 dall’avvocato (OMISSIS) per il pagamento di compensi professionali, ai sensi del combinato disposto della l.n. 794 del 1942, articoli 28, 633 c.p.c. e del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, 14, proposta da (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (anziche’ con ricorso ai sensi dell’articolo 702-bis c.p.c. e del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14) con citazione notificata il 12 dicembre 2011, era da reputare utilmente esperita, giacche’ la citazione era stata comunque notificata entro il termine di cui all’articolo 641 c.p.c. decorrente dalla notificazione dell’ingiunzione.

3.4.2. L’appello proposto dall’avvocato (OMISSIS) avverso la sentenza del 18 febbraio 2015 del Tribunale di Milano era non di meno ammissibile, in quanto, ai fini dell’individuazione del regime impugnatorio del provvedimento che ha deciso una controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove sia frutto di una consapevole scelta da parte di costui, desumibile dalle modalita’ con le quali si e’ in concreto svolto il relativo procedimento, avendo il primo giudice pacificamente – quanto erroneamente – ritenuto la causa sottratta al rito sommario speciale ex Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14 (Cass. sez. 6-2, 27 settembre 2021, n. 26083; Cass. sezioni unite 11 gennaio 2011, n. 390).

3.4.3. Avendo l’avvocato (OMISSIS) con il primo motivo di appello dedotto in modo espresso l’inammissibilita’ dell’opposizione per violazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, articolo 28, non rileva decisivamente la difesa mossa dai controricorrenti, secondo cui lo stesso avvocato (OMISSIS) aveva “prestato acquiescenza al rito, nelle cui forme si e’ svolto tutto il giudizio di primo grado”, giacche’ l’acquiescenza e’ configurabile solo con riguardo al comportamento della parte successivo alla sentenza di primo grado ed anteriore alla proposizione dell’impugnazione. Si e’ peraltro anche gia’ detto che il riscontro tardivo della erroneita’ del rito seguito dal giudice di primo grado non puo’ ledere alcun affidamento incolpevole creatosi in capo alla parte sulle modalita’ con le quali si e’ in concreto svolto il relativo procedimento, giacche’, come precisato nella richiamata sentenza n. 758 del 2022, il doveroso assoggettamento della causa al rito prescritto dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011 opera solo pro futuro.

Il riscontro in sede di appello dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario anziché con il rito speciale

3.5. Va quindi enunciato il seguente principio:

il riscontro, in sede di appello, dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario anziche’ con il rito ex l.n. 794 del 1942, articoli 28 e del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 14, impone al giudice d’appello unicamente di valutare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva secondo le norme del rito seguito, ormai consolidatosi, avendo dunque riguardo alla data di notifica della citazione, senza spiegare effetti invalidanti sull’attivita’ processuale in precedenza compiuta, ne’ comportare la nullita’ della sentenza di primo grado o comunque la rimessione al primo giudice ai sensi dell’articolo 354 c.p.c..

4. Vanno ora esaminati congiuntamente il terzo ed il quarto motivo di ricorso.

4.1. Il Tribunale di Milano, sezione distaccata di (OMISSIS), aveva affermato la responsabilita’ dell’avvocato (OMISSIS) verso i propri ex clienti e lo aveva condannato al risarcimento dei danni nei limiti delle spese di lite rifuse nel processo presupposto alla controparte (OMISSIS); il Tribunale aveva invece reputato dovuta la meta’ dei compensi, con esclusivo riferimento alla richiesta risarcitoria rivolta nei confronti del danneggiante (OMISSIS).

La Corte d’appello di Milano, rigettando il gravame in punto di risarcimento dei danni per responsabilita’ professionale, ha invero sostenuto che l’avvocato (OMISSIS) aveva “errato nel risolvere questione giuridica priva di margini di opinabilita’”, giacche’ “la richiesta di conclusione del contratto di compravendita e contemporaneamente dell’actio quanti minoris, con riferimento al bene oggetto del contratto preliminare di compravendita, che avesse subito danneggiamenti o presentasse vizi o difformita’ che incidessero sul suo valore, era ineccepibile, ed una semplice ricerca giurisprudenziale ne avrebbe confermato la correttezza e legittimita’”. Ad avviso della Corte di Milano, pertanto, “nella relazione processuale per come instaurata tra (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) non sussisteva quindi alcuna ragionevole possibilita’ di successo”; ed ancora, “unica via percorribile, e di fatto percorsa, era quella di chiedere di rivalersi della diminuzione del prezzo al responsabile della produzione del danno, (OMISSIS)”.

4.2. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso dell’avvocato (OMISSIS) possono sinteticamente condensarsi in queste considerazioni.

Il giudice della causa sulla responsabilita’ professionale dell’avvocato verso i propri clienti non ha la facolta’ o il diritto di intervenire nella scelta processuale operata dal difensore, potendo semplicemente verificare se tale scelta sia stata eseguita con diligenza.

La chiamata in causa di (OMISSIS) era stata eseguita ed aveva evitato che gli (OMISSIS) subissero le conseguenze della domanda del (OMISSIS).

Il giudice di primo grado del processo presupposto aveva posto a carico degli (OMISSIS) il risarcimento dei danni in favore del (OMISSIS) e cio’ rendeva opportuna la proposizione dell’appello, che aveva poi esito favorevole ai clienti dell’avvocato (OMISSIS) perche’ vittoriosi nei confronti del (OMISSIS).

L’avvocato (OMISSIS) aveva informato i propri clienti “dei rischi di una scelta processuale azzardata” ed aveva tentato di dissuaderli dal percorrerla.

La diligenza osservata nell’esecuzione dell’incarico difensivo e nell’obbligo di informazione dei clienti sull’iter processuale avrebbe trovato conforto nella semplice lettura degli atti da parte dei giudici del merito.

4.3. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso dell’avvocato (OMISSIS) sono formulati invocando vizi di violazione di norme di diritto, ma in realta’ allegano un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, la quale inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito ed e’ sottratta al sindacato di legittimita’, se non nei limiti consentiti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Non sono quindi sindacabili, sulla base delle proposte censure, gli accertamenti di fatto operati conformemente nei due gradi dai giudici del merito.

4.4. Come gia’ piu’ volte affermato da questa Corte, l’avvocato, nella prestazione dell’attivita’ difensiva, sia questa configurabile come adempimento di un’obbligazione di risultato o di mezzi, e’ obbligato, a norma dell’articolo 1176, comma 2, c.c., ad usare la diligenza imposta dalla natura dell’attivita’ stessa esercitata; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale (del quale il professionista e’ chiamato a rispondere anche per la colpa lieve, salvo che, a norma dell’articolo 2236 c.c., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficolta’) e, in applicazione del principio di cui all’articolo 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso, allorche’ la negligenza sia stata tale da incidere sugli interessi del cliente ed abbia percio’, sia pur sulla base di criteri necessariamente probabilistici, impedito di conseguire un esito della lite altrimenti ottenibile.

E’ altrettanto consolidato l’orientamento di questa Corte secondo cui, allorche’ il cliente deduca, come nella specie, la responsabilita’ civile del professionista, egli e’ tenuto a provare di aver sofferto un danno e che questo e’ stato causato dall’insufficiente o inadeguata attivita’ del professionista. La responsabilita’ risarcitoria dell’avvocato non puo’, invero, ravvisarsi per il solo fatto del non corretto adempimento della prestazione professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone (cfr. Cass. Sez. 3, 22 giugno 2020, n. 12127; Cass. Sez. 3, 24 ottobre 2017, n. 25112; Cass. Sez. 3, 5 febbraio 2013, n. 2638; Cass. Sez. 3, 10 dicembre 2012, n. 22376; Cass. Sez. 2, 27 maggio 2009, n. 12354).

4.5. In particolare, in precedenti confacenti alla fattispecie in esame, i quali hanno elaborato principi contrari a quelli posti a fondamento delle censure del ricorrente, si e’ affermato che:

a) la responsabilita’ professionale dell’avvocato, per violazione del dovere di diligenza esigibile ai sensi dell’articolo 1176, comma 2, discende dall’adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, e non e’ esclusa ne’ ridotta quando tali modalita’ siano state sollecitate dal cliente stesso (qui si assume dal ricorrente che i clienti erano stati messi al corrente che quella intrapresa era “una scelta processuale azzardata”), poiche’ costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attivita’ professionale (Cass. Sez. 3, 20 maggio 2015, n. 10289);

b) la scelta di una determinata strategia processuale da parte dell’avvocato e’ foriera di responsabilita’ nei confronti del cliente allorche’ l’inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito da quest’ultimo sia valutata dal giudice di merito ex ante, in relazione alla natura e alle caratteristiche della controversia e all’interesse del cliente ad affrontarla con i relativi oneri, dovendosi in ogni caso valutare anche il comportamento successivo tenuto dal professionista nel corso della lite (Cass. Sez. 3, 22 novembre 2018, n. 30169);

c) lo svolgimento di un’attivita’ professionale, da parte dell’avvocato, totalmente inutile, gia’ ex ante pronosticabile come tale, non gli attribuisce alcun diritto al compenso (Cass. Sez. 6 – 2, 18 febbraio 2022, n. 5440).

4.6. E’ conforme a tali principi la valutazione che la Corte d’appello di Milano ha adottato per riconoscere la negligenza dell’avvocato (OMISSIS) nella inutile difesa opposta alla domanda di (OMISSIS) volta alla esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo e, cumulativamente, alla riduzione del prezzo per vizi della cosa. La Corte d’appello di Milano ha quindi correttamente affermato la responsabilita’ del professionista, con apprezzamento dei fatti spettante ai giudici del merito e congruamente motivato in rapporto all’inesatto compimento di attivita’ difensive. La sentenza impugnata ha infatti ravvisato la responsabilita’ risarcitoria dell’avvocato, riconducendo al non corretto adempimento della prestazione professionale l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dai clienti, individuato nell’importo delle spese processuali rimborsate alla controparte.

Invero, la responsabilita’ risarcitoria dell’avvocato correlata al non corretto adempimento della prestazione professionale esige certamente, come detto, un rapporto causale immediato e diretto fra tale inadempimento e danno. Questa limitazione – imposta dall’articolo 1223 c.c. – e’ fondata sulla necessita’ di limitare l’estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti ed e’ orientata, percio’, ad escludere dalla connessione giuridicamente rilevante ogni conseguenza dell’inadempimento che non sia propriamente diretta ed immediata, ovvero che comunque rientri nella serie delle conseguenze normali del fatto, in base ad un giudizio di probabile verificazione rapportato all’apprezzamento dell’uomo di ordinaria diligenza. E’ tuttavia compito del giudice di merito accertare la materiale esistenza del rapporto che abbia i suddetti caratteri normativamente richiesti e tale valutazione e’ insindacabile in sede di legittimita’ se non nei limiti di cui all’articolo 360 comma 1, n. 5, c.p.c.

5. Il ricorso va percio’ rigettato ed il ricorrente va condannato a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.3M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

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