La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|13 aprile 2023| n. 9930.

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale, conseguente all’illecito, di natura permanente, di abbandono parentale, decorre solo dalla cessazione della permanenza, che si verifica dal giorno in cui il comportamento abbandonico viene meno, per effetto di una condotta positiva volta all’adempimento dei doveri morali e materiali di genitore, ovvero dal giorno in cui questi dimostri di non essere stato in grado, per causa a lui non imputabile, di porre fine al comportamento omissivo; al fine di individuare il “dies a quo” della prescrizione, peraltro, in ragione della peculiare natura dell’illecito (che provoca nella parte lesa una condizione di sofferenza personale e morale idonea a segnarne il futuro sviluppo psico-fisico e ad incidere sulla sua capacità di percepire la situazione abbandonica) è necessario verificare se la vittima della condotta di abbandono genitoriale sia pervenuta ad una reale condizione emotiva di consapevole esercitabilità del diritto risarcitorio.

Sentenza|13 aprile 2023| n. 9930. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale

Data udienza 10 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Risarcimento del danno – Patrimoniale e non patrimoniale (danni morali) risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale – Illecito permanente – Decorrenza del termine prescrizionale – Cessazione della permanenza – Determinazione – Condotta positiva o impossibilità non imputabile di porre fine al comportamento omissivo – “Dies a quo” – Individuazione – Condizione emotiva di consapevole esercitabilità del diritto risarcitorio – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 35060/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS),) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS));
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS));
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n. 615/2019 depositata il 04/09/2019, notificata in data 10 settembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/03/2023 dal Consigliere MARILENA GORGONI.
Udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore, TRONCONE FULVIO, che ha ribadito le conclusioni anticipate per iscritto, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.
Udito l’avvocato (OMISSIS) per il controricorrente.

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) conveniva, dinanzi al Tribunale di Pordenone, (OMISSIS), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionatigli per reiterata violazione dei doveri genitoriali.
A tal fine esponeva: I) di essere stato adottato, all’eta’ di sei anni, dai coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), dopo aver trascorso la prima infanzia in un orfanotrofio in India; II) di avere subito la deprivazione del rapporto genitoriale perche’ il padre adottivo aveva coscientemente scelto, dopo averlo adottato, di non svolgere le funzioni genitoriali, contravvenendo agli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione, cosi’ provocandogli, abbandonandolo, una grave situazione di disagio personale e sociale; III) di avere diritto al risarcimento del danno biologico quantificato in Euro 102.065,00 nonche’ al risarcimento del danno per lo stato di malessere morale da liquidare equitativamente in Euro 175.000,00.
(OMISSIS), costituitosi, eccepiva la prescrizione del diritto risarcitorio, la nullita’ della citazione per indeterminatezza, la parziale carenza di legittimazione, per non essere stato convenuto anche quale erede della moglie defunta, e, nel merito, deduceva l’infondatezza della pretesa attorea.
Il Tribunale di Pordenone, con sentenza n. 310/2018, accoglieva l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto, opinando che tutte le condotte fonte di responsabilita’ ascrittegli si collocassero nel periodo dell’infanzia e dell’adolescenza dell’attore.
La Corte d’Appello di Trieste, con la sentenza n. 615/2019, dopo aver qualificato l’illecito consistente nella violazione del rapporto genitoriale come permanente, ha ritenuto che: a) essendo i rapporti tra le parti definitivamente cessati nel 2003, quando (OMISSIS) aveva lasciato definitivamente il carcere, o tutt’al piu’ nel 2005, quando aveva trasferito la sua residenza presso l’abitazione della sua compagna, il suo diritto risarcitorio fosse ormai prescritto; b) non fossero riconducibili alla violazione dell’articolo 147 c.c. i comportamenti consistenti nel non essergli stato consentito ad andare a far visita alla madre ammalata, nell’essere stato messo a conoscenza della morte della stessa solo a esequie avvenute e nella mancata assunzione da parte del padre dell’onere delle spese legali per far fronte ai procedimenti penali a suo carico; c) anche il diritto al risarcimento del danno per la violazione degli obblighi di mantenimento era da considerare prescritto, perche’ gli obblighi di mantenimento erano cessati quando, nel 2005, (OMISSIS) aveva iniziato a convivere con la compagna, indipendentemente dal fatto che avesse uno stato di famiglia separato e che avesse un reddito esiguo; d) comunque, (OMISSIS) non aveva mai promosso azione per ottenere dai genitori un assegno di mantenimento.
(OMISSIS) ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 615/2019, depositata il 04/09/2019, notificata in data 10 settembre 2019, formulando due motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore Fulvio Troncone, si e’ espresso per l’inammissibilita’ o l’infondatezza del ricorso.
Essendo stato specificamente richiesto, si e’ proceduto con la discussione orale del ricorso.

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo e’ dedotta la violazione o falsa applicazione degli articoli 2, 29, 30 e 31 Cost. e degli articoli 147, 148, 2043 e 2059 c.c..
Dopo avere ricondotto le condotte imputate al controricorrente all’illecito endofamiliare ed averne descritto i caratteri, il ricorrente, con il motivo qui scrutinato, attinge la statuizione con cui la Corte territoriale ha affermato che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno successivo a quello in cui il danno si e’ manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicche’ il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si manifesta; detta statuizione, ad avviso del ricorrente, sarebbe in contraddizione con la conclusione raggiunta, stante che la condotta illecita del padre non era affatto cessata.
Va innanzitutto precisato che, nel caso di specie, non e’ in discussione la qualificazione dell’illecito: come affermato nella sentenza impugnata, il totale disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti del figlio integra, da un lato, la violazione degli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione, e determina, dall’altro, un’inevitabile e insanabile ferita di quei fondamentali diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella Carta costituzionale (in particolare, negli articoli 2 e 30) e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un livello assoluto di riconoscimento e di tutela; l’abbandono parentale consiste, in particolare, nel mancato adempimento di tutti gli obblighi che il genitore assume nei confronti della prole: una completa e costante assenza di un genitore nella vita filiale, dunque, e’ ritenuto un indiscutibile esempio di illecito omissivo di carattere permanente.
Premessi (e totalmente condivisi) tali principi, la quaestio iuris che viene posta al Collegio concerne l’applicazione del regime prescrizionale e, in particolare, la conformazione di esso alla specificita’ dell’illecito in parola.
In primo luogo, mette conto rilevare che l’illecito endofamiliare si caratterizza per una serie di omissioni protrattesi per un apprezzabile lasso di tempo, suscettibile di essere interrotta in ogni momento soltanto per effetto di una radicale modificazione del proprio atteggiamento genitoriale, e cioe’ solo con l’adempimento degli obblighi dovuti alla prole; di conseguenza, finche’ la situazione di assenza, disinteresse, abbandono – integrata, come nella specie, dal consapevole e costante rifiuto di adempiere ai propri doveri di padre – non viene rimossa, l’illecito si perpetua nel tempo, restando attuale ed eguale a se’ stesso, in ragione del fatto che il comportamento produttivo di danno non puo’ ritenersi commesso unico actu, perche’ l’illecito permanente “costituisce una fattispecie complessa ed a formazione progressiva, nel senso che il protrarsi dell’offesa proviene da un comportamento volontario dell’autore che prosegue senza interruzione, per cui egli e’ in grado in qualsiasi momento di porre fine a tale situazione dannosa” (cfr., di recente, Cass. 01/03/2023, n. 6177).
Ne consegue la piena fondatezza della censura rivolta alla pronuncia della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che il comportamento illecito fosse cessato non gia’ per avere accertato che la condotta abbandonica fosse venuta meno, per effetto di un pieno e consapevole recupero del rapporto con il figlio, ovvero perche’ il genitore avesse dimostrato di non essere stato in grado, per causa a lui non imputabile, di porre fine al comportamento omissivo, ma per il mero fatto – del tutto irrilevante, ai fini della cessazione della permanenza della condotta illecita – che i rapporti tra le parti fossero cessati; nella sostanza, anziche’ considerare la materiale cessazione del rapporto con il figlio quale indice della persistenza del comportamento omissivo ascritto all’odierno resistente, il giudice a quo ha attribuito ad essa un significato palesemente in contrasto con i caratteri dell’illecito permanente.

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale

L’altro errore in cui e’ incorsa la Corte territoriale, nonostante abbia riconosciuto la natura permanente dell’illecito per cui e’ causa – nel quale, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si e’ manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, di modo che il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica – consiste nel non avere considerato e, quindi, non avere applicato, in ordine alla individuazione del dies a quo del termine prescrizionale, i principi affermati da questa Corte con la decisione n. 11097 del 10/06/2020, seguita da Cass. 16/12/2021, n. 40335.
In dette decisioni, la Corte ha preso le mosse dal consolidato insegnamento secondo il quale, nell’illecito permanente, la condotta perdura oltre il momento della produzione del danno e continua a cagionare il danno per tutto il corso della sua durata (cosi’, per tutti, Cass., Sez. Un., 5/11/1973 n. 2855), rilevando che l’individuazione del dies a quo della prescrizione dell’illecito permanente era stata affrontata in un’epoca ormai risalente, ovvero quando l’interpretazione dell’istituto prescrizionale era governata da un’inclinazione rigorosamente oggettiva, di tipo meramente eventistico, desunta dall’articolo 2947 c.c.; ad essa – e’ stato osservato – e’ subentrata una lettura in senso costituzionalmente orientato, che ha prodotto un complessivo riequilibrio di cui sono fatte carico le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 576 dell’11/01/2008; detta pronuncia, per l’individuazione del dies a quo prescrizionale, ha “virato dal lato oggettivo a quello soggettivo”, imponendo che l’esordio prescrizionale non sia ancorato al parametro dell'”esteriorizzazione” del danno, ma si rapporti anche ad “una piena comprensione delle ragioni che giustificano l’attivita’ (incolpevole) della vittima rispetto all’esercizio dei suoi diritti”.
Per l’effetto, si e’ osservato che il relativo accertamento non deve essere limitato ad “una mera disamina dell’evolversi e dello snodarsi nel tempo delle conseguenze lesive del fatto illecito o dell’inadempimento”, occorrendo anche vagliare la sussistenza o meno di una loro piena percepibilita’ da parte del danneggiato.
Tanto premesso, l’illecito endofamiliare di protratto abbandono della prole da parte del genitore e’ stato ritenuto una forma di illecito rispetto al quale la concreta capacita’ della persona danneggiata di esercitare il diritto risarcitorio, cioe’ la concreta percepibilita’ completa del danno, assume un peculiare rilievo, derivante dalla natura parimenti peculiare del danno: “Tale illecito infatti produce anche un danno non patrimoniale lato sensu psicologico-esistenziale, ovvero che investe direttamente la progressiva formazione della personalita’ del danneggiato, condizionando cosi’ pure lo sviluppo delle sue capacita’ di comprensione e di autodifesa”. La persona vittima dell’illecito entra, infatti, in una condizione di sofferenza personale e morale che ne segna lo sviluppo psico-fisco e ne lede la formazione della personalita’, incidendo sull’acquisizione della capacita’ di percepire la situazione abbandonica e di reagire conseguentemente, svincolandosi dall’incidenza percettiva e comportamentale del notorio istintivo desiderio filiale di un rapporto positivo con il genitore, per raggiungere una “maturita’ personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso”, per “maturita’ personale compatibile” dovendosi intendere – e’ ovvio – quella pienamente autonoma e quindi capace di percepire la reale situazione a se’ pregiudizievole e di assumere reattive decisioni di contrasto con la persona “desiderata”.
La natura dell’illecito quale fonte di danno, in ultima analisi, incide sul dies a quo prescrizionale anche – pur se non necessariamente, se la condotta illecita di tipo omissivo non sia oggettivamente cessata – alla luce delle caratteristiche, in esso insite, della sua conoscibilita’/percepibilita’ da parte del danneggiato con l’ordinaria diligenza, che si concretizza nella capacita’ di percepirne (in senso pieno, cioe’ includente la effettiva possibilita’ di esercitare il correlato diritto) le devastanti e sovente irrimediabili conseguenze affettive del disamore, del disinteresse, dell’abbandono genitoriale.
Nel caso di specie, pertanto, la Corte territoriale, prima di applicare il meccanismo prescrizionale fondato sul principio del de die in diem, avrebbe dovuto ulteriormente accertare, alla luce dell’insegnamento nomofilattico sopra riferito – se e soltanto se, in ipotesi, avesse ritenuto cessato il comportamento omissivo del genitore – se la vittima della condotta di abbandono genitoriale fosse pervenuta ad una reale condizione emotiva di consapevole esercitabilita’ del diritto risarcitorio come sopra illustrato, anziche’ far coincidere, del tutto immotivatamente, il dies a quo della prescrizione con la circostanza, di per se’ irrilevante, della formale interruzione dei rapporti tra le parti nel 2003, quando il ricorrente era uscito dal carcere, o tutt’al piu’ nel 2005, quando aveva trasferito altrove la sua residenza.

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale

Alla base del ragionamento della Corte territoriale, si colloca in tutta evidenza una non corretta percezione della peculiare natura dell’illecito da deprivazione del rapporto genitoriale, comprovata, oltre che dall’aver ritenuto cessato il comportamento illecito per il solo fatto che tra padre e figlio non intercorresse piu’ alcun rapporto, anche dall’aver semplicisticamente ricondotto a meri motivi di rancore tra le parti la mancata partecipazione del ricorrente al funerale della madre, anziche’ considerare detta circostanza, per un verso, indice della persistenza della gravita’ e della reiterazione della condotta paterna, e, per l’altro, per non aver desunto tali, decisivi aspetti dal rilievo che (OMISSIS) gli aveva comprensibilmente attribuito il significato di un suo perdurante quanto profondo disagio emotivo, decisivo al fine di accertare se la persistenza della condotta illecita fosse attualmente configurabile nei termini sopra descritti, e cioe’ nel senso che la sua permanenza cessa soltanto dal giorno in cui il comportamento, da colpevolmente omissivo, si tramuta in una condotta positiva volta all’adempimento dei propri, indeclinabili, inestinguibili e non fungibili doveri morali (oltre che materiali) di genitore, ovvero dal giorno in cui il genitore dimostri di non essere stato in grado, per causa a lui non imputabile, di porre fine al comportamento omissivo.
Ne’ rileva ex se la circostanza, da parte di un figlio, dell’aver intrapreso, come nella specie, una relazione sentimentale, volta che i fondamentali doveri paterni sono destinati a protrarsi per tutta la durata della vita, propria o del proprio figlio, rinnovandosi, essi si, de die in diem.
Nella valutazione delle conseguenze dannose della condotta genitoriale, il giudice di merito avra’ altresi’ cura di considerare la peculiarita’ della vicenda, che ha attinto un figlio adottivo, dal passato sicuramente gravido di sofferenze emotive (come si e’ avuto modo di rammentare in narrativa), anche con riferimento alla circostanza della successiva nascita di una figlia naturale dell’odierno contro ricorrente.
2) Con il secondo motivo, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente lamenta l’omesso esame di un “fatto decisivo per il giudizio – prescrizione: valutazione della raggiunta autosufficienza economica”, per avere entrambi i giudici del merito ritenuto che solo perche’ aveva trasferito la sua residenza presso l’abitazione di Laura Gattai e perche’ non riusciva a trovare un lavoro stabile a causa dei suoi precedenti penali fosse venuto meno l’obbligo di mantenimento a carico dei genitori.
Ulteriore censura mossa alla sentenza impugnata e’ quella di non avere dato ingresso ad alcuna attivita’ istruttoria.
Il motivo merita accoglimento, anche se deve esserne corretto l’errore di sussunzione, atteso che le argomentazioni a suo supporto indicano che il ricorrente non ha inteso lamentare l’omesso esame di un fatto decisivo, ma la errata applicazione del regime prescrizionale al diritto al mantenimento ed alla educazione del figlio benche’ maggiorenne nei confronti dei genitori.

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale

In base al consolidato orientamento di legittimita’, la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’eta’, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonche’, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore eta’, da parte dell’avente diritto (Cass. 22/06/2016, n. 12952; Cass. 05/03/2018, n. 5088; Cass. 14/08/2020, n. 17183).
Orbene, detta valutazione, pur dovendo riguardare senz’altro la complessiva condotta tenuta da parte dell’avente diritto dal momento del raggiungimento della maggiore eta’ in poi, non puo’ prescindere dal pregiudiziale accertamento circa l’assolvimento, da parte del genitore gravato, dell’obbligo di mantenimento. Cio’ in quando l’adempimento di tale dovere costituisce la condizione imprescindibile per lo sviluppo personale e professionale del figlio maggiorenne.
Non solo detto accertamento e’ mancato – perche’ la Corte territoriale ha preso in considerazione il dato meramente formale del trasferimento della residenza, senza neppure preoccuparsi di individuarne le cause, e il saltuario svolgimento da parte del ricorrente di una qualche attivita’ lavorativa – ma al giudice a quo deve imputarsi anche di avere omesso di accertare, come richiede la giurisprudenza di questa Corte, se il ricorrente avesse raggiunto l’indipendenza economica ovvero se fosse stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne pero’ tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (cfr. Cass. 07/11/2022, n. 32727), fermo restando che tale obbligo non puo’ essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiche’ il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacita’, inclinazioni e purche’ compatibili con le condizioni economiche dei genitori aspirazioni (Cass. 26/05/2022, n. 17075).
3) Entrambi i motivi di ricorso meritano accoglimento; la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, che si atterra’ ai principi di diritto sopra esposti e che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

 

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