Il giudice che dichiara la nullità di una clausola del contratto deve indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|11 aprile 2023| n. 9616.

Il giudice che dichiara la nullità di una clausola del contratto deve indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola

Il giudice che dichiara la nullità di una clausola del contratto ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c. deve indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola dichiarata nulla. (Fattispecie in tema di clausola “claims made” apposta ad un contratto di assicurazione per la responsabilità civile).

Sentenza|11 aprile 2023| n. 9616. Il giudice che dichiara la nullità di una clausola del contratto deve indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola

Data udienza 9 febbraio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Commercialisti – Assicurazione – Clausola claims made – Responsabilità professionale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 4254-2021 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata presso l’avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– ricorrente –
(OMISSIS) e (OMISSIS) S.p.A.;
– intimati –
nonche’ contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
-controricorrente e ricorrente incidentale –
e nonche’ contro
(OMISSIS) S.r.l. – Societa’ Sportiva Dilettantistica, domiciliata ex lege in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3147-2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata in data 1/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9/2/2023 dal Consigliere CHIARA GRAZIOSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale STANISLAO DE MATTEIS che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e per il rigetto del ricorso incidentale;
uditi gli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

Il giudice che dichiara la nullità di una clausola del contratto deve indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 20 dicembre 2016 (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante di (OMISSIS) S.r.l., conveniva davanti al Tribunale di Milano il commercialista (OMISSIS), esponendo di averlo incaricato degli adempimenti contabili e fiscali personali e societari relativi al periodo dal luglio 2009 al 31 dicembre 2014, e che la societa’ attrice il 17 dicembre 2013 aveva subito una verifica dall’Agenzia delle Entrate a seguito della quale l’11 giugno 2015 le era stato notificato un avviso di accertamento sui redditi percepiti nell’esercizio del 2010. In sintesi, l’Agenzia aveva addotto l’esistenza di un fine commerciale nell’attivita’ della societa’, alla quale invece, nel periodo in cui (OMISSIS) ne era il commercialista, era stato applicato un regime di fiscalita’ agevolata per assenza di fini di lucro, onde illegittima sarebbe stata l’applicazione, decisa dal commercialista, del regime fiscale per gli enti privi di scopi di lucro di cui all’articolo 148 TUIR.
La societa’ impugnava l’avviso di accertamento, ma il suo ricorso veniva rigettato dalla CTP; dopo avere proposto l’appello davanti alla CTR, essa perveniva a una transazione con l’Erario.
Sostenevano quindi gli attori che il (OMISSIS), applicando un regime fiscale piu’ favorevole in assenza dei presupposti di legge, aveva commesso un errore che costituiva un grave inadempimento, causando loro un danno ingiusto da quantificare in separato giudizio dovendosi attendere la ripresa a tassazione anche dei redditi dichiarati per gli anni 2011-2014; oltre ai danni patrimoniali, veniva chiesto il risarcimento ad (OMISSIS) in proprio di un danno non patrimoniale per lesione della sua integrita’ psicofisica.
Il (OMISSIS) si costituiva, resistendo, e veniva autorizzato a chiamare in causa due compagnie assicurative – (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) con cui aveva stipulato polizze per i rischi della sua attivita’ professionale; entrambe si costituivano, resistendo.
Il Tribunale, con sentenza del 6 maggio 2019, dichiarato il difetto di legittimazione dell’ (OMISSIS) in proprio, accoglieva la domanda di (OMISSIS) di condanna generica al risarcimento del danno, rigettava la domanda del (OMISSIS) avverso (OMISSIS) e accoglieva invece – applicando la franchigia contrattuale – la domanda di quest’ultimo avverso (OMISSIS) in rapporto, tra le due polizze claims made da lui invocate, a quella relativa al periodo dal 15 gennaio 2015 al 15 gennaio 2016, ritenendo affetto da nullita’ parziale il limite di retrodatazione della garanzia in esso previsto con apposita clausola.
(OMISSIS) proponeva appello; separatamente lo proponeva anche il (OMISSIS). Le cause insorte venivano riunite, e in esse si costituivano tutti gli appellati, l’ (OMISSIS) dichiarando di prestare acquiescenza alla sentenza, (OMISSIS) proponendo appello incidentale relativamente alle spese processuali, e (OMISSIS) chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 3147-2020, rigettava gli appelli principali e, accogliendo l’appello incidentale, rideterminava le spese di lite dovute dal (OMISSIS) a (OMISSIS), confermando per il resto.
2. Ha presentato ricorso, composto di cinque motivi e illustrato anche con memoria, (OMISSIS); il (OMISSIS) si e’ difeso con controricorso, in cui ha proposto un ricorso incidentale di sette motivi, depositando pure memoria; (OMISSIS) ha presentato controricorso al ricorso incidentale.
Con ordinanza interlocutoria la causa, che era stata chiamata in camera di consiglio, e’ stata rimessa in pubblica udienza; e’ stata successivamente presentata istanza di discussione orale.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.
(OMISSIS) ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. In primo luogo deve esporsi il ricorso principale di (OMISSIS).
3.1. Il primo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza per “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile (omessa indicazione dei termini di operativita’ della Polizza)”.
Il motivo si impernia sul passo della motivazione che comincia dal primo capoverso della pagina 17 della sentenza fino al quarto capoverso della stessa pagina, adducendo che la sentenza sarebbe radicalmente nulla in parte qua, in quanto laconica e attribuente nullita’ parziale alla clausola claims made senza indicare “le norme imperative applicabili in funzione suppletiva che consentono la sopravvivenza dell’accordo” ai sensi dell’articolo 1419, comma 2, c.c., non valendo come sostegno neppure “il succinto riferimento alla sentenza del Tribunale”, essendo di questa integralmente sostitutiva la pronuncia del giudice d’appello. Essendo poi la sentenza qui impugnata, pur confermante quella di primo grado, “integralmente sostitutiva di quest’ultima”, la ricorrente osserva, in conclusione, che, “cosi’ come formulata, la pronuncia impugnata non consente in alcun modo di identificare le norme inderogabili che i Giudici parrebbero aver rintracciato nell’ordinamento positivo e su cui hanno fondato l’esercizio del potere conformativo del regolamento contrattuale”.
3.2 D secondo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1322, comma 1, e 1375 c.c. laddove non sarebbe stata valutata dal giudice “l’equita’ dello scambio in una prospettiva sinallagmatica”.
Prendendo come oggetto della censura la stessa parte della motivazione focalizzata per il precedente motivo, la ricorrente qualifica la sentenza “gravemente errata” laddove afferma che “una polizza che limiti a soli due anni la retroattivita’ della condotta causativa del danno da parte del professionista e’ del tutto inadeguata allo scopo pratico che viene perseguito con la stipulazione del contratto di assicurazione, ed impedisce al negozio di realizzare il suo scopo tipico”.
Il giudice d’appello – rileva la ricorrente – segue l’insegnamento di S.U. 22437-2018 per cui “il modello di assicurazione della responsabilita’ civile con clausole “on claims made basis” quale deroga convenzionale all’articolo 1917, comma 1, c.c., consentita dall’articolo 1932 c.c., e’ riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non e’ soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’articolo 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’articolo 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessita’, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale”.
Osserva la ricorrente che il “riferimento precipuo” risiede nella Cost., articolo 2, e precisamente nel principio di solidarieta’ sociale, il quale, “declinato nei termini della buona fede contrattuale, e’ trasposto nel codice civile agli articoli 1175 e 1375”; buona fede che tramite il suddetto intervento del giudice nomofilattico “si emancipa dalla qualifica di mera regola di condotta che si rivolge direttamente alle parti…, per assurgere – con il significato di “equita’” delle prestazioni – anche a parametro di validita’ del contratto” che il giudice deve seguire per determinare se il contratto presenti o meno uno squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, e quindi “per valutarne l’adeguatezza agli interessi perseguiti dalle parti”.
Il giudice d’appello, ad avviso della ricorrente, “pur sposando la tesi suddetta,… ha fatto errata applicazione del principio… e delle citate disposizioni di legge”: avrebbe infatti vagliato solo la retroattivita’ della clausola di claims made “prescindendo dall’esame del complessivo assetto sinallagmatico”. Pertanto avrebbe omesso di considerare alcuni specifici elementi della polizza che il motivo richiama (si rimanda al riguardo alle dettagliate pagine 12-13 del ricorso), sostenendo che si tratterebbe di previsioni a favore del contraente “comportando un’estensione dell’area del rischio garantito” -, che il giudice d’appello non avrebbe tenuto in conto per valutare la “adeguatezza negoziale”.
3.3 n terzo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo, individuato nella “data di retroattivita’ fissata, su richiesta dell’assicurato, al 15 gennaio 2013 in entrambe le Polizze emesse da (OMISSIS)”.
Prendendo ad oggetto di censura lo stesso passo della pagina 17 della sentenza impugnata considerato nei due precedenti motivi, la ricorrente sostiene, in sintesi, che esso sia viziato laddove fonda la valutazione di inadeguatezza allo scopo pratico dell’assetto negoziale della polizza emessa per l’annualita’ assicurativa da 15 gennaio 2015 a 15 gennaio 2016 sull’erronea assunzione che sia tale polizza – quella riconosciuta come applicabile al caso concreto -, sia l’ulteriore polizza della medesima compagnia per l’annualita’ assicurativa seguente (15 gennaio 2016-15 gennaio 2017) “prevedano un periodo di retroattivita’ biennale”, non considerando che entrambe le polizze, “su richiesta espressa dell’assicurato”, forniscono copertura dal 15 gennaio 2013, e quindi “recano la medesima data di retroattivita’”. Cio’, si ripete, sarebbe una “limitazione” che “e’ stata voluta dall’assicurato ed e’ del tutto razionale e coerente” con la sua “storia assicurativa” come rappresentata nel questionario assuntivo, dove avrebbe espressamente richiesto la retroattivita’ della garanzia per due anni; e proprio perche’ il (OMISSIS) “era assicurato da (almeno) due anni con altro assicuratore ( (OMISSIS)) e alla luce della esplicita richiesta avanzata in sede assuntiva”, l’attuale ricorrente avrebbe emesso la polizza “con retroattivita’ di due anni, convenzionalmente fissata al 15 gennaio 2013” tenendo ferma tale limitazione di retroattivita’ anche “per il periodo assicurativo successivo”.
Dunque, “il fatto storico che la limitazione biennale della retroattivita’, fissata al 15 gennaio 2013, sia stata espressamente richiesta dallo stesso assicurando assume carattere determinante ai fini di valutare, tra il resto, l’adeguatezza dell’assetto negoziale della Polizza (OMISSIS) e dello scopo pratico perseguito dai contraenti alla luce del principio di autonomia negoziale delle parti”, fondato sulla Cost., articolo 41″nella tutela dell’iniziativa economica privata”. Invero, “secondo la Costituzione, articolo 41-47, l’utilita’ sociale costituisce il fondamento dell’iniziativa dei privati ed il limite nell’esercizio dell’autonomia privata”, e “tale identificazione del fondamento costituzionale… offre all’interprete i criteri per effettuare i controlli di meritevolezza di tutela degli interessi (articolo 1322, comma 2, c.c.) e di liceita’ (articolo 1343 c.c.)”; e qui l’assicurato non avrebbe mai contestato alla compagnia l’inadempimento degli obblighi informativi nella fase precontrattuale, onde deve ritenersi che sia stato “specificamente edotto in ordine al significato ed agli effetti delle condizioni di Polizza”, cosi’ da esercitare “scientemente la propria autonomia negoziale” chiedendo la limitazione temporale della garanzia al 15 gennaio 2013 in entrambe le polizze.
Pertanto il giudice d’appello avrebbe errato nel ritenere inadeguato il regolamento contrattuale quanto alla “causa concreta”, perche’ avrebbe “fondato la propria analisi esclusivamente sulla constatazione della natura normalmente c.d. “lungolatente” dei danni derivanti dall’attivita’ professionale di un commercialista”, non considerando che la decisione di (OMISSIS) di trasferire alla compagnia mediante le due polizze il rischio di sinistri per fatti dannosi commessi dal 15 gennaio 2013 era stata “una precisa scelta dell’Assicurato” e quindi era del tutto adeguata ai suoi interessi, oltreche’ conforme a S.U. 22437-2018.
3.4 Il quarto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 1419, comma 2, c.c. laddove il giudice d’appello “ha integrato la disciplina contrattuale con norme non imperative” e ha ritenuto non essenziale la clausola claims made.
Oggetto della impugnazione e’ la stessa parte della pagina 17 della motivazione considerata per il primo motivo. Il giudice d’appello avrebbe “gravemente errato” dichiarando di doversi condividere la valutazione del tribunale “e confermarsi la declaratoria di nullita’ parziale” della clausola claims made con retroattivita’ biennale, “con la conseguente operativita’ della polizza”, richiamando la prima sentenza in cui si era disposta la sostituzione di tale causa “con la previsione di estensione della copertura a sinistri verificatisi nei dieci anni antecedenti alla richiesta risarcitoria”. L’errore della corte territoriale consisterebbe nell’aver applicato l’articolo 1419, comma 2, c.c., in quanto avrebbe dovuto procedere alla declaratoria di nullita’ dell’intero contratto; non avrebbe “neppure espressamente individuato le norme imperative con cui pretenderebbe di sostituire la clausola”, seguendo le “arbitrarie determinazioni” del primo giudice; la decennalita’ della copertura di sinistri anteriori alla richiesta risarcitoria non sarebbe sorretta da alcuna norma (tra l’altro, non dalle discipline speciali per l’assicurazione professionale degli avvocati e per l’assicurazione obbligatoria delle strutture sanitarie), l’unica disposizione generale in materia di assicurazioni professionali essendo il Decreto Legge 138 del 2011, articolo 3, comma 5, convertito in L. 148 del 2011 e novellato dalla L. 124 del 2017 – qui non applicabile ratione temporis ma considerabile come parametro di adeguatezza del regolamento negoziale -, prevedente l’obbligo dell’esercente una libera professione di “stipulare idonea assicurazione”, ma riguardante l’ultrattivita’ e non la retroattivita’.
3.5 II quinto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1892 e 1893 c.c. sulle dichiarazioni precontrattuali relative al rischio laddove il giudice d’appello “ha erroneamente ritenuto che fosse necessario accertare la sussistenza di richieste di risarcimento pregresse”.
Si censura l’avere la corte territoriale – a pagina 17 della sentenza – affermato che deve escludersi, come gia’ ritenuto dal primo giudice, che (OMISSIS) quando stipulo’ la polizza “fosse a conoscenza o dovesse esserlo di probabili istanze risarcitorie da parte della (OMISSIS) o di (OMISSIS)” e pure che quando (OMISSIS) la stipulo’ “non risulta esservi stata alcuna contestazione mossa al professionista dalla cliente”.
Si oppone che l’articolo 1892 c.c. stabilisce che “le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, relative a circostanze tali che l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del contratto quando il contraente ha agito con dolo o con colpa grave”; precetto di cui avrebbe “fatto erronea applicazione” il giudice d’appello “laddove ha ricercato, non trovandola, una “contestazione” di responsabilita’ ovvero “istanze risarcitorie” mosse al professionista in tempo antecedente la stipula”, mentre avrebbe dovuto invece indagare “in merito alla sussistenza di “circostanze” idonee a incidere sul rischio”. E come risulterebbe dagli “scritti difensivi di cui ai precedenti gradi (cfr. pagg. 26-31 della comparsa conclusionale in appello di (OMISSIS))” il contegno di (OMISSIS) avrebbe violato gli articoli 1892 ss. c.c. per la sua “conoscenza pregressa” di “circostanze” tali che, se l’assicuratore le avesse conosciute, non avrebbe stipulato.
La “circostanza rilevante” ex articolo 1892 c.c. sarebbe che ” (OMISSIS) aveva presenziato alla verifica eseguita dalla Agenzia delle Entrate sulla documentazione fiscale di (OMISSIS) nel mese di giugno 2013, aveva financo sottoscritto il Processo Verbale in data 17 dicembre 2013 e aveva conseguentemente apportato le modifiche necessarie allo statuto di (OMISSIS) nel mese di ottobre 2014 onde consentire l’applicazione del regime agevolato per i bilanci al 31 dicembre 2013″; vale a dire, “era perfettamente consapevole del rischio di aver commesso un errore professionale”.
Il ricorso incidentale, come si e’ anticipato, e’ composto di sette motivi.
4.1 II primo motivo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamenta nullita’ della sentenza per carenza di motivazione nella parte in cui accerta gli obblighi del professionista e per violazione dell’articolo 1176 c.c. quanto ai canoni di diligenza nonche’ per falsa applicazione dell’articolo 148, comma 3, TUIR e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 4 in relazione all’applicazione del regime fiscale agevolato.
La Corte d’appello, a pagina 19 della pronuncia, ha ritenuto che fosse “evidentemente obbligo del professionista… operare le scelte piu’ corrette per l’applicazione di quel regime fiscale del quale la (OMISSIS) fruiva”.
Si tratterebbe, dunque, di una motivazione mancante, nemmeno apparente, che non avrebbe considerato le argomentazioni del ricorrente, che “svolgeva solo l’attivita’ di consulenza e assistenza”, l’assistenza poi venendo “orientata dalle informazioni e dalla documentazione fornita” dalla cliente; l’oggetto dell’incarico professionale non includeva la revisione dello statuto della societa’, ne’ la valutazione della sussistenza dei requisiti necessari per il regime fiscale agevolato, ne’ la valutazione delle decisioni assembleari o i suggerimenti sulla “riqualificazione di quanto fatto in seno alla societa’”; inoltre “le opposizioni formulate dal (OMISSIS) nelle sue memorie – condivise dagli attori – nella fase di verifica fiscale hanno determinato gli accertatori a modificare le contestazioni nella fase contenziosa – ove (OMISSIS) non e’ stato ingaggiato – aggiungendo l’eccezione del cd “doppio compenso””.
Sarebbero poi manifeste la violazione dell’articolo 1176 c.c. e la falsa applicazione delle norme del TUIR, dato che la piu’ recente giurisprudenza afferma “la necessita’ della verifica in concreto del rispetto della disciplina tributaria” (si richiamano alcuni arresti di questa Suprema Corte); e la censura del tribunale, fatta propria dal giudice d’appello, nel senso che (OMISSIS) avrebbe dovuto “esaminare gli elementi costitutivi della societa’” e decidere quale fosse il regime fiscale applicabile, sarebbe errata dato che (OMISSIS) avrebbe verificato “l’effettiva esistenza in concreto dei requisiti normativi per mantenere alla contribuente la tassazione agevolata prevista per le societa’ sportive dilettantistiche senza scopo di lucro”.
4.2 n secondo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. per essere il giudice d’appello andato “oltre i limiti della domanda in relazione alla inverificata – ed inverificabile – aprioristica meritevolezza delle tesi dell’erario”.
Con un “acritico appiattimento” con il primo giudice, la corte territoriale avrebbe “statuito la non superabilita’ delle contestazioni avanzate dall’erario”, senza che fosse stata formulata la relativa domanda e in tal modo violando l’articolo 112 c.p.c. per modifica della causa petendi. (OMISSIS) “ha chiesto l’accertamento della responsabilita’ e la condanna generica del (OMISSIS) per applicazione di un regime di fiscalita’ agevolata in assenza dei presupposti di legge, mentre il giudice ha fondato la sua condanna sull’acritica condivisione dei presupposti di un accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate”, cosi’ che il “fatto costitutivo (adesione alla censura erariale) e’ pertanto diverso da quello dedotto in giudizio (omissioni ed errori professionali) ed estraneo alla materia del contendere”.
4.3 I terzo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza per omessa motivazione sulla “supposta veridicita’ delle tesi argomentative dell’Agenzia delle Entrate”.
La Corte d’appello avrebbe condiviso “le tesi dell’erario, senza spiegare minimamente le ragioni”. I verificatori avrebbero contestato tre addebiti: la non corretta valutazione dello stato giuridico della societa’, l’iscrizione tra i costi del conto economico di un compenso per la carica dell’amministratore contemporaneamente alla percezione di altri emolumenti per un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e l’iscrizione all’attivo patrimoniale dell’avviamento; su nessuna di queste argomentazioni il giudice d’appello avrebbe fornito motivazione.
4.4 Il quarto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa motivazione e violazione/falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c. in riferimento al concorso del fatto colposo del creditore concernente la raggiunta transazione con l’Agenzia delle Entrate.
Si osserva che il giudice d’appello ha affermato che “non puo’ certamente assumere rilevanza, al fine di esonerare l’appellante da responsabilita’, la scelta della (OMISSIS) di definire transattivamente il contenzioso con una riduzione delle somme da pagare”. Lamenta la ricorrente che questa “statuizione” non sarebbe stata “minimamente motivata”, argomentando poi sul diritto di (OMISSIS) ad essere informato della gestione del contenzioso e che si sarebbe verificato concorso colposo del creditore a cagionare il danno, senza che il giudice d’appello non vi abbia dato rilevanza, “violando il disposto dell’articolo 1227 c.c. e omettendo di motivare”.
4.5 I quinto motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza “per solo apparente motivazione” sul comportamento di (OMISSIS).
Ancora dalla pagina 19 della sentenza viene estratta la seguente frase: “non puo’ ragionevolmente individuarsi a carico dell’a.u. di una societa’ sportiva di piccole dimensioni, che esercitava l’attivita’ di insegnante di ginnastica, l’onere di vigilare sulla correttezza dell’attivita’ del commercialista”, per sostenere che “l’affermazione resta priva di reale motivazione” e argomentando pure sull’obbligo di vigilanza di ogni contribuente sul puntuale adempimento dei propri oneri fiscali. E “fino a prova contraria, si presume autore della violazione chi ha sottoscritto ovvero compiuto gli atti illegittimi”, recita il Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 11, comma 2).
4.6 II sesto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame su fatto decisivo, cioe’ l’errore processuale omissivo in cui sarebbe incorsa (OMISSIS), e “conseguentemente”, violazione o falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c. in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
Si afferma che la – mai contestata – mancata produzione da parte di (OMISSIS) nel giudizio davanti alla CTP del “contratto di consulenza dell’ (OMISSIS)” avrebbe “determinato la reiezione della domanda”, trascrivendo la parte di una frase della motivazione della sentenza di tale CTP: “la difesa della ricorrente sul punto appare inconsistente tant’e’ che non e’ stato prodotto neppure il citato contratto di consulenza dal quale evincersi l’effettivo ruolo svolto dal sig. (OMISSIS)”; la produzione di tale contratto sarebbe stata sufficiente “per consentire agevolmente di verificare che non si e’ trattato di una illegittima duplicazione dei costi ne’ di una distribuzione indiretta degli utili e cosi’ dimostrare l’erroneita’ della tesi degli accertatori”, ma il giudice d’appello non avrebbe “minimamente considerato nel suo argomentare logico questa circostanza”, che avrebbe consentito valutazioni diverse sulla sentenza tributaria e, quindi, pure sul concorso del fatto colposo del creditore nel cagionare il danno ex articolo 1227 c.c..
4.7 II settimo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, comma 1, n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. per mancata espressa previsione dell’obbligo di (OMISSIS) di tenere indenne (OMISSIS) dalle spese processuali di controparte nel rapporto processuale principale.
Osserva il ricorrente che (OMISSIS) e’ soccombente in entrambi i gradi di merito e che “sulla base delle condizioni di polizza avrebbe dovuto “tenere indenne l’assicurato di quanto tenuto a versare all’attrice per le spese di procedimento, nonche’ delle spese di difesa”.
Riconosce il ricorrente che la sentenza d’appello al capo d) ha confermato “nel resto” la sentenza del primo giudice, e che quindi ha confermato anche i capi “che prevedevano a) la condanna a (OMISSIS) a “tenere indenne (OMISSIS) da quanto eventualmente condannato a pagare a (OMISSIS) da quanto eventualmente condannato a pagare nel separato giudizio di liquidazione del danno per capitale e interessi e spese”… e, soprattutto, b) “a tenere indenne (OMISSIS) di quanto dovuto all’attrice per le spese del presente giudizio”. Sostiene pero’ che, “onde evitare strumentali interpretazioni, la manleva avrebbe dovuto essere espressamente richiamata nella sentenza d’appello come estesa anche a tutte le spese del giudizio d’appello”, e in particolare al capo f) di tale sentenza, prevedente la condanna di (OMISSIS) a rifondere le spese processuali a (OMISSIS).
Inoltre, “indipendentemente da cio'” il giudice d’appello sarebbe incorso in una “falsa applicazione” che “riguarda anche i termini di polizza concernenti le spese legali delle parti attrici al cui pagamento l’assicurato e’ stato condannato, in quanto esse fanno parte delle garanzie assicurative nei limiti del previsto massimale (doc. 6, D fasc. primo grado, punto 4.5., pag. 19), e devono intendersi per questo rimborsabili”. Lo stesso varrebbe per le spese dovute a terzi contro i quali la compagnia ha pure proposto appello, e dunque al capo g) della sentenza ove si condanna (OMISSIS) a rifondere le spese a (OMISSIS).
5. Occorre anzitutto esaminare il ricorso principale.
5.1. Il primo motivo e’ opportuno sia vagliato congiuntamente al quarto, in quanto quest’ultimo, come emerge dalla sintesi sopra offerta, ripropone, in sostanza, lo stesso contenuto di censura.
5.1.1. Il passo motivazionale oggetto della censura e’ il seguente:
“Una polizza che limiti a soli due anni la retroattivita’ della condotta causativa del danno da parte del professionista e’ del tutto inadeguata allo scopo pratico che viene perseguito con la stipulazione del contratto di assicurazione, ed impedisce al negozio di realizzare il suo scopo tipico.
La riprova di cio’ si ricava dall’osservazione secondo cui la pattuizione di una siffatta clausola non avrebbe permesso al professionista di fruire una copertura assicurativa neppure nel caso in cui questi avesse stipulato anno dopo anno, senza soluzione di continuita’, polizze contenenti la detta clausola di retroattivita’ biennale.
Infatti una polizza stipulata nel 2010 avrebbe coperto i danni denunciati nella vigenza del contratto ma non antecedenti al 2008, una stipulata nel 2011 quelli non antecedenti al 2009, una stipulata nel 2012 quelli non antecedenti al 2010, una stipulata nel 2013 quelli non antecedenti al 2011 e cosi’ via.
Nel caso in esame, deve pertanto condividersi la valutazione compiuta dal primo giudice e confermarsi la declaratoria di nullita’ parziale della clausola in esame, con la conseguente operativita’ della polizza”.
Per comprendere la conclusione cui perviene cosi’ il giudice d’appello occorre riportare quel che alla fine dichiara di condividere della sentenza di primo grado, cosi’ riassunto dalla stessa corte territoriale a pagina 14 della propria pronuncia:
“Il primo giudice, richiamati principi espressi dalle SU della Suprema Corte con la pronuncia n. 22437-2018, riteneva che il limite di retrodatazione della garanzia fosse inconciliabile con il tipo di responsabilita’ professionale assicurata e che la clausola non superasse il vaglio di adeguatezza dell’assetto negoziale nella realizzazione della concreta causa del contratto assicurativo, ragione per la quale doveva essere dichiarata la nullita’ parziale, laddove limitava la garanzia ai sinistri avvenuti nel termine ordinario decennale di prescrizione ma comunque nei due anni antecedenti, e la sua sostituzione con la previsione di estensione della copertura a sinistri verificatisi nei dieci anni antecedenti alla richiesta risarcitoria”.
5.1.2 Il contenuto dell’intervento di S.U. 24 settembre 2018 n. 22437 e’ ormai ben noto (“Il modello di assicurazione della responsabilita’ civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’articolo 1917, comma 1, c.c., consentita dall’articolo 1932 c.c., e’ riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non e’ soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’articolo 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’articolo 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessita’, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceita’ e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti-, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato puo’ esplicarsi, in termini di effettivita’, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati.”) e applicato dalle sezioni semplici (tra gli arresti massimati, v. Cass. sez. 3, 26 aprile 2022 n. 12981).
La corte territoriale lo ha effettivamente applicato per quanto concerne la verifica della clausola de qua ai sensi dell’articolo 1322, comma 1, c.c., giungendo a ritenerla nulla, in quanto ostativa alla effettivita’ della tutela invocabile dall’assicurato. Tuttavia, dalla sua sintetica motivazione emerge soltanto questa prima parte dell’accertamento che il thema decidendum le aveva affidato. Infatti, attingendo tra l’altro in modo implicito – opera infatti con un globale asserto di condivisione – dalla sentenza di primo grado, la corte territoriale si limita, come si e’ visto, a pervenire alla “declaratoria di nullita’ parziale della clausola in esame, con la conseguente operativita’ della polizza”, nel senso che tutto viene riversato nel limite prescrizionale ordinario, 9 sostituendo la clausola claims made con la regola della prescrizione decennale.
5.1.3 E’ evidente la discrasia che cosi’ emerge. La clausola viene dichiarata nulla, ma il contratto “rimane in piedi”: si dovrebbe pertanto ritenere che la corte territoriale abbia applicato l’articolo 1419, comma 2, c.c., per cui il contratto si salva qualora contenga clausole nulle ma queste siano “sostituite di diritto da norme imperative”. Quali norme imperative siano state applicate dalla corte territoriale non e’ evincibile dalla sua, a questo punto palesemente incompleta, motivazione e/o valutazione con essa illustrata. L’articolo 1419, comma 2, c.c. si riferisce infatti, ictu oculi, a norme che regolino imperativamente il contenuto negoziale, giacche’ esso presidia i limiti cosi’ inferiti dall’ordinamento al loro opposto, id est all’autonomia negoziale: l’imperio (democraticamente legittimo) del legislatore prevale quindi sul potere dispositivo sostanziale cioe’ sulla liberta’ negoziale delle parti, per tutelare valori superiori – il che sovente significa tutelare una parte debole, la cui potenziale inferiorita’ condiziona appunto il sinallagma -. Radicalmente diversa e’ invece una norma relativa alla prescrizione, non alla costituzione dei diritti; e non a caso la corte territoriale si e’ astenuta dal menzionarla.
Il giudice d’appello, dunque, piu’ che incorrere in un vizio motivazionale (a prescindere dal fatto che si sta vagliando anche il quarto motivo, il primo motivo proposto ben puo’ essere riqualificato: sulla non vincolativita’ per il giudicante della configurazione formale offerta dalla rubrica del motivo se questo e’ tuttavia riconducibile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c. e’ noto l’insegnamento di S.U. 24 luglio 2013 n. 17931, seguito, tra gli arresti massimati, da Cass. sez. 3, 29 agosto 2013 n. 19882, Cass. sez. 1, 31 ottobre 2013 n. 24553, Cass. sez. 6-3, ord. 20 febbraio 2014 n. 4036, Cass. sez. L, 17 dicembre 2015 n. 25386, Cass. sez. 2, 29 novembre 2016 n. 24247, Cass. sez. 5, ord. 6 ottobre 2017 n. 23381, Cass. sez. 6-5, ord. 27 ottobre 2017 n. 25557, Cass. sez. 2, ord. 7 maggio 2018 n. 10862, Cass. sez. 5, ord. 23 maggio 2018 n. 12690 e Cass. sez. 6-5, ord. 19 giugno 2018 n. 16170), ha violato – e il primo motivo in realta’ denuncia, come appunto il quarto il cui vaglio e’ stato percio’ congiunto, tale violazione in forza dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in tal senso dovendo essere riqualificato – la norma che regola la nullita’ parziale, consentendo di sostituire ex lege l’illegittima volonta’ delle parti, con effetto conservativo del resto.
La corte territoriale, invero, non ha rispettato l’articolo 1419, comma 2, c.c., in quanto ha omesso di identificare la norma imperativa con cui supplire la clausola concreta di claims made presente nella polizza, come pretende appunto tale norma.
Cio’ conduce, ineludibilmente, ad accogliere il motivo in esame. La corte, in sede di rinvio, dovra’ procedere alla relativa individuazione e, nel caso in cui non rinvenga la “norma protesi” che il capoverso dell’articolo 1419 c.c. esige, trarne la nullita’ del contratto.
5.2 Passando all’esame del secondo motivo, appare alquanto evidente che questo, dopo avere richiamato il noto insegnamento delle Sezioni Unite sulle clausole claims made – che affida al giudice di valutare se nel caso concreto la loro introduzione nel regolamento negoziale si mantenga nei limiti imposti dall’ordinamento, ricondotti al canone, piu’ che mai attivo ed “espansivo”, della buona fede -, e altresi’ dopo avere riconosciuto che il giudice d’appello cio’ ha “sposato”, abbandona la sua natura di veicolo di questioni giuridiche in quanto motivo di ricorso davanti al giudice di legittimita’ per passare alla critica dell’accertamento effettuato dal giudice d’appello sul “complessivo assetto sinallagmatico” concreto del contratto in esame. Il che significa che ha mosso le censure avverso l’accertamento di merito sul contenuto del regolamento negoziale che, in concreto si ripete, e’ stato concordato dalla compagnia assicuratrice e dal (OMISSIS), perseguendo dunque dal giudice di legittimita’ una revisione fattuale del contenuto – e quindi dell’equilibrio plasmato tra gli interessi delle parti – della polizza.
Non si puo’ non ricordare, infatti, che l’interpretazione che ha per oggetto il contenuto negoziale e’ comunque rimessa al giudice di merito – il quale naturalmente deve svolgerla applicando i canoni ermeneutici legali -: a proposito proprio della polizza contenente clausola claims made si e’ espressa in tal senso la basilare S.U. 24 settembre 2018 n. 22437 (si veda, in motivazione, sub 19 e 19.1), sotto questo profilo ovviamente nulla variando rispetto a quanto gia’ affermato nella prodromica S.U. 6 maggio 2016 n. 9140.
Il motivo, dunque, presenta un’evidente inconsistenza.
5.3.1 In ordine al terzo motivo, va rilevato anzitutto che la rubrica del motivo denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, romesso esame di un fatto decisivo: data di retroattivita’ fissata, su richiesta dell’assicurato, al 15 gennaio 2013 in entrambe le Polizze emesse da (OMISSIS)”.
Nella esposizione del motivo, coerentemente e’ su questo che la censura si impernia: “i Giudici d’Appello hanno del tutto omesso di considerare il fatto oggettivo e documentato che le polizze… forniscono entrambe – su richiesta espressa dell’assicurato – copertura per le Richieste di risarcimento derivanti da Atti Illeciti verificatisi a partire dal 15 gennaio 2013”, cosi’ ambedue recando “la medesima data di retroattivita’” e il “dato di fatto e’ chiaramente indicato nel frontespizio delle due polizze… ed e’ stato reiteratamente specificato da (OMISSIS) nei propri scritti difensivi”.
5.3.2 In realta’, quel che era stato addotto in tema dall’attuale ricorrente nella sua difesa di primo grado, seguendo quanto il ricorso (a pagina 6) indica per adempiere il requisito di autosufficienza, e’ che il (OMISSIS) non aveva “mai chiesto una diversa retroattivita’ in sede di compilazione del “Questionario per la richiesta di copertura Responsabilita’ civile Dottori Commercialisti, Ragionieri Commercialisti, Consulenti del Lavoro”, sottoscritto in data 3 febbraio 2015, laddove veniva espressamente richiesta una retroattivita’ di anni 2″; nella premessa del ricorso, peraltro, nulla e’ indicato del contenuto dei motivi presentati nell’appello proposto da (OMISSIS), mentre poi nella illustrazione del presente motivo (ricorso, pagina 16) si afferma che il “dato di fatto” e’ stato “reiteratamente specificato” dall’attuale ricorrente “nei propri scritti difensivi e segnatamente nelle conclusioni rassegnate innanzi al Tribunale che la Corte d’Appello ha persino riportato… a pagina 13 dell’impugnato provvedimento”, dove in effetti la corte territoriale, narrando lo svolgimento del processo, inserisce la seguente frase, che il ricorso trascrive a pagina 16: ” (OMISSIS)… faceva rilevare che le due polizze stipulate con il (OMISSIS) operavano in regime di claims made con retroattivita’ decorrente, per entrambe, dal 15/1/2013″ – cosi’ la corte completando subito dopo la frase: “e che la richiesta risarcitoria era intervenuta in data 8/1/2016, quindi nel periodo di vigenza della prima polizza (15/1/2015-15/1/2016), ma era riferibile a fatti accaduti in epoca anteriore all’area garantita” -.
Piu’ avanti, indicando il contenuto dei tre motivi d’appello presentati da (OMISSIS) (a pagina 14 della sentenza), la corte territoriale non menziona tale fatto.
5.3.3 Nella parte della sentenza in cui si vagliano le censure del gravame, si rinviene poi l’esame della sua seconda censura (pagine 16-17: si rileva che, pero’, il ricorrente – a pagina 14 – ha affermato di avere impugnato la sentenza “dal primo capoverso della pagina 17 della motivazione… fino al quarto capoverso della stessa pagina 17 della motivazione”), descritta come segue:
“Con il secondo motivo si assume la erroneita’ della sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto la nullita’ della clausola della polizza claims made che limita la retroattivita’ a due soli anni.
Secondo l’appellante, il tribunale avrebbe fatto erronea applicazione dei principi affermati dalla Suprema Corte, posto che nel caso concreto il meccanismo di operativita’ cronologica della clausola claims made era perfettamente lecito, ed adeguato allo scopo pratico perseguito dai contraenti, avendo il rag. (OMISSIS), soggetto certamente esperto ed avveduto attesa la sua qualifica professionale, consapevolmente chiesto di assicurarsi contro il (solo) rischio derivante da condotte successive al 15 gennaio 2013, ed il premio assicurativo era stato concordato in funzione alla estensione della copertura”.
5.3.4 Dunque, “integrando” quel che emerge dal ricorso in ordine al fatto discusso e decisivo che sarebbe stato tralasciato dal giudice d’appello con quel che se ne puo’ ricostruire alla luce della sentenza impugnata – per evitare eccessivi formalismi, alla luce di un canone conservativo della tutela giurisdizionale -, (OMISSIS) aveva presentato come fatto ora astrattamente riconducibile al paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’avere il (OMISSIS) consapevolmente chiesto di coprire il rischio derivante da condotte posteriori al 15 gennaio 2013. Nulla, invece, era stato addotto in appello in relazione al fatto che anche l’altra polizza – “uscita” d’altronde dal devoluto dopo essere stata ritenuta inapplicabile dal giudice di prime cure, non avendo il (OMISSIS) proposto appello al riguardo – aveva la medesima data di retroattivita’ su richiesta dell’assicurato.
Secondo una interpretazione conservativa e altresi’, a priori, ragionevole, deve allora identificarsi il fatto “decisivo” cui si riferisce il motivo (reputando implicitamente che fosse anche discusso, per quanto si e’ finora visto) nell’avere il (OMISSIS) richiesto la data di retroattivita’ al 15 gennaio 2013. Non e’ allora fondato il motivo, in quanto il giudice d’appello ha considerato pure il fatto suddetto, se si interpreta in un’ottica ragionevole quel che ha affermato a proposito del secondo motivo d’appello, che non e’ motivato, come prospetta la ricorrente, soltanto nella prima parte della pagina 17 della sentenza, la motivazione sussistendo altresi’ – subito dopo averlo nella stessa pagina riassunto come si e’ visto -, nella pagina 16 prendendo le mosse dall’asserto: “Il motivo e’ infondato”.
Invero, affermando, una volta richiamata S.U. 22437-2018, che questo tipo di contratto “non e’ soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’articolo 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’articolo 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione… ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessita’”, occorrendo seguire il criterio di “valutare l’adeguatezza del negozio allo scopo pratico perseguito dai contraenti” pure “nei modelli contrattuali… che postulano la copertura dei rischi per danni caratterizzati da lungolatenza”, la corte territoriale opera poi la sua valutazione di fatto – ed e’ questa che si rinviene nella pagina 17 della pronuncia – nel senso che a tale “scopo pratico” la “polizza che limiti a soli due anni la retroattivita’ della condotta causativa del danno da parte del professionista e’ del tutto inadeguata”.
E’ evidente che, in questo percorso ricostruttivo, il giudice d’appello ha ritenuto che la richiesta che, secondo l’appellante, avrebbe avanzato il (OMISSIS) non aveva l’effetto di disinnescare la necessita’ di valutare se il contratto era stato stipulato nei suddetti limiti imposti dalla legge in relazione all’adeguatezza del negozio allo “scopo pratico”: adeguatezza che, naturalmente, ha una pregnanza oggettiva, non potendosi identificare nella mera stipulazione del contratto con volonta’ delle parti del tutto concordanti, inclusa un’eventuale volonta’, per cosi’ dire, autolesionista per una di loro.
Il che si puo’ anche presumere sia stato percepito dalla stessa ricorrente che, nella seconda parte del motivo, sposta la tematica al di fuori del paradigma del n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, per affermare, in sostanza, che il principio per regolare l’adeguatezza dell’assetto negoziale e lo scopo pratico e’ costituito dall’autonomia negoziale delle parti, aggiungendo inoltre il fatto che sarebbero stati adempiuti gli obblighi informativi da parte della compagnia. Cio’ non e’ riconducibile, evidentemente, ad una denuncia di omesso esame di un fatto discusso e decisivo.
5.3.5 Meramente ad abundantiam, allora, si osserva che, come insegnano le Sezioni Unite, la polizza assicurativa con clausola claims made non e’ da vagliare in riferimento all’articolo 1322, comma 2, c.c., bensi’ proprio in riferimento al comma 1 di detto articolo, che indica la sussistenza di “limiti imposti dalla legge” all’autonomia contrattuale, per l’evidente necessita’ di incastonare nel quadro ordinamentale e dunque fare spazio anche al pubblico interesse di tutelare di quelle parti che, in contratti come quello in esame, sono oggettivamente intese parti deboli, o comunque sono l’interposizione di parti deboli, per cosi’ dire, definitive come i terzi danneggiati. E tutto cio’, ictu oculi, non puo’ essere superato dal mero adempimento degli obblighi informativi da parte della compagnia.
Il motivo, in conclusione, risulta infondato, poiche’ non vi e’ stato omesso esame da parte del giudice d’appello.
5.4 n quinto motivo, infine, Si tratta, evidentemente, di una censura direttamente fattuale, in quanto indica (attraverso un riferimento peraltro generico agli “scritti difensivi” della stessa ricorrente e a cinque pagine della comparsa conclusionale d’appello sempre dell’attuale ricorrente) alcune condotte che avrebbe tenuto (OMISSIS), per affermare che sulla base di questo si sarebbe dovuto ritenere violato l’articolo 1892 c.c., tralasciando che non compete al giudice di legittimita’ accertare la sussistenza dei presupposti fattuali dell’applicazione di una norma, accertamento che e’ affidato al giudice di merito.
Il motivo pertanto e’ inammissibile.
6. Il ricorso principale, in conclusione, deve essere accolto per quanto concerne il primo e il quarto motivo, rigettando il secondo e il terzo e dichiarando inammissibile il quinto. Pur concernendo formalmente un diverso rapporto il ricorso incidentale, e’ evidente che il nucleo della causa risiede nell’oggetto del ricorso principale, per cui l’incidentale viene assorbito. Cassando la sentenza dunque per quanto di ragione, si rinvia, anche per le spese, alla stessa Corte d’appello di Milano in diversa sezione e composizione.

P.Q.M.

Accoglie i motivi primo e quarto del ricorso principale, rigettati il secondo e il terzo e dichiarato inammissibile il quarto, e assorbito il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata rinviando, anche per le spese processuali, alla Corte d’appello di Milano.

 

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