Il professionista è obbligato ad usare la diligenza del buon padre di famiglia

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|31 marzo 2023| n. 9063.

Il professionista è obbligato ad usare la diligenza del buon padre di famiglia

Il professionista, nell’espletamento della prestazione promessa, è obbligato ai sensi dell’art. 1176 c.c. ad usare la diligenza del buon padre di famiglia; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale di cui lo stesso risponde anche per colpa lieve, perdendo il diritto al compenso. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello che – pur avendo riconosciuto che la progettazione affidata ad un gruppo di professionisti non rispettava i limiti di altezza rispetto al piano stradale previsto dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, rendendo così irrealizzabile l’opera commissionata – aveva riconosciuto il diritto dei professionisti a ricevere parte del compenso, sul rilievo che la società committente aveva potuto profittare del progetto).

Ordinanza|31 marzo 2023| n. 9063. Il professionista è obbligato ad usare la diligenza del buon padre di famiglia

Data udienza 10 gennaio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI – PRESTAZIONI PROFESSIONALI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21630/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), con domicilio in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), E (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso l’avv. (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 603/2017, pubblicata in data 15.2.2017;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno 10.1.2023 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Il professionista è obbligato ad usare la diligenza del buon padre di famiglia

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) s.r.l. ha proposto opposizione al Decreto Ingiuntivo n. 49089/2009, ottenuto dagli arch. (OMISSIS) e (OMISSIS) per il pagamento del corrispettivo della progettazione architettonica di un fabbricato a destinazione residenziale, eccependo che il progetto era risultato inutilizzabile, poiche’ in contrasto con le norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico locale del Comune di Gallarate, lamentando – inoltre – lo sforamento dei budget di spesa.
In contraddittorio con i resistenti, il Tribunale, espletata c.t.u. ed acquisita documentazione, ha accolto l’opposizione, negando che i tecnici avessero diritto ad essere remunerati per l’opera svolta.
La sentenza, impugnata da (OMISSIS) e (OMISSIS), e’ stata parzialmente riformata in appello.
La Corte territoriale ha anzitutto confermato che la progettazione non rispettava i limiti di altezza rispetto al piano stradale previsti dalle NTA del Comune di Gallarate e che non era stato assicurato il risultato promesso, ovvero la realizzazione dell’opera in conformita’ alle norme urbanistiche, benche’ fosse stato inizialmente rilasciato il permesso a costruire n. (OMISSIS).
Ha pero’ ritenuto che i professionisti avessero diritto a parte del compenso richiesto, in considerazione del fatto che la progettazione non si era rivelata del tutto inutile e che di essa la societa’ aveva potuto profittare.
Ha difatti posto in rilievo che, a causa dell’eccessivita’ dei costi di esecuzione dell’opera, la committenza aveva receduto dal contratto, nominando altro tecnico, l’arch. (OMISSIS), il quale, inizialmente non aveva neppure riconsiderato gli aspetti tecnici della progettazione, salvo poi a prospettare una modifica delle altezza che aveva incontrato i rilievi tecnici dell’amministrazione. L’impossibilita’ di avvalersi del permesso a costruire n. (OMISSIS) ottenuto dai resistenti non aveva reso del tutto inutile l’attivita’ progettuale pregressa, specie di natura preparatoria, di cui si era avvalso il professionista subentrato.
La sentenza ha quantificato il compenso complessivo in Euro 92.001,77, maggiorato delle spese di esecuzione del provvedimento monitorio dichiarato provvisoriamente esecutivo,, pari ad Euro 1.6.668,92, per complessivi Euro 109.119,35, da cui ha detratto l’importo corrisposto dalla committenza (Euro 140.215,57), condannando gli arch. (OMISSIS) e (OMISSIS) a restituire Euro 31.096,22, oltre accessori.
La cassazione della sentenza e’ chiesta dalla (OMISSIS) s.r.l. con
ricorso in sette motivi.
(OMISSIS) e (OMISSIS) resistono con controricorso e hanno depositato memoria illustrativa.

Il professionista è obbligato ad usare la diligenza del buon padre di famiglia

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’articolo 1176 c.c., sostenendo che la prestazione dei tecnici progettisti e’ non di mezzi ma di risultato e che pertanto, ove il progetto sia – come nel caso inutilizzabile, non compete ai professionisti alcun compenso per l’opera svolta.
La sentenza avrebbe erroneamente riconosciuto una parziale utilita’ della progettazione senza alcuna prova che il tecnico subentrato se ne fosse effettivamente avvalso e comunque l’attivita’ prodromica alla vera e propria progettazione non aveva una sua autonomia e non era suscettibile di essere remunerata.
Il motivo e’ fondato.
Si evince dalla pronuncia che l’originaria progettazione eseguita dai resistenti aveva dato luogo al rilascio di un primo permesso a costruire n. (OMISSIS), che la societa’ aveva accantonato per problematiche connesse alla sostenibilita’ dei costi.
La (OMISSIS) aveva, percio’, revocato l’incarico degli originari progettisti prima ancora che emergessero problematiche di carattere tecnico ed aveva inizialmente affidato ad altro professionista il compito di riesaminare e rivedere il piano finanziario dell’opera, salvo poi a doversi confrontare con i rilievi del Comune, che aveva contestato la non conformita’ del progetto ai limiti di altezza previsti dalle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico locale.
Non vi erano dubbi – secondo la pronuncia – sulla responsabilita’ dei resistenti “che, essendo chiamati a svolgere un’attivita’ implicante l’impiego di particolari e peculiari competenze tecnico-professionali in esecuzione di una obbligazione di mezzi e non di risultato, avrebbero dovuto adoperarsi per assicurare, relativamente al progetto loro commissionato, il risultato atteso dalla committente, ovvero la possibile realizzazione dell’opera in conformita’ alle N.T.A.” La dichiarata inutilizzabilita’ del progetto e la mancata realizzazione del risultato promesso rendeva inesigibile il compenso, sebbene dagli accertamenti del consulente fosse emerso che i tecnici avevano svolto correttamente tutta un’attivita’ preparatoria utile per la committenza, “avendone quest’ultima potuto profittare”. Trattavasi – in particolare – della fase ante progettuale propedeutica di studio che riguarda la “scelta” fra ristrutturazione e nuova edificazione; la fase pertinente la “conoscenza” di luoghi e dell’assetto urbano, di studio sulle capacita’ edificatorie; di meeting con la Committente in cui anche quest’ultima matura le scelte sulla qualita’ del progetto; la messa a disposizione della esperienza che agevola il “contatto” con l’Ente preposto al Controllo (indipendentemente dai risultati), nonche’ fatti e in genere circostanze, anche nel caso in cui il progetto non dovesse andare a buon fine, che agevolano il progetto da parte di terzi intervenuti successivamente.
La pronuncia impugnata suppone – infondatamente – la scindibilita’ delle singole fasi in cui si era sviluppata l’attivita’ professionale, svalutandone il carattere unitario in relazione al concreto risultato che, anche secondo la stessa Corte di merito, era stato promesso, dovendo escludersi che la corretta esecuzione di singole fasi potesse essere valutata in se’, senza rapportarla all’interesse e alla concreta utilita’ che il committente aveva inteso ottenere, o che si configurasse un inadempimento solo parziale (come sostenuto anche nella memoria ex articolo 380 bis.1 c.p.c., depositata dai resistenti).
In generale il professionista, nell’espletamento dell’attivita’ promessa (sia essa di mezzi o di risultato), e’ obbligato, a norma dell’articolo 1176 c.c., ad usare la diligenza del buon padre di famiglia; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale, del quale e’ chiamato a rispondere anche per la colpa lieve (salvo che nel caso in cui, a norma dell’articolo 2236 c.c., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficolta’), e, in applicazione del principio di cui all’articolo 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso (cfr. in tema di prestazioni degli ingegneri o geometri: Cass. 22487/2004; Cass. 11304/2012 secondo cui, con riferimento alla professione forense, la negligenza deve esser valutata con giudizio ex ante ed esser tale da incidere sugli interessi del cliente, pur non potendo il professionista garantire l’esito favorevole auspicato dal cliente; in tal senso Cass. 6967/2006; Cass. 25894/2016, nonche’, con riferimento alla professione medica: Cass. 17306/2006).
Nello specifico settore considerato, pur avendo le S.U. ridimensionato, sul piano generale, la distinzione tra obbligazioni di mezzo e di risultato (specie riguardo all’applicabilita’ dell’articolo 2226 c.c., alle prestazioni professionali: Cass. s.u. 15781/2005), la successiva giurisprudenza ha continuato a sottolineare il rilievo che il risultato promesso assume per la valutazione della responsabilita’ del progettista, evidenziando che l’opus promesso e’ – in tal caso un progetto effettivamente realizzabile (Cass. 14759/2016).
Si e’ affermato che l’architetto, nell’espletamento dell’attivita’ professionale consistente nell’obbligazione di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, e’ tenuto a fornire un elaborato concretamente utilizzabile anche dal punto di vista tecnico e giuridico, con la conseguenza che l’irrealizzabilita’ dell’opera, per erroneita’ o inadeguatezza del progetto, da’ luogo ad un inadempimento dell’incarico e abilita il committente a rifiutare il compenso, avvalendosi dell’eccezione di cui all’articolo 1460 c.c. (cfr. Cass. 14759/2016; Cass. 2257/2007; Cass. 22487/2004; Cass. 11728/2002).
Rientra nella prestazione dovuta, poiche’ strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell’opera, l’obbligo di assicurare la conformita’ del progetto alla normativa urbanistica e di individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, cosi’ da garantire la preventiva soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dei lavori richiesti dal committente (Cass. 8014/2012).
In presenza di vizi della progettazione, il committente ha la facolta’ di non accettare gli elaborati anche ove l’altra parte si offra di modificarli o vi dia corso di sua iniziativa (Cass. 2724/2002).
Ancor piu’ di recente (Cass. 3052/2020) si e’ precisato che il rifiuto di pagamento e’ correttamente esercitato anche quando gli elaborati siano emendabili in ottemperanza ai rilievi sollevati dall’amministrazione competente per i controlli. Il progetto, pur costituendo un opus preparatorio all’edificazione, deve assicurare la preventiva soluzione dei problemi ostativi alla realizzazione dell’edificio, che spetta al professionista individuare quale soggetto dotato di specifica competenza tecnica (Cass. 8014/2012; Cass. 18342/2019; Cass. 1214/2017).
Solo ove il committente richieda l’adeguamento ai rilievi formulati da un organo, consultivo o di controllo, che ne condizionano l’approvazione, il professionista e’ tenuto ad apportare le richieste correzioni, risultando altrimenti legittimo il rifiuto di pagamento (Cass. 2570/1997; Cass. 6812/1998; Cass. 2257/2007).
Non rileva – infine – che il mancato adeguamento del progetto non abbia avuto luogo a causa del recesso della (OMISSIS) dal rapporto professionale, apparendo chiaramente evidenziato dal Giudice distrettuale che gli elaborati non rispettavano le prescrizioni in tema di altezza, che l’opera era irrealizzabile e che per tale ragione non era esigibile l’intero importo richiesto. La sentenza ha precisato, in proposito, che il rilascio del permesso a costruire non aveva affatto posto i ricorrenti al riparo dalle gravi conseguenze derivanti dall’irregolarita’ dell’opera (cfr. sentenza, pag. 7).
In tale situazione era impregiudicata, come detto, la liberta’ di affidarsi ad altro tecnico e di non accettare gli elaborati, non essendo peraltro emerso che i resistenti si fossero offerti di modificarli o vi avessero provveduto (Cass. 2724/2002).
Non rileva neppure che di talune attivita’ preparatorie si fosse avvalso il tecnico subentrante o che di esse si fosse avvantaggiata la societa’ ricorrente, essendo il rapporto professionale integralmente regolato dalla disciplina generale del contratto, non essendo ammissibile altra forma di compensazione economica – diversa dal corrispettivo concordato – in presenza di un titolo negoziale vanamente azionato e della mancata realizzazione del risultato promesso (come puo’ argomentarsi dalla disciplina dell’arricchimento ingiustificato ex articolo 2041 c.c.: Cass. 1819/1974; Cass. 3806/1993; Cass. 2283/1991; Cass. 9584/1998; Cass. Cass. s.u. 12076/1992; Cass. 2350/2017; Cass. 14944/2022).
2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli articoli 61, 62 e 194 c.p.c., sostenendo che la Corte di merito aveva conferito al consulente una verifica puramente tecnica sull’utilizzabilita’ del progetto, non demandando alcun accertamento che riguardasse l’utilita’ dell’attivita’ preparatoria svolta dai ricorrenti, con la conseguenza che di tali valutazioni non era lecito tener conto.
Il terzo motivo deduce la violazione dell’articolo 345 c.p.c., assumendo che la richiesta di pagamento proposta in via monitoria era volta ad ottenere l’adempimento del contratto professionale e che solo in appello i professionisti avevano chiesto di riconoscere il compenso anche ove fossero stati accertati profili di responsabilita’, domanda quest’ultima – che doveva considerarsi introdotta tardivamente.
Il quarto motivo denuncia la violazione della L. n. 143 del 1949, articoli 15 e 19.
Si deduce che neppure in presenza di errori progettuali era possibile riconoscere una percentuale del 4,1085% sul valore delle opere, dato che per i lavori di importo superiore ad Euro 2.582.284,50, quale quello di cui si discute, la percentuale prevista dalle tariffe legali era pari al 3.4183%; inoltre, non spettava alcun compenso per la compilazione del preventivo particolareggiato e per la relazione o per l’esecuzione di particolari costruttivi e decorativi, tutte attivita’ che presupponevano la redazione della progettazione esecutiva che il Giudice distrettuale aveva ritenuto non eseguita.
Il quinto motivo deduce la violazione dell’articolo 653 c.p.c., Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, articolo 4 e Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 5, per aver la sentenza disposto a favore dei resistenti il rimborso delle spese di esecuzione e della fase monitoria calcolate non sull’importo definitivamente liquidato, ma su quello – superiore – richiesto con l’ingiunzione revocata.
Il sesto motivo denuncia la violazione dell’articolo 1241 c.c., per aver la Corte di merito omesso di tener conto, nella compensazione tra i reciproci crediti e debiti, dell’acconto di Euro 45.000,00 versato ai progettisti e da essi non restituito.
Il settimo motivo denuncia la violazione dell’articolo 91 c.p.c., assumendo che, avendo la ricorrente vittoriosamente opposto il decreto ingiuntivo ed essendo risultata creditrice all’esito del processo, le spese dovevano gravare interamente sui resistenti.
Tutte le soprascritte censure sono assorbite, essendo le statuizioni impugnate travolte dall’accoglimento del primo motivo in quanto dipendenti dall’erroneo riconoscimento del compenso in favore dei progettisti, dovendo il giudice del rinvio regolare nuovamente le statuizioni di rimborso e le spese processuali in considerazione dell’esito finale della causa, attenendosi a principi enunciati con la presente decisione.
In conclusione, e’ accolto il primo motivo, con assorbimento di ogni altra censura.
La sentenza e’ cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimita’.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimita’.

 

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