Contratto di agenzia e l’onere della prova dei fatti costitutivi del diritto alla provvigione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|31 marzo 2023| n. 9064.

Contratto di agenzia e l’onere della prova dei fatti costitutivi del diritto alla provvigione

In tema di contratto di agenzia, l’onere della prova dei fatti costitutivi del diritto alla provvigione, gravante sull’agente, non può ritenersi soddisfatto per la sola circostanza che il preponente non abbia adempiuto agli obblighi informativi su di lui incombenti in forza dell’art. 1749 c.c., essendo questi ultimi pur sempre preordinati a consentire all’agente di assolvere al suddetto onere (anche, se del caso, in sede giudiziale, attraverso un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.).

Sentenza|31 marzo 2023| n. 9064. Contratto di agenzia e l’onere della prova dei fatti costitutivi del diritto alla provvigione

Data udienza 19 gennaio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Contratto di agenzia – Provvigioni – Obbligo di informazione – Esibizione ex articolo 210 c.p.c. delle scritture contabili – Diritto di esigere tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate – Onere della prova – Art. 2697 cc

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 11479/2017 proposto da:
(OMISSIS) SRL, A SOCIO UNICO, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 815/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dottor PEPE Alessandro, che ha chiesto accogliersi il primo motivo di ricorso con il rigetto dei restanti motivi;
Udito l’avvocato (OMISSIS) per la controricorrente;
Lette le memorie delle parti.

Contratto di agenzia e l’onere della prova dei fatti costitutivi del diritto alla provvigione

RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE

La (OMISSIS) S.r.l. concludeva nel 2005 un contratto di agenzia con la (OMISSIS) per la promozione e la vendita delle calzature, aventi il medesimo marchio, appartenente pero’ ad altra societa’.
Poiche’ l’agente aveva acquisito la titolarita’ del marchio dall’originaria titolare, il contratto di agenzia era consensualmente risolto, e le due societa’ concludevano un nuovo contratto per la produzione in esclusiva da parte della (OMISSIS) delle calzature da uomo a marchio (OMISSIS). Con missiva del 4 giugno 2009 la (OMISSIS) dichiarava la volonta’ di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nel secondo contratto, lamentando la violazione degli obblighi contrattuali assunti dalla committente.
La (OMISSIS) proponeva quindi ricorso monitorio per il pagamento delle provvigioni ancora non riscosse derivanti dal precedente rapporto di agenzia, ed avverso il relativo decreto proponeva opposizione la (OMISSIS) S.r.l. che eccepiva la compensazione con i crediti asseritamente maturati in conseguenza della risoluzione del diverso contratto di fornitura, credito che a sua volta azionava con due separati ricorsi monitori.
Proposta opposizione da parte di (OMISSIS) avverso i decreti emessi in favore della controparte, il Tribunale di Milano, riuniti i giudizi, con la sentenza n. 15165/2014 del 18 dicembre 2014 ha rigettato l’opposizione proposta dalla (OMISSIS), mentre ha accolto le opposizioni avanzate dalla (OMISSIS), revocando i decreti ingiuntivi opposti, accogliendo altresi’ la domanda riconvenzionale della (OMISSIS), ma ha rigettato la domanda risarcitoria proposta nei confronti della (OMISSIS).
Avverso tale sentenza quest’ultima societa’ ha proposto appello, cui ha resistito la (OMISSIS).
La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 815 del 25 febbraio 2017, in parziale accoglimento del gravame ha condannato la (OMISSIS) al pagamento a titolo di indennita’ di risoluzione della minor somma di Euro 2.013,73, rispetto a quella liquidata in primo grado, confermando nel resto la sentenza appellata.
Quanto al credito vantato a titolo di provvigioni per il terzo trimestre 2009, la Corte d’Appello riteneva che l’appellante non avesse contestato l’apprezzamento del Tribunale circa la non contestazione della pretesa dell’agente, non avendo fornito elementi contrari a quelli opposti dalla controparte. Inoltre, occorreva far richiamo alla disciplina di cui all’articolo 1749 c.c., comma 2, in base alla quale il preponente deve consegnare all’agente un estratto conto delle provvigioni dovute entro un termine espressamente fissato. L’assenza di prova circa il corretto adempimento di tale obbligo da parte della societa’ appellante, consentiva di affermare come non contestato il credito de quo.
Era invece parzialmente fondata la censura relativa al pagamento del FIRR, atteso che la somma alla quale era stata condannata l’appellante non teneva conto del fatto che dalla stessa andava detratto quanto gia’ in precedenza accantonato a tale titolo, di modo che il credito dovuto si riduceva all’importo di Euro 2.013,73.
Nell’esaminare i crediti opposti in compensazione, e ricollegabili alla pretesa risoluzione del contratto per inadempimento della (OMISSIS), la sentenza riteneva insussistente la violazione dell’obbligo di esclusiva da parte della committente.
Infatti, pur dovendosi tenere conto anche delle prove, documentali e non, che il Tribunale aveva omesso di esaminare, prove che erano state acquisite in appello a seguito della ricostruzione del fascicolo di parte appellante relativo al giudizio di primo grado, doveva condividersi la conclusione cui era giunto il giudice di prime cure.
La richiesta proveniente dalla filiale cinese di una societa’ italiana di essere autorizzata dalla (OMISSIS) a produrre campioni di suole per calzature da uomo o da donna, lungi dal comprovare che fosse stata, in violazione dell’esclusiva, concessa ad una societa’ terza la produzione di scarpe la cui realizzazione era invece stata affidata in esclusiva all’appellante, dimostrava in realta’ che l’appellata aveva richiesto la realizzazione solo di campioni di suole, e non gia’ dei prodotti finiti coperti dall’esclusiva.
Ne’ poteva deporre in senso contrario il fatto che si facesse riferimento nella missiva del 20 gennaio 2009 all’autorizzazione anche ad eventuali subfornitori, avendo la stessa appellata precisato che l’estensione era sempre limitata solo alla campionatura dei modelli.
L’esame complessivo della corrispondenza intercorsa tra le parti, secondo i giudici di appello, non solo non forniva elementi di riscontro dell’elusione del patto di esclusiva ma nemmeno confortava il carattere significativo degli elementi stessi in tal senso.
Non vi era poi la prova che la (OMISSIS) fosse stata incaricata, sempre con esclusiva, a produrre le calzature anche da donna, in quanto la missiva del 20/10/2008, nemmeno sottoscritta dalla societa’ appellata, si limitava solo prevedere che la (OMISSIS) non avrebbe sviluppato modelli da donna utilizzando gli stessi prototipi creati per le calzature da uomo, potendosi al piu’ ipotizzare un divieto per la committente di creare scarpe da donna il cui modello traeva derivazione da quelli delle scarpe da uomo.
Altra documentazione versata in atti (conferma di ordini come da contratto inviata dalla appellante; richiesta indirizzata da terze societa’ accompagnate dalle schede prodotto, ecc.) non consentiva di affermare che una terza societa’ ( (OMISSIS)) avesse ricevuto dalla (OMISSIS) un ordine di produzione di scarpe da donna.
La prova testimoniale aveva poi confermato il fatto che le richieste in oggetto avevano la finalita’ di assicurare alla committente una quotazione di futuri modelli da realizzare.
La mail inviata dalla (OMISSIS), a seguito della richiesta di risoluzione dell’appellante, non consentiva nemmeno di affermare, ancorche’ in via presuntiva, che la mittente avesse affidato ai calzaturifici di cui si serviva per le scarpe da donna, anche la costruzione delle scarpe da uomo.
Infatti, si trattava sempre di documenti che confermavano come la societa’ appellata, secondo una prassi costantemente seguita anche in passato, aveva affidato a societa’ terze, in ragione della loro specifica competenza, la sub produzione solo di parti di modelli, come peraltro confermato dalla pattuizione contrattuale che consentiva alla (OMISSIS) di sottoporre alla controparte il nominativo di fornitori alternativi a cui affidare la realizzazione di prodotti la cui scheda costi definitiva non fosse stata approvata dalla committente.
Era quindi da condividere la valutazione del Tribunale che sul punto aveva ritenuto che era in linea con le pattuizioni contrattuali, che la committente si servisse specifici subfornitori per specifiche produzioni e che potesse farsi fare preventivi e campionature da altri fornitori, onde valutare la possibilita’ di un affidamento della produzione finale a soggetti terzi, con il medesimo risultato qualitativo ma a prezzi piu’ competitivi.
La ricerca di eventuali subfornitori era mirata al fine di segnalare all’appellante la possibilita’ di ricorrere a dei canali alternativi di produzione in maniera da rendere piu’ efficiente la propria produzione.
Quanto alla seconda ragione asseritamente fondante la risoluzione per l’operativita’ della clausola risolutiva espressa, ricondotta al ritardo nel pagamento degli acconti sugli ordini intervenuti, la Corte d’Appello rilevava la differenza tra le ipotesi disciplinate dell’articolo 13, dal comma 1 e dal comma 2, del contratto di fornitura, sottolineando che la risoluzione era contemplata solo per la violazione del comma 2.
Quest’ultimo prevedeva che fosse possibile sospendere o ritardare il pagamento da parte della (OMISSIS) solo ove la (OMISSIS) avesse riconosciuto i vizi e/o le difformita’ lamentate dalla committente.
La fattispecie dedotta in giudizio dall’appellante rientrava nella previsione del comma 1, e quindi non permetteva di invocare al riguardo l’operativita’ della clausola risolutiva espressa, il che imponeva il rigetto anche di tale motivo di appello.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi la (OMISSIS) S.r.l..
La (OMISSIS) S.p.A. ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimita’ dell’udienza.
RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1748, 1749 e 2697 c.c., nonche’ degli articoli 115, 116, 132 e 183 c.p.c., per avere la Corte d’Appello rigettato il motivo di appello con il quale si contestava la debenza delle provvigioni, determinando un’inversione dell’onere della prova circa l’effettiva consistenza delle provvigioni dovute, scaricando sulla preponente l’onere di provarne l’inesistenza, senza che pero’ l’agente avesse fornito alcuna prova del proprio diritto.
Si deduce che la sentenza gravata, nel rigettare l’appello sul punto, ha sostenuto che l’appellante non avesse contestato l’accertamento relativo alla non contestazione del documento fiscale (la fattura) che la (OMISSIS) aveva emesso per il pagamento delle provvigioni, non avendo fornito alcun elemento di segno opposto a quanto sostenuto dalla societa’ agente.
Si evidenzia che pero’ l’affermazione della (OMISSIS) contenuta nella comparsa di costituzione depositata nella causa per prima incardinata dinanzi al Tribunale di Milano, secondo cui le provvigioni le erano dovute nell’importo indicato, secondo i conteggi dalla medesima effettuati, sulla base del rapporto ricevuto dalla preponente, non era supportata da alcun documento, ma era stata espressamente contestata dalla ricorrente nelle prima memoria di cui all’articolo 183 c.p.c., comma 6, e che tale contestazione era stata poi reiterata in tutti i successivi scritti difensivi in primo grado, nonche’ con l’atto di appello.
Con la soluzione scelta dal giudice di merito e’ stata ritenuta raggiunta la prova dell’esistenza del diritto della societa’ agente, in assenza della prova che la medesima era onerata di fornire.
La sentenza di primo grado, confermata sul punto dalla Corte d’Appello, ha poi ravvisato la superfluita’ della CTU, facendo riferimento al disposto di cui all’articolo 1749 c.c., comma 2, che, pur affermando il diritto dell’agente a ricevere l’estratto conto delle provvigioni, non consente pero’ di affermare che in caso di inottemperanza da parte del preponente, l’agente sia esonerato dal dovere offrire in giudizio la prova del proprio diritto.
Il motivo e’ fondato.
La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva accolto la richiesta di condanna della ricorrente per il mancato pagamento delle provvigioni, ritenendo che non fosse stato contestato l’accertamento relativo alla non contestazione della fattura prodotta a tale titolo dalla (OMISSIS), non avendo l’odierna ricorrente peraltro fornito elementi per contrastare quanto sostenuto dalla societa’ agente.
L’affermazione e’ evidentemente erronea.
In primo luogo, contrasta con il principio piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui il principio di non contestazione di cui all’articolo 115 c.p.c., ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non puo’ riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. n. 6172/2020; Cass. n. 30744/2017, secondo cui l’onere di contestazione per la parte attiene alle circostanze di fatto e non anche alla loro componente valutativa, che e’ sottratta al principio di non contestazione; Cass. n. 3022/2018; Cass. n. 6606/2016; Cass. n. 12748/2016).
Ne consegue che e’ erronea la premessa argomentativa che la Corte d’Appello trae dalla mancata contestazione della fattura, in assenza anche della indicazione dei fatti storici che hanno determinato l’emissione del detto documento.
Peraltro, dalla lettura del motivo di ricorso si evince come, con le difese immediatamente successive alla produzione della fattura in oggetto, la ricorrente ebbe a contrastare la produzione documentale, contestando in particolare il calcolo delle provvigioni, in quanto oggetto di quantificazione unilaterale da parte della (OMISSIS) (cfr. ricorso pag. 11 e ss., ove sono riportati testualmente vari passaggi degli scritti difensivi).
Peraltro, analoga contestazione venne sollevata anche in relazione all’allegazione di un prospetto riepilogativo che l’agente assumeva essere stato rilasciato dalla (OMISSIS), avendo la ricorrente disconosciuto la paternita’ del documento e la sua valenza probatoria.
La contestazione della valenza probatoria dei documenti prodotti e’ stata poi reiterata anche nei successive scritti difensivi in primo grado nonche’ nella formulazione dei motivi di appello.
Inoltre, a fronte della mera indicazione dell’ammontare delle provvigioni dovute, come determinato sulla base di un prospetto asseritamente rilasciato dalla controparte, la cui riferibilita’ e’ stata pero’ effettivamente contestata dalla odierna ricorrente, ed in assenza quindi della specifica allegazione dei fatti che avrebbero consentito la maturazione delle provvigioni, non puo’ esigersi un onere di contestazione specifica da parte del preteso debitore, che ben poteva, come appunto avvenuto limitarsi a contestare la valenza probatoria della fattura, stante l’assenza di univoci elementi che consentissero effettivamente di riferire il prospetto riepilogativo alla preponente.
Ne’ appare idonea a giustificare la soluzione cui e’ giunta la sentenza impugnata la disciplina posta dagli articoli 1748 e 1749 c.c..
La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, affermato che l’onere della prova circa l’effettiva sussistenza del diritto al pagamento delle provvigioni grava sull’agente (Cass. n. 12838/2003), che e’ tenuto a provare gli affari da lui promossi ed andati a buon fine ovvero che il mancato pagamento sia dovuto a fatto imputabile al preponente.
Poiche’ il diritto dell’agente scaturisce dalla conclusione degli affari tra il preponente ed i clienti per il tramite dell’agente, e’ necessario che siano indicati, con elementi sufficienti a consentire l’identificazione, i contratti che l’agente assume siano stati conclusi per suo tramite, essendosi ad esempio escluso l’assolvimento dell’onere della prova con la sola produzione degli ordini accolti (Cass. n. 10821/2011).
Ne’ appare in grado di immutare tale conclusione e di determinare una sorta di inversione dell’onere della prova il richiamo alla disciplina di cui all’articolo 1749 c.c..
Infatti, e’ stato precisato che, nel giudizio di accertamento del diritto alla provvigione, l’agente, al quale l’articolo 1748 c.c., nel testo modificato dal Decreto Legislativo n. 303 del 1991, articolo 2, riconosce il diritto di esigere tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate, ha comunque l’onere di provare che gli affari da lui promossi sono andati a buon fine o che il mancato pagamento sia dovuto a fatto imputabile al preponente, cosicche’, qualora quest’ultimo non gli abbia trasmesso i dati e le informazioni necessarie per esercitare i suoi diritti di credito quantificando esattamente negli atti di causa le sue spettanze, il giudice deve, su istanza di parte, emanare nei confronti del preponente l’ordine di esibizione delle scritture contabili ex articolo 210 c.p.c. (Cass. n. 17575 del 31/05/2022; Cass. n. 25023/2013, per una l’attispecie sottoposta pero’ al regime previgente le modifiche di cui al Decreto Legislativo 15 febbraio 1999, n. 65, articolo 3).
Dall’inadempimento del preponente agli obblighi informativi posti dall’articolo 1749 c.c., non puo’ trarsi ne’ una regola di inversione dell’onere della prova ne’ tanto meno una presunzione di corrispondenza tra quanto richiesto dall’agente e quanto effettivamente dovuto, essendosi infatti precisato che l’omesso invio degli estratti conto provvigionali da parte del preponente, se giustifica la carente indicazione dei relativi dati ai fini della quantificazione giudiziale del proprio credito chiesta dall’agente, derivando essa dall’inadempimento dell’obbligo di informazione a carico del primo, tuttavia legittima il giudice ad avvalersi anche di una consulenza tecnica di ufficio per la quantificazione del credito dell’agente (Cass. n. 21219 del 20/10/2015) sulla scorta della documentazione gia’ versata in atti, ovvero disponendo anche l’ordine di esibizione della documentazione in possesso del preponente e precedentemente non trasmessa all’agente.
A tal fine e’ stato affermato che (Cass. n. 19319/2016), il diritto all’accesso ed alla documentazione contabile, di cui all’articolo 1749 c.c., come risultante dal Decreto Legislativo n. 65 del 1999, articolo 4, e’ funzionalmente e strumentalmente collegato al soddisfacimento del diritto alle provvigioni ed alle indennita’ collegate al rapporto di agenzia, in quanto l’acquisizione della documentazione in possesso del solo preponente deve essere indispensabile per sorreggere, sul piano probatorio, la domanda formulata in relazione a diritti determinati o determinabili, sicche’ incombe alla parte, che agisce al fine di ottenere l’esibizione documentale, dedurre e dimostrare l’esistenza dell’interesse ad agire con circostanziato riferimento alle vicende rilevanti del rapporto (tra cui, innanzitutto, l’invio o meno degli estratti conto e del loro contenuto), e l’indicazione dei diritti, determinati o determinabili, al cui accertamento e’ finalizzata l’istanza (si veda anche Cass. n. 20707/2018, che a conferma dell’autonomia dell’obbligazione dettata dall’articolo 1749 c.c., ancorche’ posta in via strumentale al soddisfacimento del diritto al pagamento delle provvigioni, ha precisato che il diritto di ricevere dal preponente le informazioni previste dall’articolo 1749 c.c., puo’ essere fatto valere in giudizio anche in via autonoma, a prescindere dall’azione giudiziale con cui si facciano valere i diritti patrimoniali cui esso e’ strumentale, restando viceversa assorbito da le regole sull’istruzione probatoria quando tale azione sia gia’ iniziata.
Va quindi confermato il principio per cui (Cass. n. 14968/2011) nel giudizio promosso dall’agente contro la ditta preponente per l’accertamento del suo diritto al pagamento di provvigioni sugli affari conclusi, egli ha l’onere di provare i fatti costitutivi della sua pretesa, ovvero gli affari da lui promossi; e’ peraltro legittimo l’ordine di esibizione ex articolo 210 c.p.c., delle scritture contabili impartito dal giudice di merito alla medesima preponente, anche con riferimento ai contratti per i quali non era applicabile, per ragioni temporali, del Decreto Legislativo n. 303 del 1991, articolo 2, che, nel riconoscere – in attuazione della direttiva comunitaria 18 dicembre 1986 n. 86/653 – il diritto dell’agente ad ottenere un estratto delle scritture contabili, ha fornito un autorevole criterio interpretativo delle norme previgenti.
Cio’ comporta che le norme di cui agli articoli 1748 e 1749 c.c., lungi dal comportare, in caso di loro inottemperanza da parte del preponente, una inversione dell’onere della prova, come nella sostanza emerge dalla lettura della sentenza gravata, pongono degli obblighi il cui rispetto mira in via preventiva ad attenuare le difficolta’ cui potrebbe andare incontro l’agente pur sempre onerato di fornire la prova del proprio diritto al pagamento delle provvigioni, obblighi ai quali e’ data attuazione in via strumentale ed in sede giudiziale tramite l’emanazione dell’ordine di esibizione, ma pur sempre al fine di permettere all’agente di assolvere all’onere probatorio su di lui incombente.
Cio’ implica come sia altrettanto erronea l’affermazione della Corte d’appello secondo cui, sol perche’ la preponente non aveva assolto agli obblighi di cui alle norme richiamate, era superata la necessita’ di ulteriori approfondimenti istruttori, anche di natura documentale, onde avere il riscontro circa l’effettiva conclusione degli affari per i quali era reclamata la provvigione.
La sentenza deve pertanto essere cassata in parte qua, dovendo il giudice di rinvio verificare alla luce delle prove acquisite, e senza quindi arrestarsi al solo profilo della non contestazione (contestazione peraltro intervenuta quanto alla valenza probatoria della fattura e del prospetto versato in atti dalla (OMISSIS)) ovvero della violazione degli obblighi di cui all’articolo 1749 c.c., comma 2, l’effettiva ricorrenza dei presupposti per la maturazione delle provvigioni richieste, valutando altresi’, ove richiesto, l’ammissibilita’ e irrilevanza dell’ordine di esibizione.
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., per non avere applicato il principio di non contestazione quanto al comportamento della controparte in ordine alla prova della violazione dell’esclusiva di produzione e per avere omesso di valutare le prove offerte dalla ricorrente e che la stessa Corte d’Appello aveva riammesso con la ricostruzione del fascicolo di parte di primo grado.
Si deduce che la sentenza impugnata, pur avendo consentito l’ingresso in appello delle prove che il Tribunale aveva omesso di valutare, per lo smarrimento nel corso del giudizio (in particolare non erano state esaminate alcune paia di scarpe, acquistate dalla (OMISSIS) che comproverebbero la violazione dell’esclusiva, trattandosi di modelli prodotti da societa’ terze e rientranti nella clausola di esclusiva del rapporto di fornitura), ha pero’ confermato la decisione senza in alcun modo confrontarsi con tali prove, che invece, ove adeguatamente esaminate, avrebbero dimostrato l’avvenuta violazione della clausola di esclusiva.
La sentenza si e’ limitata a valutare solo lo scambio di corrispondenza per pervenire a conclusioni che non sarebbero state tali ove si fosse valutata la merce esibita che attestava la produzione da parte di terzi produttori di calzature da uomo rientranti nella pattuizione a favore della ricorrente.
Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1456 e 2697 c.c., nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’Appello rigettato il primo motivo di appello della ricorrente, invertendo l’onere della prova sull’inadempimento della (OMISSIS).
Si deduce che, alla luce di quanto esposto nel motivo che precede, la sentenza ha posto a carico della parte adempiente l’onere di provare l’inadempimento altrui, trascurando del tutto le risultanze probatorie invece comprovanti le violazioni degli obblighi contrattuali da parte della (OMISSIS).
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.
Le censure a ben vedere non contengono alcuna denuncia del paradigma dell’articolo 2697 c.c., e di quello dell’articolo 115 c.p.c., bensi’ lamentano soltanto l’erronea valutazione di risultanze probatorie.
La violazione dell’articolo 2697 c.c., si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115, e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
In particolare, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere ai notorio), mentre e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c. (Cass. S.U. n. 20867/2020, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c., e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel va utare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione).
Inoltre, Cass. S.U. n. 8054/2014 ha altresi’ sottolineato che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se’ vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie”.
Poste tali premesse in punto di diritto, come si ricava dalla narrazione dei fatti di causa, la Corte d’Appello ha ritenuto che la violazione del patto di esclusiva, quanto alla produzione di scarpe da uomo con il marchio della committente ad opera della ricorrente, non fosse stata provata e che anzi dal complesso del materiale istruttorio versato in atti, ed in particolare dalle numerose missive, si palesava come le richieste indirizzate dalla (OMISSIS) a produttori di calzature fossero solo funzionali ad una valutazione comparativa della qualita’ e della convenienza della produzione da parte di imprese terze, ma sempre al fine di favorire la prosecuzione del rapporto con la ricorrente, migliorando pero’ le condizioni anche economiche della produzione. Non emerge la prova della realizzazione di modelli immediatamente destinati alla commercializzazione da parte di diverse societa’ calzaturiere, ma al piu’ la predisposizione di campioni, in genere di suole, ovvero di modelli, ma senza che potesse ritenersi dimostrata la pretesa violazione degli obblighi contrattuali.
I giudici di appello, dopo avere escluso, sempre in base alla valutazione delle prove versate in atti, che l’intesa di esclusiva fosse stata estesa anche alle scarpe da donna, con motivazione logica, ampia ed argomentata, hanno esaminato quelli che ritenevano essere i documenti piu’ idonei a comprovare l’assenza di inadempimento da parte della (OMISSIS), confermando in tal modo la sentenza di primo grado, non gia’ in applicazione della regola di giudizio di cui all’articolo 2697 c.c., con una pretesa inversione degli oneri probatori, qua i posti da Cass. S.U. n. 13533/2001, ma ritenendo che il complessivo materiale istruttorio escludesse che la condotta posta in essere dalla (OMISSIS) configurasse una violazione della clausola di esclusiva, sostenendo quindi che proprio la societa’ committente avesse dimostrato di avere tenuto una condotta conforme agli impegni negoziali presi.
In forza di tale quadro argomentativo, si palesa del tutto destituita di fondamento la pretesa della ricorrente di ricavare l’erroneita’ della sentenza per non avere preso in esame quelle che a suo dire sarebbero invece le prove dell’altrui inadempimento, rientrando come detto nella valutazione discrezionale del giudice di merito quella di procedere alla complessiva cernita degli elementi probatori individuando quelli che invece ritiene essere muniti di maggiore forza di convincimento, e cio’ senza che, come ricordato, l’omesso espresso esame di alcuni elementi di prova si traduca di per se’ in un’omessa disamina di un fatto decisivo.
Nella specie il fatto decisivo, e cioe’ la pretesa violazione dell’obbligo di esclusiva, e’ stato invece preso espressamente in esame, e negato quanto alla sua ricorrenza, non potendo determinare un diverso esito della lite il solo richiamo all’esistenza di alcuni modelli di calzature che invece sarebbero stati prodotti da altri soggetti (e cio’ anche a voler tacere del fatto che si tratta di scarpe acquistate in data successiva all’intervenuta dichiarazione della ricorrente di volersi sciogliere dal contratto per effetto della clausola risolutiva espressa – ben potendosi ipotizzare, come peraltro sostenuto anche dalla controparte, che si tratti di modelli prodotti in epoca successiva a tale dichiarazione – e che, anche prendendo in esame il tenore delle deposizioni testimoniali riportate in ricorso, e non anche le personali deduzioni della ricorrente, non vi e’ certezza che le scarpe prodotte in giudizio rientrino tra quelle per le quali operava l’esclusiva in favore della (OMISSIS), attesa anche la specifica contestazione mossa sul punto dalla (OMISSIS)).
3. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., per avere la Corte d’Appello rigettato il secondo motivo di impugnazione violando le norme ermeneutiche di interpretazione del contratto di fornitura.
Si deduce che in vista della risoluzione del rapporto, era stata invocata la previsione di cui all’articolo 17 del contratto che consentiva ad ognuna delle parti di risolvere il contratto in caso di inadempimento essenziale con il richiamo ad una serie di articoli del contratto stesso.
Tra questi vi era anche l’articolo 13.2 in tema di modalita’ di pagamento.
Tale pattuizione, in particolare, prevede che: “per patto espresso tra le parti, (OMISSIS) potra’ sospendere o ritardare il pagamento delle somme esclusivamente qualora (OMISSIS) abbia riconosciuto i vizi e/o le difformita’ lamentati o qualora, a seguito della procedura prevista dall’articolo 9.9, il Perito accerti l’esistenza dei vizi lamentati. In ogni caso la sospensione dei pagamenti dovra’ limitarsi al valore dei Prodotti contestati”.
Invece, l’articolo 13.1 prevede che “La committente si obbliga a pagare i prodotti nel seguente modo:
a) Il 120% anticipato alla ricezione della conferma d’ordine, con pagamento fattura pro forma a vista;
b) Il saldo di ciascun Ordine consegnato, anche parziale, entro 30/60 giorni fine mese dalla data di emissione della relativa fattura”.
Assume quindi parte ricorrente che avendo la controparte pagato in ritardo, e senza che ricorressero le condizioni per sospendere i pagamenti, non essendovi stata la consegna di merce di cui erano stati denunciati vizi o difetti, l’inadempimento cosi’ perpetrato legittimava la possibilita’ di avvalersi della clausola risolutiva espressa.
Il motivo e’ evidentemente destituito di fondamento.
Come si ricava dalla lettura della sentenza impugnata, e senza che al riguardo vi sia una specifica censura della ricorrente, il ritardo nei pagamenti concerneva non gia’ quello successivo alla consegna della merce finita, ma il pagamento degli acconti, che, a mente dell’articolo 13.1, era pari al 20% alla ricezione della conferma d’ordine.
Avuto riguardo al contenuto dell’articolo 13 del contratto ed alla formulazione dei due commi di cui si compone, risulta incensurabile l’interpretazione dei giudici di merito che hanno concordemente ritenuto che la previsione di cui all’articolo 13.2 (la cui violazione solamente legittima l’operativita’ della risoluzione di diritto, a differenza invece dell’inadempimento degli obblighi di cui al comma 1) non fosse suscettibile di trovare applicazione all’inadempimento lamentato dalla odierna ricorrente.
Infatti, la possibilita’ di sospendere o ritardare pagamenti per l’esistenza di vizi dei prodotti, solo ove gli stessi siano riconosciuti dalla produttrice o accertati da un perito, sottende evidentemente che si tratti del pagamento correlato alla consegna delle merci ordinate e cioe’ al pagamento di cui dell’articolo 13.1, lettera b).
Al contrario l’inadempimento fatto valere dalla ricorrente investe quello di cui dell’articolo 13.1, lettera a), per il quale e’ pur vero che non si prevede alcuna possibilita’ di sospensione, ma senza che l’eventuale ritardo possa giustificare, attesa la tassativita’ dell’elencazione delle ipotesi di risoluzione di diritto, l’accoglimento della domanda della (OMISSIS).
La conclusione ermeneutica alla quale e’ giunta la Corte d’Appello, che ha fatto riferimento al fine di giustificare il maggior rigore voluto dalle parti per l’ipotesi di ritardo o sospensione dei pagamenti di cui all’articolo 13.2, giusta l’avvenuta esecuzione di una delle prestazioni principali in modo difforme, si giustifica per il fatto che, a mente dell’articolo 13, comma 1, il pagamento conseguente alla consegna della merce e’ pari all’80% del valore dell’ordine, cosi’ che essendo la parte piu’ rilevante del corrispettivo dovuto, non puo’ essere tollerato un ritardo o una sospensione del pagamento del corrispettivo, adducendo l’esistenza di vizi o difformita’ in maniera non comprovata o riconosciuta.
La minor misura dell’acconto invece consente di apprezzare, nella regolamentazione voluta dalle parti, come non priva di logicita’ la decisione di escludere che i ritardi della committente implichino la risoluzione di diritto del contratto, dal che e’ dato ricavare come l’interpretazione offerta dalla Corte d’Appello non si palesi come implausibile o priva di qualsivoglia giustificazione, trovando anzi la stessa il supporto proprio del dato letterale delle previsioni negoziali.
Inoltre deve anche escludersi che quella proposta in sentenza sia un’interpretazione che si palesi idonea a privare di ogni efficacia le pattuizioni contrattuali, in quanto, come sopra evidenziato, la risoluzione di diritto e’ da intendersi limitata al solo caso di sospensione o ritardo quanto al saldo dei pagamenti operati dalla (OMISSIS), senza che i vizi siano stati riconosciuti dalla controparte o accertati dal perito designato, avendo le parti invece reputato di minore gravita’ l’eventuale inadempimento correlato al versamento degli acconti.
Deve quindi escludersi la lamentata violazione delle regole di ermeneutica contrattuale.
4. Il quinto motivo denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi su di una delle domande formulate dalla (OMISSIS). Infatti, il Tribunale, quanto al ritardo nel versamento degli acconti, oltre ad escludere la possibilita’ di invocare la risoluzione di diritto, aveva anche affermato che si trattava di ritardi di pochissimi giorni e quindi sostanzialmente irrilevanti e non gravi.
Ma si sostiene che in tal modo si e’ violata la regola secondo cui, in caso di clausola risolutiva espressa, al giudice e’ dato indagare solo se l’inadempimento vi sia stato, ma non anche la sua importanza rispetto al contratto ed agli interessi delle parti.
Il motivo e’ manifestamente infondato alla luce della soluzione offerta in risposta al quarto motivo.
Ed, infatti, una volta escluso che il ritardo nel pagamento degli acconti rientri tra le condotte suscettibili di legittimare la risoluzione di diritto del contratto, la Corte d’Appello ha limitato la sua indagine a tale profilo, e cio’ proprio alla luce del tenore delle richieste della ricorrente in appello, che, come riferito a pag. 38 del ricorso, miravano solo a vedere accertata la legittimita’ dell’esercizio del diritto di risolvere il contratto ex articolo 1456 c.c..
Ne deriva che, ritenuta l’inapplicabilita’ dell’articolo 17 alla vicenda dedotta in giudizio, non ricorre alcuna violazione delle norme processuali invocate in rubrica, avendo la Corte d’Appello deciso proprio sulla domanda proposta, negandone tuttavia la fondatezza.
5. In definitiva, in accoglimento del solo primo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Milano che provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, e rigettati gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione;

 

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