I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|27 marzo 2023| n. 8557.

I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento

I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono, anche dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 5/2006 e del D.Lgs. n. 169/2007, avvalersi del procedimento di verificazione del passivo poichè non sono creditori del fallito, né soggetti che agiscono per la restituzione o la rivendica dei beni acquisiti al fallimento.
Questi creditori possono intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell’attivo per chiedere di partecipare alla distribuzione delle somme che sono state ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati.

Sentenza|27 marzo 2023| n. 8557. I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento

Data udienza 22 novembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Fallimento – Accertamento del passivo – Credito garantito dal fallito per credito verso debitori diversi dal fallito – Ammissibilità del procedimento di verificazione del passivo – Modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 5/2006 e del D.Lgs. n. 169/2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente f.f.

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente di Sez.

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 27263-2015 proposto da:
FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A., in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
ricorrente
contro
(OMISSIS) S.P.A. e per essa (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
controricorrente
nonche’ contro
(OMISSIS) S.R.L. e per essa quale mandataria (OMISSIS) elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
interveniente
avverso il decreto n. 9436/2015 del TRIBUNALE di TERNI, depositato il 13/10/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/11/2022 dal Consigliere MASSIMO FALABELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale ANNA MARIA SOLDI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS) ed (OMISSIS).

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FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Terni, con decreto del 13 ottobre 2015, ha accolto l’opposizione proposta da (OMISSIS) s.p.a., in qualita’ di procuratrice di (OMISSIS) s.p.a., avverso il provvedimento che aveva dichiarato esecutivo lo stato passivo del fallimento di (OMISSIS) s.p.a.; per l’effetto, il Tribunale ha disposto l’ammissione della banca al passivo, in via ipotecaria, per la somma di Euro 1.423.666,46, oltre interessi, fino al primo riparto utile delle somme ricavate dalla vendita degli immobili oggetto di ipoteca, con la precisazione che l’ammissione era da intendersi “limitata al ricavato della vendita di tali immobili e che l’opponente non (avrebbe potuto) in alcun modo partecipare alla ripartizione delle somme derivanti dalla liquidazione degli altri beni facenti parte dell’attivo fallimentare”.
La fattispecie con cui si e’ misurato il Giudice dell’opposizione e’ quella del diritto di ipoteca su di un bene del fallito, il quale si sia limitato a prestare la garanzia reale per il debito altrui (senza assumere, quindi, alcuna posizione obbligatoria nei confronti del creditore garantito). Il decreto e’ incentrato sulla questione relativa alla possibilita’, in capo al creditore ipotecario – la banca opponente -, di ottenere l’accertamento del proprio diritto reale di garanzia, oltre che del credito vantato nei confronti del debitore, nell’ambito del procedimento disciplinato dal capo V del titolo II della legge fallimentare, piuttosto che in sede di distribuzione dell’attivo ricavato dalla vendita dell’immobile gravato dall’ipoteca, come invece sostenuto dalla curatela e dal giudice delegato. Il decreto e’ incentrato su tale tema in quanto il Tribunale ha ritenuto non essere stata contestata, nemmeno nella fase di verifica dello stato passivo, l’esistenza, la validita’ e l’opponibilita’ al fallimento dell’ipoteca concessa alla banca dalla fallita (OMISSIS): per modo che l’unica vera questione affrontata nel giudizio di opposizione e’ risultata essere quella sopra indicata.
Il Giudice dell’opposizione ha richiamato l’orientamento di pensiero, prevalente nel passato, per cui ogni questione relativa al diritto del creditore ipotecario di soddisfarsi sul ricavato degli immobili gravati dall’ipoteca concessa dal fallito, con particolare riguardo alla validita’, attualita’, opponibilita’ al fallimento e alla non revocabilita’ dell’ipoteca, dovesse essere affrontata nella fase successiva alla liquidazione degli immobili immediatamente prima della ripartizione dell’attivo ricavato tra i creditori concorsuali: esclusa l’ammissibilita’ dell’insinuazione al passivo del creditore ipotecario che non fosse anche creditore del fallito, si ammetteva la partecipazione del detto soggetto alla fase della distribuzione del ricavato della vendita degli immobili ipotecati, mediante una domanda di intervento modellata sull’istanza di cui all’articolo 499 c.p.c., previo avviso da parte del curatore ai sensi dell’articolo 108, comma 4, l. fall.. Ha osservato il Tribunale come un tale indirizzo debba essere sottoposto a revisione critica alla luce della nuova formulazione dell’articolo 52, comma 2, l. fall., per come modificato dal Decreto Legislativo n. 5 del 2006, articolo 49, secondo cui “ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo V, salvo diverse disposizioni della legge”. Secondo il Tribunale, in base alla norma teste’ richiamata l’accertamento del passivo e’ stato espressamente ampliato ai diritti reali o personali, mobiliari o immobiliari, laddove, in precedenza, esso era riservato ai crediti.
Il decreto da’ conto di ulteriori indici del mutamento del quadro normativo che presenterebbero rilievo ai fini che qui interessano: l’articolo 89 l. fall., ove e’ stabilito che il curatore compili, oltre all’elenco dei creditori, anche l’elenco di tutti coloro che vantano diritti reali e personali, mobiliari ed immobiliari, su cose in possesso o nella disponibilita’ del fallito, e l’articolo 92 l. fall., che impone di comunicare ai titolari dei menzionati diritti la possibilita’ di partecipare al concorso.

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Nel provvedimento si sottolinea, poi, come la soluzione indicata risulti compatibile con altre previsioni di legge: con il Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 41, che esonera il creditore fondiario dal concorso sostanziale, ma non da quello formale (cui il detto creditore soggiace, in base all’articolo 52, comma 3, l. fall.), e con l’articolo 107, comma 3, l. fall. ove la notificazione dell’ordinanza di vendita ivi prevista venga intesa non come rivolta a consentire al creditore ipotecario la partecipazione al procedimento di accertamento dei suoi diritti nella fase immediatamente precedente al riparto del ricavato della vendita immobile su cui grava l’ipoteca, bensi’ ad informare i creditori ipotecari e privilegiati delle modalita’ della predetta vendita in vista di un’eventuale istanza di sospensione delle relative operazioni ai sensi dell’articolo 108, comma 1, l. fall..
Il Tribunale ha inoltre evidenziato come la ricostruzione proposta risulti maggiormente coerente col divieto di azioni esecutive di cui all’articolo 51 l. fall. – posto che l’intervento del creditore ipotecario nella fase distributiva si configura pur sempre alla stregua di una esecuzione extraconcorsuale su beni facenti parte del patrimonio fallimentare – e come essa consenta, inoltre, sia una migliore attuazione del contraddittorio nei confronti degli altri creditori concorrenti in funzione del loro interesse a preservare i beni appresi alla massa a fronte di qualsivoglia pretesa degli stessi, sia, al contempo, una maggiore speditezza della procedura fallimentare, cosi’ sottratta ai rischi di rallentamento delle operazioni di distribuzione dell’attivo in ragione delle controversie attinenti al diritto vantato dal titolare dell’ipoteca.
Quanto alla domanda del titolare della garanzia reale, essa, secondo il Giudice dell’opposizione, deve avere ad oggetto l’accertamento dell’esistenza, validita’, attualita’ ed opponibilita’ al fallimento dell’ipoteca: lo stesso accertamento che la giurisprudenza di questa Corte configura per la fase di ripartizione dell’attivo ricavato con la vendita dell’immobile ipotecato; ma l’accertamento in questione, secondo il Tribunale, deve investire anche il credito vantato dal titolare del diritto di ipoteca nei confronti del debitore principale; detto accertamento – e’ precisato – non reca tuttavia alcun pregiudizio al detto debitore, avendo una efficacia endofallimentare.
2. – Avverso il predetto decreto la curatela fallimentare ha proposto un ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Ha resistito con controricorso (OMISSIS) s.p.a., in rappresentanza di (OMISSIS) s.p.a. Ha spiegato intervento volontario nel giudizio (OMISSIS), in qualita’ di mandataria dell’ (OMISSIS) s.r.l., succeduta nel credito garantito dall’ipoteca con atto di cessione del 21 giugno 2019, stipulato con l’ (OMISSIS) s.r.l., resasi a sua volta cessionaria del credito con atto del 24 novembre 2017.
3. – La causa e’ stata avviata alla trattazione presso la Prima Sezione civile; questa, con ordinanza interlocutoria n. 18337 del 7 giugno 2022, ha rilevato un contrasto di giurisprudenza sulla questione, ritenuta di particolare importanza, oggetto del primo motivo di ricorso e ha quindi rimesso la causa al Primo Presidente ai sensi dell’articolo 374 c.p.c..
In vista dell’udienza pubblica del 22 novembre 2022 sono state depositate memorie. Il Pubblico Ministero ha concluso nel senso dell’infondatezza del ricorso.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente va dato conto dell’eccezione sollevata da (OMISSIS), che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ o improcedibilita’ del ricorso per cassazione del fallimento: cio’ avendo riguardo, rispettivamente, al difetto di legittimazione del curatore, siccome non autorizzato dal Giudice delegato alla proposizione dell’impugnazione, e al mancato tempestivo deposito, in questa sede di legittimita’, del relativo provvedimento.
L’eccezione va disattesa.
A norma dell’articolo 31, comma 2, l. fall., come sostituito dal Decreto Legislativo n. 5 del 2006, articolo 27, l’autorizzazione del giudice delegato non e’ richiesta per le controversie in materia di “contestazioni e di tardive dichiarazioni di crediti e di diritti di terzi sui beni acquisiti al fallimento”. Il giudizio promosso da (OMISSIS) avanti al Tribunale e’ un’opposizione al decreto che ha reso esecutivo lo stato passivo del fallimento di (OMISSIS) s.p.a.; con la domanda proposta la banca ha precisamente contestato la mancata ammissione, da parte del Giudice delegato, del credito da essa vantato. L’azione proposta non rientra pertanto tra quelle per cui e’ richiesta l’autorizzazione del giudice delegato (per una fattispecie simile, cfr. Cass. 9 agosto 2017, n. 19748, citata da parte ricorrente, in tema di rivendica tardiva di immobile).
2. – Deve poi dichiararsi inammissibile l’intervento in giudizio di (OMISSIS), quale cessionaria del credito controverso (quello, cioe’, per cui e’ stata proposta domanda di insinuazione).
Come ripetutamente affermato da questa Corte, il successore a titolo particolare nel diritto controverso puo’ tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito, ma non anche intervenire nel giudizio di legittimita’, mancando una espressa previsione normativa, riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione a quel giudizio con facolta’ di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito (Cass. 4 marzo 2021, n. 5987; Cass. 23 marzo 2016, n. 5759; Cass. 11 maggio 2010, n. 11375; Cass. 4 maggio 2007, n. 10215).
3. – I motivi di ricorso si riassumono come segue.
Col primo mezzo di censura il fallimento ricorrente denuncia la falsa applicazione dell’articolo 52 l. fall. e la violazione dell’articolo 93 della stessa legge. Sostiene l’istante che l’interpretazione dell’articolo 52 proposta dal Tribunale non possa essere condivisa, in quanto mal si coordinerebbe con l’articolo 93: norma che, anche a seguito della riforma del 2006, menziona esclusivamente le domande di rivendicazione e di restituzione, “con cio’ supportando il convincimento che con la locuzione ‘diritto reale o personale’, in contrapposizione al credito verso il fallito, il legislatore abbia inteso riferirsi – contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Terni – alle sole domande di rivendicazione o di restituzione e non anche ai diritti reali concessi dal fallito per debiti altrui”. Il ricorrente rileva, in tale prospettiva, che la nuova formulazione dell’articolo 52 si spiegherebbe, oltre che con la finalita’ di includere espressamente nella previsione circa il concorso formale le domande di rivendicazione, separazione o restituzione di beni mobili di cui all’articolo 103 l. fall., che gia’ prima della riforma erano oggetto dell’accertamento del passivo, quelle, della stessa natura, ma riferite a beni immobili, che erano precedentemente escluse dalla competenza del tribunale fallimentare in forza del testo, poi modificato, dell’articolo 24 l. fall..
Il secondo motivo oppone la falsa applicazione del principio di non contestazione di cui all’articolo 115 c.p.c.. Si deduce che attesa la pacifica inapplicabilita’ del principio di non contestazione nell’ambito del procedimento di accertamento del passivo, il Tribunale “non si sarebbe dovuto astenere, come invece ha fatto, dall’effettuare ogni controllo probatorio in ordine alla fondatezza del diritto reale di garanzia vantato”.
Col terzo mezzo e’ lamentata la violazione dei principi che regolano la portata e gli effetti della statuizione di inammissibilita’ della domanda per difetto di una condizione dell’azione. La censura investe il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale di Terni ha osservato che il Giudice delegato, nel dichiarare inammissibile la domanda proposta da (OMISSIS), ha incidentalmente accertato che quest’ultima era titolare di un diritto reale di garanzia sui beni immobili indicati nella domanda. Si deduce, in sintesi, che una tale valorizzazione dell’operato del Giudice delegato sarebbe non conforme al diritto, in quanto la pronuncia di inammissibilita’ della domanda di ammissione al passivo non potrebbe, per sua natura, contenere alcun accertamento nel merito del diritto di cui si chiede l’insinuazione.
Il quarto motivo di ricorso prospetta la nullita’ della sentenza ex articolo 132, n. 4, c.p.c. per difetto assoluto di motivazione. Parte ricorrente assume che l’accoglimento della domanda di insinuazione anche in relazione al diritto di credito vantato dall’opponente nei confronti del terzo, (OMISSIS) s.p.a., pari a Euro 1.423.666,46, sarebbe priva di alcun supporto argomentativo.
4. – Come accennato, la causa e’ stata rimessa alle Sezioni Unite avendo riguardo al contrasto di giurisprudenza emerso sulla questione posta col primo motivo di ricorso: questione che nell’ordinanza interlocutoria e’ pure definita di spiccato valore nomofilattico, considerato il numero dei precedenti che se ne sono occupati.
La detta ordinanza interlocutoria reputa in particolare opportuno un approfondimento della tematica enucleando i seguenti quesiti: se il terzo titolare di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento, in virtu’ di una garanzia costituita per un debito altrui, sia legittimato a far valere il proprio diritto con il procedimento di verificazione del passivo previsto dal capo V del titolo II della legge fallimentare, oppure possa ottenerne la soddisfazione mediante l’intervento nella fase di ripartizione del ricavato della vendita del bene gravato; se, ai fini della partecipazione al concorso, risulti sufficiente l’accertamento dell’opponibilita’ della garanzia ai creditori, oppure sia necessaria la verifica dell’esistenza e dell’entita’ del credito garantito; se tale verifica debba aver luogo con la partecipazione del debitore garantito, e con quali modalita’; se ed in che modo la decisione adottata in sede di opposizione allo stato passivo possa incidere sull’esercizio del diritto alla rivalsa nei confronti del debitore garantito.
5. – La fattispecie di cui si discute rientra nella figura della “responsabilita’ senza debito”, connotata da una dissociazione, nella nozione giuridica di obbligazione, tra la categoria del debito, e quindi del dovere di adempimento cui corrisponde il credito, e quella della responsabilita’, che rappresenta lo stato di assoggettamento dei beni del responsabile, che sopravviene in caso d’inadempimento, essendo al creditore attribuito il diritto di agire in executivis sui beni di chi e’ estraneo al rapporto obbligatorio (cfr., in motivazione, avendo proprio riguardo al caso del datore di ipoteca a garanzia di debito altrui, Cass. 30 gennaio 2009, n. 2429): l’espressione descrive, cioe’, la situazione in cui il terzo non e’ tenuto all’adempimento del debito, che fa capo ad altri, ma soggiace, nondimeno, all’azione esecutiva del titolare del diritto di prelazione.
Le questioni poste dall’ordinanza interlocutoria si collocano all’interno del sistema del diritto fallimentare di cui al Regio Decreto n. 267/1942. Uno dei perni di tale sistema e’ costituito dall’articolo 51 l. fall.: norma, questa, secondo cui, salve diverse disposizioni di legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per credito maturati durante il fallimento, puo’ essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento. La richiamata disposizione, che pone un divieto di natura obiettiva (essendo riferita ai beni che facciano parte della massa fallimentare in quanto tali, indipendentemente dalla qualita’ che rivestano coloro che sugli stessi vantino diritti) e che costituisce, in termini generali, un riflesso applicativo del principio della concorsualita’ di cui al successivo, e altrettanto fondamentale, articolo 52 (il concorso dei creditori non potendo trovare evidentemente attuazione ove i beni deputati al soddisfacimento degli stessi continuino ad essere oggetto di azioni esecutive o cautelari individuali in pendenza della procedura), aiuta a comprendere come il dibattito che ha interessato la prelazione vantata dal titolare dell’ipoteca o del pegno su beni acquisiti alla procedura abbia investito non gia’ il tema della possibilita’, da parte del detto soggetto, di soddisfarsi, in sede fallimentare, sul bene oggetto della garanzia – possibilita’ che va senz’altro riconosciuta, una volta preso atto del divieto posto dal cit. articolo 51 e dovendosi ovviamente escludere alcun ingiustificato sacrificio del titolare della garanzia reale -, quanto, piuttosto, le modalita’ processuali attraverso cui cio’ debba avvenire.
6. – Su quest’ultimo punto la giurisprudenza della Corte, e in particolare della Prima Sezione civile, ha fornito, nell’arco di tempo di quasi sessant’anni, responsi che (pur con occasionali divergenze su temi di secondo piano) possono dirsi sostanzialmente conformi: salva l’eccezione su cui ci si soffermera’.
Risale a Cass. 8 aprile 1965, n. 613 l’insegnamento per cui coloro che hanno sugli immobili compresi nel fallimento diritti di prelazione a garanzia di crediti vantati verso debitori diversi dal fallito possono concorrere alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita di tali immobili insieme con i creditori fallimentari, senza bisogno che i loro crediti siano assoggettati al procedimento di verifica previsto dalla legge fallimentare.
Cass. 8 gennaio 1970, n. 46 si e’ spinta oltre, escludendo che il titolare del diritto di prelazione sia facoltizzato ad avvalersi dell’insinuazione al passivo; con riferimento a un ricorso in cui era stata lamentata l’illegittimita’ del provvedimento di ammissione al passivo del creditore di persona diversa dal fallito che vantava una garanzia reale su un immobile appreso dal fallimento, la Corte ha evidenziato che il detto creditore, ove la prelazione sia opponibile alla procedura, puo’ intervenire nell’esecuzione e partecipare alla distribuzione del prezzo ottenuto dalla vendita dell’immobile, ma non ha titolo per essere ammesso al passivo. Nella circostanza e’ stata rimarcata la distinzione tra i creditori ammessi al passivo e i creditori aventi diritto di prelazione su beni del fallito a garanzia di crediti verso altre persone, considerando tali crediti come passivita’ delle quali il patrimonio del fallito deve essere depurato all’interno del procedimento di liquidazione dell’attivo, prima del progetto di ripartizione del ricavato e dell’erogazione delle somme risultanti da tale liquidazione.
Nel medesimo senso, secondo Cass. 24 novembre 2000, n. 15186, i titolari di diritti di prelazione su beni immobili, compresi nel fallimento, a garanzia di crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non debbono ne’ possono avvalersi del procedimento di verificazione e di formazione dello stato passivo. Nella circostanza e’ stato precisato che, nondimeno, le ragioni ipotecarie del creditore iscritto debbano essere “verificate” dagli organi del fallimento: ma con la precisazione che l’oggetto di tale accertamento non e’ il credito che il suddetto creditore vanti verso il suo debitore (persona diversa dal fallito), bensi’, e in sedi diverse da quella della formazione dello stato passivo, la garanzia ipotecaria in relazione alla sua validita’, attualita’, ed opponibilita’, oltre che all’insussistenza di condizioni che la rendano revocabile ex articoli 64, 67 l. fall. e 2901 c.c..
Su detta linea si colloca, altresi’, la gia’ citata Cass. 30 gennaio 2009, n. 2429, secondo cui i crediti garantiti da diritti di prelazione su beni immobili compresi nel fallimento, vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono essere oggetto del procedimento di verificazione, in quanto l’articolo 52 l. fall. sottopone ogni credito a concorso se il fallito si identifica con il debitore, mentre nella specie, essendo il fallito estraneo al rapporto obbligatorio, il debito corrispondente non puo’ incidere sulla massa passiva. Secondo tale arresto i predetti crediti, anche se esclusi dal concorso formale, sono peraltro assoggettabili a verifica, ai sensi dell’articolo 108 ultimo comma, l. fall. (nel testo, ovviamente, all’epoca applicabile), nella fase posticipata della liquidazione del bene gravato. In tal senso, il controllo del giudice delegato investe l’esistenza della prelazione in relazione a tutti gli aspetti che rilevano nella procedura concorsuale: la sua validita’ ed attualita’, vale a dire la regolarita’ formale del suo titolo fondante, ma anche e soprattutto la sua opponibilita’ alla massa alla luce dell’ipotizzabile revocabilita’, e tanto al fine evidente ed imprescindibile di salvaguardare la par condicio creditorum, in contraddittorio col curatore, che potra’ essere autorizzato, laddove ne emergano le condizioni, ad intraprendere le necessarie conseguenti azioni fallimentari.
In sintesi, per l’orientamento descritto, il creditore ipotecario manca di un titolo a intervenire nella fase di ammissione dei crediti, in quanto il suo credito non e’ verso il fallito; l’ipoteca, pero’, lascia integro il diritto a partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita del bene, ove questa avvenga a istanza di altri (cosi’, in motivazione, Cass. 24 febbraio 1994, n. 1875): e questo spiega perche’ il detto soggetto abbia diritto alla distribuzione del prezzo ottenuto dalla vendita dell’immobile, salva la richiamata verifica, da attuarsi nella fase di riparto dell’attivo.
Il tracciato continuo segnato da questa giurisprudenza, in cui si inalveano altre pronunce (Cass. 19 maggio 2009, n. 11545; Cass. 26 luglio 2012, n. 13289, in motivazione), presenta una interruzione in corrispondenza di decisione che, valorizzando alcuni elementi di novita’ introdotti dalla riforma della legge fallimentare, ha sposato una soluzione contraria rispetto all’orientamento di cui si e’ fin qui detto.
Per la verita’, la Corte, pronunciandosi una prima volta sulla questione che interessa nella vigenza del Regio Decreto n. 267/1942, per come modificato dal Decreto Legislativo n. 5 del 2006 e dal correttivo operato col Decreto Legislativo n. 169/2007, aveva ribadito l’indirizzo tradizionale: aveva osservato, in particolare, che il riferimento, contenuto nel modificato articolo 52, comma 2, l. fall., ai diritti reali suscettibili di accertamento secondo le norme stabilite dal capo V, titolo II, della legge stessa, non poteva concernere i diritti reali di garanzia costituiti dal terzo non debitore (o terzo datore della garanzia), atteso che questi si pongono al di fuori dello stato passivo fallimentare, non essendo il terzo creditore diretto del fallito; aveva inoltre rilevato che, ove anche si volesse estendere la detta disposizione fino a comprendere anche quell’accertamento del diritto verso il terzo datore di ipoteca, si sarebbe dovuto introdurre un anomalo contraddittorio con una ulteriore parte, quella corrispondente al debitore garantito proprio dall’ipoteca data dal terzo (Cass. 9 febbraio 2016, n. 2540; allo stesso punto di approdo e’ pervenuta Cass. 10 luglio 2018, n. 18082, con riguardo al diritto di pegno).
In seguito, nell’accennata discontinuita’ con l’orientamento tradizionale, Cass. 30 gennaio 2019, n. 2657 ha affermato che i titolari di diritti di ipoteca sui beni immobili compresi nel fallimento e gia’ costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito devono avvalersi, dopo la riforma, del procedimento di verificazione dello stato passivo. L’enunciato si fonda su argomenti testuali e di sistema. Sul primo versante la pronuncia ha rilevato: che l’articolo 52, comma 2, l. fall. considera, oltre ai crediti “ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare” quale oggetto dell’accertamento secondo le forme stabilite; che l’articolo 103 l. fall. non e’ piu’ riferito ai soli beni mobili; che l’articolo 108 l. fall. non prevede piu’ l’avviso della vendita ai creditori iscritti, mentre l’articolo 92 l. fall. ora contempla un avviso anticipato alla fase iniziale della procedura fallimentare rivolto non soltanto ai creditori, ma anche “ai titolari di diritti reali o personali su beni mobili o immobili di proprieta’ o in possesso del fallito” (avviso avente ad oggetto la facolta’ di partecipare al concorso presentando domanda ai sensi del successivo articolo 93, ossia domanda di “ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili”). Sul secondo versante la Corte ha rimarcato come l’inclusione dell’accertamento del diritto del terzo non creditore, garantito da ipoteca, nella fase di formazione dello stato passivo si faccia preferire sia “per l’affinita’ di tale accertamento a quella fase”, sia perche’ “consente di superare ogni incertezza quanto alle modalita’ e ai termini dell’accertamento stesso, collocandolo nell’ambito di un subprocedimento, quale quello di formazione dello stato passivo, che prevede garanzie di partecipazione per tutti i soggetti interessati ed e’ ispirato a condivise esigenze di tempestivita’”. In dissenso dalla cit. Cass. 9 febbraio 2016, n. 2540, cit., la pronuncia ha escluso, da ultimo, che la verifica del diritto del titolare della garanzia in seno al procedimento di accertamento del passivo postuli l’instaurazione del contraddittorio col debitore, osservando come la posizione obbligatoria di questo non sia incisa da una decisione che riguarderebbe esclusivamente il concorso degli aventi diritto nel fallimento del terzo proprietario del bene ipotecato.
La successiva Cass. 12 luglio 2019, n. 18790 e’ tornata a porsi nel solco segnato dalla giurisprudenza del passato; lo ha fatto confutando gli argomenti dell’ordinanza n. 2657 del 2019 sulla base dei seguenti rilievi: il mero titolare di prelazione non riveste la qualifica di creditore del fallito; l’articolo 103 l. fall. ha esteso il proprio ambito di applicazione ai beni immobili, ma non contiene oggi l’espresso riferimento alla domanda di separazione, che, viceversa, dovrebbe trovare applicazione ove venga in questione il pegno o l’ipoteca gravanti su beni acquisiti alla massa fallimentare; l’articolo 92 non impone espressamente al curatore di avvisare il titolare di prelazione sui beni del fallito; abrogato l’articolo 108, comma 4, l’avviso di cui all’articolo 107, comma 3, ha proprio la funzione di consentire al terzo garantito di avere notizia del fallimento e di intervenire in sede di riparto. La pronuncia si mostra critica anche verso il rilievo svolto da Cass. 30 gennaio 2019, n. 2657 con riguardo all’estensione del contraddittorio al debitore: viene osservato, al riguardo, che, rispetto all’esigenza di determinare nell’an e nel quantum, la somma da assegnare, in sede di riparto, al terzo titolare della garanzia, l’integrazione del contraddittorio con il debitore non e’ del tutto irrilevante, in quanto solo attraverso tale meccanismo processuale sarebbe possibile, per il curatore, svolgere le contestazioni concernenti l’esistenza e l’entita’ del credito oggetto di garanzia; in assenza di tale situazione processuale – si aggiunge – il rischio sarebbe quello di ammettere al concorso prima e di soddisfare poi un credito in tutto o in parte inesistente.
Il contrasto non e’ riproposto dalle successive pronunce: le quali risultano difatti conformi alla linea di pensiero che si e’ venuta consolidando presso la Corte nel corso degli ultimi decenni; la preclusione ad avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo e’ stata cosi’ di recente riaffermata con riguardo al creditore di soggetto, diverso dal fallito, che vanti un’ipoteca (Cass. 21 gennaio 2021, n. 1067) o un privilegio speciale (Cass. 25 maggio 2022, n. su beni ricompresi nel fallimento.
7. – Il panorama consegnato dai contributi della dottrina si mostra piu’ frastagliato.
Prima della riforma della legge fallimentare l’insussistenza di un obbligo, da parte dei creditori garantiti da beni del fallito non debitore, di presentare domanda d’insinuazione era stata desunta, da una parte della dottrina, dall’articolo 108, comma 4, l. fall., il quale disponeva che l’estratto dell’ordinanza relativa alla vendita degli immobili dovesse essere notificato, oltre che ai creditori ammessi al passivo con prelazione, anche ai creditori ipotecari iscritti, cioe’ a coloro che non sono creditori del fallito, ma sono garantiti ipotecariamente sui suoi beni; proprio muovendo dal tenore di tale norma si era peraltro precisato che quanti godessero di una prelazione di natura non ipotecaria sui beni del fallito per un debito altrui fossero tenuti alla presentazione della domanda di insinuazione.
Diversi autori si erano poi espressi nel senso che il titolare del diritto di prelazione potesse giovarsi, a sua scelta, dell’uno o dell’altro rimedio e potesse quindi far valere il diritto di prelazione in sede di riparto o, in via alternativa, insinuandosi al passivo.
Altra parte della dottrina aveva ritenuto senz’altro doverosa l’insinuazione per tutti i creditori che vantassero una garanzia reale su beni del fallito. Si era sottolineato, al riguardo, che il problema della possibile partecipazione al concorso del titolare di una nuda prelazione su beni del fallito dovesse considerarsi risolto in base al collegamento normativo esistente tra l’articolo 51 e l’articolo 52 l. fall.: in tal senso – si era detto -, l’assorbimento, nel fallimento, di ogni azione proposta o proponibile con riferimento a beni del fallito doveva implicare che in tale novero rientrasse l’azione promovibile dal creditore di un terzo che vantasse un diritto di prelazione su beni del fallito: azione anch’essa esperibile su tali beni, giusta gli articoli 602 ss. c.p.c. e 2910 c.c.. Una lettura coordinata del primo e del comma 2 dell’articolo 52 (relativi, rispettivamente, all’apertura, da parte del fallimento, del concorso dei creditori sul patrimonio del fallito e alle modalita’ di accertamento dei crediti, individuate attraverso il rinvio alle modalita’ del capo V del titolo II della legge fallimentare, salvo diverse disposizioni di legge) aveva poi portato ad enucleare la regola per cui ogni creditore partecipante al concorso e abilitato a soddisfarsi sui beni del fallito dovesse soggiacere, in assenza di prescrizioni contrarie, alla verifica regolata dagli articoli 93 ss. l. fall..
Le ragioni di dissenso rispetto alle decisioni della giurisprudenza di legittimita’, orientata – come si e’ visto – ad escludere l’insinuazione del creditore di soggetto diverso dal fallito, ma garantito da bene appreso dal fallimento, avevano trovato altresi’ espressione nel rilievo per cui all’interno del procedimento di ripartizione dell’attivo fallimentare non sarebbe stato possibile individuare alcun meccanismo di intervento simile a quello dell’esecuzione singolare; si era pure rilevato che il reclamo al tribunale fallimentare contro il provvedimento del giudice delegato (di approvazione del piano di riparto) costituiva uno strumento di tutela a spettro meno ampio di quello offerto dal giudizio ordinario di cognizione che era possibile instaurare, in sede di verifica del passivo, a norma degli articoli 98 e 101 l. fall: si erano pure sottolineate, a tal proposito, le maggiori difficolta’ che, in base allo schema procedimentale delineato dal reclamo ex articolo 26 l. fall., si sarebbero frapposte al curatore che avesse inteso eccepire l’inefficacia della garanzia.
Questo fronte critico e’ rimasto compatto all’indomani dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 5 del 2006 e del successivo Decreto Legislativo n. 169/2007. Tra i percorsi argomentativi propiziati dalla disciplina novellata non si e’ utilizzato tanto quello basato sulla versione modificata dell’articolo 52, comma 2, l. fall. (tema, questo, valorizzato, come si e’ visto, da Cass. 30 gennaio 2019, n. 2657), e nemmeno si e’ attribuito un particolare rilievo all’estensione della verifica del passivo ai “diritti reali o personali su beni mobili o immobili di proprieta’ o in possesso del fallito” di cui all’articolo 92, comma 1, della stessa: e’ stato in effetti da piu’ autori osservato, al riguardo, come i termini del problema, nell’avvicendamento delle discipline, siano rimasti sostanzialmente immutati. Si e’ invece evidenziata l’inadeguatezza per il garantito, in caso di diniego del diritto al riparto, del solo rimedio del reclamo per violazione di legge ex articolo 36 l. fall., contemplato dal novellato articolo 110, comma 3, della stessa legge. Ulteriori ragioni a sostegno della necessita’ di una verifica della posizione del creditore ipotecario o pignoratizio attraverso l’accertamento del passivo, a norma degli articoli 92 ss. l. fall., sono state poi rinvenute nell’esigenza di assicurare il diritto del garantito ad essere informato del fallimento e della liquidazione del bene, nella necessita’ di salvaguardare l’interesse di quanti partecipano al riparto dell’attivo a interloquire sui diritti dei concorrenti in un’unica sede giurisdizionale tipica, nelle ragioni di speditezza della procedura e nell’insufficienza delle verifiche effettuate in sede di riparto quanto alla validita’ e all’efficacia della garanzia, non potendosi trascurare l’esigenza di accertare e di valutare anche l’esistenza e la corretta quantificazione del diritto di credito sottostante.
Una sommaria descrizione dello scenario dottrinale risulterebbe incompleta se non si facesse infine menzione delle posizioni, anche recenti, attestate a presidio dell’indirizzo tradizionale seguito dalla giurisprudenza di legittimita’. Significativi, in proposito, i rilievi espressi per dar conto di come, nell’attuale formulazione dell’articolo 52 l. fall., non siano compresi i diritti reali di garanzia a favore di crediti verso persone diverse dal fallito su beni del fallimento: diritti che – si spiega – non sarebbero peraltro incisi dalla liquidazione concorsuale del bene, che avviene senza che il medesimo sia privato del diritto di garanzia di cui e’ gravato e che l’interessato e’ in grado di soddisfare in sede di riparto, un volta notiziato delle operazioni di vendita, come e’ ora previsto dall’articolo 107, comma 3, l. fall..
8. – Reputano le Sezioni Unite che, pur con le precisazioni che saranno formulate, vada data continuita’ alla giurisprudenza espressa, nei termini pressoche’ univoci di cui si e’ detto, dalla Corte.
9. – Si deve anzitutto escludere che sulle questioni qui dibattute spieghi incidenza la disciplina introdotta dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Decreto Legislativo n. 14/2019).
E’ da ricordare, in proposito, che la rubrica del capo III del titolo V del richiamato testo legislativo e’ riferito all'”(a)ccertamento del passivo e dei diritti dei terzi sui beni compresi nella liquidazione giudiziale” e che l’articolo 201 del codice della crisi disciplina, oltre alle domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili compresi nella procedura, le “domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui” (comma 1), disponendo, in conseguenza (al comma 3, lettera b), che il ricorso indichi “l’ammontare del credito per il quale si intende partecipare al riparto se il debitore nei cui confronti e’ aperta la liquidazione giudiziale e’ terzo datore d’ipoteca”. Con tale versione della norma, differente da quella originaria, che era stata inserita nel primo schema del decreto legislativo, si e’ inteso dar riscontro alla delega legislativa (l. n. 155/2017) che richiedeva, all’articolo 7, comma 8, lettera f), di “chiarire le modalita’ di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca”. In tal modo il testo normativo oggetto di approvazione ha superato l’originario approccio che si era inteso seguire con la prima traduzione in legge del codice della crisi: approccio che era efficacemente riassunto in queste parole nella relazione di accompagnamento a quel disegno legislativo: “non si e’ ritenuto di esercitare la delega in relazione all’articolo 7, comma 8, lettera f) (chiarire le modalita’ di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca), in quanto quella esigenza di chiarimenti e’ venuta meno con il consolidarsi della condivisibile giurisprudenza della Suprema Corte”.
Ora, l’articolo 390, comma 2, del codice della crisi prevede che “(l)e procedure di fallimento e le altre procedure di cui al comma 1, pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonche’ le procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande di cui al medesimo comma sono definite secondo le disposizioni del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche’ della L. 27 gennaio 2012, n. 3”. La nuova disciplina non ha quindi efficacia retroattiva.
Opera dunque, qui, il principio posto dall’articolo 11 preleggi; come rammentato da Cass. Sez. U. 28 gennaio 2021, n. 2061, “ove non sia il legislatore stesso a disporre in via retroattiva – e cio’ puo’ avvenire espressamente (anche tramite norma di interpretazione autentica) ovvero implicitamente (la retroattivita’ essendo anche desumibile, se inequivocabile, in via interpretativa dalla disposizione interessata) -, un tale potere non e’ esercitabile dal giudice, neppure per il tramite del procedimento analogico, essendo l’efficacia temporale della fonte disponibile solo per il legislatore e pure per esso in termini tali da non poterne fare uso arbitrario” (sent. cit., in motivazione).
Con riferimento specifico alle disposizioni del codice della crisi e’ stato del resto escluso che argomenti interpretativi possano trarsi da una disposizione che rifletta scelte legislative nuove e distinte che corrispondono a un inedito dettame della legge delega, “e quindi non tale da poter essere utilmente richiamata col fine di incidere sull’esegesi di inesistenti norme anteriori” (Cass. Sez. U. 24 giugno 2020, n. 12476, in motivazione). Si e’ enunciato, in particolare, il principio per cui all’interno del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al Decreto Legislativo n. 14 del 2019, non applicabile alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore, possono rinvenirsi norme idonee a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare “solo ove ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuita’ tra il regime vigente e quello futuro” (Cass. Sez. U. 25 marzo 2021, n. 8504). Ed e’ appena il caso di sottolineare come, con riguardo al tema che qui interessa, il codice della crisi contenga un dirompente elemento di novita’ rispetto al Regio Decreto n. 267 del 1942; esso espressamente assoggetta, infatti, alla disciplina dell’ammissione al passivo una domanda volta ad assicurare la “partecipazione al riparto” ai creditori di soggetti terzi che vantino un’ipoteca su beni ricompresi nella procedura: domanda che, proprio per il suo oggetto, la giurisprudenza della Corte di legittimita’ ha sempre ritenuto dovesse essere fatta valere in sede di distribuzione dell’attivo.
10. – Si mostra, del resto, infruttuosa la ricerca, nell’ordito della legge fallimentare, applicabile ratione temporis, di una norma che imponga, o solo consenta, l’accertamento, nelle forme proprie della verifica del passivo, del diritto al riparto di chi vanti una nuda prelazione sul bene ricompreso nella massa.
Vero e’ che nella sua nuova formulazione l’articolo 52, comma 2, l. fall. prevede che non solo ogni credito, ma anche “ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare” vada accertato secondo le norme stabilite dal capo V del titolo II, salvo diverse prescrizioni di legge. Nel detto capo V della legge fallimentare, tuttavia, non si rinvengono prescrizioni che estendano il procedimento di accertamento del passivo alla situazione di soggezione in cui versa il fallito nella fattispecie che qui interessa. La domanda di ammissione di cui all’articolo 93 ha ad oggetto, come si desume dal comma 1 dell’articolo, oltre ai crediti, la restituzione e la rivendicazione di beni mobili e immobili (sostituisce, cioe’ le azioni personali e reali che si sarebbero potute coltivare, in sede ordinaria, in funzione recuperatoria del bene e che invece risultano precluse, in pendenza della procedura concorsuale per effetto dell’articolo 51). Il richiamo alle sole azioni di restituzione e di rivendicazione risulta poi coerentemente presente anche nel comma 3, n. 2) dell’articolo, ove e’ menzione del petitum della domanda di insinuazione – domanda che deve contenere “la descrizione del bene di cui si chiede la restituzione la rivendicazione” – e nel comma 6, il quale dispone che al ricorso debbano essere allegati i documenti dimostrativi “del diritto del terzo che chiede la restituzione o rivendica il bene”. Allo stesso modo, l’articolo 101 l. fall. individua le domande tardive di crediti in quelle, “di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutivita’ dello stato passivo”. E ancora, l’articolo 103 contiene una disciplina particolare – riferita al regime probatorio e alla modificazione della domanda originaria – che non riguarda le insinuazioni dei crediti, ma che sicuramente non e’ nemmeno riferibile ai diritti reali di garanzia: si tratta, ancora una volta, di una disciplina riservata ai procedimenti relativi alle domande di rivendicazione e di restituzione.
Da tale quadro e’ facile desumere che la formulazione dell’articolo 52, comma 2, l. fall., che fa riferimento ad “ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare” vada posta in relazione alle richiamate azioni di rivendicazione e di restituzione.
L’enfatizzazione del dato testuale in questione sul piano della ricostruzione del sistema (avendo particolarmente riguardo al quomodo dell’esercizio del diritto del titolare di nuda prelazione nella sede fallimentare) rischia del resto di porre in ombra il reale significato che ha avuto la richiamata modifica legislativa. Questa e’ infatti da mettere in relazione all’eliminazione della regola che escludeva dalla competenza del tribunale fallimentare le azioni reali immobiliari: l’estensione della competenza nell’indicata direzione, la quale ha trovato espressione nella modifica dell’articolo 24 l. fall., ha il suo riflesso naturale nella previsione del vigente articolo 52, comma 2, che sottopone al concorso tutti i diritti reali: quelli immobiliari come quelli mobiliari, che vi erano inizialmente assoggettati.
Non puo’ nemmeno ipotizzarsi che al creditore titolare di pegno o ipoteca competa una azione di “separazione”, simile a quella configurata nella precedente versione dell’articolo 103 l. fall.: azione che aveva lo scopo di sottrarre all’esproprio fallimentare beni che non costituivano oggetto della garanzia patrimoniale riservata ai creditori concorsuali (tipica, in tal senso, la fattispecie della cosa data in locazione al fallito e detenuta dalla procedura). Non solo, infatti, come correttamente rilevato da Cass. 12 luglio 2019, n. 18790, l’articolo 103 piu’ non contiene l’espresso riferimento alla domanda di separazione: ma deve a ben vedere escludersi che l’ipotesi che qui interessa (quella del diritto reale di garanzia gravante sul bene del fallito, che non sia debitore del creditore munito di ipoteca o di pegno) potesse dirsi regolata, anche in passato, dal meccanismo della richiamata separazione. E cio’ in quanto, come e’ stato notato in passato dalla dottrina, la domanda proponibile dal titolare di nuda prelazione presuppone la vendita del bene ed e’ rivolta ad attuare il diritto a una collocazione preferenziale sul prezzo di tale bene, mentre la vera e propria domanda di separazione e’ volta ad impedire che il bene venga venduto (in analogia funzionale, si e’ giustamente detto, col rimedio dell’opposizione di terzo all’esecuzione di cui all’articolo 619 c.p.c.).
11. – Si conferma, cosi’, che, anche a seguito della riforma della legge fallimentare, le ragioni del creditore del terzo che sia titolare della garanzia reale su bene del fallito debba trovare attuazione in sede di distribuzione dell’attivo.
In effetti, oggi, l’articolo 107, comma 3, l. fall. prevede, con riguardo ai beni immobili e a quelli iscritti nei pubblici registri, che sia data notizia della vendita a “ciascuno dei creditori ipotecari o comunque muniti di privilegio”, cosi’ come, in passato, l’articolo 108, comma 4, imponeva che un estratto dell’ordinanza che disponeva la vendita fosse notificato dal curatore, oltre che ai creditori ammessi al passivo con diritto di prelazione sull’immobile, ai creditori ipotecari iscritti. L’odierna previsione puo’ ritenersi diretta, tra l’altro, a far salva proprio la posizione dei nominati titolari di nuda prelazione, i quali, non potendo insinuarsi al passivo, secondo quanto si e’ detto, sono restati estranei, fino a quel momento, alla procedura concorsuale e potrebbero risentire un pregiudizio dall’ulteriore corso della stessa in considerazione degli effetti della purgazione che si riconnettono alla vendita (articolo 108, comma 2, l. fall., nel testo riformato, con riferimento ai diritti vantati su beni iscritti nei pubblici registri). Attraverso l’attivita’ notiziale sopra indicata, dunque, i creditori in questione sono posti nella condizione di intervenire nel procedimento concorsuale e di soddisfarsi, in sede di riparto, sul ricavato della vendita del bene su cui gravava la garanzia reale. Si tratta di una disciplina che presenta affinita’ con quanto prescritto, per l’esecuzione individuale, dall’articolo 498 c.p.c.: norma, questa, che ha uno stretto legame funzionale col successivo articolo 499 c.p.c., il quale ammette l’intervento di quanti abbiano un diritto di prelazione risultante da pubblici registri o abbiano un diritto di pegno.
Simmetricamente all’articolo 498 c.p.c., l’articolo 107, comma 3, l. fall. non prevede alcun avviso nei confronti del creditore pignoratizio. Cio’ puo’ comprendersi, visto che il nominato creditore e’ nelle condizioni di far valere la propria pretesa nella fase di riparto, essendo nel possesso del bene (di regola: diversa e’ la condizione che si ravvisa nel caso del pegno non possessorio di cui al Decreto Legge n. 59/2016, articolo 1, convertito in l. n. 119/2016, per il quale e’ pero’ contemplata, dall’articolo 1, comma 4, una speciale forma di pubblicita’). Il “contatto” tra il titolare del pegno (che non vanti crediti da insinuare al passivo) e l’ufficio fallimentare si stabilisce, in conseguenza, ben prima della distribuzione dell’attivo: esso si realizza allorquando il bene sia appreso dalla curatela o il creditore pignoratizio richieda l’autorizzazione alla vendita al giudice delegato, a norma dell’articolo 53, comma 2, l. fall.. E’ qui appena il caso di ricordare che anche il soddisfacimento del creditore munito di pegno, il quale deve avvenire nell’ambito della procedura concorsuale, e’ differito al momento del riparto: la somma ricavata dalla vendita rimane vincolata al pagamento preferenziale del creditore pignoratizio e l’acquisizione della cosa gravata dal pegno alla procedura non estingue, ovviamente, la garanzia del detto soggetto (Cass. 27 marzo 1979, n. 1768). Mette conto solo di aggiungere che il soddisfacimento del creditore munito di pegno deve aver luogo in sede di riparto, nell’osservanza dei concorrenti diritti degli altri creditori, anche nel caso in cui intervenga la succitata autorizzazione del giudice delegato quanto alla diretta vendita del bene. Infatti, la giurisprudenza della Corte ha escluso – sebbene con specifico riferimento ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione, e cioe’ all’altra categoria di creditori presi in considerazione dall’articolo 53 quali destinatari della richiamata autorizzazione – che la possibilita’ di procedere, pendente la procedura concorsuale, alla vendita del bene, implichi che il ricavato di questa sia immediatamente incassato in via autosatisfattiva dal creditore, affermando, al contrario, che il ricavato in questione debba essere distribuito attraverso il piano di riparto, nel rispetto dell’ordine delle cause di prelazione (Cass. 6 febbraio 2018, n. 2818; Cass. 18 dicembre 2006, n. 27044).
12. – Il diritto del titolare dell’ipoteca o del pegno su beni del fallito che non sia creditore di quest’ultimo ha quindi l’onere di far valere la propria pretesa in sede concorsuale non gia’ attraverso una (inammissibile) domanda di insinuazione al passivo, ma domandando di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione del bene stesso.
Occorre prendere atto di cio’: il debito del terzo non puo’ incidere sull’intera massa passiva in quanto il fallito non e’ debitore; il diritto reale di garanzia grava, piuttosto, sulla massa attiva, nel senso che osta a che il ricavato della vendita del bene possa essere ripartito tra i creditori del fallito prima che su di esso trovi soddisfacimento il titolare del detto diritto reale.
E’ questo particolare atteggiarsi della posizione giuridica che fa capo al nudo titolare di ipoteca o di pegno a rendere, del resto, ulteriormente problematica, in base alla legge fallimentare, l’ammissione al passivo del credito di tale soggetto: se e’ vero che per il codice della crisi detta ammissione e’ espressamente circoscritta al ricavato della liquidazione del bene ipotecato (cfr. articolo 201, comma 1), l’assenza, nel Regio Decreto n. 267/1942, di analoga disposizione normativa (quale naturale conseguenza della mancata inclusione del diritto del suddetto soggetto tra quelli passibili di accertamento in base al capo V del titolo II di quel testo legislativo) non puo’ non tradursi in un elemento di ulteriore incertezza: tale vuoto regolamentare imporrebbe, in definitiva, all’interprete, il compito di definire il diritto al concorso del titolare di nuda garanzia in uno scenario desolatamente privo di riferimenti normativi.
13. – Nel disegno del Regio Decreto n. 267 del 1942 la scelta del legislatore di escludere che l’accertamento del diritto del titolare dell’ipoteca e del pegno su beni del fallito (per debiti che non fanno capo a quest’ultimo) abbia luogo in forme diverse da quelle dell’accertamento del passivo e’ – d’altro canto – tutt’altro che irrazionale.
La garanzia reale di cui si discute accede infatti a un credito vantato nei confronti di un soggetto diverso dal fallito. A differenza dei crediti concorsuali, il credito del titolare di nuda prelazione puo’ essere quindi soddisfatto, in tutto o in parte, in ogni momento dal debitore. Cio’ contribuisce a spiegare il senso della collocazione del procedimento di verifica della posizione che qui interessa in una fase successiva a quella dell’accertamento del passivo: poiche’ il diritto di obbligazione puo’ modificarsi o venir meno in pendenza della procedura fallimentare, il rinviare la detta verifica al momento in cui deve aver luogo il riparto del ricavato della vendita del bene gravato della garanzia rappresenta una soluzione legislativa munita di una sua precisa logica, rispondendo, nell’indicata prospettiva, a un principio di economia di giudizio.
Indipendentemente dalle motivazioni che possono aver ispirato la diversa opzione espressa nel codice della crisi, va dunque osservato come gli esiti di una interpretazione funzionale del dato normativo ricavato dalla legge fallimentare – in cui gioca il suo ruolo l’indicata ratio – non divergano da quelli desunti dall’interpretazione testuale, su cui ci si e’ in precedenza intrattenuti.
14. – La tesi secondo cui il titolare della garanzia reale puo’ solo partecipare alla distribuzione del prezzo ottenuto dalla vendita del bene e’ poi coerente rispetto a quanto ritenuto da questa Corte con riferimento a un’altra ipotesi di responsabilita’ senza debito; si e’ affermato, infatti, che nel caso di vittorioso esperimento, da parte del creditore dell’alienante, dell’azione revocatoria (introdotta e trascritta prima dell’apertura della procedura concorsuale), con riferimento ad immobile ormai acquisito all’attivo fallimentare, il diritto tutelato in revocatoria integri una passivita’ dalla quale il patrimonio del fallito deve essere depurato prima della ripartizione dell’attivo fra i creditori concorsuali: onde l’attore vittorioso in revocatoria, che non e’ creditore diretto del fallito e non partecipa quindi al concorso formale, puo’ ottenere, in sede di distribuzione del ricavato della vendita fallimentare dell’immobile, la separazione della somma corrispondente al suo credito verso l’alienante, per esserne soddisfatto in via prioritaria rispetto ai creditori concorsuali (Cass. 2 dicembre 2011, n. 25850). Vale la pena di rimarcare che ben diversa risulta essere la situazione che si delinea allorquando l’azione revocatoria sia esperita dopo l’apertura del fallimento dell’accipiens: in tale evenienza il creditore dell’alienante, che non puo’ promuovere l’azione con la finalita’ di recuperare il bene ceduto, stante l’intangibilita’ dell’asse fallimentare, deve insinuarsi al passivo del fallimento del cessionario per il valore del bene oggetto dell’atto di disposizione (Cass. Sez. U. 24 giugno 2020, n. 12476, cit.): va osservato, in particolare, che in quest’ultima fattispecie il nominato creditore non e’ munito di alcun titolo che gli consenta di partecipare al riparto; egli non si trova, cioe’, nella situazione in precedenza esaminata e nemmeno in quella, omogenea, che fa capo al titolare di nuda prelazione. E infatti, il detto creditore non ha ottenuto una sentenza di accoglimento della domanda revocatoria, tale da rendere inefficace nei propri confronti l’atto dispositivo dell’alienante, ne’ vanta un diritto reale di garanzia su bene acquisito alla massa fallimentare. Tale soggetto deve quindi prima ottenere, merce’ il positivo accertamento delle condizioni per l’accoglimento della domanda revocatoria, il riconoscimento del proprio diritto a soddisfarsi sull’equivalente monetario del bene alienato. Mentre la garanzia reale sul bene acquisito alla massa attiva conferisce, perlomeno in astratto, il diritto a partecipare al riparto, chi intenda ottenere il controvalore del bene appreso dal fallito con un atto in frode lesivo della propria garanzia patrimoniale si trova in una posizione diversa, perche’ fa valere un diritto di credito che dipende dal vittorioso esperimento di un’azione costitutiva (quella revocatoria): azione che, dopo l’apertura della procedura concorsuale, deve promuoversi, appunto, con la domanda di ammissione al passivo.
15. – Come ritenuto da Cass. 30 gennaio 2009, n. 2429, cit., la verifica da attuarsi in sede di riparto deve anzitutto riguardare la validita’ ed attualita’, oltre che l’efficacia, avendo particolare riguardo alla non revocabilita’, della garanzia reale.
Tale verifica deve considerarsi estesa al credito garantito, e cioe’ all’esistenza e all’entita’ di esso (come ipotizzato da Cass. 12 luglio 2019, n. 18790, che pure sembra postulare, per questa evenienza, l’integrazione del contraddittorio col terzo garantito), prospettandosi altrimenti il rischio che il creditore trovi soddisfacimento, in sede concorsuale, per un diritto in quel momento in tutto o in parte insussistente. Una volta escluso che l’accertamento sulla garanzia e sul credito garantito possa aver luogo in sede di verifica dello stato passivo, occorre ricercare un punto di equilibrio onde evitare che il curatore (in sede di predisposizione del progetto di riparto: cfr. infra, par. 16) o il creditore controinteressato che intenda soddisfarsi sul bene gravato di garanzia reale (in sede di reclamo ex articolo 110, comma 3, l. fall.: cfr. sempre par. 16) siano privati del potere di far valere fatti impeditivi, estintivi o modificativi del diritto di obbligazione, tali da rendere in tutto o in parte ingiustificata l’attribuzione, al creditore ipotecario o pignoratizio, di quanto ritratto dalla vendita del bene. Questo potere deve essere fatto salvo anche laddove le questioni circa l’esistenza, validita’ ed attualita’ del debito fossero state scrutinate in separato giudizio intercorso tra il creditore e l’obbligato; e’ utile ricordare, in proposito, che, a norma dell’articolo 2870 c.c., il terzo datore di ipoteca, ove non abbia preso parte al giudizio diretto alla condanna del debitore, puo’ opporre al creditore procedente le eccezioni indicate dall’articolo 2859 c.c.: e cioe’ quelle non opposte dal debitore e quelle che spetterebbero a questo dopo la condanna.
16. – A fronte della manifestata volonta’, da parte del titolare della nuda prelazione, di trovare soddisfacimento in sede concorsuale, compete anzitutto al curatore farsi carico, allorche’ elabora il progetto di ripartizione delle somme ricavate, delle richiamate verifiche circa la garanzia reale e il credito garantito. Sotto tale profilo, i poteri spettanti al curatore sono sovrapponibili a quelli contemplati dall’articolo 95, comma 1, l. fall. con riguardo al progetto dello stato passivo: e cio’ ben si intende, se si considera che la pretesa fatta valere dal titolare della nuda prelazione non e’ stata oggetto di alcun preventivo accertamento (come accade, invece, per i crediti e i diritti di restituzione e di rivendicazione di beni per i quali e’ proponibile la domanda di ammissione di cui all’articolo 93 l. fall.).
Giusta l’articolo 110, comma 3, l. fall. il progetto di ripartizione e’ poi suscettibile di reclamo a norma dell’articolo 36 l. fall..
Come e’ noto, il reclamo si propone nel termine perentorio di quindici giorni dalla ricezione della comunicazione dell’avvenuto deposito del piano di riparto: comunicazione di cui sono destinatari “tutti i creditori” (articolo 110, comma 2 l. fall.).
Non pare dubbio, in proposito, che tale lata espressione ricomprenda tra i destinatari della comunicazione i creditori di soggetti terzi, titolari di nuda prelazione nei confronti del fallito, che abbiano manifestato la volonta’ di soddisfarsi nella procedura fallimentare e siano portatori dell’interesse a conoscere il modo in cui saranno distribuite le somme ricavata dalla vendita dei beni gia’ oggetto della garanzia reale. Questa opzione interpretativa, anzitutto suggerita da una lettura coordinata del cit. articolo 110, comma 2, con l’articolo 107, comma 3 – che si riferisce, come si e’ visto, ai creditori ipotecari o muniti di privilegio su beni immobili e su beni iscritti nei pubblici registri, acquisiti al fallimento (senza alcuna distinzione tra creditori concorsuali e non concorsuali) -, e’ pure imposta dall’esigenza di leggere la disposizione in una chiave funzionale, che renda accessibile la fase di ripartizione dell’attivo a quanti debbano trovare soddisfacimento su di una parte di esso: precisamente sul ricavato dalla vendita del bene che era gravato dalla garanzia reale prestata per debito altrui. Ed e’ quasi superfluo avvertire che una interpretazione restrittiva (che escludesse dal novero dei destinatari della comunicazione i titolari di nuda prelazione, in quanto non “creditori”) non gioverebbe di certo alla tesi qui ricusata (quella per cui la garanzia reale deve essere insinuata al passivo): detta interpretazione porterebbe egualmente a negare che il titolare del diritto – diritto in questo caso addirittura gia’ definitivamente accertato dal giudice delegato a norma dell’articolo 96 l. fall. – sia posto nella condizione di aver notizia del piano di riparto e di conoscere, quindi, il modo in cui sara’ soddisfatto.
Tornando al reclamo, legittimati al suo esperimento sono, oltre ai creditori concorrenti, interessati a soddisfarsi sul bene che risulta gravato da garanzia per il debito altrui, il titolare del pegno o dell’ipoteca a cui va comunicato, come si e’ appena detto, l’avviso di deposito del piano di riparto. La disposizione del comma 3 dell’articolo 110 l. fall. Va difatti letta in continuita’ con quella di cui al comma 2: la legittimazione attiva a proporre reclamo avverso il progetto depositato dal curatore, ai sensi dell’articolo 36 l. fall., compete ai destinatari della comunicazione (come pure rilevato da Cass. Sez. U. 26 settembre 2019, n. 24068, in motivazione), tra questi essendo ricompresi, per le ragioni esposte, anche i titolari di nuda prelazione che abbiano richiesto di soddisfarsi in sede distributiva: i quali, avendo fatto valere la loro garanzia reale sui beni acquisiti alla massa attiva, hanno interesse a interloquire sul piano di riparto, nella misura in cui questo abbia negato, totalmente o parzialmente, il loro diritto a soddisfarsi sul ricavato del bene.
17. – E’ dunque attraverso il reclamo (e i successivi eventuali gravami) che e’ assicurata la verifica giurisdizionale della pretesa del soggetto che non sia creditore del fallito, ma titolare della garanzia reale, sul bene acquisito alla massa.
Ha obiettato il Pubblico Ministero che tale sistema prospetterebbe due inconvenienti: da un lato restringerebbe la tutela giurisdizionale ai soli casi di violazione di legge (cosi’ prevede, al comma 1, l’articolo 36 l. fall., cui rinvia l’articolo 110); dall’altro finirebbe col differire alla fase distributiva la controversia col titolare di nuda prelazione, ritardando, cosi’, la conclusione della procedura concorsuale.
I rilievi hanno indubbia consistenza, ma sono valicabili.
La prima questione riprende un argomento talora proposto dalla dottrina. Va tuttavia escluso, a parere delle Sezioni Unite, che la formulazione dell’articolo 36 cit., laddove consente il reclamo contro gli atti del curatore “per violazione di legge” implichi che il rimedio approntato dal legislatore sconti una qualche inadeguatezza rispetto al fine. E’ evidente, infatti, che il limite della violazione di legge valga ad escludere la giustiziabilita’ di contestazioni, quanto all’operato del curatore, che ineriscono alla mera convenienza delle scelte amministrative dello stesso: ove, invece, si faccia questione della legittimita’ delle determinazioni assunte, e segnatamente si deduca che il progetto di ripartizione sia illegittimo per aver indebitamente riconosciuto o negato, anche parzialmente, un diritto del titolare della garanzia che si assuma essere, a seconda dei casi, insussistente, invalido, inopponibile al fallimento o, rispettivamente, esistente, valido e opponibile alla procedura, e’ certo che l’interessato possa avvalersi del reclamo in discorso.
Ne’ vi e’ modo di altrimenti dubitare dell’effettivita’ dell’apparato rimediale operante nella fase di riparto dell’attivo: va anzi sottolineato come esso si articoli in un doppio grado di merito, prevedendo l’articolo 36, comma 2, l. fall. il gravame, avanti al tribunale, avverso il provvedimento reso dal giudice delegato (a differenza di quanto e’ stabilito per il decreto reso in esito alle impugnazioni allo stato passivo, il quale e’ solo ricorribile per cassazione: articolo 99, ultimo comma, l. fall.).
Quanto al paventato rischio che la collocazione della controversia nella fase distributiva ritardi la chiusura della procedura concorsuale, esso non vale a superare il dato testuale che recapita il diritto vigente. Il ritardo nella chiusura del fallimento per un reclamo da proporsi dopo la fase di insinuazione al passivo e’ un dato ineliminabile, dal momento che non tutte le situazioni suscettibili di protezione giurisdizionale si prestano ad essere regolate in detta fase: basti considerare che anche taluni crediti (e cioe’ diritti tipicamente assoggettati nella verifica dello stato passivo) sono tutelabili col reclamo (al tribunale fallimentare), come accade per i crediti prededucibili degli ausiliari nominati nel corso della procedura fallimentare sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione dei compensi (articolo 111 bis, comma 1, l. fall.). In realta’, le controversie in sede distributiva sono parte integrante del disegno del legislatore: se si reputa che la lite in questione riguardi diritti assoggettabili a verifica nella fase posticipata della liquidazione del bene gravato, e’ fisiologico che la tutela giurisdizionale debba prendere le mosse dall’impugnazione del piano di riparto.
Peraltro, come in precedenza osservato (par. 13), il differimento dell’accertamento che qui interessa alla fase distributiva opera, almeno tendenzialmente, in senso contrario a quanto paventato dalla parte pubblica: e, cioe’, nel senso di escludere una dilatazione dei tempi processuali, visto che concentra l’accertamento del diritto al riparto nel momento in cui tale diritto deve essere fatto valere (e non in un momento anteriore, quando il credito garantito puo’ modificarsi o estinguersi).
18. – L’accertamento operato in sede di reclamo ex articolo 36 l. fall. (e attraverso gli ulteriori rimedi impugnatori nella specie operanti: il reclamo al tribunale fallimentare di cui all’articolo 26 l. fall. e, ove ammissibile, il ricorso per cassazione ex Cost., articolo 111) deve ritenersi operante sul piano endoconcorsuale: affermazione, questa, che si impone ove si guardi alla cornice in cui esso si colloca, strumentale alla corretta attuazione del riparto dell’attivo fallimentare. Merita solo aggiungere, anche se e’ questa un’annotazione di contorno, che in tal modo il trattamento della fattispecie che qui interessa, avendo riguardo agli effetti dell’accertamento operato nel corso della procedura concorsuale, risulta essere il medesimo nella vigenza della legge fallimentare e nel vigore del codice della crisi: quest’ultimo, infatti, dopo aver assimilato, come si e’ visto, alla domanda di ammissione al passivo quella di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni ipotecati a garanzia di debiti altrui, dispone, al comma 5 dell’articolo 204, che il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale con riguardo a tale diritto, “producono effetti soltanto ai fini del concorso” (impiegando, in proposito, la stessa formula che l’articolo 96, ultimo comma, l. fall. utilizza per circoscrivere la portata del decreto del giudice delegato sulle domande di insinuazione e sulle pronunce di opposizione, impugnazione dei crediti ammessi e di revocazione di cui all’articolo 98).
Cio’ implica, come conseguenza, che l’eventuale verifica inerente al credito garantito possa svolgersi in via incidentale, senza necessita’ di evocare in giudizio il terzo debitore; e implica, altresi’, che al detto debitore, restato estraneo al procedimento fallimentare, non sia opponibile l’accertamento in questione, ove sia esercitata la rivalsa nei suoi confronti (rivalsa espressamente prevista per il terzo datore di ipoteca dall’articolo 2871 c.c.).
19. – Vanno in conclusione enunciati i seguenti principi di diritto:
“I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono, anche dopo le modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 5 del 2006 e dal Decreto Legislativo n. 169 del 2007, avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al titolo II, capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori del fallito, ne’ soggetti che agiscono per la restituzione o la rivendica dei beni acquisiti al fallimento.
“I detti creditori possono intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell’attivo per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati.
“Avverso il piano di riparto del curatore che escluda o includa (in tutto o in parte) il diritto del titolare della nuda prelazione alla distribuzione delle dette somme, il creditore ipotecario o pignoratizio e, rispettivamente, gli altri creditori interessati al riparto del ricavato della vendita del bene possono proporre reclamo a norma dell’articolo 110, comma 3, l. fall..
“Il reclamo puo’ avere ad oggetto l’esistenza, la validita’ e l’opponibilita’ al fallimento della garanzia reale, avendo anche riguardo alla sua revocabilita’, oltre che l’an e il quantum del debito garantito.
“Tale accertamento non richiede la partecipazione al giudizio del debitore la cui obbligazione e’ garantita da ipoteca o da pegno e ha un valore endoconcorsuale, essendo, come tale, non opponibile al detto debitore, restato estraneo al procedimento fallimentare, in sede di rivalsa”.
20. – Chiarito, dunque, alla luce di quanto osservato, che l’accertamento del diritto della banca non era suscettibile di essere fatto valere in sede di accertamento del passivo, e segnatamente, con l’opposizione allo stato passivo, va accolto il primo motivo, mentre i restanti tre, che aggrediscono una decisione che il Tribunale non aveva ragione di adottare, vanno dichiarati assorbiti.
21. – Il decreto impugnato e’ cassato senza rinvio, a norma dell’articolo 382, comma 3, c.p.c., in quanto la domanda di insinuazione, riferita al diritto reale di garanzia prestato per debito altrui, non poteva essere proposta.
22. – Le spese del giudizio di legittimita’ e quelle del giudizio di merito possono compensarsi per l’intero. Il regime della compensazione applicabile al procedimento e’ quello di cui al testo dell’articolo 92, comma 2, c.p.c. modificato dalla l. n. 69/2009, articolo 45, comma 11, non trovando applicazione, ratione temporis, la disciplina introdotta dal Decreto Legge n. 132 del 2014, n. 132, articolo 13, convertito dalla l. n. 162/2014. Premesso che le “gravi ed eccezionali ragioni” di cui al cit. articolo 92, comma 2, possono ritenersi sussistenti a fronte dell’oggettiva incertezza della questione di diritto e dell’assenza di un orientamento univoco o consolidato all’epoca della insorgenza della controversia (in tema: Cass. 29 novembre 2016, n. 24234), va osservato che, per un verso, al momento della proposizione dell’opposizione ex articolo 98 l. fall., e anche al momento in cui fu introdotto il giudizio di cassazione, la Corte di legittimita’ non si era ancora pronunciata sulle ricadute della riforma della legge fallimentare sulla proponibilita’ di una domanda di ammissione al passivo da parte del titolare di nuda prelazione e che, per altro verso, alcuni giudici di merito avevano fatto registrare, all’epoca, delle aperture in discontinuita’ con la giurisprudenza del passato, come pure rammentato nel decreto impugnato.

P.Q.M.

La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa senza rinvio il decreto impugnato; compensa le spese del giudizio di legittimita’ e quelle del giudizio di merito.

 

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