Appartenenza di un terreno comunale al patrimonio indisponibile dell’ente e la concreta ed effettiva utilizzazione del bene allo scopo destinato

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 17427.

Appartenenza di un terreno comunale al patrimonio indisponibile dell’ente e la concreta ed effettiva utilizzazione del bene allo scopo destinato

L’appartenenza di un terreno comunale al patrimonio indisponibile dell’ente, in quanto destinato a verde pubblico, presuppone una concreta ed effettiva utilizzazione del bene allo scopo destinato, non essendo sufficiente la mera previsione urbanistica, che di per sé esprime solo un’intenzione che, ancorché contenuta in un atto amministrativo, non muta l’oggettiva caratteristica del bene, che può quindi essere oggetto di usucapione.

Ordinanza|| n. 17427. Appartenenza di un terreno comunale al patrimonio indisponibile dell’ente e la concreta ed effettiva utilizzazione del bene allo scopo destinato

Data udienza 24 febbraio 2023

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8827/2021 proposto da:

(OMISSIS) SRL, domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dall’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI GIOVE, 21, presso l’UFFICIO DELL’AVVOCATURA COMUMALE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 4663/2020 depositata il 05/10/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/02/2023 dal Consigliere GIUSEPPE TEDESCO.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 30 gennaio 2017, n. 1864, il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda di usucapione proposta da (OMISSIS) S.r.l. nei confronti del Comune di Roma. L’attrice, detentrice sin dal 1980 di un terreno in forza di un contratto intercorso con la Soc. coop. la (OMISSIS), aveva chiesto accertarsi l’avvenuto acquisto per usucapione di particelle contigue al terreno oggetto della locazione, intestate al Comune di Roma.

A fondamento della decisione assunta, il Tribunale, per quanto rileva, ha accertato che: a) contrariamente a quanto sostenuto dal Comune di Roma, costituitosi nel giudizio, i terreni erano suscettibili di possesso utile per l’usucapione: infatti, il Comune di Roma non aveva fornito la prova che la destinazione di essi a verde pubblico, prevista dallo strumento urbanistico, fosse stata poi in concreto attuata secondo la previsione del piano regolatore; b) che tuttavia la domanda doveva essere ugualmente rigettata, perche’ l’attrice non aveva dato la prova del possesso ventennale.

Con sentenza del 5 ottobre 2020, la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello principale proposto da (OMISSIS) S.r.l., mentre ha accolto l’appello incidentale condizionato proposto dal Comune di Roma, esaminato in via prioritaria in applicazione del principio della ragione piu’ liquida. Ha ritenuto il giudice d’appello che le aree oggetto della domanda, acquisite dal Comune in forza di decreti di esproprio n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) entrambi del 1940, erano state poi destinate a verde pubbliche; ha aggiunto che tale destinazione, seppure diversa da quella originariamente prevista, non aveva valenza novativa, permanendo pertanto quella finalita’ di pubblica utilita’ che giustificava l’appartenenza del bene al patrimonio indisponibile del Comune.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la societa’ (OMISSIS) S.r.l. sulla base di due motivi, depositando anche la memoria. Si difende il Comune con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi del ricorso possono cosi’ riassumersi:

1) violazione e falsa applicazione degli articoli 826, ultimo comma, 828 e 1158 c.c., per avere la sentenza impugnata riconosciuto l’appartenenza del terreno, oggetto della domanda, al patrimonio indisponibile del Comune, nonostante l’ente non avesse fornito alcuna prova dell’effettiva destinazione a verde pubblico;

2) omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: la Corte d’appello, in applicazione del principio della ragione piu’ liquida, non ha vagliato le prove offerte in primo grado ai fini della prova del possesso ventennale, che avrebbero giustificato l’accoglimento della domanda.

Il primo motivo e’ fondato. La corte d’appello, pur riconoscendo (implicitamente) che i terreni a suo tempo espropriati non avevano avuto la destinazione originaria, ha ritenuto che la circostanza non fosse rilevante al fine di escludere l’appartenenza di essi al patrimonio indisponibile, essendo stati comunque destinati a verde pubblico. In considerazione di cio’ essi avevano conservato la condizione di beni non suscettibili di costituire oggetto di possesso ad usucapionem da parte di terzi. Cosi’ facendo, tuttavia, la corte territoriale ha omesso di accertare – in punto di fatto – l’effettivita’ della destinazione a verde pubblico prevista dagli strumenti urbanistici. Come questa Corte di legittimita’ ha gia’ avuto occasione di osservare, infatti, “affinche’ un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili in quanto destinati ad un pubblico servizio, ai sensi dell’articolo 826, comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volonta’ dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, percio’, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volonta’ dell’ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio) e dell’effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio, per cui non e’ sufficiente la semplice previsione dello strumento urbanistico circa la destinazione di un’area alla realizzazione di una finalita’ di interesse pubblico” (Cass., S.U., n. 14865 del 28/06/2006). Nello stesso ordine di idee e’ stato chiarito che “la cessione (nella specie, gratuita) di un terreno al Comune, stipulata in esecuzione di una convenzione di lottizzazione, al fine di assicurare la possibilita’ di destinazione del bene a verde pubblico, prevista dal piano di lottizzazione, secondo le norme del piano regolatore generale, fa solo entrare il bene nel patrimonio del Comune, senza attribuirgli caratteri che ne determinano la collocazione nella categoria” (Cass., n. 8743 del 09/09/1997; conf. Cass. n. 26402 del 16/12/2009; Cass. n. 26990 del 26/11/2020). In altre parole, l’appartenenza di un bene alla categoria dei beni del patrimonio indisponibile, in quanto destinati ad un pubblico servizio, deve necessariamente riferirsi ad una concreta ed effettiva utilizzazione del bene e non ad un mero progetto di utilizzazione, che di per se’ esprime solo una intenzione, che, ancorche’ espressa in un atto amministrativo, non incide, di per se’, sulle oggettive caratteristiche del bene. Tale principio, nei casi in cui il bene sia privo dei caratteri strutturali necessari per il servizio, conduce alla necessita’ che siano quanto meno iniziate le opere di trasformazione che in qualche modo possano stabilire un reale collegamento di fatto, e non meramente intenzionale, alla funzione pubblica programmata.

Questi principi non sono stati correttamente applicati nella sentenza impugnata, dalla cui laconica motivazione risulta che l’appartenenza al patrimonio indisponibile e’ fatta discendere dalla sola proprieta’ comunale e dalla destinazione dell’area a verde pubblico, in assenza di qualsiasi riferimento a un accertamento in fatto volto ad appurare se quella destinazione, prevista dagli strumenti programmatici (che, in verita’, non sono neanche menzionati nella sentenza impugnata), avesse poi avuto materiale esecuzione.

Nel controricorso e’ richiamato il principio secondo cui “Il decreto di espropriazione e’ idoneo a far acquisire la proprieta’ piena del bene, e ad escludere qualsiasi situazione, di diritto o di fatto con essa incompatibile, e qualora il precedente proprietario, o un soggetto diverso, continui ad esercitare sulla cosa attivita’ corrispondente all’esercizio del diritto di proprieta’, la notifica del decreto ne comporta la perdita dell’animus possidendi, conseguendone che, ai fini della configurabilita’ di un nuovo possesso ad usucapionem, e’ necessario un atto di interversio possessionis (Cass. n. 13699/2007: n. 6742/2014; n. 23850/2018). Il richiamo trascura che la decisione impugnata, avendo fatto applicazione del principio della ragion piu’ liquida, non ha minimamente considerato la natura del potere di fatto esercitato sulla cosa dall’agente (questione a cui si riferisce il principio di cui sopra), ne’ ha compiuto la minima indagine sulla genesi del medesimo potere, ne’ sui rapporti fra societa’ attrice e il suo dante causa con coloro che subirono l’esproprio.

La questione, pertanto, non e’ proponibile in questa sede, perche’ attiene a un profilo rimasto assorbito dalla scelta della Corte di merito di affrontare in via prioritaria la questione della natura giuridica del bene oggetto della pretesa. L’esame di tale questione deve essere percio’ rimesso al giudice di rinvio (Cass. n. 19442/2022).

Lo stesso dicasi della censura posta con il secondo motivo del ricorso, che riguarda anch’esso il profilo del possesso, che e’ stata saltato a pie’ pari dalla Corte di merito. Esso poi e’ radicalmente inammissibile, in quanto invoca una norma non piu’ in vigore da un decennio, essendo stato il n. 5 del comma 1 dell’articolo 360 c.p.c. sostituito dall’articolo 54.1, lettera b), Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Con riferimento al primo motivo la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata innanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, perche’ riesamini gli elementi probatori in atti, alla stregua dei principi sopra richiamati. Ad essa si demanda pure la liquidazione delle spese di legittimita’ relative.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimita’.

 

 

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