La rigorosa prova delle circostanze richieste per beneficiare del condono edilizio

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 26 agosto 2019, n. 5860.

La massima estrapolata:

Incombe al richiedente l’onere di fornire la rigorosa prova delle circostanze richieste per beneficiare del condono edilizio, dal momento che egli solo può fornire atti, documenti ed elementi probatori inconfutabili che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione dell’abuso.

Sentenza 26 agosto 2019, n. 5860

Data udienza 28 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2803 del 2008, proposto da Gu. Ig. ed altri, rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. Ma. Sa., St. Ga. ed En. Ga. ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Gu. Sa. e Fa. Lo. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, via (…);
nei confronti
Be. Gi., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione seconda, n. 3174/07, depositata in data 2 ottobre 2007, resa inter partes, nella parte in cui ha rigettato i ricorsi riuniti R.G. nn. 1783, 1784, 1785 e 1786 del 1996 coi quali erano stati impugnati dagli appellanti i provvedimenti sindacali di diniego di concessione edilizia in sanatoria rispettivamente n. 2082, n. 2083, n. 2084 e n. 2081, tutti del 28 marzo 1996.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2019 il Cons. Francesco Guarracino e uditi gli avvocati Fr. Ro. Fe., su delega di St. Ga., e Ma. Sa. per la parte appellante e l’avv. Pi. Bo., su delega di Gu. Sa., per la parte appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con cinque distinti ricorsi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto i signori Gi. Be. ed altri impugnavano, ciascuno per proprio conto, altrettanti provvedimenti di diniego opposti dal Comune di (omissis) alle domande presentate, dal primo in qualità di costruttore e proprietario e dagli altri in qualità di possessori di singole unità abitative, per la sanatoria, ai sensi della legge n. 724/94, del cambio di destinazione d’uso in residenziale, senza opere, di un immobile con destinazione turistico-recettiva costituito da un fabbricato con sei appartamenti e servizi centralizzati sito nello stesso Comune di (omissis) su fondo censito in catasto al foglio (omissis), mapp. (omissis)-(omissis).
2. – Con sentenza n. 3174 del 2.10.2007 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sezione seconda, riuniva i ricorsi, tra i quali quello della sig.ra Bo., deceduta nelle more, era stato proseguito dagli eredi, sigg. Ig. Gu. ed altri, e li respingeva, con condanna dei soccombenti al pagamento delle spese di giudizio.
3. – I sigg. Ig. Gu. ed altri hanno appellato la decisione di primo grado, chiedendone la riforma.
4. – Ha resistito in appello il Comune di (omissis).
5. – Le parti hanno prodotto memorie in vista dell’udienza di discussione ed il Comune una memoria di replica e all’udienza pubblica del 28 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
6. – Con i provvedimenti impugnati in primo grado (prot. nn. 2081, 2082, 2083, 2084 e 2085 del 28.3.1996) il Comune aveva negato il rilascio del titolo edilizio in sanatoria ai richiedenti sulla base di un duplice ordine di ragioni.
Per un verso aveva opposto, sotto il profilo temporale, che l’epoca del mutamento abusivo della destinazione d’uso sarebbe avvenuto dopo il 31.12.1993, termine ultimo per beneficiare del condono, desumendolo da un insieme di circostanze (la destinazione turistico alberghiera dell’immobile ancora attestata dal costruttore in occasione della presentazione, in data 30.6.1993, di un’istanza di variante in corso d’opera con successivo rilascio del titolo in variante in data 18.10.1994; la costituzione in data 30.11.1993 del vincolo di destinazione d’uso turistico-alberghiera, con atto registrato il successivo 16.12.1993 e consegnato agli uffici comunali il 14.2.1994; la compatibilità dell’avvenuta alienazione a terzi delle singole unità immobiliari con la permanenza della destinazione d’uso originaria).
Per altro verso aveva obiettato l’elusione dei limiti di volumetria previsti dall’art. 39 della legge n. 724/1994 per le domande di sanatoria di singole unità facenti parte di un unico complesso, trattandosi di interventi eseguiti in assenza di concessione edilizia per una volumetria eccedente il limite dei 750 mc.
7. – Il T.A.R., disattesa in rito l’eccezione di inammissibilità del ricorso presentato dalla Bo., ha respinto nel merito tutti i ricorsi rigettando sia la censura, formulata dal solo Be., relativa alla pretesa formazione di un provvedimento implicito di accoglimento dell’istanza di condono, sia tutte le altre concernenti le ragioni del diniego del titolo in sanatoria.
Il Giudice di primo grado, convenendo con l’amministrazione che la sottoscrizione di un preliminare di vendita con immediata immissione in possesso dei promissari acquirenti nelle singole unità abitative è irrilevante per stabilire l’epoca di commissione dell’abuso (“nulla impedisce l’alienazione delle singole unità abitative ed il mantenimento della destinazione d’uso impressa al complesso di cui le stesse fanno parte, la cui realizzazione è stata consentita proprio grazie al vincolo di destinazione imposto per consentire il rilascio in deroga del titolo edilizio. La suddetta destinazione quindi può e deve essere mantenuta anche in caso di alienazione a diversi proprietari”) e riscontrata l’assenza di altre evidenze al riguardo, è pervenuto alla conclusione che “al di là delle reali intenzioni delle parti, nessun elemento di prova risulta fornito da parte dei richiedenti il condono in merito all’avvenuto mutamento della destinazione d’uso prima della data del 31.12.1993: al contrario, la documentazione presente presso gli uffici comunali, puntualmente richiamata nei provvedimenti impugnati, conferma l’assunto dell’amministrazione e cioè che l’abusivo mutamento è intervenuto dopo il termine indicato dal legislatore”.
Ciò, per il T.A.R., costituiva circostanza idonea e sufficiente a sostenere i provvedimenti di diniego impugnati.
Peraltro, lo stesso Giudice ha ritenuto corretto anche l’altro motivo di rigetto delle domande di condono, relativo al superamento del limite volumetrico stabilito dall’art. 39 della legge n. 724/94, sia con riferimento all’istanza presentata dal costruttore, siccome riguardante l’intero complesso, sia con riferimento a quelle presentate dai proprietari delle singole unità abitative, che non sarebbero state valutabili in termini svincolati rispetto al complesso immobiliare di cui le singole unità fanno parte, a pena di incorrere in illegittima elusione del disposto normativo.
8. – La decisione di primo grado è gravata con tre motivi di appello, l’uno volto a contestarne la conclusione circa la mancata dimostrazione che l’immobile, alla data del 31.12.1993, fosse adibito a uso esclusivamente residenziale, l’altro a confutarla sull’applicabilità, nella specie, del limite volumetrico previsto dall’art. 39 della legge n. 724/94, che non riguarderebbe le tipologie di abusi che non implicano aumenti di volumetria, l’altro ancora, infine, teso a riproporre, sebbene per puro scrupolo difensivo, la censura svolta in primo grado sulla questione della legittimazione del mero possessore del bene alla presentazione della domanda di condono, adombrata nei provvedimenti impugnati, nonostante la stessa, come riconoscono gli appellanti, non formi oggetto di un capo specifico della medesima decisione.
9. – L’appello è infondato.
10. – Col primo motivo di gravame gli appellanti sostengono che il mutamento della destinazione alberghiera, qualunque sia la tipologia dell’immobile (alberghi, residenze turistico-alberghiere, case vacanze), deriva dal godimento esclusivo, a qualsiasi titolo, delle singole unità immobiliari che valga a sottrarre le stesse all’offerta generalizzata al pubblico, modificandone de facto la destinazione.
Ciò è quanto sarebbe accaduto nel caso di specie, nel quale gli interessati sarebbero stati immessi in possesso dei rispettivi appartamenti in data anteriore al 31.12.1993, in virtù di contratto preliminare di compravendita sottoscritto nel 1991; l’immobile, difatti, sarebbe stato completato il 26.11.1993, come da comunicazione di ultimazione dei lavori effettuata nel 1995, e l’inizio dell’utilizzo degli appartamenti ad esclusivo uso proprio dei promissari acquirenti sarebbe dimostrato dai contratti delle utenze per uso domestico stipulati nei mesi di novembre e dicembre 1993, per telefono e gas, e dall’acquisto e dalla installazione di elettrodomestici, parimenti ad uso domestico, nei singoli appartamenti.
11. – E’ pacifico che incombe al richiedente l’onere di fornire la rigorosa prova delle circostanze richieste per beneficiare del condono edilizio, dal momento che egli solo può fornire atti, documenti ed elementi probatori inconfutabili che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione dell’abuso (ex ceteris, C.d.S., sez. IV, 22.3.2018, n. 1837; sez. VI, 5.3.2018, n. 1391; sez. IV, 24 agosto 2017, n. 4060).
12. – Nel caso di specie, gli appellanti, però, non hanno fornito alcuna incontrovertibile dimostrazione che il cambio di destinazione d’uso da turistico-alberghiera in residenziale, oggetto dell’istanza di sanatoria, sia avvenuto effettivamente entro la data prevista per poter usufruire del condono edilizio.
13. – L’alienazione delle singole unità immobiliari non implica un necessario mutamento in residenziale della destinazione d’uso turistico-alberghiera, perché non è oggettivamente incompatibile col mantenimento di quest’ultima.
In linea di principio, infatti, la coesistenza di diverse proprietà non osta ad una comune destinazione dei beni all’offerta al pubblico, che dipende, piuttosto, dall’esistenza dell’organizzazione imprenditoriale deputata alla gestione dei servizi comuni ed alla concessione in locazione dei singoli appartamenti (cfr. Cass. Pen., sez. III, 15.2.2007 n. 6396).
In concreto, poi, alla data ultima per poter usufruire del condono edilizio l’intero complesso era ancora nella piena proprietà del costruttore – che solo due anni dopo avrebbe stipulato i contratti di vendita delle singole unità immobiliari -, il quale, obbligatosi a suo tempo nei confronti dell’amministrazione a costituire un vincolo per il mantenimento della destinazione alberghiera ai sensi dell’art. 15 della legge regionale veneta n. 24 del 3.5.1988, appena un mese prima aveva costituito sull’immobile il vincolo in questione mediante atto pubblico del 30.11.1993, poi consegnato all’amministrazione il 14.2.1994.
Ciò sta a significare che, prima della scadenza del termine del condono, alcun cambio di destinazione d’uso “cartolare” potrebbe dirsi compiuto dal proprietario mediante atti negoziali che fossero valsi, in modo certo, a sottrarre le singole unità immobiliari all’offerta turistica, alla quale, anzi, erano state formalmente vincolate ancora un mese prima di quella scadenza.
14. – Acclarata allora la correttezza della tesi dell’amministrazione, secondo cui la cessione, tanto più se con preliminare, di un’unità immobiliare di per sé non costituisce violazione della destinazione d’uso turistico-ricettiva del fabbricato, va altresì escluso che gli appellanti abbiano fornito prova in giudizio che, alla data del 31.12.1993, l’immobile fosse, comunque, adibito ad uso esclusivamente residenziale ad opera loro o dei loro danti causa (prova che, a tutto concedere, sarebbe dovuta essere di consistenza granitica, collidendo con una risultanza oggettiva ed incontestabile rappresentata dalla evidenza che il costruttore prima aveva costituito sull’immobile il vincolo in questione mediante atto pubblico del 30.11.1993, poi consegnato all’amministrazione il 14.2.1994).
In primo luogo, è indimostrato l’assunto che gli interessati sarebbero stati, da tempo, immessi nel possesso delle unità immobiliari in forza di rispettivi preliminari di compravendita, la cui stessa esistenza il Giudice di primo grado ha osservato non essere stata documentata (cfr. pag. 12 della sentenza: “Ribadito che nessuna documentazione risulta agli atti con riguardo all’avvenuta stipulazione di un contratto preliminare di vendita, dalla cui esistenza si dovrebbe dedurre l’avvenuto mutamento della destinazione d’uso sin dall’epoca della presa di possesso delle singole unità abitative da parte del promissari acquirenti”); invero, pure la “promessa di compravendita” prodotta in giudizio unitamente all’atto di appello, a prescindere da ogni rilievo sui limiti di ammissibilità delle produzioni documentali nel presente grado (art. 104, comma 2, c.p.a.), nulla è in grado di dimostrare né quanto alla data della sua stipula, non risultando trascritta o munita di data certa, né sulla stessa immissione in possesso, essendovi espressamente previsto che la consegna sarebbe dovuta seguire all’ultimazione dei lavori e risultare da apposito verbale redatto per iscritto.
In secondo luogo, la prova che, una volta ultimate, le unità immobiliari sarebbero state consegnate ed adibite ad uso residenziale esclusivo, nel novembre 1993, non può ritenersi assicurata semplicemente dai contratti di forniture ad uso domestico stipulati dagli interessati negli ultimi due mesi dello stesso anno o dall’acquisto di arredo.
Difatti, una volta giunti alla conclusione che il frazionamento della proprietà non è incompatibile, almeno in linea di principio, con la destinazione turistico-alberghiera del complesso, ciò, a maggior ragione, vale anche per la stipula di singoli contratti di utenza ovvero per l’acquisto di arredo od elettrodomestici (trattandosi di strutture turistico-ricettive di tipo extralberghiero), peraltro documentati solo per alcuni degli interessati.
Tali contratti potrebbero, al più, costituire indizi delle circostanze che dovrebbero essere dimostrate, ma, per quanto ora detto, sono sforniti dei requisiti di gravità e precisione e, inoltre, la loro concludenza si scontra con altri indizi di segno opposto, quali quelli costituiti dalla consegna all’amministrazione, nel successivo febbraio, del vincolo sottoscritto dal costruttore, ancora proprietario, o del rilascio in data 18 ottobre 1994 di un titolo edilizio in variante facente ancora riferimento alla destinazione turistico-recettiva dell’immobile.
Puntuale, peraltro, è anche il rilievo formulato dalla difesa dell’amministrazione sul fatto che in quegli stessi documenti si fa riferimento, ancora alla data del 22.12.1993, ad un allacciamento delle utenze futuro, perché destinato a seguire la restituzione del contratto di somministrazione sottoscritto.
15. – La conclusione raggiunta dal Giudice di primo grado secondo cui, al di là delle reali intenzioni delle parti, nessun elemento di prova è stato fornito dai richiedenti il condono in merito all’avvenuto mutamento della destinazione d’uso prima della data del 31.12.1993 risulta, pertanto, pienamente condivisibile.
Ciò bastando a reggere la legittimità dei provvedimenti impugnati, come espressamente rilevato dal Giudice di primo grado – che solo per completezza ha proceduto alla disamina degli altri motivi di ricorso, applicando principi agevolmente ritraibili anche dalla giurisprudenza penale (ex aliis Cass. Pen., sez. III, 20.5.2016, n. 44596, laddove è rimasto chiarito che “il riferimento oggettivo all’unicità della nuova costruzione interamente abusiva impedisce che il limite di 750 metri cubi possa essere aggirato mediante il frazionamento delle sue singole parti, altrimenti si eluderebbe la finalità della legge che era (ed è ) quella di sanare abusi modesti”) -, la sentenza di rigetto adottata dal T.A.R. merita senz’altro conferma, restando assorbiti, per economia processuale, gli ulteriori motivi di appello.
16. – Per queste ragioni, in conclusione, l’appello deve essere respinto.
17. – Le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti in solido alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di (omissis), che liquida nella somma complessiva di Euro 6000,00 (seimila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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