Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 17 dicembre 2018, n. 7090.
La massima estrapolata:
E’ inammissibile il ricorso proposto da una associazione di dirigenti pubblici per far dichiarare l’obbligo dell’Amministrazione a bandire un concorso per dirigente con specifiche caratteristiche, non essendo esperibile il ricorso avverso il silenzio – inadempimento della P.A. qualora l’atto di cui si chiede l’adozione sia a contenuto regolamentare o generale.
Sentenza 17 dicembre 2018, n. 7090
Data udienza 6 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso in appello n. 9113 del 2018, proposto dalla AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…),
contro
DIRPUBBLICA (FEDERAZIONE DEL PUBBLICO IMPIEGO), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ca. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
avverso e per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione Seconda ter, n. 8990/2018, emessa nel proc. n. 3772/2018, depositata il 16 agosto 2018 e non notificata.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Dirpubblica (Federazione del Pubblico Impiego);
Vista la memoria prodotta in data 4 dicembre 2018 dall’appellata a sostegno delle proprie difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, alla camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2018, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi per le parti l’avvocato Ca. Me. per l’appellata e l’Avvocato dello Stato Gi. Pi. per l’Amministrazione appellante;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’articolo 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’Agenzia delle entrate ha appellato, chiedendone la sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, decidendo sul ricorso proposto da Dirpubblica (Federazione del Pubblico Impiego) ai sensi dell’articolo 117 cod. proc. amm.:
a) ha accertato l’illegittimità del silenzio serbato dall’Agenzia a fronte dell’atto di “diffida e costituzione in mora” notificato a mezzo PEC dalla stessa Dirpubblica, con cui si sollecitava la pubblicazione del bando del concorso pubblico da indire ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4 bis del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125;
b) ha conseguentemente ordinato all’Agenzia delle entrate di provvedere a bandire e concludere il concorso in questione entro il 31 dicembre 2018, termine ultimo fissato per l’espletamento della procedura concorsuale dalla norma suindicata, come modificata dall’articolo 1, comma 95, della legge 27 dicembre 2017, n. 205.
2. Per una migliore comprensione delle statuizioni che seguiranno, giova premettere una sintetica ricostruzione degli antefatti della presente vicenda contenziosa.
2.1. Questa nasce dall’annullamento di precedente procedura selettiva, indetta dall’Agenzia delle entrate con provvedimento prot. n. 65107 del 6 maggio 2014, per il reclutamento, mediante concorso per titoli ed esami, di 403 dirigenti di seconda fascia, per effetto di sentenza dello stesso T.A.R. capitolino (n. 9846 del 20 settembre 2016) resa in accoglimento di ricorso proposto dall’odierna appellata Dirpubblica.
Con la predetta sentenza, per vero, non è stata caducata l’intera procedura concorsuale de qua, ma ne sono state annullate plurime disposizioni della disciplina siccome incompatibili con i principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 37 del 17 marzo 2015, emessa nell’ambito del giudizio in questione in ordine alla previgente normativa sul reclutamento del personale dirigenziale delle Agenzie fiscali.
2.2. A seguito di tale decisione, il legislatore è intervenuto con il già citato articolo 4 bis del d.l. n. 78/2015, il quale al comma 1 recita: “Ai fini della sollecita copertura delle vacanze nell’organico dei dirigenti, le Agenzie fiscali sono autorizzate ad annullare le procedure concorsuali per la copertura di posti dirigenziali bandite e non ancora concluse e a indire concorsi pubblici, per un corrispondente numero di posti, per soli esami, da concludere entro il 31 dicembre 2018. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sono definiti i requisiti di accesso e le relative modalità selettive, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. I concorsi di cui al primo periodo sono avviati con priorità rispetto alle procedure di mobilità, compresa quella volontaria di cui all’articolo 30, comma 2-bis, del predetto decreto legislativo n. 165 del 2001, tenuto conto della peculiare professionalità alla cui verifica sono finalizzati i concorsi stessi. Al personale dipendente dalle Agenzie fiscali è riservata una percentuale non superiore al 30 per cento dei posti messi a concorso. E’ autorizzata l’assunzione dei vincitori nei limiti delle facoltà assunzionali delle Agenzie fiscali” (il termine originario, fissato al 31 dicembre 2016, è stato successivamente prorogato da successive disposizioni l’ultima delle quali, il pure citato articolo 1, comma 95, l. n. 207/2017, ha fissato la scadenza del 31 dicembre 2018).
2.3. Alla norma testé citata l’Agenzia delle entrate ha dato attuazione innanzi tutto annullando in autotutela la procedura indetta nel 2014, una volta preso atto dell’impossibilità di riformarla per adeguarla ai principi rivenienti dal decisum giudiziale, nonché preannunciando l’avvio del nuovo concorso per soli esami, una volta definiti i requisiti e le modalità selettive secondo la previsione sopra riportata.
2.4. Tuttavia, nonostante il sopravvenire del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, del 6 giugno 2017, che ha dato attuazione al secondo periodo del comma 1 dell’articolo 4 bis, d.l. n. 78/2015, l’Agenzia non ha poi provveduto a bandire il concorso de quo, restando inerte anche a seguito di apposito atto di diffida e costituzione in mora notificato da Dirpubblica.
2.5. Quest’ultima, pertanto, ha proposto dinanzi al T.A.R. del Lazio ricorso ex articolo 117 cod. proc. amm., assumendo sussistere l’obbligo dell’Agenzia di bandire il concorso previsto dall’articolo 4 bis, comma 1, d.l. n. 78/2015.
3. Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. capitolino, dopo aver disatteso l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’Amministrazione sul rilievo dell’asserita inapplicabilità del rito speciale sul silenzio della p.a. in ragione della natura generale dell’atto di cui era stata sollecitata l’adozione, ha accolto il ricorso nei termini già sopra rappresentati.
3.1. In particolare, il primo giudice ha ritenuto – richiamando pregressa giurisprudenza del giudice d’appello (C.g.a.r.s., 19 aprile 2012, n. 396) – che nessuna norma precluda a priori l’esperibilità del rimedio processuale avverso il silenzio della p.a. per l’adozione di atti amministrativi generali, dovendosi piuttosto verificare in concreto se sussista in capo alla parte ricorrente una posizione legittimante qualificata e differenziata, tale da renderne attuale e concreto l’interesse a ricorrere.
Nella specie, non è apparsa revocabile in dubbio la legittimazione della ricorrente in quanto ente esponenziale di interessi collettivi della dirigenza pubblica, in modo da radicarne una posizione giuridica qualificata e differenziata tale da consentirle di agire a tutela dei detti interessi collettivi.
3.2. Con riguardo poi all’ulteriore rilievo dell’Amministrazione in ordine all’elevata discrezionalità che connoterebbe la decisione di indire un concorso pubblico, il T.A.R., senza contestare l’assunto in via di principio, ha però ritenuto che nella specie tale discrezionalità si fosse pressoché integralmente consumata allorché la stessa Amministrazione aveva cominciato a dare attuazione alla previsione dell’articolo 4 bis, annullando in autotutela la procedura selettiva indetta nel 2014; con tale scelta, secondo il giudice di prime cure, l’Amministrazione si era di fatto autovincolata a dare integrale attuazione alla previsione normativa, e quindi anche a bandire un nuovo concorso secondo i tempi e le modalità ivi stabiliti.
Queste stesse considerazioni sono state poste a base del giudizio di fondatezza nel merito del ricorso.
3.3. Il T.A.R. ha esaminato anche l’ulteriore argomento sviluppato dall’Amministrazione convenuta, con riferimento alla sopravvenuta disposizione del comma 93 dell’articolo della legge n. 205/2017, il quale ha attribuito all’Agenzia delle entrate (nonché all’Agenzia delle dogane e dei monopoli) la facoltà di disciplinare con proprio regolamento l’accesso alla qualifica dirigenziale del propri ruoli mediante procedura concorsuale pubblica per titoli ed esami, e quindi con criteri, modalità e tempi diversi da quelli stabiliti dal suindicato articolo 4 bis, d.l. n. 78/2015.
Tuttavia, neanche tale sopravvenienza normativa è stata ritenuta dal primo giudice idonea a escludere la sussistenza dell’obbligo di provvedere affermato dalla parte ricorrente: infatti, in sentenza si è evidenziato come nello stesso articolo 1 della legge n. 205/2017, al successivo comma 95, fosse stata prevista – come già accennato – un’ulteriore proroga della scadenza prevista per l’espletamento del concorso di cui al ricordato articolo 4 bis, con ciò implicitamente considerando ancora aperta la possibilità di un suo espletamento; pertanto, al fine di risolvere il problema posto dalla compresenza di previsioni apparentemente conflittuali sul punto, il primo giudice ha ritenuto che l’unica interpretazione possibile fosse nel senso che l’articolo 1, comma 93, l. n. 205/2017 sia destinato a operare de futuro, restando vigente la norma precedente con specifico riferimento alla sorte dei concorsi già banditi ed alle successive scelte dell’Amministrazione.
4. Nell’appello proposto avverso la sentenza testé riassunta, l’Amministrazione ha articolato i seguenti motivi di impugnazione:
I) Improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenienza del provvedimento espresso dell’Amministrazione.
Già nel corso del giudizio di prime cure, e anche con atti successivi alla sentenza appellata, l’Agenzia delle entrate ha avviato l’iter procedimentale per l’indizione di un concorso pubblico secondo la diversa previsione del citato articolo 1, comma 93, l. n. 205/2017: ciò che deve ritenersi aver fatto venire meno il silenzio-inadempimento dell’Amministrazione, dovendo le eventuali doglianze di parte originaria ricorrente trasferirsi su tali nuovi atti e provvedimenti (e dovendo le stesse essere fatte valere mediante impugnazione ordinaria).
Al riguardo, parte appellante soggiunge che i predetti nuovi atti non possono dirsi prima facie in contrasto con le prescrizioni rivenienti dalla sentenza impugnata, atteso che in essa l’obbligo dell’Agenzia di indire il concorso per soli esami ex articolo 4 bis, comma 1, d.l. n. 78/2015 è affermato “salvo che non si ravvisino ulteriori profili o motivi ostativi non emersi nel presente giudizio”.
II) Inammissibilità del rito sul silenzio ex articoli 31 e 117 cod. proc. amm. per l’adozione di atti amministrativi generali.
La sentenza appellata si porrebbe in contrasto con la prevalente giurisprudenza, che afferma la inapplicabilità dello speciale rito sul silenzio della p.a. per l’adozione di atti di natura regolamentare e generale, in relazione ai quali non è possibile individuare specifici destinatari in capo ai quali si radichi una posizione di interesse legittimo giuridicamente qualificata e differenziata.
III) Mancata dimostrazione dell’interesse a ricorrere e carenza di legittimazione attiva.
Il primo giudice non avrebbe verificato se la res controversa attenesse in via diretta al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione ricorrente; inoltre, anche a voler condividere l’individuazione di un interesse collettivo del quale la stessa associazione sarebbe ente esponenziale, non sussisterebbero legittimazione e interesse in relazione alla pretesa a che l’espletamento della selezione avvenga attraverso una modalità piuttosto che un’altra (per soli esami anziché per titoli ed esami).
IV) Assenza di previsione di un obbligo di provvedere nell’articolo 4 bis, d.l. n. 78/2015 e, in subordine, superamento di questo in ragione della normativa sopravvenuta.
La difesa erariale reputa non condivisibili gli assunti del T.A.R. in ordine all’autovincolo che scaturirebbe dall’annullamento in autotutela della procedura concorsuale indetta nel 2014, nonché all’interpretazione del combinato disposto tra i commi 93 e 95 del sopravvenuto articolo 1, l. n. 205/2017.
Sotto il primo aspetto, si sostiene che la norma del 2015 conterrebbe a favore delle Agenzie fiscali due distinte autorizzazioni, rispettivamente ad annullare il precedente concorso e a bandirne uno nuovo per soli esami, di modo che nulla autorizza a concludere che l’essersi avvalsa della prima facoltà obblighi l’Agenzia delle entrate ad avvalersi poi anche della seconda.
Quanto al secondo profilo, si assume che nessun dato testuale autorizza a ritenere che la previsione dell’articolo 1, comma 93, l. n. 205/2017 debba operare solo de futuro, dovendo piuttosto la previsione essere intesa nel senso di introdurre una modalità differenziata e alternativa con cui le Agenzie fiscali possono, fin da subito, provvedere al reclutamento del personale dirigenziale.
V) Insussistenza dei posti disponibili in organico necessari per bandire il concorso nei termini ipotizzati dal T.A.R. Rilevanza anche ai sensi dell’articolo 31, comma 3, cod. proc. amm.
Evidenzia l’Amministrazione che i posti attualmente disponibili sono solo 160, e segnatamente quelli individuati nella determina dirigenziale di indizione delle nuove procedure concorsuali, rendendo impossibile bandire un concorso a ben 403 posti: ciò che dimostrerebbe altresì come sia impossibile ritenere che il T.A.R. si sia effettivamente pronunciato anche sulla pretesa sostanziale sottesa all’impugnazione del silenzio-inadempimento.
VI) Impossibilità di ottemperare all’obbligo di indire un concorso ex articolo 4 bis, comma 1, d.l. n. 78/2015 entro il 31 dicembre 2018.
Tanto in considerazione della ristrettezza dei tempi a disposizione, tali da rendere arduo anche solo porre in essere gli adempimenti minimi per l’indizione del concorso, e a fortiori del tutto impensabile che entro la scadenza possa aversene addirittura la conclusione.
5. Si è costituita l’originaria ricorrente Dirpubblica, la quale con successiva memoria ha analiticamente controdedotto ai rilievi di parte appellante, instando per la conferma della sentenza appellata.
In particolare, parte appellata insiste sul fatto che con la sentenza in epigrafe il primo giudice, lungi dal limitarsi a dichiarare l’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione, si sarebbe pronunciato anche sulla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, affermando positivamente l’obbligo dell’Agenzia di indire una procedura concorsuale ex articolo 4 bis, comma 1, d.l. n. 78/2015.
Pertanto, gli eventuali nuovi atti sopravvenuti si configurerebbero come violativi ovvero elusivi del decisum giudiziale, e quindi inidonei a far venir meno il silenzio-inadempimento stigmatizzato in prime cure e a determinare correlativamente il sopravvenuto difetto di interesse rispetto alla pretesa in tale sede azionata.
6. Alla camera di consiglio del 6 dicembre 2018, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata, il Collegio ha avvertito le parti della possibilità di immediata definizione del giudizio nel merito ai sensi dell’articolo 60 cod. proc. amm.
Dopo la discussione delle parti, la causa è stata quindi trattenuta in decisione.
7. Tutto ciò premesso, l’appello è fondato e pertanto meritevole di accoglimento.
8. In particolare, la Sezione reputa fondati e assorbenti il secondo e terzo mezzo, con i quali la difesa erariale ha reiterato l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di legittimazione e interesse in relazione alla natura generale del provvedimento di cui si sollecitava l’adozione.
8.1. Ed invero, con riguardo alla questione dell’ammissibilità dello speciale rito sul silenzio in relazione all’adozione di atti amministrativi generali l’orientamento prevalente in giurisprudenza è negativo (cfr. cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2017, n. 6096; id., sez. V, 9 marzo 2015, n. 1182; id., sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3798; id., 7 luglio 2009, n. 4351), argomentandosi dalla impossibilità di individuare specifici “destinatari” degli atti in questione in capo ai quali possa radicarsi una posizione giuridica qualificata e differenziata, definibile come di interesse legittimo.
A sostegno dell’opposta conclusione, il primo giudice ha richiamato un abbastanza isolato precedente nel quale:
– si è evidenziato come dal punto di vista testuale non vi sia alcun indice di una preclusione normativa all’esperibilità del rito sul silenzio rispetto agli atti generali;
– si è ritenuto che il problema sia piuttosto quello di verificare con attenzione l’effettiva sussistenza di una posizione giuridica legittimante in capo a coloro i quali, in relazione alla propria qualità di possibili futuri destinatari delle previsioni regolamentari o generali da adottarsi (ad esempio, in quanto rientranti in una particolare categoria o in possesso di particolari requisiti), possono dirsi specificamente interessati all’adozione degli stessi.
8.2. La Sezione è dell’avviso che gli argomenti sviluppati nel precedente richiamato, e ripresi dal T.A.R. nella sentenza qui impugnata, non siano necessariamente in contraddizione rispetto al più diffuso indirizzo sopra richiamato.
Infatti, è vero che sul piano testuale non è dato sostenere che vi sia una preclusione a priori all’esperibilità del rito sul silenzio sulla base del mero carattere regolamentare o generale dell’atto di cui si invoca l’adozione; ma altrettanto vero è che, proprio in ragione dell’ordinario rivolgersi di tali atti a una pluralità indifferenziata di soggetti destinatari, non individuabili ex ante e destinati anche a cambiare nel corso del tempo, è molto complessa e delicata l’opera di individuazione dei requisiti della legittimazione e dell’interesse a ricorrere in capo a chi si attivi per l’adozione di provvedimenti di tal natura.
In altri termini, il risultato di una ricognizione sulla sussistenza delle condizioni dell’azione non cambia punto se si sposta l’attenzione dal dato oggettivo della natura regolamentare o generale dell’atto da adottare a quello soggettivo della posizione giuridica del ricorrente rispetto a questo; e non è casuale che nei pochi casi in cui la giurisprudenza si è orientata per la soluzione affermativa si trattasse di controversie afferenti ad atti di pianificazione (dei quali, come è noto, è alquanto discussa in dottrina l’effettiva riconducibilità al genus degli atti amministrativi generali) o comunque a provvedimenti indirizzati a una cerchia ristretta e ben definita di soggetti interessati, ancorché modificabile in futuro.
La questione si complica vieppiù allorché l’iniziativa giudiziale, come nel caso che qui occupa, sia assunta da un soggetto che si assuma esponenziale dell’interesse collettivo della generalità dei potenziali destinatari dell’atto generale di cui è sollecitata l’adozione, ponendosi in tale ipotesi l’ulteriore problema dell’individuazione dell’effettiva legittimazione del soggetto collettivo; al riguardo, come è noto, la giurisprudenza assume che le associazioni di settore sono legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti di cui hanno la rappresentanza istituzionale o di fatto solo quando venga invocata la violazione di norme poste a tutela dell’intera categoria, e non anche quando si verta su questioni concernenti singoli iscritti ovvero su questioni capaci di dividere la categoria in posizioni contrastanti, atteso che l’interesse collettivo dell’associazione sindacale deve identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata e non con interessi di singoli iscritti o di gruppi di associati (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 7 marzo 2012, n. 1301; id., sez. VI, 27 aprile 2005, n. 1240).
8.3. Alla stregua delle coordinate testé tracciate, se anche è possibile individuare in capo a Dirpubblica una situazione giuridica legittimante in quanto associazione rappresentativa della dirigenza pubblica (superando le obiezioni di parte appellante, le quali pure non appaiono peregrine, basandosi sul dato che non si tratta dell’unica associazione rappresentativa di tale categoria di personale), è però avviso della Sezione che tale situazione non sia ex se sufficiente a radicare anche l’ulteriore requisito dell’interesse a ricorrere nei termini della pretesa azionata in prime cure.
Più specificamente, se può ammettersi che corrisponde all’interesse collettivo del quale l’associazione in questione è esponenziale, nei termini omogenei e non conflittuali testé evidenziati, la pretesa a che l’Agenzia delle entrate avvii celermente una procedura concorsuale, rituale e legittima, intesa ad assicurare la necessaria “provvista” del personale dirigenziale, non altrettanto può dirsi per l’ulteriore pretesa a che detta procedura si svolga in un modo anziché in un altro.
In altri termini, se è difficilmente contestabile la sussistenza di un interesse dell’associazione istante ad una sollecita e regolare copertura delle vacanze determinatesi nella dirigenza delle Agenzie fiscali per effetto delle note vicende anche giudiziali che si sono più sopra richiamate, non è invece dimostrata la rispondenza all’interesse della totalità degli iscritti della pretesa di privilegiare la strada dell’articolo 4 bis, comma 1, d.l. n. 78/2015 piuttosto che altre consentite o introdotte dal legislatore, in presenza di più soluzioni normativamente possibili (ed è appena il caso di aggiungere che tale rilievo, afferendo alla preliminare individuazione di una delle condizioni dell’azione, lascia del tutto impregiudicata la questione – affrontata invece nel merito dal primo giudice – di quale debba essere il rapporto, di alternatività o concorrenzialità, tra le dette diverse opzioni normative).
8.4. Le considerazioni che precedono rendono ragione anche del perché un interesse concreto e attuale a ricorrere, ad avviso del Collegio, non possa desumersi neanche dalla qualità di ricorrente che la stessa Dirpubblica ha rivestito nei pregressi contenziosi giurisdizionali che hanno dato luogo all’adozione delle norme qui in discussione.
Infatti, in tale sede l’istante ha agito a tutela del ricordato interesse collettivo al tempestivo e legittimo reclutamento del personale dirigenziale da parte delle Agenzie fiscali, mentre in questo caso non è in contestazione che tale interesse sarebbe soddisfatto dall’avvio della procedura concorsuale secondo qualsiasi delle opzioni normative disponibili; sicché non risulta giuridicamente apprezzabile, nei sensi che si sono precisati, la pretesa ad insistere perché si proceda con concorso per soli esami (come previsto dal più volte citato articolo 4 bis) anziché per titoli ed esami (secondo la previsione introdotta dalla legge n. 205/2017).
9. Naturalmente, quanto sopra non esclude affatto la possibilità che l’odierna appellata possa agire con nuova azione di annullamento avverso il bando della procedura concorsuale da svolgere ex articolo 1, comma 93, l. n. 205/2017 – una volta che questo sia effettivamente adottato – ove ritenga che lo stesso riproduca i vizi di legittimità già censurati in relazione a procedure precedenti, ovvero che sia affetto da nuovi e diversi vizi; ma chiaramente trattasi di ipotesi da verificare in futuro, che resta del tutto estranea al perimetro del presente giudizio.
10. In conclusione, s’impone una decisione di accoglimento del ricorso e di riforma della sentenza impugnata, con la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.
11. La peculiarità della vicenda esaminata giustifica l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Raffaele Greco – Consigliere, Estensore
Fabio Taormina – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
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