Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 20 marzo 2020, n. 1989.
La massima estrapolata:
E’ inammissibile il ricorso per revocazione proposto a seguito del ritrovamento di nuovi documenti o della scoperta della falsità di quelli già posseduti se non è indicato il giorno della scoperta, decorrendo da questo il termine per l’impugnazione. Il ricorrente che deduce la scoperta sopravvenuta di documenti decisivi ha inoltre l’onere di provare l’impossibilità di produrre in giudizio tale prova per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario.
Sentenza 20 marzo 2020, n. 1989
Data udienza 13 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10096 del 2018, proposto da
Ma. Po., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Al. Ar., rappresentato e difeso dagli avvocati Fl. Bu. e Se. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Su. Lo. in Roma, via (…);
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Gi. Is., non costituita in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 758 del 2019, proposto da
Gi. Is., rappresentata e difesa dagli avvocati Va. Pa. e Ma. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Ta. in (…), corso (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Parrocchia di San Savino, rappresentato e difeso dall’avvocato Fl. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Su. Lo. in Roma, via (…);
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Ma. Po., non costituito in giudizio;
nei confronti
Ma. Ga., non costituito in giudizio;
per la revocazione
quanto al ricorso n. 10096 del 2018:
della sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, 17 aprile 2018 n. 2310;
quanto al ricorso n. 758 del 2019:
della sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, 17 aprile 2018 n. 2310;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Al. Ar., del Comune di (omissis), del Ministero per i beni e le attività culturali e della Parrocchia di San Savino;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2020 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Gu., Lo., in delega orale di Bu., Bi., Pa. e l’avvocato dello Stato Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 10096 del 2018, Ma. Po. propone istanza per la revocazione della decisione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, 17 aprile 2018 n. 2310 con la quale è stato accolto l’appello proposto da Al. Ar. contro il Comune di (omissis), il Ministero per i beni e le attività culturali, la Soprintendenza regionale per i beni ambientali e culturali della Toscana nonché Ma. Po. ed altri per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Toscana, 8 aprile 2011 n. 637 e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, è stata annullata la concessione edilizia n. 5845 del 2006, il parere della Soprintendenza del 26 maggio 2006, nonché i titoli successivi abilitativi gli interventi edilizi sull’immobile abusivo.
I fatti di causa possono essere così riassunti.
1. Con ricorso iscritto al nrg. 10133 del 2011 veniva appellata la sentenza del T.A.R. per la Toscana, 8 aprile 2011 n. 637 di reiezione del ricorso e dei quattro motivi aggiunti proposti da Do. Al. Ar., in qualità di parroco della Parrocchia di San Savino in località (omissis) (Comune di (omissis)), avverso la concessione edilizia in sanatoria n. 5793/2003 rilasciata in favore delle signore Ma. Ga. e Bu. Ga. e gli atti connessi e successivi adottati dal Comune di (omissis).
Il T.A.R. aveva rilevato che l’originaria concessione edilizia in sanatoria, impugnata con il ricorso principale, era stata annullata dal Comune, e che la DIA (n. 101/2009) presentata da Ma. Po., impugnata con i terzi motivi aggiunti, era stata dichiarata inefficace dal dirigente del servizio.
Ciò posto, il T.A.R. aveva dichiarato l’improcedibilità del ricorso originario e di quelli contenenti i primi ed i terzi motivi aggiunti, l’inammissibilità di una parte dei quarti aggiunti, e aveva respinto i secondi e i residui motivi dedotti nel quarto ricorso contenente motivi aggiunti.
Il TAR aveva rilevato che il manufatto abusivo era d’esclusiva proprietà delle signore Ga. (realizzato in aderenza ed in continuità con la facciata dell’edificio di proprietà parrocchiale, realizzato nel XVIII secolo dall’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano), aveva ritenuto che l’immobile non fosse assoggettato al vincolo storico-culturale e aveva respinto il motivo d’impugnazione che lamentava la violazione dell’art. 4 della l.1089/1939 e dell’art. 2, comma, 1 lett.a), d.lgs. 490/1999 – più specificamente degli artt. 21 e 22 codice dei beni culturali – per avere il Comune rilasciato il condono senza aver previamente acquisito il nulla osta della locale Soprintendenza.
I giudici di prime cure giungevano ad analoga conclusione sul motivo di ricorso che deduceva la violazione dell’art. 32 l. 47/85, per l’assenza di una specifica valutazione della compatibilità del condono con il vincolo paesaggistico gravante sull’intero compendio immobiliare.
Il T.A.R. respingeva infine i residui motivi d’impugnazione, ossia la dedotta violazione della disciplina urbanistica della zona ove ricade l’immobile abusivo e dell’art. 9 d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, sul rispetto delle distanze fra edifici antistanti con pareti fronteggianti.
Appellava la sentenza Don Al. Ar., in qualità di parroco della Parrocchia di San Savino. Resiste il Comune di (omissis).
Alla pubblica udienza del 1 marzo 2018, la causa veniva discussa e decisa con la sentenza oggi oggetto di revocazione. In essa, la Sezione riteneva fondate le censure proposte, sottolineando l’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione al primo motivo di appello, in quanto il Comune non aveva affatto “valutato la compatibilità del rilascio della concessione in sanatoria con il vincolo” né “l’inerenza e l’incidenza del vincolo culturale nel procedimento di sanatoria”.
2. Con il ricorso ora in scrutino, Ma. Po., ricorrente in revocazione evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, proponendo distinti motivi, come meglio descritti in parte motiva, a sostegno dell’istanza rescindente e di quella rescissoria.
Nel giudizio in revocazione, si sono costituiti Al. Ar., il Comune di (omissis) e il Ministero per i beni e le attività culturali, difendendo le posizioni già assunte nel giudizio di cognizione a monte.
3. La stessa sentenza era oggetto di istanza di revocazione, iscritta al n. 758 del 2019, da parte di Gi. Is. con posizione adesiva e dipendente da quella di Ma. Po..
Anche in questo secondo giudizio si costituivano le stesse parti resistenti del primo, difendendo le stesse posizioni.
Alla pubblica udienza del 13 febbraio 2020, i ricorsi sono stati congiuntamente discussi e assunti in decisione.
DIRITTO
1. – In via preliminare ed a norma dell’art. 96 comma 1 del codice del processo amministrativo, va disposta la riunione dei diversi ricorsi per revocazione, in quanto proposti contro la stessa sentenza.
2. – L’istanza di revocazione proposta nel primo ricorso, benchè l’atto introduttivo di giudizio non sia articolato in dettaglio in singoli motivi scrutinabili, comporta, come d’uopo nella struttura bifasica del giudizio, l’esame prioritario delle ragioni rescindenti che, nel caso in esame, attengono alla sostenuta inammissibilità del ricorso iniziale nel giudizio davanti al T.A.R. Toscana di cui al nrg. n. 245 del 2005 in quanto “tardivo perché proposto dopo lo spirare del termine decadenziale di cui all’art. 41 della L. n. 104/2010” (pag.4), atteso che la prova della previa conoscenza da parte dell’allora ricorrente Ar. sarebbe deducibile da un documento, denominato “Cronistoria di una favola”, del quale il ricorrente per revocazione “è venuto in possesso del tutto casualmente dopo la conclusione del procedimento”.
Si tratta quindi di una istanza di revocazione fondata sul tardivo rinvenimento di un documento decisivo, a norma dell’art. 395, comma 1, n. 3 c.p.c., come richiamato dall’art. 106 c.p.a.. In dettaglio, il documento decisivo del cui ritrovamento si discute sarebbe un dattiloscritto, denominato “Cronistoria di una favola”, ritenuto proveniente dall’originario ricorrente Ar., sulla basa di una indicazione ivi apposta (ossia una firma non autografa ma dattiloscritta), che afferma che “nel mese di maggio 2004 sono venuto a conoscenza che l’ex magazzino adiacente ed istante quella parte della stalla del 1700 ora in proprietà della Parrocchia come ambiente oratorio, era stato condonato dal Comune di (omissis)…….”. Tale indicazione di conoscenza integrerebbe quindi elementi sufficienti per far dichiarare la tardività del ricorso di prime cure e, quindi, il travolgimento dell’intero impianto decisionale.
Va inoltre aggiunto che le ragioni appena esposte sono identiche anche per il secondo ricorso qui riunito, atteso che la ricorrente Isola afferma che la conoscenza del documento de qua è avvenuta “solo con la ricezione del ricorso per revocazione del signor Po., ed è altrettanto certo che la stessa, in modo del tutto incolpevole, non fosse fino a quel giorno a conoscenza dell’esistenza di tale documento”.
2.1. – La censura non ha fondamento e va respinta.
L’ammissibilità della domanda di revocazione per ritrovamento tardivo è sottoposta ad un rigido scrutinio da parte della giurisprudenza, onde evitare che siano facilmente elusi i modi e i tempi del confronto processuale, secondo una serie di parametri che, nel caso in esame, risultano del tutto irrisolti.
In primo luogo, l’esigenza di tempestività impone che la parte ricorrente evidenzi l’esistenza di una effettiva impossibilità nel previo recupero del documento e di una tempestiva sua produzione nel giudizio. Infatti (ex multis, Cons. Stato, IV, 2 luglio 2019, n. 4533; per l’espressione degli stessi principi prima dell’introduzione del c.p.a., Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2008, n. 241) è inammissibile il ricorso per revocazione proposto a seguito del ritrovamento di nuovi documenti o della scoperta della falsità di quelli già posseduti se non è indicato il giorno della scoperta, decorrendo da questo il termine per l’impugnazione. Il ricorrente che deduce la scoperta sopravvenuta di documenti decisivi ha inoltre l’onere di provare l’impossibilità di produrre in giudizio tale prova per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario. Al riguardo non è sufficiente un generico accenno al rinvenimento dei documenti dopo la sentenza, ma è necessario indicare quali indagini siano state esperite per il ritrovamento, al fine di consentire la valutazione della diligenza con la quale esse siano state compiute e, quindi, l’accertamento dell’assenza di colpa in cui si concreta il concetto di forza maggiore di cui all’art. 395 n. 3, c.p.c. ed è necessario altresì indicare la data del recupero del documento.
Nel caso in esame, le uniche ragioni proposte dalla parte sono tautologiche, limitandosi ad affermare che “l’odierno impugnante ne è venuto in possesso del tutto casualmente dopo la conclusione del procedimento”.
Sussiste quindi un primo profilo di inammissibilità dell’istanza, stante la mancata prova della diligenza nel ricercare il documento de qua e della tempestività della proposizione del ricorso per revocazione.
Le stesse considerazioni sopra espresse valgono anche per la ricorrente nel secondo ricorso, atteso che il mero rinvio alla conoscenza avuta tramite l’instaurazione del primo non è sufficiente a dimostrare l’esistenza della richiesta diligenza nella ricerca della prova, in quanto è al contrario evidenza di un comportamento del tutto passivo.
2.2. – In secondo luogo, il dattiloscritto prodotto non può essere considerato prova documentale rilevante ai sensi della disciplina della revocazione, visto che questo consiste in una pagina dattiloscritta, mancante di una firma autografa e che, nel luogo deputato alla sottoscrizione, porta l’indicazione, anch’essa dattiloscritta e non autografa, “Il parroco p.t. della Badia S. Savino Sac. Ar. Alberto”,
Si tratta dunque di un atto che non può certamente rientrare nell’ambito di quelli indicati dal codice civile come fonte di prova documentale (artt. 2699 c.c.) e in questo senso va evidenziata la corretta affermazione della parte resistente che nota come la mancanza di firma sia fatto tanto invalidante da impedire addirittura il disconoscimento. Per altro verso, proprio l’assenza di un indice testuale che ricolleghi effettivamente il documento prodotto all’originario ricorrente Ar. rende impossibile la sua valutazione negli altri modi consentiti dall’ordinamento (ad esempio, come confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c.).
Pertanto, anche in relazione a questo secondo profilo, viene a mancare l’elemento minimo per consentire il superamento della fase rescindente e permettere di vagliare le altre censure proposte dal ricorrente, che riguardano invece interamente la fase rescissoria.
3. – Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
I ricorsi per revocazione qui riuniti vanno entrambi dichiarati inammissibili. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Dispone la riunione dei ricorsi n. 10096 del 2018 e n. 758 del 2019;
2. Dichiara inammissibili i ricorsi riuniti n. 10096 del 2018 e n. 758 del 2019;
3. Condanna Ma. Po. e Gi. Is. a rifondere ad Al. Ar. e al Ministero per i beni e le attività culturali le spese del presente giudizio, che liquida, in capo a ciascuna delle parti ricorrenti in revocazione, in complessivi Euro. 5.000,00 (euro cinquemila) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, se dovuti.
4. Compensa integralmente tra le altre parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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