Il ricorso per ottemperanza di chiarimenti

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 12 febbraio 2020, n. 1099.

La massima estrapolata:

Nell’ambito del processo amministrativo il ricorso per ottemperanza di chiarimenti è ammissibile, nel suo contenuto proprio di strumento volto a ottenere precisazioni e delucidazioni su punti del decisum ovvero sulle concrete e precise modalità di esecuzione, laddove si riscontrino elementi di dubbio o di non immediata chiarezza, senza che con ciò possano essere introdotte ragioni di doglianza volte a modificare e/o integrare il proprium delle statuizioni rese

Sentenza 12 febbraio 2020, n. 1099

Data udienza 7 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1146 del 2019, proposto da
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato En. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Legale Fo. & Associati in Roma, piazza (…);
contro
Ch. Lu. Wi. Fa. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Na., Em. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per i chiarimenti sulle modalità di ottemperanza ex artt. 112, comma 5, e 114, comma 7, Cod. proc. amm. della sentenza del Consiglio di Stato, V Sezione, 26 novembre 2018, n. 6677, resa tra le parti, concernente denuncia di inizio attività per lavori di realizzazione di un impianto eolico;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ch. Lu. Wi. Fa. s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2019 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Ga. Pa., su delega dell’avv. Fo., e Fr. Na.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il Comune di (omissis) ha proposto ricorso per avere chiarimenti sulle modalità di ottemperanza della sentenza di questa Sezione, 26 novembre 2018, n. 6677, ai sensi degli articoli 112, comma 5 e 114, comma 7 Cod. proc. amm..
2. La sentenza ha accolto “nei limiti di cui in motivazione” l’appello dell’impresa Ch. Lu. Wi. Fa. s.r.l. (di seguito “Wi. Fa.”) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia- Bari, I, 28 dicembre 2012, n. 2258 che, con motivazione consistente in “un sintetico riferimento ad un precedente conforme” dello stesso giudice (27 dicembre 2018, n. 2238), aveva respinto il ricorso contro i provvedimenti (del 1 ottobre 2008) di diffida dall’inizio dei lavori, del responsabile dell’ufficio tecnico del Comune all’esito dell’istanza di riesame, concernenti dieci istanze/denunce di inizio attività presentate al Comune dal 13 marzo 2008 al 29 maggio 2008 per la realizzazione di impianti eolici monopala, finalizzati alla produzione di energia elettrica di potenza nominale massima pari ad 1 MW, con relative opere accessorie.
2.1. In particolare, l’ottemperanda sentenza di questa V Sezione ha accolto l’appello della Wi. Fa. nei sensi indicati in motivazione e, riformando la sentenza appellata, ha annullato gli atti impugnati in primo grado (con cui il Comune aveva ordinato di non dar corso ai lavori di cui alle denunce di inizio attività per dieci aerogeneratori, con potenza elettrica nominale massima pari a 1 MW ciascuno) perché ha ritenuto fondata la doglianza dell’appellante sull’esistenza di significative differenze tra le due fattispecie esaminate dalla sentenza di prime cure e dal precedente richiamato: nel primo caso le istanze dell’appellante erano state presentate non solamente ai sensi dell’art. 27 (Applicazione della disciplina di denuncia inizio attività per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili) l.r. Puglia 19 febbraio 2008, n. 1 (Disposizioni integrative e modifiche della l.r. 31 dicembre 2007, n. 40 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia) e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2008), contemplante la denuncia di inizio attività (DIA) per gli impianti “con potenza elettrica nominale fino a 1 MW” (poi dichiarato costituzionalmente illegittimo per incompetenza regionale dalla sentenza della Corte costituzionale 22 dicembre 2010, n. 366: peraltro l’art. 27 era stato intanto abrogato dall’art. 6 e sostituito dall’art. 3 l.r. Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 – Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale, nelle more a sua volta dichiarato illegittimo dalla sentenza costituzionale 26 marzo 2010, n. 119), ma anche come domande di autorizzazione unica secondo la procedura DIA di cui al combinato disposto dell’art. 1, commi 85 e 86, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia) e degli artt. 2 e 12 (Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative) d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità ), e conservavano perciò, anche dopo la detta dichiarazione di incostituzionalità di disposizioni della l.r. n. 1 del 2008, un’autonoma base di legge, data appunto dalla norma generale sull’autorizzazione unica del detto art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 (la quale, al comma 5, dispone in via di eccezione che “quando la capacità di generazione sia inferiore alle soglie individuate dalla tabella A allegata al presente decreto, con riferimento alla specifica fonte, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività “). Sicché – come dice la sentenza -“l’espunzione dall’ordinamento giuridico, per effetto della sentenza 22 dicembre 2010, n. 366 della Corte costituzionale […] dell’art. 27, comma 1, lett. b), della l.r. n. 1 del 2008 non ha privato di base legale le istanze alle quali è stato opposto il contestato provvedimento inibitorio”, aggiungendo: “discorso diverso è se poi l’istanza doveva seguire l’iter della conferenza di servizi, ovvero della DIA, rispettivamente in conformità di quanto disposto dai commi 4 e 5 dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 1993. La soluzione preferibile è peraltro la seconda, atteso che l’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003 prevede per le installazioni degli impianti con limitata capacità di generazione l’applicazione della disciplina della DIA di cui agli artt. 22 e 23 del d.P.R. n. 380 del 2001. Del che si ha conferma nell’art. 1, commi 85 e 86, della legge n. 239 del 2004, prescriventi, per gli impianti di piccola generazione (cioè non superiore a 1 MW), l’assoggettamento a norme autorizzative semplificate. La sentenza, dunque, anziché ritenere assorbente l’intervenuta declaratoria di incostituzionalità, avrebbe dovuto interpretare l’istanza/DIA presentata dall’odierna appellante, riconducendo cioè la fattispecie concreta nella pertinente fattispecie astratta”. Pertanto “L’accoglimento dei motivi esaminati appare assorbente ai fini del decidere, comportando l’annullamento degli impugnati provvedimenti inibitori, […] salvo il potere dell’Amministrazione di riesaminare le istanze alla stregua della disciplina previgente, ai sensi di quanto disposto dall’art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 28 del 2011”.
Le istanze dunque erano state utilmente presentate e andavano conformemente trattate.
3. Ora il Comune qui ricorrente, avendo dubbi interpretativi e perplessità sul come procedere nell’ottemperanza (se vagliare il caso sulla necessità dell’autorizzazione o sulla derogatoria sufficienza di una denuncia di inizio di attività ), chiede chiarimenti in relazione alla procedura da seguire per il rilascio dell’autorizzazione all’installazione dell’impianto eolico.
3.1. In particolare, il Comune domanda se nella fattispecie, che riguarda un impianto pari ad 1 MW, si debba seguire questa procedura semplificata derogatoria dell’art. 12, comma 5, d.lgs. 387 del 2003 quando la capacità di generazione dell’impianto sia inferiore alle soglie individuate dalla tabella A, e dunque seguendo la strada della denuncia di inizio attività ex artt. 22 e 23 d.P.R. n. 380 del 2001; o se, invece, si debba applicare comunque la disciplina generale di cui allo stesso art. 12, commi 3 e 4, mediante conferenza di servizi convocata dalla Regione, da svolgersi con le modalità della legge 7 agosto 1990, n. 241, con la partecipazione di tutte le amministrazioni interessate e nel rispetto dei principi di semplificazione.
3.2. Il Comune altresì domanda chiarimenti se debba procedere ad invitare la società ad integrare la documentazione mancante, presentata a corredo dell’istanza (che risulterebbe priva delle condizioni di ammissibilità degli articoli 22 e 23 del d.P.R. n. 380 del 2001); e se debba comunque indirsi una conferenza per valutare se la proposta localizzazione delle dieci pale eoliche, a causa della loro vicinanza, possa determinare un c.d. “effetto selva”.
3.3. Si è costituita in giudizio la Wi. Fa., che sostiene che, in base alla sentenza, le istanze presentate sarebbero, a tutti gli effetti, istanze di autorizzazione unica secondo le procedure semplificate di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) ed e), 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e 1, commi 85 e 86 della legge n. 239 del 2004: di conseguenza, non va convocata la conferenza di servizi ai sensi dell’art. 12, comma 4, d.lgs. n. 387 del 2003. Inoltre, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della disciplina regionale del tempo delle istanze, il Comune non sarebbe più competente: la società, quindi, domanda di rendere i chiarimenti nei sensi qui indicati.
3.4. All’udienza in camera di consiglio del 7 novembre 2019, uditi i difensori delle parti costituite, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

4. Viene in decisione il ricorso ex art. 112, comma 5, Cod. proc. amm. per l’ottemperanza di chiarimenti della sentenza del Consiglio di Stato, V Sezione, 26 novembre 2018, n. 6677, in relazione ai profili sopra indicati: rimedio che, come assunto dalla giurisprudenza, “è ammissibile, nel suo contenuto proprio di strumento volto a ottenere precisazioni e delucidazioni su punti del decisum ovvero sulle concrete e precise modalità di esecuzione, laddove si riscontrino elementi di dubbio o di non immediata chiarezza, senza che con ciò possano essere introdotte ragioni di doglianza volte a modificare e/o integrare il proprium delle statuizioni rese”(cfr. ex multis, Cons. Stato, V 16 maggio 2017 n. 2324 e 6 settembre 2017 n. 4232; IV, 30 novembre 2015 n. 5409).
4.1. Pertanto, in tale limitata prospettiva va anzitutto osservato che i quesiti da sottoporre al giudice dell’ottemperanza, ai sensi dell’art. 112, comma 5, Cod. proc. amm., devono attenere alle modalità dell’ottemperanza stessa e avere i requisiti della concretezza e della rilevanza. Non si possono cioè sottoporre al giudice questioni astratte di interpretazione del giudicato, ma solo dubbi specifici che siano effettivamente insorti durante l’esecuzione dello stesso. Diversamente, il mezzo verrebbe indebitamente convertito in uno strumento per impropriamente investire ante causam il giudice di una questione da decidere, ma senza che sussistano i presupposti di una controversia attuale e concreta. Per quanto queste questioni possano essere, in ragione del conflitto interpretativo che su di esse è aperto, fonte di una potenziale controversia, il principio di separazione dei poteri vieta – salvo eccezionali deroghe di legge che ammettono un’azione de futuro – che possano essere decise dal giudice in prevenzione di una futura controversia, allo stato solo eventuale.
Non deroga a queste considerazioni quanto stabilito da Cons. Stato, Ad. plen., 9 giugno 2016, n. 11, sulla formazione progressiva del giudicato, che comunque presuppone che la progressione si basi su questioni già controverse nel contesto del giudizio di cognizione ma non esaurientemente specificate o potute specificare da quella sentenza, per cui resta da delinearne l’attuale portata dispositiva e conformativa. Qui invero si va oltre quei termini, perché si tratta di questione diversa per quanto attinente la medesima vicenda. Allo stato attuale, dunque, si tratta di temi che devono avere soluzione nella stretta sede dell’esecuzione del decisum.
4.2. Fermo, dunque, che la c.d. ottemperanza di chiarimenti costituisce non un’azione o una domanda in senso tecnico, ma un mero incidente sulle modalità di esecuzione del giudicato, utilizzabile in una situazione di incertezza che impedisce la sollecita esecuzione del titolo esecutivo – con gli ulteriori corollari per cui essa non può trasformarsi in un’azione di accertamento della legittimità o liceità della futura azione amministrativa (così Cons. Stato, IV, 4 marzo 2016, n. 888), né in un impugnazione dissimulata che possa portare ad alterare il contenuto della decisione (la quale non può più venire riformata né integrata dal giudice dell’ottemperanza ove la pretesa avanzata sia de plano ricavabile dal tenore testuale della sentenza da eseguire), si può dunque procedere all’esame dei quesiti formulati dal Comune ricorrente.
In questi termini, ciò su cui il giudice (dell’ottemperanza) ha giurisdizione è soltanto quanto attiene all’esecuzione del giudicato. Nella specie, il perimetro dei richiesti chiarimenti è circoscritto dalla ricordata statuizione, contenuta nella sentenza di questa V Sezione, per cui “l’annullamento degli impugnati provvedimenti inibitori, [viene disposto facendo] salvo il potere dell’Amministrazione di riesaminare le istanze alla stregua della disciplina previgente, ai sensi di quanto disposto dall’art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 28 del 2011”.
Altrimenti detto, i chiarimenti che questo giudice dell’ottemperanza può rendere riguardano soltanto la disciplina previgente, ai sensi di quanto disposto dall’art. 6 (Procedura abilitativa semplificata e comunicazione per gli impianti alimentati da energia rinnovabile), comma 10, d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), a tenore del quale “I procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo [29 marzo 2011] sono regolati dalla previgente disciplina, ferma restando per il proponente la possibilità di optare per la procedura semplificata di cui al presente articolo”.
La disposizione deroga al principio tempus regit actus, conferendo un’eccezionale ultrattività alla disciplina previgente le innovazioni introdotte a far data dal 29 marzo 2011. Tuttavia, in parziale ed eventuale deroga, conferisce al proponente la facoltà di optare – se evidentemente da lui stimata più conveniente – per la procedura semplificata innovativamente introdotta dal medesimo art. 6. Si tratta di un’opzione non sindacabile dall’Amministrazione, con cui l’interessato, mediante comunicazione da evidentemente rendere in vista o dopo del 29 marzo 2011 e irretrattabilmente (per fondamentali ragioni di sicurezza giuridica e affidamento dell’Amministrazione), in modo per così dire potestativo sceglie se seguire le norme previgenti oppure le nuove appena introdotte. Inutile dire – se mai occorra – che le eventuali, ulteriori e successive innovazioni legislative a queste a loro volta prevarranno su quest’opzione.
Tutto questo può qui avere concreto rilievo nei termini in cui l’Amministrazione – ove ne sussistano i presupposti: il che non può qui essere valutato, a causa delle esposte regioni; ma vedi ultra – reputi “pendente” il procedimento, interrotto con i ricordati atti (dichiarati in giustizia illegittimi) del 1 ottobre 2010.
5. Ciò in disparte, va considerato che a fronte di tale quadro, il Comune evidenzia un primo profilo di incertezza sulle modalità di esecuzione del giudicato e chiede di chiarire se le istanze della società debbano seguire l’iter dell’art. 12, commi 3 e 4, per il rilascio dell’autorizzazione unica, secondo il modulo della conferenza di servizi e con conseguente competenza a riguardo della Regione, o quello della denuncia di inizio attività (d.i.a.) prevista dallo stesso articolo 12, comma 5.
5.1. Il Comune afferma di non poter procedere secondo il modulo della d.i.a.: sebbene quell’iter sia stato indicato dalla sentenza quale “soluzione preferibile” [sul presupposto che la disciplina applicabile (artt. 12, comma 5, d.lgs. n. 387 del 2003, e 1, commi 85 e 86, l. n. 239 del 2004) prevede l’assoggettamento a norme autorizzative semplificate per gli impianti di limitata e piccola capacità di generazione (non superiori cioè a 1 MW)], le istanze a ben vedere riguardano un impianto di potenza pari ad 1 MW: quindi un impianto superiore alle soglie individuate dalla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003 perché se si ha riguardo alla specifica fonte, che qui è l’eolico, la soglia definita dalla stessa tabella A risulta pari a 60 kW.
6. In relazione al quesito così formulato dal Comune ricorrente, la Sezione chiarisce quanto segue.
6.1. In primo luogo va evidenziato che la sentenza ha riformato la decisione di primo grado per avere questa senz’altro ritenuto “assorbente l’intervenuta declaratoria di incostituzionalità ” [di cui, rispettivamente, alle sentenze della Corte costituzionale 26 marzo 2010, n. 119 e 22 dicembre 2010, n. 366) degli artt. 3 l.r. Puglia n. 31 del 2008 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale) e 27 l.r. Puglia n. 1 del 2008 (Disposizioni integrative e modifiche della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 – Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia)] per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.: mentre a quel punto avrebbe dovuto, pur su quella base, interpretare l’istanza/Dia della ditta appellante “riconducendo […] la fattispecie concreta nella pertinente fattispecie astratta”.
6.2. In altri termini, per la sentenza ottemperanda la decisione di primo grado appellata erroneamente si era fermata nel rilevare che la dichiarazione di illegittimità costituzionale tutto travolgeva, quando invece lo stesso primo giudice avrebbe dovuto verificare se l’istanza era comunque utilmente presentata ai sensi della residua normativa. In questa prospettiva, il dato che “l’impianto […] non poteva e non può realizzarsi a mezzo di mera dichiarazione di inizio attività ” a causa dell’espunzione dall’ordinamento, da sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità, delle più favorevoli previsioni della normativa regionale, la cui applicazione era stata richiesta dalla ditta appellante, non rendeva l’istanza senz’altro inefficace.
6.3. Quelle previsioni regionali, allargando i presupposti di semplificazione procedurale per la realizzazione di impianti eolici dalla ridotta capacità di generazione e ampliando le aree di competenze dei Comuni, consentivano la realizzazione mediante mera DIA – seppure con le modalità di cui agli artt. 22 e 23 del d.P.R. n. 380 del 2001 – anche degli impianti con capacità di generazione tra 60 kW e 1 MW: e così avevano innalzato fino ad 1 MW la soglia massima di potenza prevista dalla disciplina statale per la produzione di energia eolica mediante regime semplificato.
6.4. Tuttavia, rilevava in sostanza il Consiglio di Stato, la sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità della disciplina regionale non privava radicalmente di “base legale” le istanze di DIA presentate dalla ditta (oggetto del provvedimento inibitorio impugnato in prime cure), perché queste potevano comunque poggiare sulla normativa nazionale derogatoria, anch’essa contemplante la d.i.a..
La sentenza ottemperanda ha ritenuto insomma che le istanze presentate alla Regione Puglia, alla Provincia di Foggia ed al Comune, a prescindere dalla declaratoria di incostituzionalità della favorevole disciplina regionale, configurano comunque istanze che sono per ottenere l’autorizzazione unica secondo la procedura di cui al combinato disposto dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e dell’articolo 1, commi 85 e 86, della legge n. 239 del 2004, ovvero da considerare come dichiarazioni di inizio di attività ai sensi dell’art. 12, comma 5, cit.: e che comunque, come tali, andavano esaminate dalle competenti amministrazioni (“alla stregua della disciplina previgente, ai sensi di quanto disposto dall’art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 28 del 2011”): restava dunque da vagliare se l’istanza dovesse ormai seguire l’iter della conferenza di servizi, ovvero quello semplificato della DIA (anche se- seppure incidentalmente – si indicava nella seconda la “soluzione preferibile”: ciò sull’assunto che per gli impianti di piccola generazione, non superiori cioè ad 1 MW, è prescritto dalla norma statale l’assoggettamento a norme autorizzative semplificate).
6.5. Il giudizio di cognizione non ha, dunque, accertato se vi era un superamento delle soglie ai fini dell’applicabilità del regime semplificato della denuncia di inizio attività dell’art. 12, comma 5: né a tale proposito, rileva la distinzione, pure tracciata in sentenza, tra parco eolico (qui non ricorrente secondo il giudicato) ed impianto eolico, discendendo l’applicazione dell’uno o dell’altro regime abilitativo dalla concreta ed effettiva capacità di generazione in rapporto alle soglie per la produzione di energia, prefissate con riferimento alla specifica fonte.
6.6. Così in sintesi delineato il thema decisum di quel giudizio e dunque della sentenza ottemperanda, i limiti alla giurisdizione sopra ripetutamente evocati impongono a questo giudice dell’ottemperanza di contenere la risposta ai domandati chiarimenti nel senso che si deve ritenere che il concreto giudicato e il suo effetto conformativo non determinano un vincolo per l’Amministrazione ricorrente sulla scelta dell’iter procedurale che quelle istanze, cui era stato opposto il contestato (e poi annullato) provvedimento inibitorio, dovevano seguire.
6.7. Quanto poi al secondo quesito formulato dall’Amministrazione, sulla necessità di invitare la società ad integrare la documentazione mancante nel rispetto delle condizioni di ammissibilità stabilite dalla normativa: si tratta di profilo da valutare alla luce del regime cui vanno assoggettate la costruzione e la gestione dell’impianto progettato dalla ditta.
6.8. Per compiutezza, è da precisare che comunque l’incompletezza della documentazione ha formato oggetto del giudicato al fine di accertare che il rapporto non si era ancora esaurito, non essendo state assunte le determinazioni finali sull’istanza da parte dell’Amministrazione (venendo quindi in rilievo poteri autoritativi non ancora esercitati); nessun titolo abilitativo alla costruzione e all’esercizio dell’impianto in argomento si era invero perfezionato all’epoca (prima della declaratoria di incostituzionalità della normativa regionale di maggior favore in deroga, quanto ai limiti di capacità produttiva degli impianti, all’ordinario regime dell’autorizzazione unica).
6.9. Non ha, invece, formato oggetto di accertamento né è specificato dalla sentenza di appello l’esatto contenuto della documentazione mancante (e necessaria) ai fini del soddisfacimento delle condizioni di ammissibilità dell’istanza sulla base della normativa di settore: detti aspetti dovranno essere oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione competente, in base al regime di cui è stata chiarita l’applicazione alla fattispecie.
7. Infine, si deve osservare che neppure è oggetto del giudicato l’ulteriore profilo attinente al possibile effetto c.d. “selva” della localizzazione delle dieci pale eoliche, che potrebbe derivare dalla loro reciproca vicinanza, e che, ad avviso del Comune potrebbe, comunque, rendere necessaria la convocazione della conferenza dei servizi ai fini della specifica valutazione anche di tale aspetto.
7.1. A tale riguardo, il Collegio rileva che si tratta di questione non dedotta in giudizio: la sentenza da ottemperare ha solo statuito che non era riscontrabile in concreto un’elusione della disciplina ad opera delle istanze presentate (rispetto alle quali il Comune poneva in evidenza che, nonostante la parcellizzazione delle domande, erano volte a perseguire l’obiettivo della creazione di sette parchi eolici in un ristretto ambito territoriale), in quanto non era configurabile, alla luce delle modalità di funzionamento progettate, un parco eolico.
7.2. In ogni caso, è opportuno osservare che ogni profilo di incertezza al riguardo appare superato e assorbito da quanto chiarito sul regime autorizzatorio cui, in concreto, sono soggetti realizzazione ed esercizio dell’impianto e che anche tale questione (in relazione alla quale l’amministrazione non ha vincoli conformativi da giudicato) potrà, se del caso, essere esaminata nella debita sede.
9. In conclusione, si forniscono i chiarimenti richiesti dal Comune ricorrente, nei sensi e termini di cui in motivazione.
10. Sussistono giusti motivi, in considerazione della particolarità e complessità delle questioni trattate, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, fornisce i chiarimenti richiesti dal Comune ricorrente nei sensi e termini di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere, Estensore
Stefano Fantini – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *