Richiesta di autorizzazione da parte del terzo in caso di nuovo ulteriore credito al debitore

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 marzo 2024| n. 6685

Richiesta di autorizzazione da parte del terzo in caso di nuovo ulteriore credito al debitore

Il fideiussore, il quale intenda far valere l’esclusione della propria responsabilità, ai sensi dell’articolo 1956 del codice civile, deve provare la sussistenza delle condizioni ivi indicate, cioè, deve dimostrare che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore abbia fatto credito al terzo, senza la sua autorizzazione, pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche; l’onere di richiedere quell’autorizzazione non sussista se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune o può presumersi tale.

La nullità delle clausole del contratto di fideiussione contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a), della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, si estende all’intero contratto solo nel caso di interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, con la conseguenza che è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità, essendo onere della parte che ha interesse alla totale caducazione provare tale interdipendenza. (In applicazione del principio la S.C. ha rigettato il ricorso con cui era dedotta la violazione dell’art. 1421 c.c. per l’omesso rilievo d’ufficio della nullità integrale del contratto derivante dalla pattuizione di clausole di deroga all’art. 1957 c.c. e di “reviviscenza” e di “sopravvivenza”, riproduttive di quelle di cui ai nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI del 2003).

Ordinanza|13 marzo 2024| n. 6685. Richiesta di autorizzazione da parte del terzo in caso di nuovo ulteriore credito al debitore

Data udienza 23 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Fideiussione – Clausole di natura anticoncorrenziale – Nullità parziale limitata a tali clausole – Salvaguardia del resto del contratto – Liberazione del debitore solo sei si prova un fatto dello stesso rilevante ai sensi dell’art. 1955 c.c. da cui sia derivato un pregiudizio giuridico – Rigetto del ricorso

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente

Dott. TASSONE Stefania – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20527/2020 R.G. proposto da:

Na.Ma., elettivamente domiciliato in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato LE. PA. GR. (Omissis) che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(…), elettivamente domiciliata in ROMA, (…), presso lo studio dell’avvocato CO. GR. (Omissis) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati AU. AZ. (Omissis) e NA. MA. (Omissis);

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA m. 201/2020 depositata il 17/02/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2024 dal Consigliere MARILENA GORGONI.

Richiesta di autorizzazione da parte del terzo in caso di nuovo ulteriore credito al debitore

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito della risoluzione di diritto del contratto di leasing intercorso tra la società (…) Spa la (…) Srl per inadempimento di quest’ultima e perdurando il mancato pagamento dell’importo di euro 146.325,09, a Na.Ma., quale fideiussore, insieme con Giuseppe Panaro, della società (…), veniva ingiunto con il decreto n. 10088/11 il pagamento, a favore della (…), del suddetto importo.

Il Tribunale di Brescia, con la sentenza n. 1380/2015, all’esito del giudizio di opposizione promosso da Na.Ma., rigettava l’opposizione.

La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 201/2020, depositata il 17/02/2020, ha rigettato l’appello proposto da Na.Ma. e ha confermato la sentenza di prime cure.

Na.Ma. affidandosi a sette motivi ricorre per la cassazione di detta pronuncia.

Resiste con controricorso la (…) Spa

La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod. proc. civ.

Il ricorrente ha depositato memoria.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., vengono denunciate la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1421 cod. civ.

Al giudice a quo si imputa – dopo aver precisato di non avere eccepito detta nullità in precedenza (Cass. 12259/2019)- di non avere rilevato d’ufficio la nullità della fideiussione (dell’intera fideiussione: cfr. p. 8 del ricorso), attesa la pattuizione di clausole di deroga all’art. 1957 cod. civ. e di sopravvivenza, interamente riproduttive degli schemi contrattuali uniformi ABI, censurabili per il fatto di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inadempimento degli obblighi di diligenza della creditrice ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi di essa, vietate dalla normativa antitrust.

2) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1955 cod. civ., in relazione agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ.

Secondo il ricorrente la sentenza gravata avrebbe dovuto considerare colposa la condotta tenuta dalla società di leasing che non si era avvalsa della facoltà di risolvere di diritto il contratto, nonostante i plurimi inadempimenti della società (…), né le aveva comminato la decadenza del beneficio del termine, lucrando interessi corrispettivi e moratori “a sacrificio del regresso del fideiussore, con conseguente estinzione della garanzia ai sensi dell’art. 1955 cod. civ., in quanto posta in violazione dei canoni di prudenza e diligenza, nonché di correttezza e buona fede”.

Invece, la Corte d’appello si è limitata ad affermare che l’estinzione della fideiussione ai sensi dell’art. 1955 cod. civ. necessita di una condotta antigiuridica da parte del creditore e di un effettivo pregiudizio che nel caso facevano difetto, non potendo considerarsi illecita la mera inazione, consistente nel caso di specie nella mancata attivazione della clausola risolutiva espressa.

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Tale statuizione si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte – Cass. n. 32478/2019 – che in fattispecie analoghe ha considerato un grave inadempimento dei doveri di correttezza e buona fede da parte della società garantita l’aver liquidato alla società debitrice un notevole importo, pur avendone constatato l’inadempimento, pretendendo di riversare su altri (il fideiussore), un pregiudizio che avrebbe potuto facilmente evitare.

3) Con il terzo motivo il ricorrente adduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132, 115 e 116 cod. proc. civ. nonché dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi “iudex iuxta alligata et probata iudicare debet”, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ.

Per il ricorrente la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare le risultanze e le allegazioni della propria prospettazione difensiva, dalle quali emergeva l’esistenza del pregiudizio all’esercizio del diritto di regresso e/o al diritto di surrogazione nei diritti della creditrice per il recupero dell’importo di euro 92.443,12 che le aveva corrisposto.

4) Con il quarto motivo si imputa al giudice a quo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod. proc. civ.

Per il ricorrente la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con cui aveva lamentato che il Tribunale si fosse pronunciato ultrapetita, quando aveva affermando che non poteva eccepire l’estinzione della fideiussione ex art. 1955 cod. civ., avendo rinunciato alla facoltà di opporre eccezioni, atteso che la società (…) si era limitata a rilevare, quanto all’eccezione di cui all’ art.1955 cod. civ., che non esisteva un diritto soggettivo dell’utilizzatore a vedersi risolto il contratto, con la conseguenza che l’omessa tempestiva risoluzione del contratto non poteva essere considerata l’omissione di un comportamento dovuto per legge o per contratto.

5) Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. nonché dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., e invoca la nullità della sentenza per mancanza e/o apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod. proc. civ.

Per il ricorrente la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto non invocabile l’eccezione di cui all’art. 1956 cod. civ., perché i canoni di locazione previsti nel contratto di locazione finanziaria, in quanto canoni periodici, relativi ad un contratto di locazione finanziaria stipulato contestualmente al sorgere della garanzia, non costituiscono “obbligazioni future”, riferendo, a tal fine di una decisione della Corte d’appello di Milano, non avrebbe reso una motivazione autosufficiente.

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6) Con il sesto motivo il ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1956 cod. civ. e denuncia un errore di sussunzione in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ.; la tesi del ricorrente è che le decisioni della Corte d’Appello di Milano evocate ed applicate dalla Corte territoriale, riferendosi al c.d. patto di riacquisto contenuto nel contratto di leasing, non fossero conferenti, perché si riferivano ad una garanzia atipica differente dalla fideiussione.

7) Con il settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1956 cod. civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice a quo affermato che non era stata adeguatamente supportata la dedotta violazione dei principi di correttezza e di buona fede da parte della società concedente, non avendo chiarito adeguatamente i rapporti tra creditore e terzo garantito e tra creditore e garantito, oltre ad avere tardivamente formulato la eccezione di violazione dei principi di buona fede e di correttezza, senza tener conto che l’art. 1956 cod. civ. costituisce applicazione della clausola generale di buona fede e correttezza e sanziona il comportamento del creditore che conceda nuovo credito al debitore garantito, senza una specifica autorizzazione del fideiussore, nonostante le aumentate difficoltà di soddisfacimento del credito concesso.

L’impugnata sentenza ha basato il rigetto del motivo con cui il ricorrente invocava l’applicazione dell’art. 1956 cod. civ. su una ragione di rito, la tardività dell’eccezione, e su ragioni di merito, la insussistenza di un’obbligazione futura, la mancata prova anche per presunzioni delle condizioni economiche della società garantita.

Il ricorrente osserva che la società di leasing, nonostante il perdurante inadempimento della società utilizzatrice, indice sicuro delle sue difficoltà economiche, non aveva chiesto la risoluzione del contratto né autorizzazione ai fideiussori a differire una iniziativa in tal senso, così aggravando la loro posizione per il crescere della esposizione debitoria della conduttrice e determinando una situazione riconducibile all’ambito di applicazione dell’art. 1956 cod. civ. ., giacché era da intendersi sussistente un’obbligazione futura; tale dovendosi considerare sia quella inerente ad un rapporto già sorto, ma che avrà modo di venire a scadenza dopo che la fideiussione è prestata, sia quella inerente ad un rapporto contemplato dalle parti e che sorgerà se il rapporto verrà in essere; contesta di non avere provato la sussistenza dei presupposti per invocare l’applicazione dell’art. 1956 cod. civ. e/o di aver invocato tardivamente la sua applicazione, costituendo detta norma una applicazione del principio di buona fede e di correttezza nell’esecuzione del contratto.

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8) Il primo motivo è infondato.

Va premesso che le clausole censurate sono state riconosciute dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato in contrasto con la L. n. 287 del 1990 e che la decisione delle Sezioni Unite n. 41994 del 30/12/2021, chiamata ad esprimersi sul se ammettere la tutela reale a fianco di quella risarcitoria con riferimento alle fideiussioni che riproducono le clausole di natura anticoncorrenziale, ha ritenuto, “una volta esclusa la idoneità della sola tutela risarcitoria, disgiunta dalla tutela reale, a garantire la realizzazione delle finalità perseguite dalla normativa antitrust,…che la forma di tutela più adeguata allo scopo…, sia la nullità parziale, limitata – appunto – a tali clausole”, tenuto conto che la nullità parziale è idonea a salvaguardare il… principio generale di “conservazione” del negozio. Ed invero, avuto riguardo alla posizione del garante, la riproduzione nelle fideiussioni delle clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI ha certamente prodotto l’effetto di rendere la disciplina più gravosa per il medesimo, imponendogli maggiori obblighi senza riconoscergli alcun corrispondente diritto; sicché la loro eliminazione ne alleggerirebbe la posizione. D’altro canto, però,… l’imprenditore bancario ha interesse al mantenimento della garanzia, anche espunte le suddette clausole a lui favorevoli, atteso che l’alternativa sarebbe quella dell’assenza completa della fideiussione, con minore garanzia dei propri crediti”, salvo che dimostri che non avrebbe concluso il contratto “senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità, secondo quanto prevede – in piena conformità con le affermazioni della giurisprudenza Europea, riferite alla normativa comunitaria – il diritto nazionale (art. 1419 cod. civ., comma 1). E sempre che di tale essenzialità la parte interessata all’estensione della nullità fornisca adeguata dimostrazione”.

Ebbene, nel caso di specie è evidente che non può predicarsi la nullità della clausola di deroga all’art. 1957 cod. civ. e di quella di reviviscenza.

Infatti, la sanzione adeguata a realizzare la finalità di cui alla L. n. 287 del 1990 è stata individuata, come si è detto, nella nullità parziale che consente di assicurare anche il rispetto degli altri interessi coinvolti nella vicenda, segnatamente quello degli istituti di credito a mantenere in vita la garanzia fideiussoria, espunte le clausole contrattuali illecite; detta nullità parziale è idonea a salvaguardare il menzionato principio generale di “conservazione del negozio” (Cass., Sez. Un., n. 4199/2021, pag. 30); “la regola dell’art. 1419 cod. civ., comma 1,. enuncia il concetto di nullità parziale ed esprime il generale favore dell’ordinamento per la “conservazione”, in quanto possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale; ne consegue il carattere eccezionale dell’estensione della nullità che colpisce la parte o la clausola all’intero contratto, con la conseguenza che -non solo – è a carico di chi ha interesse a far cadere in toto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre resta precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto (Cass., Sez. Un., n. 3199/2021, pag. 30-31); però, come la stessa pronuncia ha anche evidenziato, quale corollario sul piano processuale di tale principio, “il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale” e gli è precluso “rilevare la nullità della clausola di reviviscenza senza che l’invocazione di tale nullità sia supportata dalla allegazione e dimostrazione, con onere a carico della parte stessa, dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla” (in termini, cfr. Cass. 30/05/2023, n. 15146).

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Tanto basta secondo la giurisprudenza di questa Corte per disattendere il motivo (cfr., da ultimo, Cass. 29/12/2023, n.36513; Cass. 18/12/2023, n.35364; Cass. 11/07/2023, n. 19714).

9) I restanti motivi, sia pure da prospettive molto diverse, denunciano l’assunzione da parte della società di leasing di un comportamento scorretto e la ricorrenza dei presupposti per la liberazione del fideiussore, ai sensi degli artt. 1955 e 1956 cod. civ.;

secondo il Collegio, anche se si riconoscesse la scorrettezza del comportamento della concedente, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, fanno difetto i presupposti per ritenere estinta la garanzia fideiussoria, tanto ai sensi dell’art. 1955 cod. civ. quanto ai sensi dell’art. 1956 cod. civ., per le ragioni di seguito illustrate.

Può bene ammettersi che il giudice a quo non abbia ben colto la sostanza delle doglianze dell’appellante che complessivamente considerate – cioè tenendo conto anche della denunciata violazione tanto dell’art. 1955 cod. civ. quanto dell’art. 1956 cod. civ. – si rivolgevano al fatto che la società utilizzatrice avesse in concreto gestito il rapporto obbligatorio – il contratto di leasing – instaurato con la società utilizzatrice e coperto dalla garanzia fideiussoria, facendone derivare un ingiustificato pregiudizio per il garante.

Il comportamento rimproverato alla società di leasing è quello, appunto, di aver gestito il contratto di leasing senza preoccuparsi, in dispregio del principio di buona fede e correttezza, di non ledere l’interesse del fideiussore.

Sotto questo profilo le censure del ricorrente sarebbero fondate: è vero che Cass. 18/02/2022, n. 5423 che ritiene che l’obbligazione futura è solo quella i cui elementi costitutivi si verificano integralmente in futuro, cioè quella che al momento della prestazione della garanzia non veda già esistente alcuno dei suoi fatti costitutivi e che non ha alcun rapporto di derivazione da eventi che originino dallo svolgimento delle obbligazioni del debitore esistenti al momento dell’assunzione della garanzia da parte del garante, escludendo che tale possa considerarsi quella che sorge al momento della stipula del contratto garantito, anche se è sottoposta a termine per quanto riguarda i canoni da pagare alle singole scadenze, ma l’indirizzo prevalente è opposto.

Infatti, evocando il principio di buona fede e di correttezza Cass. 02/03/2005, n. 4458 ha cassato la decisione di appello che non aveva considerato che, ai fini dell’art. 1956 cod. civ., far credito non è solo mettere la controparte nella possibilità di disporre di somme di denaro da restituire, ma anche lasciare che un rapporto a prestazioni corrispettive si svolga in modo che la controparte continui a ricevere la prestazione a suo favore, senza dal canto suo eseguire la propria.

Detto principio è stato più volte applicato: cfr., ad esempio, Cass. 13/02/2009, n. 3525 che, rispetto ad un’obbligazione di pagamento del canone di locazione, che matura dopo la conclusione del contratto e la concessa fideiussione con cadenza mensile, una volta che si determina la morosità e che alla morosità il locatore può reagire chiedendo la risoluzione del contratto, ha ritenuto giustificata l’applicazione dell’art. 1956 cod. civ., nel senso di imporre al locatore di riferire al garante della morosità del conduttore, si da farsi autorizzare ad attendere il pagamento e così sostanzialmente a fare credito al conduttore con la garanzia del fideiussore.

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Del pari, evocando il principio di correttezza e di buona fede, è stato ritenuto scorretto il comportamento di una banca che, anziché sospendere l’esecuzione della propria prestazione, una volta venuta a conoscenza del peggioramento delle condizioni patrimoniali della controparte, aveva continuato ad aprire nuove linee di credito ad un debitore a rischio di insolvenza, scaricandone il rischio sul fideiussore, e non si era avvalsa, ricorrendone gli estremi, degli strumenti di tutela a sua disposizione che un comportamento improntato a buona fede gli avrebbe imposto di utilizzare per evitare un incremento dell’esposizione debitoria di cui il fideiussore ignaro ed incolpevole aveva finito per sopportare il rischio: così Cass. 22/10/2010, n. 21730.

Sempre Cass. n. 21730/2010 ha affermato che, pur essendo una facoltà per il creditore – in particolare una forma di autotutela -quella di avvalersi dell’art. 1461 cod. civ., essa si trasforma per il medesimo in un comportamento dovuto, quando vi sia stata la prestazione da parte del fideiussore di garanzia per debiti futuri del terzo, trattandosi in questo caso di tutelare anche e soprattutto il garante, nel quadro del principio di buona fede e del connesso dovere di tutela dell’altro contraente”; premurai siccome la questione era stata dedotta come violazione dell’art. 1956 cod. civ. – che obbligazione futura è tanto quella inerente ad un rapporto già sorto, ma che avrà modo di venire a scadenza dopo che la fideiussione è prestata, quanto quella inerente ad un rapporto contemplato dalle parti e che sorgerà se il rapporto verrà, ribadendo che il “far credito”, ai fini della norma citata, è stato inteso non solo come il mettere la controparte nella possibilità di disporre di somme di denaro da restituire, ma, ad esempio, anche il lasciare che un rapporto a prestazioni corrispettive si svolga in modo che la controparte continui a ricevere la prestazione a suo favore.

9.1) Nondimeno, anche ammettendo la non correttezza del comportamento della società concedente, essa da sola non porta alla liberazione del fideiussore.

Pur sussistendo il fatto del debitore, rilevante ai sensi dell’art. 1955 cod. civ., la liberazione del debitore richiede la prova che da esso sia derivato un pregiudizio giuridico, non solo economico, che deve concretizzarsi nella perdita del diritto (di surrogazione, ex art. 1949 cod. civ., o di regresso, ex art. 1950 cod. civ.) e non già nella mera maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore”(Cass. 19/02/2020, n. 4175; cui adde, senza pretesa di esaustività, Cass. 05/12/2008, n. 28838; Cass. 20/09/2017, n. 21833; Cass.16/06/2003, n. 9634).

9.2) Detta prova la Corte d’appello ha ritenuto che abbia fatto difetto e il motivo (il terzo) con cui è stata censurata detta statuizione è infondato.

Il vizio di motivazione ivi dedotto, per giustificare la cassazione della statuizione impugnata, deve emergere da essa in sé e per sé considerata e non deve essere argomentata confrontando la statuizione del giudice del merito con elementi estrinseci (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, nn. 8053 e 8054 e successiva conforme).

9.3) Né ricorrono i presupposti che la giurisprudenza ha individuato per dedurre la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.

Richiesta di autorizzazione da parte del terzo in caso di nuovo ulteriore credito al debitore

Secondo quanto ripetutamente chiarito da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115, 1° comma, cod. proc. civ., (a tenore del quale “… il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero…”), è predicabile (solo) allorquando il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma; “il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 cod. proc. civ.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”” (principio affermato da Cass. 10/06/2016, n. 11892 e successivamente avallato anche da Cass., Sez. Un., 05/08/2016, n. 16598, non massimata, in motivazione).

9.4) Neppure può pervenirsi all’estinzione dell’obbligazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 cod. civ., perché la Corte d’appello ha ritenuto indimostrati i presupposti per invocare l’applicazione di detta disposizione: a p. 11 della sentenza si legge che gli atti non risultava alcunché che potesse illuminare sui rapporti tra creditore e terzo garantito e tra terzo garantito e garante.

Richiesta di autorizzazione da parte del terzo in caso di nuovo ulteriore credito al debitore

Ora, in merito è opportuno ricordare che il fideiussore, il quale intenda far valere l’esclusione della propria responsabilità, ai sensi dell’art. 1956 cod. civ.,. deve provare la sussistenza delle condizioni ivi indicate, cioè, deve dimostrare che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore abbia fatto credito al terzo, senza la sua autorizzazione, pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche ed è altrettanto opportuno ricordare che è stato anche ribadito come l’onere di richiedere quell’autorizzazione non sussista se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune o può presumersi tale: cfr., di recente, Cass. 17/07/2023, n. 20713 che ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso l’effetto liberatorio ex art. 1956 cod. civ. in ragione del fatto che dei tre fideiussori ricorrenti uno era socio della società garantita e un altro ne era stato, in precedenza, amministratore.

La Corte territoriale proprio a questo ha alluso, ritenendo non ben dimostrati i rapporti tra creditore e debitore principale e tra debitore principale e fideiussore; soprattutto allorché si consideri che nel controricorso si fa proprio riferimento al fatto che l’odierno ricorrente fosse socio della società garantita e quindi poteva presumersi che conoscesse la situazione economica di essa e che fosse tutt’altro che all’oscuro del peggioramento delle sue condizioni economiche.

9.5) Detta statuizione resiste alle censure da cui è stata attinta con il settimo motivo di ricorso.

È sufficiente rilevare che erroneamente, cfr. p. 60, il ricorrente ritiene che gravi sul creditore dimostrare di avere esattamente adempiuto all’obbligo di non concedere, in una situazione di obiettivo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore ,nuovo credito; al contrario, l’onere di provare i presupposti dell’effetto liberatorio invocato era a carico del ricorrente (cfr. Cass. Cass. 24/11/2002, n. 34685, secondo la quale nella fideiussione per obbligazione futura, il garante che chieda la liberazione della garanzia invocando l’art. 1956 cod. civ., ha l’onere di provare che successivamente alla prestazione della garanzia in parola, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole di un peggioramento delle sue condizioni economiche in misura tale da ingenerare il fondato timore che questi potesse divenire insolvente, il che non è ravvisabile nella mera circostanza di un saldo negativo dei conti correnti del garantito).

Richiesta di autorizzazione da parte del terzo in caso di nuovo ulteriore credito al debitore

9.6) Il rigetto del terzo e del settimo motivo di ricorso rendono privo di interesse lo scrutinio dei restanti motivi che sono inammissibili per difetto di interesse.

È pacifico presso la giurisprudenza di questa Corte l’assunto secondo cui ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario -per giungere all’annullamento della pronunzia – non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione; questa, infatti, è intesa all’annullamento della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano; è sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perché il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (in tale senso, ad esempio, cfr. Cass. 11493).

Richiesta di autorizzazione da parte del terzo in caso di nuovo ulteriore credito al debitore

10) Per le ragioni esposte, il ricorso va rigettato.

11) Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 23 gennaio 2024.

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