Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 5 agosto 2019, n. 5518.
La massima estrapolata:
La realizzazione di un soppalco integra un intervento la cui consistenza deve essere apprezzata caso per caso, nel senso che soltanto se idoneo a generare un maggiore carico urbanistico esso sarà riconducibile all’ambito della ristrutturazione edilizia, mentre laddove sia tale da dare vita a una superficie accessoria, non utilizzabile per il soggiorno delle persone, ben potrà trattarsi di un intervento minore.
Sentenza 5 agosto 2019, n. 5518
Data udienza 11 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4543 del 2008, proposto dal Signor
Sc. Gi., rappresentato e difeso dall’avvocato Ca. Sa. e dall’avvocato Em. D’A., con domicilio eletto presso lo studio Ca. Sa. in Roma, piazza (…);
contro
Comune di Napoli (NA) in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Fa. Ma. Fe. e Ba. Ac. Ch. D’O., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Ma. Gr. Associati in Roma, corso (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 03560/2007, resa tra le parti, concernente demolizione di opere abusive
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli in persona del Legale Rapp.Te pro tempore;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2019 il Consigliere Fulvio Rocco e udito per la parte appellata l’avvocato Ga. Pa. su delega dell’avvocto Ba. Ac. Ch. d’O.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1.L’attuale appellante, dott. Gi. Sc., espone di essere proprietario di un’unità immobiliare ubicata al secondo piano del fabbricato ubicato a Napoli in Piazza (omissis)., scala unica, interno (omissis), corrispondente in Catasto alla Sezione Avvocata, Foglio n. (omissis), mappale (omissis), partita n. (omissis), subalterno (omissis).
In data 10 novembre 1998 lo Sc. ha presentato al Comune di Napoli, à sensi dell’art. 2, comma 60, della l. 23 dicembre 1996, n. 662 una denuncia d’inizio di attività avente ad oggetto la realizzazione di alcune opere, ivi descritte come “demolizione e ricostruzione di alcuni tramezzi, rifacimento di intonaci, risistemazione del mezzanino esistente adibito a ripostiglio, modifiche ed integrazione degli impianti elettrico, termico ed idrico, riattintatura delle pareti e dei soffitti, sostituzione dei pavimenti e dei rivestimenti, posa in opera di controsoffitti e di altre opere di finitura interna” (cfr. relazione tecnica dell’arch. Ma. El. Pa. allegata alla denuncia d’inizio di attività, doc. 3 di parte ricorrente nel fascicolo processuale di primo grado).
La difesa dello Sc. riferisce, quindi, che “durante l’esecuzione dei lavori venivano realizzati due modesti soppalchi adibiti a deposito (ripostiglio) che non erano stati indicati nella denuncia d’inizio di attività, ove si era fatto riferimento solo alla risistemazione di un soppalco (mezzanino) già esistente, adibito anch’esso a ripostiglio” (cfr. pag. 2 dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado).
A tale riguardo giova anche precisare che nella comunicazione di fine lavori dd. 29 gennaio 1999, indirizzata all’amministrazione comunale, l’arch. Pa. ha in effetti segnalato che “si è verificato la presenza di due aree soppalcate, non comunicanti tra loro, rispettivamente di 10 mq. E 12 mq. Circa adibite a ripostiglio. I soppalchi rispettano le norme del Regolamento edilizio di Napoli – integrazione adottata dal Consiglio Comunale con delibera del 28 aprile 1998, art. 15 come quanto riscontrato dal sopralluogo dell’Unità operativa speciale antiabusivsmo – Servizio Polizia Municipale del Comune di Napoli avvenuto in data 22 gennaio 1999” (cfr. ibidem, doc. 5)
Peraltro, con ulteriore verbale di sopralluogo dd. 16 febbraio 1999 dalla Polizia Municipale di Napoli – Unità operativa Servizio attività amministrative antiabusvismo edilizio è stato quindi rilevato che lo Sciortino aveva realizzato nell’anzidetto alloggio di sua proprietà, senza il competente titolo edilizio, “tre soppalchi di mq. 10,00, 15,00 e 20,00, impostati a m. 2,30 dal calpestio e m. 1,98 dal soffitto, muniti di impianti idro-elettrici” (cfr. doc. 2-c di parte resistente nel procedimento di primo grado).
In dipendenza di tale ultimo accertamento, con ordinanza n. 1110/99 – Posizione dirigenziale n. 527 dd. 2 maggio 2000 il dirigente preposto all’anzidetto Servizio attività amministrative antiabusivismo edilizio, “viste le risultanze dell’istruttoria, riportate nella nota del Servizio edilizia privata pervenuta con Prot. n. 636 del 23 marzo 2000; visto il d.m. 5 luglio 1975 recante modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896, relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari dei locali di abitazione; visto l’art. 43, comma 2, lett. b), della l. 5 agosto 1978, n. 457, che prescrive altezze nette degli ambienti abitativi e dei vani accessori delle abitazioni non inferiori, rispettivamente, a m. 2,70 e m. 2,40; considerato che i vani così come realizzati mediante i soppalchi non sono conformi alle altezze minime stabilite dalla legge, sicchè i soppalchi stessi non erano in alcun modo eseguibili; visto l’art. 9 della l. 28 febbraio 1985, n. 47”, ha ingiunto allo Sc. “1) la demolizione delle opere eseguite entro 30 (trenta) giorni dalla data di notifica del presente atto avvertendo che, in mancanza, si provvederà d’ufficio, a spese del responsabile degli abusi.; 2) di comunicare nello stesso termine (30 giorni) l’avvenuta osservanza di quanto ordinato, mediante relazione giurata redatta da tecnico iscritto ad Albo Profesionale”.
1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 11032 del 2000 innanzi al T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, lo Sc. ha pertanto chiesto l’annullamento della surriportata ordinanza, nonché di ogni altro atto presupposto e conseguente, ivi segnatamente compreso l’anzidetto verbale di sopralluogo della Polizia Municipale dd. 16 febbraio 1999 e la parimenti dianzi citata nota del Servizio edilizia privata del Comune di Napoli Prot. n. 636 dd. 23 marzo 2000.
Il ricorrente in primo grado ha dedotto al riguardo i seguenti tre ordini di censure:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 60, della l. 662 del 1996, dell’art. 9 della l. 47 del 1985, dell’art. 31, comma 1, lett.b) della l. 457 del 1978 e del Regolamento edilizio del Comune di Napoli; eccesso di potere per erroneità dei presupposti e dell’istruttoria;
2) violazione e falsa applicazione della l. 47 del 1985, della l. 7 agosto 1990, n. 241 e della l. 15 maggio 1997, n. 127; violazione del giusto procedimento;
3) eccesso di potere per difetto di motivazione e sviamento.
1.3. In tale primo grado di giudizio si è costituito il Comune di Napoli, concludendo per la reiezione del ricorso.
1.4. Con ordinanza n. 5220 dd. 22 novembre 2000, emessa à sensi dell’allora vigente art. 21 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, la Sezione IV^ dell’adito T.A.R. ha accolto l’istanza di sospensione cautelare degli atti impugnati avanzata dalla parte ricorrente,
1.5. La medesima Sezione IV^ dell’adito T.A.R., con susseguente sentenza n. 3560 dd. 13 aprile 2007 ha peraltro respinto il ricorso, condannando la parte ricorrente alla rifusione in favore del Comune di Napoli delle spese e degli onorari del giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 1.000,00.- (mille/00).
2.1. Con l’appello in epigrafe lo Sc. chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo al riguardo i seguenti tre motivi d’appello, puntualmente riproduttivi delle censure che la medesima parte ha già dedotto nel primo grado di giudizio, ossia:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 60, della l. 662 del 1996, dell’art. 9 della l. 47 del 1985, dell’art. 31, comma 1, lett.b) della l. 457 del 1978 e del Regolamento edilizio del Comune di Napoli; eccesso di potere per erroneità dei presupposti e dell’istruttoria;
2) violazione e falsa applicazione della l. 47 del 1985, della l. 7 agosto 1990, n. 241 e della l. 127 del 1997; violazione del giusto procedimento;
3) eccesso di potere per difetto di motivazione e sviamento.
2.2. Anche nel presente grado di giudizio si è costituito il Comune di Napoli, concludendo per la reiezione dell’appello.
3. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.
4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.
4.2. Va innanzitutto chiarita la discrepanza tra quanto riferito dall’appellante, ossia che i lavori non contemplati dalla denuncia d’inizio di attività avrebbero comportato la realizzazione di due soppalchi, e quanto viceversa affermato negli atti impugnati, dove invece si dà contezza della sussistenza di tre soppalchi abusivi.
La spiegazione risiede nella circostanza che l’amministrazione comunale ha ricondotto ad opera abusiva anche un ulteriore soppalco preesistente alla dichiarazione d’inizio di attività, ma della cui esistenza il medesimo tecnico incaricato dal dott. Sc. ha dato contezza definendolo nella propria relazione illustrativa deli interventi come “mezzanino”.
Peraltro, a fronte della natura abusiva di tale opera così come contestata dall’amministrazione comunale nel corso del sopralluogo compiuto in data 16 febbraio 1999 e nella conseguente ordinanza di demolizione, l’appellante non è stato in grado di comprovare la legittimità della sua realizzazione, in ordine alla quale non è stato infatti prodotto il titolo edilizio con il quale ne sarebbe stata assentita la realizzazione.
E’ evidente, pertanto, che anche tale realità deve seguire la sorte degli altri due soppalchi descritti negli atti impugnati.
4.3 Dagli atti impugnati si ricava che i tre soppalchi si estendono, rispettivamente, per mq. 10,00, mq. 15,00 e mq. 20,00, e che gli stessi sono stati impostati a m. 2,30 dal calpestio e m. 1,98 dal soffitto.
A tale riguardo l’appellante si richiama alle prescrizioni contenute nell’art. 15, commi 1 e 2, del Regolamento edilizio del Comune di Napoli, che consentono la realizzazione di soppalchi in regime di manutenzione straordinaria con altezze inferiori a m. 2,40 tra l’estradosso dei soppalchi medesimi e l’intradosso della struttura orizzontale preesistente, purchè siano destinati a deposito.
Peraltro, a ragione ha denotato il primo giudice che i tre soppalchi complessivamente realizzati dall’appellante non sono per certo adibiti a deposito, bensì ad uso abitativo proprio in quanto dotati di impianti elettrici ed idraulici, come del resto ben documentato dal Comune di Napoli nella propria produzione fotografica presente nel fascicolo di primo grado
Risulta pertanto del tutto pertinente il richiamo nell’ordine di demolizione qui impugnato alla violazione dell’art. 43, comma 2, lett. b), della l. 5 agosto 1978, n. 457, laddove segnatamente impone altezze nette degli ambienti abitativi e dei vani accessori delle abitazioni non inferiori, rispettivamente, a m. 2,70 e m. 2,40: disposizione, questa, recepita anche nel DM 5 luglio 1975, come modificato dal D.M.9 giugno 1999, recante modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione, in forza del quale – per l’appunto – le altezze minime delle abitazioni devono essere non inferiori a metri 2,70 per gli ambienti abitativi e a metri 2,40 per i vani accessori.
4.4. Sempre con il primo motivo d’appello è stata pure dedotta la violazione degli allora vigenti art. 9 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 e dell’art. 4, comma 13, del d.l. 5 ottobre 1993, n. 398 convertito con modificazioni in l. 4 dicembre 1993, n. 493 e poi sostituito dall’art. 2, comma 60, della l. 23 dicembre 1996, n. 662, in quanto l’abuso sopradescritto avrebbe dovuto essere sanzionato mediante l’irrogazione di una sanzione pecuniaria e non già mediante l’imposizione della demolizione.
L’appellante reputa infatti che nella specie non sussisterebbe l’ipotesi di una ristrutturazione edilizia, bensì di opere eseguite in assenza o in difformità della denuncia d’inizio di attività, a quel tempo disciplinata dal comma 7 del medesimo art. 4.
Questo assunto non può essere condiviso.
La giurisprudenza è prevenuta alla conclusione che la realizzazione di un soppalco integra un intervento la cui consistenza deve essere apprezzata caso per caso, nel senso che soltanto se idoneo a generare un maggiore carico urbanistico esso sarà riconducibile all’ambito della ristrutturazione edilizia, mentre laddove sia tale da dare vita a una superficie accessoria, non utilizzabile per il soggiorno delle persone, ben potrà trattarsi di un intervento minore (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 985).
Invero la realizzazione di un singolo soppalco potrebbe – al caso – essere di per sé riguardata anche quale opera che limita il proprio effetto ad una diversa organizzazione degli spazi dell’unità immobiliare: e ove ciò fosse, si potrebbe forse concordare con l’assunto dell’appellante.
Ma non è per certo possibile concordare sulla sufficienza della denuncia d’inizio d’attività che si risolve – come per l’appunto nel caso di specie – nella realizzazione di ben tre soppalchi, tutti dotati di impianto idroelettrico e tutti inequivocabilmente destinati ad uso abitativo.
In tale frangente, ad avviso del Collegio, l’insieme delle opere considerate negli atti impugnati sostanzia, à sensi dell’allora vigente art. 31, lett. d), della l. 5 agosto 1978, n. 457 una vera e propria “ristrutturazione edilizia”, abbisognevole del rilascio di una concessione edilizia, stante il fatto che mediante le addizioni all’unità immobiliare di ben tre realità tutte dotate di impianto elettrico e idraulico è alquanto difficile negare che l'”organismo edilizio” non sia divenuto perlomeno “in parte diverso” rispetto alle condizioni precedenti all’esecuzione dei lavori (cfr. art. 31 cit.).
Ecco dunque perché la sanzione della demolizione, irrogata à sensi dell’art. 9 della l. 47 del 1985 e contemplata – per l’appunto – per le opere di ristrutturazione edilizia “eseguite in assenza di concessione o in totale difformità ” (cfr. ivi) risulta, nella specie, ineludibile nella sua applicazione e in alcun modo sostituibile con la sanzione pecuniaria di cui al predetto art. 4, comma 13, del d.l. 398 del 1993 e succ. modd. e intt., che attiene viceversa “in assenza della o in difformità dalla denuncia d’inizio di attività ” (cfr. ivi)
4.5. Va parimenti respinto l’ordine di motivi con i quali l’appellante deduce l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, à sensi dell’art. 7 e ss. della l. 241 del 1990, prima dell’emanazione dell’ordine di demolizione.
Per giurisprudenza ormai del tutto consolidata, l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce infatti attività vincolata della pubblica amministrazione e, pertanto, i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l”invio di comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistico-edilizie, secondo un procedimento tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, ossia l’abuso (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4764 e 20 luglio 2011, n. 4403; Sez. III, 14 maggio 2015, n. 2411; Sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7129).
4.6. Corollario di tale indirizzo giurisprudenziale è anche la conseguenza per cui l’irrogazione della sanzione della demolizione, proprio in quanto intrinsecamente riconducibile ad un atto vincolato, non è subordinata – a differenza di quanto prospettato nel terzo ordine dei motivi d’appello – alla previa valutazione di un pubblico interesse all’eventuale conservazione della realità abusiva (ctr. sul punto, ex plurimis e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. IV, 27 maggio 2019 e n. 3432 e 25 marzo 018, n. 1942).
Va soggiunto – per il vero – che l’art. 9 della l. 47 del 1985 contemplava nel suo secondo comma anche la possibilità alternativa dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria sostitutiva, ma ciò soltanto “qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile” (cfr. ivi): circostanza, questa, non ricorrente nel caso di specie, stante il fatto che la demolizione dei soppalchi non è evidentemente apparsa all’anzidetto ufficio tecnico suscettibile di compromettere la stabilità dell’immobile.
5. Le spese e gli onorari di causa seguono la regola della soccombenza di lite, e sono liquidati nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 2.000,00- (duemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply