Quando il concorrente non è esonerato dalla dichiarazione dell’intervenuta condanna

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 12 dicembre 2018, n. 7025.

La massima estrapolata:

Quanto all’estinzione del reato (che consente di non dichiarare l’emanazione del relativo provvedimento di condanna), essa sotto il profilo giuridico non è automatica per il mero decorso del tempo, ma deve essere formalizzata in una pronuncia espressa del giudice dell’esecuzione penale, che è l’unico soggetto al quale l’ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, fino a quando non intervenga tale provvedimento giurisdizionale, non può legittimamente parlarsi di “reato estinto” e il concorrente non è esonerato dalla dichiarazione dell’intervenuta condanna.

Sentenza 12 dicembre 2018, n. 7025

Data udienza 18 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 2796 del 2018, proposto da
G.R. Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Fo. e Ro. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ro. Co. in Roma, viale (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Se. e An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
RTI – Gr. Im. S.r.l. e RTI – T.G. Im. Te. S.r.l., non costituiti in giudizio;
Gi. Pr. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Pe. e Cr. Gi. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Pe. in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, Sezione Prima, n. 279/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Gi. Pr. S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2018 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Ro. Co., An. Ma., in sostituzione degli avv. Ca. e Se., e Is. Lo., su dichiarata delega degli avv. Pe. e Ri.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1.Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede staccata di Salerno, Sez. I, con la sentenza 21 febbraio 2018, n. 279, ha accolto il ricorso (rectius: i motivi aggiunti) proposto dall’attuale parte appellata Gi. Pr. s.r.l., disponendo l’annullamento della determinazione n. 581 del 21 settembre 2017, nella parte in cui sono state dapprima respinte le istanze di annullamento in autotutela della determinazione dirigenziale n. 1224 del 6 giugno 2017 e, quindi, è stata ammessa alla gara e poi dichiarata aggiudicataria della stessa la G.R. Co. s.r.l..
Secondo il TAR, in sintetisi:
– il rappresentante legale dell’impresa ausiliaria aveva dichiarato nella domanda di partecipazione che nei suoi confronti “”non è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”;
– tuttavia a suo carico, dal Certificato del Casellario giudiziale rilasciato al Comune di (omissis) in data 21 luglio 2017, erano risultati provvedimenti giurisdizionali non dichiarati.
– il corollario del dovere di diligenza e autoresponsabilità onerava di verificare in via preventiva, cioè prima di formulare l’offerta in sede di gara, ogni circostanza che potesse ostare all’aggiudicazione del contratto;
– non potevano rilevare le considerazioni incentrate sulla natura del reato e sul carattere risalente della condanna;
– per quanto concerneva la condanna sospesa, l’art. 167 c.p. richiedeva espressamente, ai fini della pronuncia di estinzione, l’accertamento del verificarsi di presupposti ulteriori rispetto al mero decorso del tempo;
– in ordine al decreto penale di condanna non poteva accedersi alla tesi dell’intervenuta abrogazione del reato commesso;
– non poteva trovare applicazione alla fattispecie in esame l’art. 63, comma 1, della Direttiva 2014/24/UE (ora recepito dall’art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50-2016), atteso che lo stesso, nella parte in cui ammette la sostituzione dell’impresa ausiliaria in corso di gara, era certamente innovativo rispetto all’assetto vigente.
2. La G.R. Co. s.r.l. ha contestato tale sentenza, deducendone l’erroneità per avere il primo giudice ritenuto: a) non verificatasi l’estinzione automatica del reato di cui alla sentenza di condanna del 9.3.1985; b) non verificatasi l’abrogazione del reato di cui decreto penale di condanna del 17.12.2007; c) non consentita la possibilità di sostituire l’ausiliario, come previsto dalla normativa comunitaria, recepita dal nuovo codice dei contratti; trascurabile che il bando ed il disciplinare di gara non avessero previsto alcuno specifico obbligo dichiarativo in ordine alle condanne eventualmente riportate; d) non irrilevanti le condanne; e) insignificante il fatto che il certificato del Casellario non riportasse dette condanne.
Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio, ha chiesto l’accoglimento dell’appello; la società Gi. Pr. s.r.l. ne chiesto invece il rigetto e ha anche riproposto le censure dichiarate assorbite dal TAR ex art. 101, comma 2, c.p.a.
3. All’udienza pubblica del 18 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.
1.1. In relazione alla dedotta estinzione del reato, eccepita con il primo motivo di appello, si deve evidenziare che il reato in questione è stato accertato con sentenza del Pretore di Laviano del 9 marzo 1985, divenuta irrevocabile il 4 marzo 1991 e non è mai stato oggetto di un formale provvedimento di estinzione.
Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (da ultimo, ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 29 maggio 2017, n. 2548), dall’art. 38, comma 1, lett. c), e comma 2, si ricava che, quanto all’estinzione del reato (che consente di non dichiarare l’emanazione del relativo provvedimento di condanna), essa sotto il profilo giuridico non è automatica per il mero decorso del tempo, ma deve essere formalizzata in una pronuncia espressa del giudice dell’esecuzione penale, che è l’unico soggetto al quale l’ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, fino a quando non intervenga tale provvedimento giurisdizionale, non può legittimamente parlarsi di “reato estinto” e il concorrente non è esonerato dalla dichiarazione dell’intervenuta condanna (conformi: Cons. Stato, III, n. 4118-2016; Cons. St., Sez. V, n. 3105-2015, n. 3092-2014 e n. 4528-2014).
Inoltre, la citata giurisprudenza ha da tempo asserito che nelle procedure ad evidenza pubblica preordinate all’affidamento di un appalto pubblico, l’omessa dichiarazione da parte del concorrente di tutte le condanne penali eventualmente riportate, anche se attinenti a reati diversi da quelli contemplati nell’art. 38, comma 1, lett. c), ne comporta senz’altro l’esclusione dalla gara, essendo impedito alla stazione appaltante di valutarne la gravità (Conformi: Cons. St., Sez. III, n. 4019-2016; Cons. St., Sez. IV, n. 834-2016; Cons. St., Sez. V, n. 4219-2016, n. 3402-2016 e n. 1641-20161).
Nel caso in esame, inoltre, la condanna è divenuta irrevocabile dopo l’entrata in vigore del vigente Codice di procedura penale e la sua fattispecie estintiva (a fortiori) si è perfezionata in epoca successiva.
Ai sensi degli artt. 163 e 167 c.p., in caso di condanne per reati contravvenzionali condizionalmente sospese, come nel caso di specie, il reato si estingue decorso un biennio dall’irrevocabilità della condanna se il condannato non commette una contravvenzione della stessa indole, e adempie gli obblighi impostigli, con necessità di specifico provvedimento giurisdizionale che lo attesti (Cons. Stato, sez V, 28 dicembre 2016, n. 5478).
Senza un tale accertamento costitutivo non può ritenersi sussistere, almeno per l’affidamento dei terzi (come la stazione appaltante), l’avvenuta estinzione del reato in oggetto.
1.2. L’appellante deduce poi che il reato posto a base del decreto penale di condanna sarebbe stato abrogato dalla legge n. 81 del 2008.
A prescindere dalla circostanza che anche l’avvenuta abrogazione del reato, con conseguente estinzione della pena, necessità di un provvedimento giurisdizionale avente efficacia costitutiva nei confronti dei terzi, come già evidenziato per l’ipotesi di estinzione per passaggio del tempo, si deve rilevare che, l’orientamento unanime e consolidato dalla Cassazione Penale in tema è opposto a quello eccepito dalla parte appellante.
In particolare, la Cassazione Penale (12 luglio 2010, n. 26754), valorizzando il principio di continuità delle fattispecie criminose, ha evidenziato, quanto alla dedotta abolitio criminis, che vi è mera successione di leggi nel tempo tra il d.lgs. n. 81 del 2008 e la precedente disciplina di prevenzione degli infortuni sul lavoro, con conseguente persistente efficacia dell’art. 16 d.P.R. n. 164-1956 (cfr. anche Cassazione Penale, 1° aprile 2014, n. 15028).
Pertanto, è corretta la sentenza impugnata nella parte in cui ha asserito che l’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 163-2006, con norma imperativa che integra le previsioni di gara, esige l’indicazione, nella dichiarazione sostitutiva del candidato, di tutte le condanne riportate, a prescindere, dunque, dal tenore degli specifici atti di gara, peraltro di per sé assolutamente non equivoci e, quindi, in alcun modo fuorvianti.
1.3. Per quanto riguarda la riemergente e palesemente infondata questione del falso innocuo, si deve ricordare che, come ha stabilito la giurisprudenza pressoché unanime di questo Consiglio, è legittimo il provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione in favore di una società adottato in ragione del fatto che, in sede di verifica del possesso dei requisiti, è emersa la falsità della dichiarazione negativa circa le condanne penali riportate, non risultante peraltro dal casellario giudiziale acquisito ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 313 del 2002.
Nel caso di omessa dichiarazione di condanne penali riportate dal concorrente, è legittimo il provvedimento di esclusione ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, non sussistendo in capo alla stazione appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione, conseguendo il provvedimento espulsivo all’omissione della prescritta dichiarazione, che invece deve essere resa completa ai fini dell’attestazione del possesso dei requisiti di ordine generale e deve contenere tutte le sentenze di condanna subite, a prescindere dalla gravità del reato e dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete esclusivamente alla stazione appaltante (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 2015, n. 4511).
Peraltro, l’aver prodotto un certificato che, per le proprie caratteristiche giuridicamente note agli operatori del settore, non poteva contenere il riferimento alle predette condanne, lungi dal dimostrare la buona fede dell’attuale appellante, può assumere rilievo nei termini opposti, quale tentativo di evitare il riferimento a condanne storicamente consolidate ed è comunque inidonea ad evitare la sanzione espulsiva.
1.4. Circa la questione della sostituzione dell’ausiliario deve evidenziarsi che la sezione (Cons. Stato, sez. V, 29 novembre 2017, n. 5611) ha già stabilito che sotto la vigenza del d.lgs. n. 163 del 2016 ed in applicazione dell’art. 49 dello stesso d.lgs. non sussisteva la possibilità di sostituire, in pendenza della procedura di gara, l’impresa ausiliaria che avesse perduto i necessari requisiti di partecipazione; è ininfluente, anche ai fini interpretativi, l’art. 63 della Direttiva UE n. 2014-24, in quanto non ancora recepito all’epoca di adozione della disciplina in discorso e non può applicarsi in via retroattiva l’art. 89, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016.
Detto precedente è idoneo a confutare il relativo motivo di appello proposto in questa sede.
2. Conclusivamente, alla luce delle predette osservazioni, l’appello deve essere respinto.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, dfinitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.
Condanna l’appellante e il Comune di (omissis), in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore della parte appellata, spese che liquida complessivamente in euro 7.000,00, oltre IVA, CPA ed altri accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere

Avv. Renato D’Isa

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