Procedimento espropriativo e di emanare il decreto di espropriazione

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 13 luglio 2020, n. 4516.

La massima estrapolata:

Il soggetto, pubblico o privato, al quale, unitamente alla realizzazione dell’opera, sia stata affidato, in virtù di delega, anche il potere di gestire, in nome e per conto del delegante, il procedimento espropriativo e di emanare il decreto di espropriazione, risponde in solido con l’Amministrazione dei danni rivenienti dai vizi dello stesso, quale in particolare l’omessa tempestiva adozione del decreto di esproprio.

Sentenza 13 luglio 2020, n. 4516

Data udienza 9 giugno 2020

Tag – parola chiave: Opere pubbliche – Realizzazione – Affidamento – Potere di gestione del procedimento espropriativo – Occupazione senza titolo – Omessa tempestiva adozione del decreto di esproprio – Responsabilità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6032 del 2010, proposto dai signori Fr. Sa. Ne., anche quale procuratore generale del signor Vi. Ne., entrambi pure eredi del signor An. Ne., e dai signori Pa. Gi. e Li. Gi., quali eredi della signora Cl. Ne., rappresentati e difesi dagli avvocati Fr. Sc. e Ca. Va., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ca. Va. in Roma, via (…);
contro
l’Ente nazionale per le strade, E.N.A.S. S.p.a., oggi A.N.A.S. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
ed altri;
nei confronti
il signor Sa. Gi., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria -sezione staccata di Reggio Calabria- n. 533/2010, resa tra le parti, concernente la restituzione di un terreno e il risarcimento danni per equivalente, ovvero per occupazione sine titulo;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Anas S.p.A. – Ente nazionale per le strade ed altri;
Viste le memorie e le memorie di replica;
Vista l’ordinanza n. 8863 del 27 dicembre 2019 con la quale, su istanza dei difensori di parte appellante e dell’Anas S.p.a., è stata dichiarata l’interruzione del giudizio per il documentato decesso dell’unico legale della Co. Ge. S.r.l.;
Visto il ricorso in riassunzione a norma dell’art. 80 c.p.a. presentato dagli appellanti Fr. Sa. Ne., Vi. Ne., Pa. Gi. e Li. Gi., i primi due, oltre che ricorrenti originari, anche quali eredi del ricorrente signor An. Ne., gli altri due quali eredi della ricorrente signora Cl. Ne.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2020 il Cons. Antonella Manzione e dati per presenti, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, i difensori delle parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe appellata n. 533/2010 il T.A.R. per la Calabria – sede di Reggio Calabria – ha respinto la domanda risarcitoria presentata dagli odierni appellanti o dai loro danti causa nei confronti dell’Ente nazionale per le strade per l’occupazione dei propri terreni nel periodo tra il 15 maggio 1991 (di scadenza del decreto di occupazione d’urgenza del 5 maggio 1988) e il 16 marzo 1993 (di adozione di un nuovo provvedimento), per infondatezza, non essendo stata fornita in giudizio la prova dell’effettiva protrazione del possesso del bene da parte dell’Amministrazione, oggetto di precedenti provvedimenti di ana contenuto, anche nel periodo di riferimento; accolto quella restitutoria delle aree di cui al foglio (omissis) del Catasto Terreni del Comune di (omissis), in atti analiticamente identificate, per un’estensione complessiva di mq. 3860, nel contempo fissando in euro 58.320,04 la somma dovuta alle parti per il pregresso periodo di occupazione sine titulo, calcolato a far data dal 13 novembre 1997; accolto altresì la domanda risarcitoria per equivalente di altra parte di terreni, trasformati per la realizzazione dell’opera pubblica, quantificandone l’importo in euro 427.739,59, comprensivi, anche per tale ipotesi, del ristoro del periodo di occupazione sine titulo precedente la rinuncia implicita alla proprietà . Ha sancito la responsabilità solidale con l’Ente nazionale per le strade S.p.a. delle due ditte succedutesi nell’esecuzione dei lavori ed incaricate della procedura di esproprio, ovvero originariamente, e dunque con riferimento alla prima somma, la ing. Or. Ma. S.p.a. (ora Co. Ge. S.r.l..); indi la Bu. S.p.a. Ha condannato tutte le parti soccombenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 4.000 (comprensive del rimborso del contributo unificato), oltre alle spese generali, Iva e Cpa come per legge.
2. La complessa vicenda sottesa alle ridette istanze restitutorie e risarcitorie, sfociata peraltro in una serie di contenziosi, pure innanzi al giudice ordinario, è stata ben ricostruita, per esplicita ammissione anche delle parti, nella narrazione in fatto della sentenza del T.A.R. per la Calabria, cui pertanto il Collegio ritiene in linea generale di potere fare rinvio per economia espositiva.
In questa sede è sufficiente ricordare come essa abbia inizio addirittura con un primo decreto ministeriale in data 15 maggio 1986, con il quale veniva approvato il progetto di ammodernamento della Strada statale “106” e, dichiaratane la pubblica utilità, indifferibilità e urgenza, venivano fissati i termini per lavori in originari trentasei mesi, per le espropriazioni in cinque anni. L’iter conseguitone si è tuttavia sviluppato in un lasso di tempo ben più ampio, tanto che la scadenza dell’ultima declaratoria di pubblica utilità si colloca al 21 ottobre 2003, data che costituisce il dies a quo dal quale computare l’inizio dell’occupazione illegittima dei terreni dei quali non è stata disposta la restituzione.
3. E’ altresì utile precisare come una prima tranche delle somme rivendicate dalla proprietà, correlate all’avvenuta occupazione di una superficie pari a mq. 7750, è stata oggetto di una precedente pronuncia del medesimo Tribunale (sentenza n. 33 dell’8 febbraio 2003), passata in giudicato in parte qua a seguito di conferma da parte del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 21 gennaio 2005, n. 99), tant’è che il relativo importo viene indicato come da scomputare dal totale dovuto (§ 4.1 della sentenza impugnata). La richiamata sentenza del Consiglio di Stato n. 99/2005 ha anche declinato la propria giurisdizione con riferimento alle residue rivendicazioni, per cui l’odierna vicenda torna all’attenzione di questo giudice all’esito di regolamento di competenza proposto allo scopo dalle parti e definito con ordinanza della Corte di Cassazione del 20 marzo 2008, n. 7742.
Di essa tuttavia occorreva fare richiamo stante che il nucleo essenziale dell’odierna vicenda è costituito proprio dall’esatta lettura o meno che il T.A.R. per la Calabria avrebbe dato alle risultanze istruttorie di tale originario giudizio, pur dopo averle espressamente poste a fondamento della propria decisione. Nel determinare gli importi dei risarcimenti riconosciuti, la sentenza impugnata afferma infatti di attingere “all’ampia documentazione istruttoria formata nell’ambito del proc. 1345/01 Reg. Ric.”, ovvero quello conclusosi con la sentenza di primo grado n. 33/2003.
4. Ciò che gli appellanti contestano con l’odierno gravame è dunque l’apparente contraddittorietà tra il richiamo a quella istruttoria e le cifre -asseritamente diverse- riportate nella motivazione della sentenza impugnata. In particolare, anziché consolidare quantomeno la somma di £ . 68.880 al metro quadrato riferita all’anno 1993, da trasformare in £ . 81.051,00 a seguito di rivalutazione all’anno 1997, così come sancito espressamente nella sentenza n. 33/2003, all’esito di dichiarato compromesso tra le proposte di parte e le risultanze delle verifiche d’ufficio disposte allo scopo, ci si sarebbe attestati solo su queste ultime, individuando nel minore importo di £ .60.000 il valore di mercato per unità di misura dei terreni in controversia (£ .80.000,00, cui applicare l’abbattimento del 25 % suggerito dall’Ufficio tecnico erariale in ragione della particolare estensione dei terreni interessati alla procedura). Quanto detto, peraltro, quale denegata ipotesi, stante che un’istruttoria più accurata avrebbe dovuto portare a conclusioni ancora più favorevoli rispetto a quelle cui era addivenuto il giudice con la sentenza n. 33/2003, sulla base di autonomo e approfondito scrutinio della consulenza tecnica commissionata allo scopo dalla quale emergerebbe l’erroneità del dato di partenza, riferito ai valori catastali dell’anno 1991 e non dell’anno 1993. Con autonomo motivo di appello i ricorrenti contestano altresì l’importo delle spese di lite determinato dal giudice di prime cure, ritenendolo non conforme ai limiti tariffari previsti per la fascia di valore della causa e all’impegno profuso, obiettivato dalla complessità della stessa.
5. Si sono costituite in giudizio l’ANAS e le società Co. Ge. S.r.l. e Bu. S.p.a. con atto di stile, contestando in particolare la propria legittimazione passiva.
Con successive memorie in controdeduzione, l’ANAS ha evidenziato come la quantificazione del valore di mercato del bene sia stata effettuata correttamente dal giudice di prime cure sulla base delle risultanze dell’U.T.E., opportunamente rivalutate, che peraltro hanno portato ad indicare un importo addirittura superiore a quello rivendicato dagli appellanti (£ . 95.365 al metro quadrato). A ben guardare, dunque, l’asserita erroneità del calcolo non sarebbe affatto da ascrivere al suo dato di partenza, bensì, caso mai, a quello di approdo, stante che il giudice ha applicato alla somma aritmetica riveniente dalla moltiplicazione del valore dei terreni al metro quadro per l’estensione superficiaria degli stessi il ricordato abbattimento del 25%, siccome suggerito dalla relazione dell’U.T.E., che all’uopo conteneva espresso avviso che i “valori riportati in tabella si riferiscono a lotti aventi una superfice media sino a 1000 mq., mentre per le superfici maggiori sono da apportarsi opportune detrazioni sino al massimo del 33%”. D’altro canto, il T.A.R. per la Calabria nella impugnata sentenza ha sì ritenuto di utilizzare la corposa istruttoria del precedente giudizio, ma non di addivenire necessariamente alle medesime conclusioni.
6. A seguito del decesso dell’unico difensore della società Co. Ge. s.r.l., il processo veniva dichiarato interrotto con ordinanza n. 8863 del 19 novembre 2019, e successivamente riassunto su istanza degli appellanti in data 21 gennaio 2020.
Con memoria di costituzione per il tramite di nuovo difensore, versata in atti il 7 maggio 2020, la medesima società eccepiva in via preliminare l’inammissibilità dell’appello per genericità, in quanto privo di censure specifiche alla sentenza impugnata e concretizzatosi nella mera narrazione in fatto della vicenda; indi la propria carenza di legittimazione passiva nell’odierno giudizio, suffragata anche dal tenore letterale dell’appello che, oltre a non contenere alcuna censura particolare in merito, ne ricorda la partecipazione al procedimento di esproprio solo con riferimento all’ammontare dell’offerta dell’indennità da essa effettuata in via provvisoria, senza tuttavia evocarne la responsabilità nelle conclusioni. La ridetta prospettazione veniva ulteriormente ribadita da ultimo con le note di udienza del 5 giugno 2020.
Con memoria del 4 giugno 2020, la difesa degli appellanti a sua volta, al fine di stralciare dal vaglio dell’odierno giudice le eccezioni dell’impresa Co. Ge. s.r.l., ne ha avallata la affermata estraneità al giudizio di appello, senza peraltro chiarire se con ciò intenda prestare acquiescenza alla quantificazione del danno relativo ai terreni da restituire, con riferimento ai quali è stata affermata dal giudice di prime cure la responsabilità in solido della richiamata ditta. Essa ha infatti precisato di avere richiesto la riforma dei soli capi della sentenza di primo grado che riguardano l’A.N.A.S. e la Bu. Costruzioni S.p.a., notificando l’appello anche alla Co. Ge. S.r.l. per mero rispetto formale del contraddittorio, stante il suo coinvolgimento come parte nel giudizio di primo grado.
7. All’udienza del 9 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione con le modalità di cui all’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18.

DIRITTO

8. Preliminarmente il Collegio ritiene di dovere respingere l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla Co. Ge. s.r.l.: nel caso di specie, la natura esclusivamente risarcitoria della controversia ne rende agevolmente comprensibile attraverso la narrazione in fatto le censure mosse alla sentenza di prime cure, in quanto attinenti, appunto, ai criteri seguiti nella individuazione del valore di mercato dei terreni de quibus. Punto essenziale della vicenda, infatti, è la legittimità o meno dell’utilizzo dei soli dati rivenienti dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta nel procedimento n. r.g. 1345/2001, senza mitigarne le risultanze alla luce dei (qui riproposti) rilievi formulati dai ricorrenti in tale sede, siccome invece avvenuto all’esito di quel giudizio (v. § 7 della sentenza del T.A.R. per la Calabria n. 33/2003).
9. L’infondatezza di tale eccezione, al pari di quella inerente la propria carenza di legittimazione passiva, rendono superfluo un più approfondito scrutinio della portata -in verità tutt’affatto chiara – delle note di udienza degli appellanti del 4 giugno 2020. A volere attribuire alle stesse il valore di implicita rinuncia alla parte di appello coinvolgente la società Co. Ge. s.r.l., ciò si risolverebbe nella sostanziale acquiescenza alla quantificazione della somma per la quale l’impresa è stata ritenuta solidalmente responsabile. Del tutto inammissibile, infatti, si paleserebbe una sorta di indicazione selettiva dei soggetti responsabili, che attiene caso mai al rapporto civilistico tra gli stessi anche a seguito della liquidazione degli importi dovuti. Il tenore letterale dell’appello, infatti, è nella chiara direzione di contestare il criterio di computo, per come seguito dal giudice di prime cure in primo luogo con riferimento alla richiesta risarcitoria riferita ai terreni di cui si è intimata la restituzione, ovvero proprio quelli implicanti la affermata responsabilità solidale della Co. Ge. s.r.l. A pagina 9 del ricorso, dunque, i proprietari indicano il corretto importo, a loro dire, delle somme su cui calcolare le loro spettanze a tale titolo, pari a euro 189.526, ovvero, in subordine, euro 162.158,6, contestando esplicitamente la minore cifra di euro 142.548,78 riportata nella sentenza impugnata, sulla base della quale il giudice è addivenuto alla quantificazione del risarcimento in euro 58.320,04. Vero è che le conclusioni dell’appello menzionano esclusivamente -senza chiarirne le ragioni – la Bu. S.p.a. quale controparte processuale unitamente all’Ente proprietario della strada. Ma ciò appare in contrasto con l’esplicitazione del petitum contenuto alla lett. b) delle stesse, ove si indicano, in coerenza con la parte narrativa, i diversi importi cui attenersi per correggere quelli corrisposti per la specifica voce di danno. D’altro canto, l’eventuale estraneità dell’impresa esecutrice alla fattispecie di danno consistita nei rilevati vizi della procedura di esproprio, avrebbe dovuto caso mai essere invocata direttamente dalla stessa con autonomo gravame, siccome peraltro preannunciato dalla Co. Ge. s.r.l. nell’originario atto di costituzione nell’odierno giudizio; ciò a prescindere dagli eventuali profili di ammissibilità, stante che non consta che di tale aspetto sia stata fatta questione nel giudizio di primo grado, ovvero nei tanti che lo hanno preceduto in relazione alla medesima vicenda. A tale riguardo, la Sezione peraltro non può esimersi dal richiamare lo ius receptum in forza del quale il soggetto, pubblico o privato, al quale, unitamente alla realizzazione dell’opera, sia stata affidato, in virtù di delega, anche il potere di gestire, in nome e per conto del delegante, il procedimento espropriativo e di emanare il decreto di espropriazione, risponde in solido con l’Amministrazione dei danni rivenienti dai vizi dello stesso, quale in particolare l’omessa tempestiva adozione del decreto di esproprio (v. ex multis Cons. Stato, sez. IV, n. 1332/2019).
In sintesi, in assenza di specifico gravame, anche incidentale, sul punto, il Collegio ritiene esterno al perimetro dell’odierno giudizio il profilo del coinvolgimento dei vari soggetti interessati alla procedura, con riferimento ai quali deve ormai ritenersi formato il giudicato sulle statuizioni contenute nella sentenza del T.A.R. per la Calabria n. 533/2010.
Anche nel caso in cui, peraltro, il punto di convergenza tra le prospettazioni delle parti al riguardo fosse da rinvenire nella parziale rinuncia all’appello, da un lato, e nella estromissione dallo stesso della richiamata impresa esecutrice, dall’altro, è evidente che l’unico effetto sarebbe soltanto quello, già ricordato, di far consolidare la quantificazione degli importi riportata in sentenza, non certo la riforma della stessa con riferimento alla sola indicazione dei soggetti responsabili.
10. Rileva ancora il Collegio come la necessità della rideterminazione degli importi dovuti alla luce delle sopravvenienze interpretative di cui nel prosieguo, consentono di demandare le eventuali questioni che dovessero insorgere fra le parti debitrici all’esito della liquidazione delle somme, comunque da quantificare a cura dell’Amministrazione procedente, alla loro preventiva regolamentazione negoziale ovvero all’eventuale azione di regresso pro quota.
Nelle more della definizione dell’odierna controversia, infatti, sulla complessa materia delle conseguenze delle occupazioni sine titulo, anche per perdita di efficacia di quello preesistente, sono intervenuti ben quattro pronunciamenti dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, A.P., nn. 2,3 e 4 del 20 gennaio 2020 e n. 5 del 18 febbraio 2020), che ne impongono un’integrale rivisitazione, ancorché limitata alla parte ancora sub iudice.
Il Collegio ritiene necessaria una precisazione di sintesi del contenuto residuo del contenzioso in esame, pur se la relativa pendenza è conseguita a contestazioni sul quantum, e non sull’an. Il Tribunale ha riconosciuto ai proprietari ricorrenti (oltre al diritto alla restituzione di una porzione di terreni) tre distinte voci di danno: due conseguite ad occupazione illegittima, ovvero correlata alla perdita di efficacia di autonomi decreti di dichiarazione di pubblica utilità, susseguitisi nel tempo nell’ambito del medesimo procedimento originario; una terza riferibile alla ritenuta rinuncia alla proprietà implicita nell’aver optato per una richiesta solo risarcitoria in giudizio. La prima occupazione ha avuto o avrà termine con la restituzione del bene (mq. 3860), già disposta con la sentenza n. 533/2010; la seconda, invece, non essendovi stato decreto di esproprio e non potendosi ritenere sostitutiva dello stesso la cd. rinuncia abdicativa, è ancora in essere, rendendo pertanto impossibile allo stato ipotizzare qualsivoglia quantificazione. Alla luce, infatti, dei principi di cui alle richiamate sentenze dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, risulta ormai acquisita l’incompatibilità con la tipicità che caratterizza il procedimento di espropriazione, di meccanismi atipici di acquisizione della proprietà riconducibili al paradigma dell’occupazione acquisitiva o usurpativa, cui può corrispondere, dalla parte del soggetto che la subisce, la rinuncia traslativa o abdicativa. Da qui la tendenziale inammissibilità di una domanda di parte avente contenuto solo risarcitorio, il cui disconosciuto valore di rinuncia implica la permanenza dell’illecito sotteso alla relativa richiesta.
Ma il Collegio deve interrogarsi circa gli esiti delle pregresse richieste solo risarcitorie, quale è per i terreni non restituiti anche quella in esame. La loro ritenuta ammissibilità consegue ad esigenze di giustizia sostanziale, laddove una futura proponibilità rimarrebbe limitata ai soli casi, astrattamente ammessi anche dai giudici della Plenaria, in cui sia comunque cessata la situazione di permanente illegittimità riveniente dall’avvenuta perdita di efficacia del provvedimento di occupazione senza l’adozione del decreto di esproprio, la restituzione del fondo al legittimo proprietario, come nel caso di specie per le aree di cui al foglio 37 del Catasto terreni, la stipula di un accordo transattivo con effetti traslativi del diritto di proprietà in capo alla amministrazione autrice della condotta abusiva, il maturarsi dell’usucapione che tuttavia si perfeziona a condizioni date, ovvero l’avvenuta adozione del provvedimento previsto dall’art. 42 bis T.U.es. (cfr. Cons. Stato, A.P., n. 2/2020, ove, dopo avere negato l’ammissibilità di una richiesta solo risarcitoria “in quanto essa si porrebbe al di fuori dello schema legale tipico previsto dalla legge per disciplinare la materia ponendosi anzi in contrasto con lo stesso”, si riconosce “che il giudice possa nondimeno, ove ne ricorrano i presupposti fattuali, accogliere la domanda”).
Peraltro, rispetto alle possibili alternative rivenienti dall’art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, cd. T.U.es., Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità, la scelta restitutoria previa rimessione allo stato pristino dell’immobile illegittimamente occupato e trasformato, è indicata come quella da privilegiare, non potendo “essere ri(con)dotta al mero obbligo di natura civilistica conseguente alla lesione del diritto di proprietà e, dunque, a un mero effetto legale della determinazione di non acquisire l’immobile […]. Infatti, in sede di bilanciamento dei contrapposti interessi privati e pubblici, ed attesa la necessità di motivare in ordine all’assenza di ragionevoli alternative alla adozione del provvedimento di acquisizione (tra le quali rientra la restituzione del bene previa rimessione in pristino), dovranno essere prese in considerazione anche le specifiche circostanze in tesi ostative all’alternativa restitutoria (quali, ad es., eventuali costi eccessivi e sproporzionati rispetto al valore del bene illegittimamente modificato, con la precisazione che si tratta di uno solo dei possibili elementi valutativi, da solo insufficiente a giustificare l’acquisizione, restando primario e prioritario quello relativo alla sussistenza di ragioni attuali ed eccezionali di prevalenti esigenze pubbliche, e non bastando un mero riferimento generico ad eccessive difficoltà ed onerosità dell’alternativa a disposizione dell’amministrazione)” (v. Cons. Stato, A.P., n. 4/2020).
Ne consegue che essa deve essere espressamente vagliata dall’ANAS anche con riferimento ai terreni per i quali essa non è stata disposta dal giudice di prime cure, prima di qualsivoglia ulteriore valutazione circa l’entità delle somme da corrispondere alla proprietà laddove si opti per portare a termine il procedimento di esproprio. Solo all’esito della necessaria analisi comparata degli interessi in gioco, potrà dunque essere determinata l’entità dell’indennizzo, comunque corrispondente all’integrale valore venale del bene, laddove se ne disponga l’acquisizione, senza ipotetici abbattimenti percentuali correlati alla particolare estensione delle aree, ove non espressamente previsti dalla legislazione con riferimento alla specialità delle procedure espropriative attivate.
Acquisito tale dato oggettivo, potrà essere quantificata anche la somma dovuta ” a titolo risarcitorio” per il periodo di occupazione senza titolo, calcolata in termini di interesse del 5 % sul valore venale del bene stesso (comma 3 della norma).
11. Quanto all’individuazione delle modalità di calcolo della somma dovuta a titolo di risarcimento per l’altra occupazione sine titulo, riferita cioè ai terreni oggetto di restituzione – ivi compresi quelli per i quali siffatta decisione avvenga in forza del richiamato giudizio di convenienza dell’acquisizione- la Sezione ritiene che, in assenza di espresse indicazioni, debbano comunque trovare applicazione in via equitativa, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., i medesimi criteri risarcitori dettati dall’art. 42 bis del t.u. espropriazioni (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 agosto 2019, n. 5700). La norma infatti codifica un giudizio di natura equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., che pertanto, seppur dettato con riferimento allo sbocco procedurale della formale acquisizione del bene, è da ritenersi suscettibile di applicazione analogica in quanto espressione di un principio generale (v. T.A.R. Basilicata, sez. I, 7 marzo 2014, n. 182; T.A.R. Liguria, sez. I, 14 dicembre 2012; Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 2015, n. 5589; id., 18 novembre 2016, n. 4799; 4 maggio 2018, n. 2670). Sul punto peraltro la Sezione si è già pronunciata di recente, non essendovi ragione per discostarsi dalle conclusioni affermate (Cons. Stato, sez. II, 15 giugno 2020, n. 3855).
12. Il procedimento di individuazione del valore venale (che è sempre un processo di stima) è dunque limitato alla considerazione di elementi di valutazione oggettivi e stabili, non comprende considerazioni eventualmente afferenti a circostanze momentanee o particolari, ed è, ad esempio, sempre al netto del valore d’affezione. Sulla sua determinazione può incidere, come chiaramente affermato dall’art. 32 del T.U.es, la presenza di costruzioni, piantagioni o migliorie, purché non realizzate allo scopo di conseguire una maggiorazione dell’indennità di esproprio.
Nel caso di specie, come ben puntualizzato dalla difesa erariale, non è tanto in contestazione l’importo a metro quadrato, essendo quello individuato dal giudice di prime cure addirittura superiore, una volta effettuata la necessaria rivalutazione, alle risultanze di parte; quanto piuttosto l’abbattimento del 25 % operato sullo stesso in ragione della vasta estensione delle aree interessate alla vicenda espropriativa, siccome previsto dalle apposite linee guida dell’U.T.E.
L’unico criterio, pertanto, che il Collegio ritiene di dovere esprimere per indirizzare il potere dell’amministrazione procedente anche nella determinazione del ristoro dovuto in aggiunta alla già disposta restituzione dei fondi attiene alla necessità di non operare riduzioni di sorta, in virtù di prassi volte a mitigare le conseguenze sull’erario dei procedimenti di esproprio, ma ormai incompatibili con le esigenze di effettività del ristoro ampiamente affermate dalla giurisprudenza della Corte EDU (sul punto, anche per un sintetico riepi della giurisprudenza comunitaria e costituzionale in materia, ex plurimis, Cons. Stato, sez. II, 25 marzo 2020, n. 2081).
13. Alla luce di quanto sopra, deve dunque rilevarsi come il giudizio definitivo sulla corretta valutazione delle pretese risarcitorie nella stesura del provvedimento impugnato risulti ad oggi impedito dalla necessità di attendere le determinazioni dell’ANAS in merito alla opportunità di adottare per i terreni non restituiti un provvedimento di acquisizione ex art. 42 bis T.U.es., ovvero di restituirli a loro volta, anche in parte, previa rimessione nel pristino stato.
Pertanto, ai sensi dell’art. 34, primo comma, lett. c), c.p.a., il Collegio, anche allo scopo di porre termine ad una controversia ormai risalente negli anni, ritiene opportuno disporre che l’ANAS addivenga ad un ordinario contratto di acquisto o permuta dell’area, ovvero ad accordo sostitutivo di provvedimento entro centoventi giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della sentenza, ove possibile esteso a tutte le voci di danno riconosciute di spettanza degli appellanti; in caso di decorrenza infruttuosa di tale termine, emetta, nei successivi sessanta giorni, un formale e motivato decreto di acquisizione dell’area, secondo i dettami rivenienti dall’art. 42 bis T.U.es. o ne disponga la restituzione, quantificando da subito in termini temporali ed economici le scansioni della necessaria riduzione in pristino dello stato dei luoghi. Val la pena ricordare come nella quantificazione delle somme dovute alla proprietà ex art. 42 bis T.U. es., l’Amministrazione dovrà necessariamente calcolare un indennizzo pari al valore venale della parte di terreni occupati poi oggetto del provvedimento di acquisizione al momento di adozione di quest’ultimo. A ciò si aggiunge il risarcimento per l’occupazione illegittima, nella misura dell’interesse del 5% sul valore venale del terreno occupato al momento dell’adozione del provvedimento di acquisizione (art. 42 bis, terzo comma).
Quanto alla proprietà di cui è già stata disposta la restituzione, nei successivi 30 giorni dall’avvenuta adozione dei provvedimenti sopra richiamati, il Collegio dispone che l’amministrazione si determini altresì in ordine alla quantificazione delle somme dovute per l’occupazione sine titulo fino alla data della sua avvenuta effettuazione, salvo addivenga ad apposito accordo negoziale, tenendo conto delle medesime indicazioni normative.
All’inutile decorso di ciascuno dei termini come sopra indicati, a tanto provvederà, nella qualità di Commissario ad acta, il Prefetto di Reggio Calabria, il quale, anche avvalendosi di personale dell’Ufficio Territoriale del Governo al quale è preposto, appositamente delegato, adotterà -in luogo dell’Amministrazione intimata – le determinazioni necessarie al fine di dare compiuta esecuzione a quanto stabilito nella presente pronunzia.
Il Collegio fa presente che qualsiasi controversia che dovesse nuovamente insorgere sulla determinazione o sul pagamento dell’indennità di esproprio è appannaggio della giurisdizione del giudice ordinario (Cass. civ., sez. un., n. 4880 del 2019; 2 febbraio 2018, n. 2583; Cons. Stato, sez. IV, 25 febbraio 2019, n. 1272). Ciò a valere anche per quelle aventi ad oggetto l’interesse del cinque per cento del valore venale del bene, dovuto per il periodo di occupazione senza titolo dei terreni successivamente acquisiti, siccome previsto dal comma 3, ultima parte, di detto articolo, “a titolo di risarcimento del danno”, giacché esso, ad onta del tenore letterale della norma, costituisce solo una voce del complessivo “indennizzo per il pregiudizio patrimoniale” di cui al comma 1 della medesima norma, secondo un’interpretazione imposta dalla necessità di salvaguardare il principio costituzionale di concentrazione della tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti ablatori; dette controversie sono devolute alla competenza, in unico grado, della Corte di appello (Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2017, n. 4550 del 2017; Cass. civ., sez. un., 25 luglio 2016, n. 15283; id., ord. 29 ottobre 2015, n. 22096).
14. Resta infine da dire dell’esplicito motivo di impugnazione con il quale si contesta l’entità della condanna alle spese del giudizio, ritenuta inadeguata rispetto al cospicuo valore della causa.
Il Collegio ricorda come la giurisprudenza, anche risalente, ha da sempre affermato che nel processo amministrativo la condanna alle spese di giudizio va correlata non a motivi strettamente giuridici, bensì a regole di equità e convenienza, il cui apprezzamento è affidato al criterio discrezionale del giudice, con la conseguenza che la liquidazione di esse può ritenersi illogica soltanto se ed in quanto l’ammontare delle singole partite computate (spese per atti del procedimento, onorari e diritti) sia errato – per eccesso – in relazione sia alla reale effettuazione della spesa sostenuta, sia in relazione ai valori massimi previsti nelle tariffe professionali (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 luglio 1994, n. 642).Tali ampi poteri discrezionali, dunque, possono portare il giudice di prime cure al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, ovvero per escluderla (Cons. Stato, Ad. Plen., 24 maggio 2007, n. 8), con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese la parte risultata vittoriosa in giudizio o disporre statuizioni abnormi (per tutte, Consiglio Stato, Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 4936; Sez. III, 9 novembre 2016, 4655; Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012; Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 891; Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4471; Sez. IV, 27 settembre 1993, n. 798).
Il giudice tuttavia ben può tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, tra cui possono avere rilievo la natura del credito insoddisfatto (ad esempio, la sua natura alimentare), la durata dell’inadempimento, la ricerca di soluzioni extragiudiziarie per evitare la pendenza del contenzioso, la mancata esecuzione di precedenti sentenze già rese in sede di esecuzione, le questioni di carattere organizzativo quando si tratti di giudizi sostanzialmente di carattere seriale, l’esistenza di un diffuso contenzioso in materia, l’assenza delle risorse nell’attuale congiuntura economica e la difficoltà di disporre tempestivamente delle risorse necessarie per disporre i pagamenti.
Nella specie, è vero che la vicenda consegue alla stratificazione di contenziosi sia innanzi al giudice ordinario, che amministrativo: ma in relazione a ciascun segmento di essa sono intervenute pronunce, anche sulle spese, sicché il valore della causa, immutato nella prospettazione di parte, ha già avuto modo di incidere su ciascuna di esse, trattandosi della sostanziale reiterazione delle proprie strategie difensive, delle quali l’attuale processo costituisce soltanto la sintesi finale.
15. Quanto alle spese dell’odierno grado di giudizio, il Collegio ritiene che la sopravvenienza del richiamato quadro ordinamentale e, nel contempo, la valutazione positiva dell’istanza di parte, seppur in parte incompatibile con lo stesso, giustificano la compensazione delle spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e limiti di cui in motivazione disponendo che l’ANAS provveda in merito entro 120 (centoventi) giorni decorrenti dalla notificazione, ovvero, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza, alla stipula di un ordinario contratto di compravendita o permuta, ovvero ad un apposito accordo negoziale nei termini in motivazione delineati, ovvero nei successivi 60 (sessanta) giorni, all’adozione di un decreto acquisitivo,nel rispetto dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001; infine negli ulteriori 30 (trenta) giorni dall’avvenuta determinazione, negli atti di cui sopra, del valore di mercato dei terreni, provveda altresì alla liquidazione delle somme dovute con riferimento ai mq. 3860 dei quali la sentenza del T.A.R. per la Calabria n. 533/2010 ha disposto la restituzione.
Dispone che, inutilmente decorsi i termini come sopra indicati, a tanto provveda, nella qualità di Commissario ad acta, il Prefetto di Reggio Calabria, anche avvalendosi di personale dell’Ufficio Territoriale del Governo al quale è preposto, adottando le determinazioni necessarie al fine di dare compiuta esecuzione a quanto stabilito nella presente pronunzia.
La Sezione si riserva in sede di ottemperanza il compiuto controllo in ordine al puntuale adempimento della presente decisione.
Spese del grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2020, tenutasi con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore

 

 

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