Nel procedimento di sanatoria sono sospesi i procedimenti sanzionatori

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 7 gennaio 2019, n. 156.

La massima estrapolata:

In pendenza di procedimento di sanatoria, sono sospesi i procedimenti sanzionatori ed il relativi provvedimenti possono essere adottati solo all’esito del conclusivo provvedimento di rigetto della domanda di regolarizzazione edilizia; principio applicabile anche nella fattispecie della sanatoria “ordinaria”, cioè nell'”accertamento di conformità ” di cui all’articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, atteso che anche in questo caso un’azione repressiva esercitata prima della definizione della domanda del privato vanificherebbe a priori la possibilità del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (anche di contenuto parziale rispetto alla totalità delle opere per le quali l’accertamento è richiesto) e che la stessa si pone in contrasto con i principi di coerenza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, i quali impongono la previa definizione del procedimento prima di assumere iniziative potenzialmente pregiudizievoli per lo stesso esito della sanatoria edilizia.

Sentenza 7 gennaio 2019, n. 156

Data udienza 20 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8084 del 2017, proposto da
Gi. Ci., rappresentato e difeso dall’avvocato Am. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Mo. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lo. Ch., con domicilio eletto presso lo studio Lo. Ch. C/O Avv. Ma. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI (SEZIONE III) n. 00414/2017, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2018 il Cons. Francesco Mele e uditi, per le parti, l’avvocato G.V. Na., su delega di Am. Ma., e l’avv. Lo. Ch.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza n. 414/2017 del 28-4-2017 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza, in relazione al ricorso proposto dal signor Va. Mi. avverso l’ordinanza di demolizione n. 174 del 14-7-2010, così provvedeva: ” 1) respinge il ricorso con riferimento all’opera consistente nella “chiusura del portico antistante l’unità abitativa, con tompagnatura in parte con parete in mutatura ed in parte con parete finestrata in alluminio anodizzato e vetri…”; 2) accoglie il ricorso per quanto concerne “la realizzazione del muretto a ridosso della recinzione, dell’altezza di mt. 2,00 e profondità di mt. 1,20 a servizio di un barbecue monoblocco prefabbricato sempre a ridosso della recinzione di proprietà ” e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nei sensi e nei limiti di cui in motivazione”.
La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.
” L’odierno ricorrente è proprietario di un appartamento facente parte di una villa plurifamiliare sita a (omissis) in via (omissis), posto a piano terra, dotato di un antistante portico coperto ed annessa piccola area pertinenziale, censito in catasto fabbricati al fg. (omissis), p.lla (omissis), sub. (omissis).
Nel corso del 2009 il ricorrente provvedeva alla “chiusura del portico antistante l’unità abitativa, con tompagnatura in parte con parete in muratura ed in parte con parete finestrata in alluminio anodizzato e vetri…per un ampliamento di mq. 44,09 pari a mc. 130,06”; inoltre risultavano eseguite “opere di manutenzione straordinaria all’interno dell’abitazione mediante demolizione e nuova realizzazione di murature” e “realizzazione di un muretto a ridosso della recinzione, dell’altezza di mt. 2,00 e profondità di mt. 1,20 a servizio di un barbecue monoblocco prefabbricato sempre a ridosso della recinzione di confine con altra proprietà ” (cfr. sopralluogo dell’11.6.2009 in cui si fa menzione dell’ordinanza di sospensione dei lavori n. 206/2009).
Dette opere venivano realizzate in assenza di titolo abilitativo.
In data 11.6.2009 Agenti del Comando di Polizia Municipale accertavano la realizzazione delle predette opere e ne contestavano la non conformità alla vigente disciplina urbanistica.
In data 28.9.2009 il Comune di (omissis) notificava al Ci. l’ordinanza n. 206/2009 del 16.9.2009, di immediata sospensione dei predetti lavori, riservandosi espressamente di adottare entro i 45 giorni successivi i provvedimenti ritenuti necessari.
Il provvedimento di sospensione era successivamente confermato con ordinanza dirigenziale n. 232/2009 del 20-10-2009, notificata il successivo 28 ottobre 2009.
In data 23.12.2009, al fine di sanare i predetti abusi, l’odierno ricorrente presentava al Comune di (omissis) una richiesta di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 d.p.r. n. 380/2001.
Con tale istanza, acquisita al n. 047818/2009 di protocollo della stessa amministrazione, il tecnico incaricato dal Ci. evidenziava la natura di volume tecnico del vano creatosi mediante la chiusura del preesistente portico e, in generale, la sanabilità degli interventi eseguiti dal Ci. sull’immobile di sua proprietà .
In data 21.7.2010 il Comune di (omissis) notificava all’istante la gravata ordinanza n. 174 del 14 luglio 2010 di demolizione delle opere non assentite, meglio descritte nell’ordinanza dirigenziale n. 206/2009.
Con ricorso straordinario successivamente trasposto dinanzi a questo Giudice il Ci. impugnava la suddetta ordinanza dirigenziale n. 174/2010….”.
Avverso la prefata sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale il signor Gi. Ci. ha proposto appello nei limiti di interesse e, segnatamente, per la parte in cui essa ha respinto il ricorso di primo grado e non si è pronunciata in ordine alle opere di manutenzione straordinaria eseguite all’interno dell’abitazione.
Egli ne ha, dunque, chiesto la riforma, con il conseguente integrale accoglimento del ricorso di primo grado.
Ha, in proposito, dedotto: 1) Error in iudicando – erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione – omessa pronuncia – violazione dell’articolo 38 della legge n. 47/85 – falsa applicazione della legge n. 241/1990; 2) Incompetenza funzionale del giudicante – error in procedendo e in iudicando – omessa pronuncia; 3) Erroneità della condanna alle spese a carico di esso ricorrente.
Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), deducendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.
Le parti hanno prodotto memorie difensive e di replica.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 20-12-2018.

DIRITTO

Deve preliminarmente essere evidenziato che la sentenza del TAR Puglia (Sez. III) n. 414/2017 viene gravata “nei limiti dell’interesse dell’appellante”.
Avendo la stessa accolto il ricorso relativamente alla demolizione ingiunta per la “realizzazione di un muretto a ridosso della recinzione, dell’altezza di mt. 2,00 e profondità di mt. 1,20 a servizio di un barbecue monoblocco prefabbricato, sempre a ridosso della recinzione a confine con altra proprietà “, deve, dunque, ritenersi che l’appello sia limitato alla sola parte della sentenza in cui il ricorso non viene ritenuto meritevole di accoglimento (chiusura del portico antistante l’abitazione) ovvero viene omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado (lavori di manutenzione interni all’abitazione).
La sentenza, pertanto, risulta passata in giudicato con riferimento alla declaratoria di illegittimità dell’impugnata demolizione relativa al muretto, statuendosi che tale opera era soggetta a D.I.A. e, dunque, alla stessa doveva essere applicata la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 37 del DPR n. 380/2001 e non anche quella demolitoria.
Tanto è confermato nella conclusioni dell’atto di appello, ove si “chiede la riforma e/o l’annullamento della sentenza appellata, nei limiti del proprio interesse…”.
Tanto premesso, con il primo motivo di appello il signor Ci. lamenta: Error in iudicando, illogicità e contraddittorietà della motivazione, omessa pronuncia, violazione dell’articolo 38 della legge n. 47/85 e falsa applicazione della legge n. 241/1990.
Egli deduce in primo luogo l’erroneità della sentenza di prime cure nella parte in cui, pur dando atto del vizio del procedimento, assume che la mancata comunicazione del preavviso di rigetto non abbia comportato l’illegittimità del provvedimento finale, in quanto, facendosi applicazione dell’articolo 21 octies della legge n. 241/1990, il provvedimento finale non avrebbe potuto avere un contenuto sostanziale diverso rispetto a quello concretamente adottato.
Evidenzia in proposito che, ove fosse stata eseguita la comunicazione del preavviso di rigetto, egli avrebbe ben potuto opporre all’amministrazione che il procedimento di sanatoria ancora non si era concluso e che, con la predisposizione della stessa, il Comune aveva comunque inteso dare la possibilità al privato di interloquire prima della adozione del provvedimento finale.
Sotto altro profilo, il signor Ci. lamenta l’erroneità della sentenza, laddove non ha considerato il vizio dell’impugnata ordinanza di demolizione, consistente nell’avere il Comune adottato la stessa senza aver preventivamente concluso il procedimento di sanatoria con provvedimento espresso di rigetto.
Evidenzia che dell’esistenza di tale vizio il Tribunale aveva dato atto in sede cautelare, mentre con riferimento ad esso alcuna argomentazione veniva spesa nella sentenza conclusiva del giudizio.
Il vizio dell’ingiunzione di demolizione – a dire dell’appellante – risulta sussistente in quanto l’amministrazione non può procedere, in pendenza di domanda di sanatoria, ad emanare provvedimenti repressivi, senza aver previamente esitato il procedimento volto alla regolarizzazione delle opere abusive.
Con il secondo motivo di appello il signor Ci. lamenta: Incompetenza funzionale del giudicante -error in procedendo et in iudicando – omessa pronuncia.
Egli ritiene in primo luogo che il Tribunale si sia illegittimamente sostituito al Comune di (omissis) nella valutazione di sanabilità della chiusura del portico.
Invero, assume che la definizione del procedimento di sanatoria spetta al Comune e, solo quando, all’esito di esso, l’ente locale abbia disposto la non regolarizzabilità delle opere, l’organo giurisdizionale può intervenire a valutare la legittimità della determinazione assunta.
Nella specie il giudice di prime cure illegittimamente si era espresso sulla non sanabilità della chiusura del porticato, atteso che sulla questione non si era previamente espresso il Comune di (omissis) non avendo lo stesso definito la domanda del privato con provvedimento definitivo, conclusivo del procedimento.
Deduce, in ogni caso e sotto il profilo sostanziale, che la sentenza è errata laddove non riconosce la sanabilità del manufatto, trattandosi di opera pertinenziale e di volume tecnico non esprimente volumetria, per il quale poteva al limite essere irrogata la sanzione pecuniaria e non anche quella demolitoria.
Lamenta, infine, che, nonostante tra gli abusi contestati vi fossero anche opere di manutenzione interne al fabbricato e fosse stata presentata richiesta di sanatoria anche per esse, la sentenza aveva omesso di pronunciare del tutto sulla legittimità dell’ingiunzione di demolizione disposta anche per tali opere, rilevando comunque che queste erano, in relazione alla loro natura, assentibili mediante D.I.A. e, dunque, il loro carattere abusivo avrebbe potuto condurre al più ad una sanzione pecuniaria e non anche ripristinatoria.
Con il terzo motivo di appello il signor Ci. deduce l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui, pur accogliendo parzialmente il ricorso dello stesso, ha posto a suo carico le spese processuali.
Deduce che la fondatezza del ricorso avrebbe dovuto condurre alla liquidazione delle spese in proprio favore.
L’appello è fondato nei sensi di seguito specificati.
Ritiene la Sezione che sia meritevole di favorevole considerazione ed assorbente il primo motivo di ricorso, nella parte in cui lamenta che l’ingiunzione di demolizione era stata irrogata senza aver prima definito il procedimento di sanatoria con provvedimento conclusivo del procedimento.
Osserva in primo luogo il Collegio che l’ordinanza dirigenziale n. 174 del 14 luglio 2010 contiene nella parte motivazionale il seguente inciso: “Visto che il signor Ci. Gi. ha presentato in data 29-12-2009, prot. 47818, istanza di sanatoria delle opere abusive e che questo Ufficio, con comunicazione del 23-2-2010 prot. 11873, ha espresso motivato diniego alla sanatoria”.
Da quanto sopra emerge, dunque, che l’ente locale ha ritenuto di dover ingiungere la demolizione a seguito del rigetto espresso della domanda di sanatoria, assumendo così concluso negativamente per il privato il relativo procedimento.
La determinazione del Comune risulta però affetta sul punto da errore e travisamento di fatto.
Invero, la citata comunicazione prot. n. 11873 del 23-2-2010 non costituisce il provvedimento finale di rigetto della domanda di sanatoria, bensì l’atto procedimentale di cui all’articolo 10 bis della legge n. 241/1990, recante comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
Tale natura è univocamente evincibile dai contenuti della nota medesima.
Ed, invero, l’oggetto della stessa è individuato in “Comunicazione ai sensi dell’art. 10 bis della L. 241/1990″ e in essa si legge: ” In riscontro alla vs. nota indicata a margine, inerente la richiesta di permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 36 del DPR n. 380/2001, relativo all’esecuzione di opere in assenza e/o difformità di titolo abilitativo, consistenti nella chiusura del porticato antistante l’unità abitativa, opere di manutenzione straordinaria e realizzazione di un muretto a ridosso della recinzione con annesso barbecue prefabbricato, si comunica ai sensi dell’art. 10 -bis della legge n. 241/1990, che questo Ufficio ritiene di dover adottare il provvedimento di diniego per il seguente motivo: – l’aumento di volumetria derivante dalla chiusura del porticato di piano terra non può essere destinato a volume tecnico in quanto in contrasto con l’art. 8 delle NTA di PRG…….: Ai sensi dell’art. 10- bis della legge n. 241/1990, entro 10 giorni dal ricevimento della presente, la S.V. potrà presentare eventuali osservazioni”.
Orbene, l’espresso richiamo all’articolo 10-bis, la affermata possibilità di presentazione di controdeduzioni, l’inciso ” si comunica…che questo Ufficio ritiene di dover adottare provvedimento di diniego” esprimono non la determinazione provvedimentale finale, ma unicamente la constatazione di motivi ostativi che l’ente locale ritiene dovranno condurre al rigetto dell’istanza, lasciando così ritenere che il procedimento non si è ancora concluso e che, conformemente al paradigma normativo citato, l’atto prelude alla “formale adozione di un provvedimento negativo”, il quale non è nella specie ravvisabile.
Né può ritenersi che detta comunicazione costituisca provvedimento conclusivo del procedimento, aderendosi all’argomentazione difensiva del Comune, secondo cui nella specie la comunicazione preventiva non era dovuta, in relazione alla specificità del procedimento.
Va, invero, osservato che la disposizione di cui al richiamato articolo 10-bis è norma di carattere generale, valevole (e, dunque, di obbligatoria applicazione) per tutti i procedimenti ad istanza di parte (tra i quali rientra pacificamente la domanda di accertamento di conformità di cui all’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001), mentre nel caso in esame non ricorrono le eccezioni espressamente indicate dalla legge (in relazione alle quali il preavviso di rigetto non è dovuto), puntualmente indicate nelle “procedure concorsuali” e nei “procedimenti in materia previdenziale ed assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”.
Non assumono, inoltre, rilevanza in senso contrario le argomentazioni spese nella sentenza di primo grado, laddove essa – pur dando atto che non vi è stata rituale comunicazione dei motivi ostativi, risultando l’atto notificato a soggetto non legittimato a riceverlo (“….Tuttavia, il domiciliatario in Italia del Ci. -indicato nelle ordinanze di sospensione e nel provvedimento di demolizione – risulta essere l’avvocato Ca. Ma….cui all’opposto il preavviso non è stato inviato”) – assume che l’omissione non ha carattere invalidante in quanto, in applicazione dell’articolo 21 octies della legge n. 241/1990, il contenuto del provvedimento finale non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto assunto.
Va, invero, considerato che il richiamo alla giurisprudenza “sostanzialistica” sul punto non vale ad escludere l’illegittimità della gravata ordinanza, considerandosi che nella specie manca il provvedimento formale di rigetto della domanda di condono, il quale costituisce indefettibile presupposto di legittimità della successiva ordinanza di demolizione.
Costituisce, infatti, condivisibile acquisizione giurisprudenziale che, in pendenza di procedimento di sanatoria, sono sospesi i procedimenti sanzionatori ed il relativi provvedimenti possono essere adottati solo all’esito del conclusivo provvedimento di rigetto della domanda di regolarizzazione edilizia.
Tale conclusione trova espresso fondamento normativo in materia di condono edilizio nella disposizione dell’articolo 38 della legge n. 47/1985, laddove prevede, al comma 1, che “La presentazione…della domanda….sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative”.
Tuttavia, il principio risulta applicabile anche nella fattispecie della sanatoria “ordinaria”, cioè nell'”accertamento di conformità ” di cui all’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, atteso che anche in questo caso un’azione repressiva esercitata prima della definizione della domanda del privato vanificherebbe a priori la possibilità del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (anche di contenuto parziale rispetto alla totalità delle opere per le quali l’accertamento è richiesto) e che la stessa si pone in contrasto con i principi di coerenza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, i quali impongono la previa definizione del procedimento prima di assumere iniziative potenzialmente pregiudizievoli per lo stesso esito della sanatoria edilizia.
La suddetta soluzione interpretativa, invero, soddisfa evidenti esigenze pratiche e di interesse pubblico, evitando l’inconveniente di demolire un’opera per poi consentirne la ricostruzione in base ad un successivo ed eventuale titolo abilitativo in sanatoria.
Né può assumersi che nella specie la reiezione della domanda di condono si sia formata per silentium, ai sensi della disposizione del citato articolo 36 del d-P.R. n. 380 del 2001, il quale prevede che “Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”.
Nella vicenda in esame, infatti, non può parlarsi di formazione di silenzio significativo ad esito negativo.
Invero, deve considerarsi che l’amministrazione non è rimasta inerte di fronte all’istanza del privato, ma ha avviato il relativo procedimento, effettuando istruttoria ed adottando anche la citata comunicazione di preavviso di rigetto.
La stessa, tra l’altro, come riconosciuto dal giudice di primo grado, risulta irritualmente notificata, in quanto non effettuata al domicilio eletto dal signor Ci. (l’ordinanza di demolizione indica che il privato ha eletto domicilio in Italia presso lo studio dell’avvocato Ca. Ma., in Andria alla via (omissis)) e, dunque, il privato non ha avuto modo di svolgere controdeduzioni.
Deve, pertanto, ritenersi, in relazione all’attività procedimentale così come svolta dall’Amministrazione, che quest’ultima abbia scelto il modulo procedimentale ordinario e che, dunque, operi la regola generale, contenuta nell’articolo 2 della legge n. 241/1990, secondo cui il procedimento debba concludersi con un provvedimento espresso.
Questo, inteso come provvedimento amministrativo conclusivo, contenente la determinazione finale del Comune in ordine alla proposta istanza di sanatoria, non risulta mai essere stato adottato, con la conseguenza che l’ordinanza di demolizione emessa in epoca precedente, risulta illegittima.
Né può ritenersi che il provvedimento definitivo di rigetto sia contenuto implicitamente nella citata ordinanza di demolizione.
Va, al riguardo, in primo luogo considerato che esso sarebbe illegittimo in quanto non “espresso”, come da modulo procedimentale scelto dal Comune.
Tale opzione interpretativa risulta, poi, comunque esclusa dal contenuto stesso dell’ingiunzione demolitoria, la quale, facendo riferimento (erroneamente, come si è visto) alla comunicazione prot. n. 11873 del 23-2-2010 quale atto con il quale è stato espresso diniego alla domanda di sanatoria, indica in altro atto la determinazione negativa conclusiva del relativo procedimento ed esclude, pertanto, che la stessa possa essere ravvisata nel decisum suo proprio.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, pertanto, risulta fondato il primo motivo di appello.
Tale accoglimento ha carattere assorbente, risultando già esso sufficiente ad affermare l’illegittimità della disposta ordinanza di demolizione, la quale deve per l’effetto, essere annullata.
L’esame dei residui motivi di appello può, pertanto, essere assorbito.
La sentenza di primo grado deve, di conseguenza, essere riformata parzialmente, nei limiti di interesse dell’appellante (si è sopra visto che sull’accoglimento del ricorso di primo grado per la parte relativa al muretto a ridosso del confine di recinzione non vi è appello e, dunque, si è formato giudicato).
Restano, peraltro, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione, all’esito di rinnovata rituale notifica del preavviso di rigetto ed adozione del provvedimento finale sulla domanda di accertamento di conformità, che si pronunci anche sulle ulteriori opere per le quali il titolo in sanatoria è stato richiesto.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (cfr., ex plurimis, Cass. civ., V, 16-5-2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza n. 414/2017 ed in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla l’ordinanza di demolizione n. 174 del 14-7-2010.
Condanna il Comune di (omissis) al pagamento, in favore dell’avvocato Am. Ma. dichiaratosi antistatario, delle spese del doppio grado di giudizio, che si liquidano in complessivi euro 2000 (duemila), oltre oneri come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF
Bernhard Lageder – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere

Avv. Renato D’Isa

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