Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 3 marzo 2020, n. 1540.
La massima estrapolata:
La presentazione dell’istanza di sanatoria, sia essa di accertamento di conformità sia essa di condono, produce l’effetto di rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio dell’ingiunzione di demolizione e, quindi, improcedibile l’impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse.
Sentenza 3 marzo 2020, n. 1540
Data udienza 27 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2639 del 2019, proposto da
Op. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Le. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 9840/2018, resa tra le parti, concernente annullamento, previa adozione di provvedimento cautelare:
a) della d.d. U.O.T. Municipio XII del Comune di Roma n. 48/2003 contenente ordine di demolizione di alcune opere in via (omissis) (omissis);
b) del provvedimento dirigenziale U.O.T. del XII Municipio del Comune di Roma prot. 17241/2003 di reiezione denunzia inizio attività ;
c) di ogni atto connesso ai precedenti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2020 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati istanza connessa all’emergenza sanitaria;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio l’originaria ricorrente, cui è subentrata a seguito di fusione per incorporazione l’odierna appellante, invocava l’annullamento della determinazione dirigenziale dell’U.o.t. del Municipio XII del Comune di Roma n. 48 del 15.1.2003 contenente ordine di demolizione di alcune opere e del provvedimento dirigenziale n. 17241 del 17.3.2003 di rigetto della denunzia inizio attività .
2. Il primo giudice chiariva innanzitutto che le opere abusive contestate negli atti impugnati, oltre al frazionamento del manufatto in tre attività commerciali distinte, attenevano: sul prospetto nord dell’edificio, nella chiusura di quattro vani porta mediante pareti in muratura; sul prospetto ovest, nella chiusura di quattro finestre e di una porta; sul prospetto est, nella chiusura di quattro finestre, posa in opera di un manufatto tipo container adibito a locale tecnologico, di un altro manufatto prefabbricato poggiato su un plateatico di cemento armato, di una struttura in ferro parzialmente tamponata con pannelli coibentati e di un’altra struttura in ferro. Tanto premesso il primo giudice dava atto della presenza di un contenzioso avente ad oggetto la concessione edilizia in sanatoria n. 138275/98 relativa alla realizzazione dell’intero immobile, in relazione al quale lo stesso TAR aveva adottato pronunce nn. 3464 e 5615 del 2018 reiettive delle istanze giurisdizionali della ricorrente. Pertanto, il giudice di prime cure concludeva che la mancanza della regolarità urbanistica dell’immobile comportava il rigetto della domanda di annullamento formulata da parte ricorrente, in mancanza di alcun titolo edilizio relativo all’immobile sul quale erano stati realizzati i lavori oggetto del giudizio, e l’irrilevanza della concessione in sanatoria presentata.
3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello Op. s.p.a., che ne lamenta l’erroneità per le seguenti ragioni: I) per ciò che riguarda la regolarità edilizia dell’intero immobile, con la sentenza n. 1287/2019, pubblicata in data 25 febbraio 2019, il Consiglio di Stato, Sez. VI, avrebbe accolto l’appello proposto dalla stessa Società Op. S.p.A. relativo al giudizio concernente l’annullamento della concessione in sanatoria originariamente rilasciata. Pertanto, sarebbe venuto meno il presupposto logico-giuridico a fondamento della pronuncia di prime cure; II) il primo giudice avrebbe in ogni caso dovuto dichiarare improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso, in ragione della presentazione di un’istanza di permesso a costruire in sanatoria; III) per quanto concerne le contestazioni riguardanti le opere interne al fabbricato de quo, l’asserito frazionamento sarebbe inesistente da un punto di vista edilizio, poiché si sarebbe in presenza di tre distinti esercizi commerciali e non di tre distinte unità immobiliari. In merito alla avvenuta denunzia delle opere finalizzate alla creazione di vari reparti commerciali sin dalla D.I.A. presentata con prot. n. 15491/2002, stando alla tesi della c.d. denuncia legittimante, secondo cui l’attività sottoposta a D.I.A. è sottoposta alla presentazione di un atto privato ex lege e il termine (all’epoca pari a 20 giorni), il controllo sarebbe configurato come una sorta di condizione di efficacia. Pertanto, il mancato esercizio del potere inibitorio entro il predetto periodo precluderebbe che lo stesso possa essere attivato successivamente al perfezionamento della procedura. Qualora, diversamente, si fosse dovuto ritenere che il decorso del termine suddetto operasse come progressiva formazione di un provvedimento tacito per silenzio-assenso, a quel punto sarebbe stato necessario ricorrere ai poteri dell’autotutela, rimuovendo, in un primo momento, il provvedimento tacito (avente ad oggetto il mancato esercizio del potere inibitorio) e, in un secondo momento, sanzionando il preteso abuso edilizio. Per quanto riguarda la sanzione irrogata, infine, essa sarebbe comunque illegittima perché si tratterebbe di un abuso minore non sanzionabile con il ripristino, ma solamente in via pecuniaria.
4. Costituitasi in giudizio, l’amministrazione comunale invoca il rigetto dell’odierno gravame, atteso che le opere ritenute abusive sarebbero state realizzate non al fine d’assicurare una maggiore funzionalità dell’organismo edilizio originario oggetto di condono, ma al fine di realizzare un diverso sfruttamento dell’unico manufatto. Le ulteriori opere, peraltro, avrebbero inciso notevolmente sull’assetto urbanistico dell’area, comportando, nella sostanza, una trasformazione urbanistica. Inoltre, la disciplina ratione temporis vigente (art. 2 comma 60, l. 662/1996) avrebbe consentito la denuncia d’inizio d’attività per alcuni interventi edilizi, dettagliatamente individuati, che non assumono rilevanza sul piano urbanistico. Tra queste, però, non rientrerebbero le opere di ristrutturazione edilizia che resterebbero assoggettate al regime ordinari e, quindi, al rilascio di concessione.
5. Nelle successive difese l’appellante insiste nella pronuncia di improcedibilità dell’odierno gravame in ragione della proposizione di istanza di permesso di costruire in sanatoria.
6. L’appello va dichiarato improcedibile per difetto di interesse. La premessa logico-giuridica da cui parte il giudice di prime cure risulta caducata all’indomani della sentenza n. 1287/2019 di questa Sezione che ha disposto l’annullamento della D.D. n. 298 del 2002 dell’amministrazione comunale di annullamento di concessione edilizia in sanatoria n. 138275 e, contestuale nuovo annullamento della concessione edilizia medesima. Pertanto, non risulta corretta l’affermazione del giudice di prime cure secondo la quale l’immobile de quo sarebbe privo di titolo edilizio. Da ciò deriva che la proposizione di istanza permesso a costruire in sanatoria in relazione alle opere abusive oggetto dell’ordinanza di demolizione fa venire meno l’interesse alla decisione dell’odierno gravame e ancor prima all’originario ricorso di prime cure, atteso che secondo consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, la presentazione dell’istanza di sanatoria, sia essa di accertamento di conformità sia essa di condono, produce l’effetto di rendere inefficace il provvedimento sanzionatorio dell’ingiunzione di demolizione e, quindi, improcedibile l’impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse (cfr. da ultimo, CGA 15 maggio 2018, n. 271; Cons. St., Sez. IV, 28 novembre 2013, n. 5704).
8. Da ciò deriva, quindi, che deve essere riformata la sentenza di primo grado, atteso che lo stesso ricorso proposto davanti al TAR risulta improcedibile per difetto di interesse. Possono essere compensate le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in riforma dell’impugnata sentenza dichiara improcedibile il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Andrea Pannone – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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