Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 7 febbraio 2020, n. 998.
La massima estrapolata:
Il potere di regolamentare la destinazione d’uso degli immobili, previsto dall’art. 8, lett. a), L. n. 47-1985 (rientrante nel più ampio concetto di governo del territorio di cui all’art. 117 Cost.) costituisce uno strumento conformativo dello ius aedificandi e deve ritenersi correttamente utilizzato ove le prescrizioni legislative che impongano determinati vincoli di destinazione rispondano alla peculiarità degli interventi edilizi disciplinati ed alla utilità pubblica ad essi sottesa.
Sentenza 7 febbraio 2020, n. 998
Data udienza 21 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 292 del 2010, proposto da:
– Ho. Pa. Re. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ga. De Be., Fr. Pa. e Ro. Ro., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. Le. in Roma, viale (…);
– Ho. e Ma. Pi. – Ar. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Pa. e Ro. Ro., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. Letizia in Roma, viale (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Be. Gr., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Al. Pl. in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Seconda n. 280/2009, resa tra le parti, concernente l’annullamento di una concessione edilizia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2020, il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti l’avv.to Ga. De Be. e l’avv.to Ca. Ma., su delega dell’avv.to Be. Gr.;
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Bologna, sez. II, con la sentenza 25 marzo 2009, n. 280, ha respinto il ricorso, proposto dall’attuale parte appellante, per l’annullamento della concessione 23 marzo 1994, prot. n. 17406, nella parte in cui si è condizionato il rilascio della concessione all’unitarietà per le quantità della proprietà immobiliare, per le quantità descritte al patto n. 4 dell’atto unilaterale d’obbligo autenticato il 23 febbraio 1995; nonché della delibera del Cons. Com. n. 633 del 18 ottobre 1989 e della delibera della G.M. n. 359-1994, compresa la delibera della Giunta Municipale n. 350 del 1 marzo 1994 per la parte afferente all’obbligo della unitarietà della proprietà dell’immobile.
Secondo il TAR, sinteticamente:
– le case-albergo, dal punto di vista urbanistico, sono state assimilate dalla legge regionale n. 28-1990 e dall’art. 7 del PRG del Comune di (omissis) al genere degli esercizi ricettivi di tipo alberghiero e di tipo sociale, stante la sostanziale identità degli stessi dal punto di vista dell’impatto sul territorio;
– è quindi logico che il legislatore ed il Comune regolatore si preoccupino della permanenza della destinazione d’uso alberghiera, evitando cioè che le strutture, in tutto od in parte, si trasformino in residenze;
– si deve pertanto ritenere che, in assenza di regole idonee ad imporre condizioni contrattuali dì vendita sufficienti a garantire il mantenimento in concreto della gestione unitaria di tipo alberghiero, non sia illogico che l’obiettivo del mantenimento della destinazione d’uso, imposto dalle norme, sia realizzato attraverso la tutela dell’unitarietà della proprietà, in quanto l’alienazione di singoli alloggi potrebbe comunque di fatto incidere sulle caratteristiche della struttura fino a trasformarla progressivamente in una struttura di tipo condominiale;
– in questo modo, si evita che la parcellizzazione delle proprietà possa condurre, di fatto, al passaggio, in tutto od in parte, dalla funzione ricettiva alla funzione residenziale.
La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità e riproponendo, in sostanza, i motivi del ricorso di primo grado.
Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Si costituiva il Comune appellato chiedendo la reiezione dell’appello.
All’udienza pubblica del 21 gennaio 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Ritiene il Collegio, che sia l’atto di appello che il ricorso di primo grado presuppongano la contestazione (e, quindi, l’impugnazione) della delibera del Cons. Com. n. 633 del 18 ottobre 1989 e, in particolare, dell’art. 7.3 del P.R.G. che prevede un atto unilaterale d’obbligo avente ad oggetto l’unitarietà e indivisibilità della struttura alberghiera, quale condizione per il rilascio della concessione edilizia.
Le censure di merito formulate dalla parte appellante, infatti, ripropongono la tesi dell’illegittimità della norma di piano, sostenendo che il Comune non avrebbe il potere di imporre il mantenimento della destinazione d’uso, configurando come illecito urbanistico la vendita frazionata.
Tuttavia, il citato art. 7.3 delle Norme di piano doveva essere impugnato al momento della sua entrata in vigore; ovvero, ipotizzando la possibilità di contestare la disposizione in esame al momento della sua applicazione, tale norma doveva essere impugnata entro 60 giorni dalla data in cui è divenuta fondamento dell’atto di obbligo, e cioè in data 23 febbraio 1994.
Quindi, parte appellante avrebbe dovuto notificare il ricorso di primo grado entro il 23 aprile, e non il 20 maggio 1994, come ha fatto.
Il ricorso sarebbe comunque tardivo anche rispetto all’impugnazione della deliberazione della G.M. n. 359 del 1 marzo 1994, che è provvedimento che recepisce l’obbligo dell’unitarietà .
Tale delibera, infatti, era certamente nota alla società Ma. Pi., ricorrente, poiché essa è espressamente richiamata dal legale rappresentante della stessa nel supplemento dell’atto d’obbligo sottoscritto avanti al notaio in data 4 marzo 1994.
Né può sostenersi che detti limiti non si estendano all’attuale appellante Pa. S.r.l., subentrata alla Ma. Pi. S.r.l., poiché essa succede alla prima società negli stessi termini, di fatto e di diritto, in cui è la società dante causa, comprese le eventuali situazioni di inopponibilità nel frattempo consolidatesi, come nel caso in esame.
L’acquisto di un immobile non può certamente sortire l’effetto di “riaprire” i termini di impugnativa di atti lesivi del dante causa.
2. Nel merito, deve ribadirsi, come ha ben esposto il TAR, che l’unitarietà della struttura e dell’attività gestionale delle residenze turistico-alberghiere appare del tutto incompatibile con qualsiasi ipotesi di frazionamento della proprietà del complesso immobiliare in cui esse operano (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29 maggio 2008, n. 2584).
Il potere di regolamentare la destinazione d’uso degli immobili, previsto dall’art. 8, lett. a), L. n. 47-1985 (rientrante nel più ampio concetto di governo del territorio di cui all’art. 117 Cost.) costituisce uno strumento conformativo dello ius aedificandi e deve ritenersi correttamente utilizzato ove le prescrizioni legislative che impongano determinati vincoli di destinazione rispondano alla peculiarità degli interventi edilizi disciplinati ed alla utilità pubblica ad essi sottesa.
Il vincolo di natura urbanistico- alberghiera in esame giustifica la prescrizione inserita nel permesso di costruire secondo la quale la RTA unitariamente considerata debba essere realizzata in un unico immobile.
La norma di piano, peraltro, non vieta affatto l’alienabilità del bene, ma considera il frazionamento, dal punto di vista urbanistico, come un fattore di sottrazione del bene medesimo al vincolo di destinazione della struttura alberghiera quale bene produttivo di servizi, come tale da scongiurare onde conservare l’equilibrio che, nel tessuto urbano e nel territorio, deve esistere tra le varie destinazioni urbanistiche.
Si tratta, quindi, di una scelta discrezionale che non presenta alcun carattere di illogicità o irrazionalità manifeste e che, come detto, è frutto del potere di governo del territorio affidato all’Amministrazione comunale.
3. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.
Compensa le spese di lite del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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