Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 4 giugno 2019, n. 3764.

La massima estrapolata:

Il legislatore, sulla base della considerazione che normalmente l’annullamento interviene quando l’opera è stata già realizzata, ha ritenuto opportuno conferire all’amministrazione la possibilità di non procedere automaticamente all’applicazione delle normali sanzioni susseguenti all’accertamento dell’abuso, quali la demolizione dell’opera, potendo essere conveniente mantenere ferma l’opera realizzata ed introitare una sanzione pecuniaria cospicua, quale appunto quella costituita dal valore venale delle opere abusive realizzate.

Sentenza 4 giugno 2019, n. 3764

Data udienza 23 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7405 del 2015, proposto da
An. Fr., rappresentato e difeso dagli avvocati Ga. Pa. e Lu. Co., con domicilio eletto presso lo studio Ga. Pa. in Roma, viale (…);
contro
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
Ga. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Gu. e Ci. Be., con domicilio eletto presso lo studio Fe. Ma. in Roma, (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana n. 385/2015.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ga. Bo.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 maggio 2019 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Lu. Co. e Ci. Be.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1 – Ga. Bo. è proprietario di una villa (“Vi. Gi.”) sita nel comune di (omissis) (via (omissis)) e contraddistinta catastalmente al foglio (omissis), mapp. (omissis), sub (omissis).
An. Fr. è proprietario del compendio confinante con il suddetto villino.
2 – Il “Vi. Gi.” è stato oggetto di DIA n. 2423 del 22 giugno 2004 per la sua ristrutturazione, con annessa sopraelevazione del tetto; quindi, di una variante rispetto alla suddetta DIA, di cui al permesso di costruire n. 133 del 23 settembre 2005, volta ad ampliare orizzontalmente il fabbricato.
3 – An. Fr. ha impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica quest’ultimo provvedimento ottenendone l’annullamento in forza del D.P.R. n. 4523 dell’8 gennaio 2010 (sulla base del parere n. 5544/2009 del Consiglio di Stato).
4 – Con il provvedimento del 31 gennaio 2011 il Comune: a) ha dichiarato l’intervento eseguito in base alla DIA ed al permesso di costruire contrastante con “rilevanti interessi pubblici”, essendo stato realizzato un “nuovo fabbricato” di maggior volume in contrasto con quanto previsto dalle norme del piano urbanistico, in zona soggetta a vincolo paesaggistico; b) ha ordinato la rimessa in pristino mediante demolizione ex art. 138 L.R. 1/2005, nel termine di 90 giorni, di tutte le opere realizzate in forza del titolo annullato.
5 – La suddetta ordinanza comunale è stata impugnata da Ga. Bo. dinanzi al T.A.R. per la Toscana.
6 – Con ricorso depositato il 27 maggio 2011 (n. 4396/2011) An. Fr. ha promosso ricorso per l’ottemperanza del D.P.R. 8 gennaio 2010.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4142/2013, ha accolto il ricorso, fissando in 90 giorni il termine per la sua esecuzione.In seguito all’istanza ex art. 112 comma 5 del c.p.a. presentata dal Bo., con ordinanza n. 463/2014 ha invece disposto la sospensione della procedura conformativa fino alla definizione del merito del giudizio da parte del T.A.R. per la Toscana.
7 – Il T.A.R. per la Toscana, con la sentenza n. 385/2015, ha accolto il ricorso proposto dal Bo., e, per l’effetto, ha annullato gli atti impugnati, con i quali il Comune di (omissis) aveva ordinato la rimessione in pristino mediante demolizione ex art. 138 della L.R. 1/2005 delle opere realizzate in forza del titolo annullato.
8 – Avverso tale sentenza ha proposto appello An. Fr. per i motivi di seguito esaminati.
Si è costituito in giudizio Ga. Bo., spiegando appello incidentale.
All’udienza del 23 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1 – Appare prioritario esaminare il secondo motivo proposto con l’appello incidentale, potenzialmente idoneo ad assorbire tutte le ulteriori questioni oggetto del giudizio.
Con tale censura si assume che l’annullamento del permesso in variante disposto dal D.P.R. 8 gennaio 2010 non avrebbe alcun effetto pratico, in quanto il provvedimento annullato sarebbe stato confermato da un successivo atto adottato dall’amministrazione sulla base di una rinnovata istruttoria, non impugnato in sede di ricorso straordinario e, quindi, non annullato dal D.P.R. che lo ha accolto.
1.1 – La doglianza è infondata, posto che alla nota del comune di (omissis) del 23 marzo 2006 non è possibile riconoscere alcuna valenza provvedimentale, limitandosi la stessa a fornire i chiarimenti richiesti dal controinteressato, tanto è vero che la stessa non rinnova la valutazione sulle domande presentate da Ga. Bo., essendo indirizzata al solo proprietario confinante An. Fr..
Come rilevato anche nella sentenza impugnata, a tale medesima conclusione era già giunto questo Consiglio che, adito in sede di revocazione del proprio parere del 29 luglio 2009, aveva escluso che la nota del comune di (omissis) del 23 marzo 2006 potesse intendersi come conferma del permesso di costruire del 23 settembre 2005.
2 – Tenuto conto degli ulteriori motivi di appello svolti dalle parti, deve ora chiarirsi l’esatta portata del giudicato rappresentato dal D.P.R. 8 gennaio 2010.
Infatti, con il primo motivo di appello, An. Fr. deduce, tra l’altro, l’errata interpretazione del giudicato formatosi a seguito delle pronunce rese dal Consiglio di Stato; con il terzo motivo di appello critica invece la premessa sottesa alla decisione del T.A.R, legata all’inesatta comprensione degli effetti prodotti dall’annullamento del permesso edilizio in variante da parte del Capo dello Stato.
2.1 – In particolare, secondo il T.A.R.: a) l’annullamento del permesso di costruire in variante avrebbe riportato “ora per allora” la situazione al momento precedente al rilascio di tale permesso in cui gli unici lavori autorizzati erano quelli di demolizione e ricostruzione con sopraelevazione; b)da tale premessa avrebbe dovuto muovere il Comune di (omissis) nel vagliare l’eventuale sussistenza di un rilevante interesse pubblico alla demolizione del manufatto, posto che il contrasto con l’interesse pubblico non avrebbe potuto essere apprezzato in relazione all’esistenza dell’immobile nella sua interezza, ma per il pregiudizio (eventuale) arrecato dalla sola parte autorizzata con l’annullato permesso in variante.
2.2 – Secondo l’appellante, il Consiglio di Stato non si sarebbe limitato ad annullare il permesso di costruire, senza esprimersi sulla legittimità della DIA, sicché l’accertata illegittimità, coperta da giudicato, investirebbe l’edificio nella sua unitarietà .
2.3 – La censura è fondata.
Dalla lettura del ricorso straordinario proposto avverso il permesso di costruire n. 133 del 23 settembre 2005 – ma esteso anche ad ogni atto presupposto, preparatorio, connesso e consequenziale – ben si comprende che la critica attiene all’intervento complessivamente realizzato, ovvero alla demolizione e ricostruzione con sopraelevazione a cui si è aggiunto l’ampliamento orizzontale.
2.4 – Nel parere reso dalla Terza Sezione, poi recepito dal D.P.R. citato, si legge: “L’esame di questo motivo di ricorso non può prescindere dalla considerazione che le N.T.A. del Comune sembrano recare – indipendentemente dalla classificazione degli immobili tra quelli di scarso valore architettonico ed ambientale – un principio generale di disfavore a riguardo del cumulo tra sopraelevazione ed ampliamento: basta considerare l’art. 18, c. 2, secondo periodo, l’art. (omissis), relativamente alla zona (omissis) (ma anche alle zone (omissis)). Secondo quanto deduce il ricorrente tale principio, per la sua valenza generale dovrebbe applicarsi al complesso dei lavori oggetto della D.I.A. n. 2423/04 e del permesso di costruire n. 133/05. A riguardo replica l’Amministrazione che, trattandosi di mero intervento di recupero del sottotetto con mera sopraelevazione di mt. 1,20, esso sarebbe escluso dall’applicazione del principio dell’alternatività con l’ampliamento. Senonché non può prescindersi dal fatto che il suddetto intervento di recupero non si iscrive in un mero lavoro di ristrutturazione, ma presuppone, secondo quanto può ricavarsi dalla relazione tecnica allegata alla D.I.A. n. 2423/04, la “demolizione e ricostruzione del villino”. Ciò fa sì che nel caso di specie possa ritenersi ricostruito ex novo il “Vi. Gi.” e che, pertanto ad esso non potesse applicarsi la normativa riguardante gli ampliamenti.
Del resto, come dedotto dal ricorrente, la contestuale applicazione della normativa riguardante ristrutturazione con sopraelevazione del sottotetto e di quella riguardante gli ampliamenti ha comportato l’aggiramento di due altri princì pi chiaramente espressi dalle N.T.A. Il primo è quello per cui, come dedotto dal ricorrente con il secondo motivo di ricorso, è stato consentito – contrariamente a quanto statuito dall’art. (omissis) N.T.A. – un ampliamento di un edificio che, dopo la realizzazione della D.I.A., avrebbe avuto una superficie utile lorda superiore a mq. 160 e l’altro è quello per il quale il recupero del sottotetto non avrebbe dovuto dar luogo ad un aumento di un’unità immobiliare, mentre il recupero, così come realizzato, potrebbe in ipotesi realizzare, in futuro ed unito all’ampliamento, la trasformazione dell’unica unità immobiliare costituita dal villino in due unità immobiliari costituite dal pianterreno e da una modesta variazione della destinazione della stanza del sottotetto”.
2.5 – Che l’illegittimità dell’intervento includa anche le opere di cui all’originaria DIA è del resto confermato anche dall’oggetto del giudizio di ottemperanza e dal suo esito.
In tale giudizio An. Fr. ha chiaramente prospettato che i principi espressi nel citato parere dovevano applicarsi al complesso dei lavori oggetto della DIA n. 2423/04 e del permesso di costruire n. 133/05, e la sentenza n. 4142 del 2013 di questo Consiglio, in base a tale presupposto, ha accolto il ricorso per l’ottemperanza del D.P.R. 8 gennaio 2010.
3 – Da un altro punto di vista, nel caso di specie – in cui la consistenza dell’intervento complessivamente eseguito (sopraelevazione con contestuale ampliamento orizzontale) impedisce di distinguere e separare le opere realizzate in base alla DIA, da quelle previste nel permesso di costruire – appare pertinente il richiamo alla giurisprudenza che ha ritenuto legittima la demolizione di un intero fabbricato, realizzato in parte con regolare titolo abilitativo, quando gli interventi abusivi risultino tali da rendere non più identificabile e ripristinabile quanto regolarmente edificato (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 3179 del 2015).
4 – L’ulteriore punto che è necessario chiarire attiene all’esatta interpretazione dell’art. 138 della L.R. n. 1/2005 in rapporto all’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001.
Difatti, è in applicazione dei principi generali che saranno esposti che deve essere scrutinato il secondo motivo di appello, con cui An. Fr. deduce che il T.A.R. sarebbe partito da un’errata e contraddittoria lettura della norma statale di riferimento (art. 38 del DPR n. 380/2001), e da ciò avrebbe preteso far derivare l’applicazione della disciplina regionale di riferimento (art. 138 L.R. n. 1/2005, oggi abrogato, e sostituito dall’art. 204 L.R. n. 65/2014); nonché il quarto motivo di appello che critica la decisione del T.A.R. laddove ha ritenuto che il Comune non avrebbe adeguatamente motivato i rilevanti interessi pubblici compromessi dalla realizzazione dell’opera.
5 – L’interpretazione dell’art. 138 della L.R. n. 1/2005 (“in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile la rimozione dei vizi riscontrati, il Comune applica una sanzione pari al valore venale delle opere abusivamente eseguite valutato dall’ufficio tecnico comunale, salvo che con provvedimento motivato dichiari che l’opera contrasti con rilevanti interessi pubblici; disponendo la restituzione in pristino in quanto possibile”) deve necessariamente essere conforme ai principi desumibili dall’art. 38 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, pena la violazione, ad opera della fonte regionale, di un principio fondamentale e generale del testo unico statale, e il conseguente sconfinamento dai limiti entro i quali la potestà legislativa regionale in materia edilizia, ancorché concorrente, può legittimamente dispiegarsi (cfr. Corte Cost. n. (omissis)3 del 2005; Ad. Plen. n. 2 del 2008).
L’art. 38 del DPR n. 380/2001 prevede che: “In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa”.
Tale norma differenzia la posizione di colui che ha realizzato un abuso sulla base di un titolo annullato da quella di chi ha realizzato un’opera abusiva sin dall’origine priva del titolo abilitativo, per la quale l’art. 31 del T.U. prevede sempre la sanzione della demolizione.
La norma in commento non si pone in contraddizione con quest’ultima regola generale, prendendo in esame una fattispecie di abuso nella quale emerge anche l’opportunità di tutelare l’affidamento del privato, che ha avviato l’esecuzione dell’opera sulla base di un atto che autorizzava la stessa, solo in seguito venuto meno.
In particolare, la scelta di tutelare l’affidamento riposto in un titolo (in seguito annullato) e la considerazione che l’annullamento avviene nella gran parte dei casi quando l’opera è ormai realizzata giustificano che, in particolari ipotesi, sia preclusa la demolizione, prevedendo in luogo di essa l’incameramento di una sanzione pecuniaria (cfr. Cons. St., Sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2398).
In altri termini, l’art. 38 contempla una particolare ipotesi di sanatoria per gli immobili rimasti privi del titolo edilizio che li assentiva; ciò al fine di ovviare al pregiudizio che subirebbe il privato, il quale aveva proceduto all’edificazione confidando nella bontà del relativo titolo rilasciato dall’amministrazione.
5.1 – La norma non contempla solo tale interesse, prendendo comunque in considerazione anche l’interesse generale alla corretta gestione del territorio, nonché gli interessi di coloro che possono subire un pregiudizio dall’attività edificatoria altrui, prevedendo, laddove non sia possibile addivenire al rinnovo del titolo emendato dai vizi che ne hanno cagionato l’annullamento, ed a determinate condizioni, la demolizione dell’opera, che deve considerarsi senza titolo e perciò abusiva.
In tale contesto, la natura derogatoria dell’istituto e la rigidità delle sue condizioni applicative appaiono una proporzionata e ragionevole mediazione tra gli interessi pubblici e privati che si pongono in antitesi con l’interesse di colui che si è visto annullare il titolo che legittimava le opere realizzate.
La peculiarità della situazione del bene derivante dall’annullamento del relativo titolo edilizio, da ritenersi certamente abusivo, è stata oggetto anche della pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2009 che, seppur incidentalmente, in riferimento all’art. 38 ha osservato che: “il legislatore, sulla base della considerazione che normalmente l’annullamento interviene quando l’opera è stata già realizzata, ha ritenuto opportuno conferire all’amministrazione la possibilità di non procedere automaticamente all’applicazione delle normali sanzioni susseguenti all’accertamento dell’abuso, quali la demolizione dell’opera, potendo essere conveniente mantenere ferma l’opera realizzata ed introitare una sanzione pecuniaria cospicua, quale appunto quella costituita dal valore venale delle opere abusive realizzate”.
5.2 – Le considerazioni che precedono escludono che una tale ricostruzione dell’istituto si ponga in contrasto con i principi costituzionali desumibili dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, poiché la tutela apprestata dall’ordinamento al soggetto che ha ottenuto l’annullamento del titolo edilizio non deve necessariamente identificarsi nella demolizione di quanto edificato.
In altri termini, l’interesse del proprietario confinante, in un’ottica prettamente pubblicistica, deve confrontarsi con gli altri interessi in gioco; ne consegue che, per le ragioni già esposte, la scelta del legislatore di attenuare gli effetti derivanti dall’annullamento del titolo edilizio, rispetto all’ipotesi generale di cui all’art. 31, non pare né irragionevole, né preclusiva, non potendosi affatto affermare che sia insita nella sistematica del testo unico, e più in generale dell’ordinamento, la sussistenza di un automatico diritto del proprietario confinante alla demolizione, salvo il diverso ambito della tutela dei diritti reali azionabili davanti al giudice ordinario.
5.3 – Il riferito necessario contemperamento degli interessi implicati dalla peculiare fattispecie in esame è garantito anche dalla possibilità che il Comune, prima di sanzionare l’abuso, valuti la possibilità di rinnovare il titolo edilizio annullato.
Al riguardo, la giurisprudenza (Cons. St., Sez. IV, 10 luglio 2012, n. 4923) ha già avuto modo di precisare che nell’ipotesi in cui il permesso di costruire sia stato annullato in sede giurisdizionale a causa di vizi emendabili – e, quindi, fuori dei casi di divieto assoluto di edificazione – l’effetto conformativo che discende dal decisum di annullamento non comporta affatto per il Comune l’obbligo sempre e comunque di disporre la demolizione di quanto realizzato sulla base del titolo annullato, ma è circoscritto al divieto, in caso di adozione di un nuovo titolo edilizio, di riprodurre i medesimi vizi (formali o sostanziali che siano) che detto titolo avevano connotato: tanto evincendosi proprio dall’art. 38 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che disciplina la sorte delle opere realizzate sulla base di un permesso di costruire poi annullato (cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1488).
Negli altri casi, la disposizione in esame esclude comunque la demolizione in quei casi in cui l’illegittimità del titolo deriva dai vizi della procedura amministrativa, ovvero nei casi in cui “non sia possibile la restituzione in pristino”.
Ciò comporta che – dapprima nella verifica della necessità di irrogazione della sanzione (quando non si possano rimuovere i vizi riscontrati nell’atto annullato), e poi, una volta riscontratane la necessità, nella scelta della sanzione applicabile – l’amministrazione debba svolgere una verifica, congruamente motivando su quanto infine deciso.
In questo senso, nella fattispecie di cui all’art. 38 cit., la demolizione rappresenta l’extrema ratio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535; sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2852), il che rende necessaria una motivazione specifica (e non estremamente sintetica se non implicita) a sorreggere quel tipo di provvedimento.
6 – Alla luce delle coordinante ermeneutiche esposte, la sentenza impugnata deve essere confermata seppure con le precisazioni di seguito esposte.
Appare invero condivisibile il nucleo centrale sul quale si basa la decisione del primo giudice, ovvero che: “l’annullamento del titolo edilizio non comportava, perciò, l’azzeramento delle possibilità edificatorie del fondo”.
Correttamente il T.A.R. argomenta nel senso che anche da tale premessa avrebbe dovuto muovere il Comune di (omissis) prima di determinarsi per la demolizione.
7 – Di conseguenza, il primo motivo dell’appello principale deve essere disatteso nel punto in cui si sostiene che, a seguito del giudizio del ottemperanza ed in ragione del suo esito, l’amministrazione dovrebbe comunque procedere con l’ingiunzione di demolizione del fabbricato.
Infatti, non è in dubbio che a seguito dell’annullamento del titolo edilizio l’amministrazione deve comunque agire, con la possibilità che detto obbligo possa essere fatto valere a mezzo di un giudizio di ottemperanza.
Tuttavia, come già esposto, tale obbligo non deve necessariamente concretizzarsi con l’applicazione della misura demolitoria, dal momento che l’art. 38 della l.r. n. 1/2005 e l’art. 38 del DPR 380/2001 contemplano anche la possibilità di applicare una sanzione pecuniaria alternativa alla riduzione in pristino e salva in ogni caso l’eventualità di rinnovo del titolo, ove possibile.
7.1 – In quest’ottica, l’assunto del T.A.R. – secondo cui il decisum del Consiglio di Stato sul giudizio di ottemperanza (sentenza n. 4142/2013) non precludeva lo scrutinio di legittimità della sanzione irrogata – appare condivisibile, non potendosi infatti inibire al giudice, in sede di giudizio ordinario di cognizione, di valutare la legittimità dell’esercizio del potere discrezionale della P.A. nei sensi innanzi delineati e nella scelta della sanzione da applicare.
In altre parole, la verifica della sussistenza delle condizioni indicate nella norma regionale e nell’art. 38 citato è un indefettibile antecedente logico – giuridico rispetto all’adozione dell’ordine di demolizione da parte dell’amministrazione; ne consegue che la valutazione sulla esistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 38 del t.u. deve avvenire in tutti i casi di annullamento del titolo edilizio, e prima che si proceda all’adozione dell’ordine di demolizione (cfr. Cons. St. Sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2398).
Peraltro, il giudice dell’ottemperanza, con l’ordinanza 463/2014, ha sospeso il relativo procedimento “fino alla definizione del giudizio avanti il Tar per la Toscana”.
8 – Deve poi essere disattesa la tesi secondo cui la norma azionata disporrebbe una sanatoria a formazione progressiva, che opera esclusivamente nei casi in cui il titolo sia stata annullato per vizi formali e/o procedurali. Più precisamente, secondo l’appellante principale, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., nel caso di annullamento del permesso di costruire per vizi di natura sostanziale, non troverebbe applicazione la sanzione pecuniaria, bensì quella ripristinatoria.
8.1 – In base alla più recente giurisprudenza di questo Consiglio, condivisa dal Collegio, la norma nazionale, come già accennato, deve essere interpretata nel senso che, in caso di annullamento del titolo edilizio per vizi sostanziali, la sanatoria (recte, la rinnovazione del titolo, l’emanazione di un nuovo permesso di costruire), è consentita qualora si sia trattato di vizi emendabili, che possono essere rimossi, ed è preclusa soltanto qualora si tratti di vizi inemendabili (Cons. Stato, sez. IV, n. 7131/2010: Dalla previsione di cui all’art. 38 del DPR 380 del 2001 – che prevede la rimozione dei vizi delle procedure amministrative in caso di permesso di costruire annullato in via giurisdizionale – non deriva quindi un generale divieto di rinnovazione dei permessi di costruire annullati in sede giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale…”; conf. Cons. Stato, sez. IV, n. 1546 del 2008, secondo cui: Nelle ipotesi in cui sia possibile, tuttavia, eliminare la violazione riscontrata dal giudice, per mezzo di un nuovo intervento che restituisca all’opera piena compatibilità con il regime edilizio inizialmente inosservato, il Comune deve astenersi dal provvedere, comunque, alla repressione dell’abuso e deve, al contrario, consentire la conformazione dei lavori ai parametri costruttivi giudicati violati… a fronte, dunque, di un’iniziativa privata diretta ad eliminare l’elemento di contrasto dell’intervento (illegittimamente) assentito con la disciplina edilizia di riferimento, l’amministrazione comunale non è tenuta…ad impedire i lavori e ad assumere provvedimenti sanzionatori, dovendo, al contrario, proprio in attuazione del giudicato ed in coerenza con il canone di azione dettato dall’art. 38 d.P.R. cit., assicurare l’adeguamento della situazione di fatto alla disciplina edilizia ritenuta violata”).
Esaustivamente, la giurisprudenza di questa Sezione (Cons. St., Sez. VI, n. 4221 del 2015) ha quindi puntualizzato che: “-non va condiviso l’assunto per cui la rimozione dei vizi ex art. 38 è consentita solo qualora essi abbiano natura formale o procedurale; -l’art. 38 è applicabile anche nel caso di annullamento per vizi sostanziali, purché emendabili. La “sanatoria” è preclusa solo quando si tratti di vizi inemendabili; -nell’ipotesi di cui all’art. 38 la demolizione dell’opera realizzata in base a un permesso annullato costituisce l’extrema ratio; in seguito all’annullamento di un titolo edilizio l’Amministrazione non è certo vincolata ad adottare misure ripristinatorie dovendo, anzi, privilegiare, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del potere emendato dai vizi riscontrati, ancorchè aventi carattere sostanziale. La riemanazione del permesso di costruire è ammessa, tranne che nei casi di divieto assoluto di edificazione; -l’adozione di un provvedimento sanzionatorio presuppone l’annullamento (anche in sede giudiziale) di un “assenso edilizio” “per il riscontrato e insanabile conflitto con il regime costruttivo di riferimento”.
8.2 – Nel caso in esame è incontestato che i titoli edilizi sono stati annullati dal giudice amministrativo per un vizio sostanziale e non per ragioni meramente formali.
Tuttavia, allo stato, non sussiste alcun riscontro che si versi in una ipotesi di vizio sostanziale non rimuovibile e ciò anche in ragione delle ulteriori considerazioni di seguito esposte.
9 – Deve infatti trovare accoglimento il secondo motivo dell’appello incidentale, e di conseguenza deve ritenersi che il Comune, nel rideterminarsi sulla possibilità di assentire l’opera, debba tenere conto anche delle sopravvenute previsioni del cd. “Piano Casa” (che secondo il ricorrente in primo grado avrebbero consentito la realizzazione dei volumi orizzontali dichiarati eccedenti le possibilità edificatorie delle N.T.A.); tanto più che, in fatto, Ga. Bo. deduce di aver già rappresentato all’amministrazione l’eventualità di rinnovare il titolo anche alla luce di tali previsioni, senza che di tale aspetto si sia dato conto nel provvedimento impugnato.
Al riguardo, deve infatti ribadirsi che, nell’ipotesi in cui il permesso di costruire sia stato annullato in sede giurisdizionale a causa di vizi emendabili, il Comune ben può adottare un nuovo titolo edilizio senza riprodurre i medesimi vizi che detto titolo avevano connotato. Inoltre, contrariamente a quanto argomento nella sentenza impugnata, in considerazione del fatto che la finalità della norma è quella di dettare una disciplina che tenga in adeguata considerazione, in ragione degli interessi implicati, la circostanza che l’intervento edilizio è stato realizzato in presenza di un titolo abilitativo che, solo successivamente, è stato dichiarato illegittimo, la giurisprudenza (Cons. St., Sez. VI, n. 2137 del 2015) ha ulteriormente precisato che: “l’amministrazione deve, pertanto, valutare, con specifica motivazione, in ragione soprattutto di eventuali sopravvenienze di fatto o di diritto, se sia possibile convalidare l’atto annullato”.
10 – L’accoglimento della censura che precede assorbe la questione relativa all’interpretazione della nozione di impossibilità della riduzione in pristino, che potrà venire in considerazione solo allorché il Comune, nel riesercizio del potere nel senso precisato dalla presente pronuncia, dovesse comunque determinarsi per la sanzione demolitoria.
11 – Le considerazioni che precedono e il delineato quadro ermeneutico entro il quale deve essere applicata la specifica norma regionale assorbono anche il quarto motivo dell’appello principale, con cui si contesta la decisione del T.A.R. laddove ha ritenuto che il Comune non avrebbe adeguatamente motivato i rilevanti interessi pubblici compromessi dalla realizzazione dell’opera.
Invero, come già anticipato, sussiste effettivamente un difetto motivazionale nel provvedimento impugnato, e questo deve essere correttamente declinato nel senso che il Comune doveva esplicitare in modo specifico le ragioni per cui non era possibile rinnovare i titoli annullati, tenuto anche conto delle norme e dei fatti sopravvenuti, nonché, una volta riscontratane l’impossibilità, le ragioni della scelta della sanzione applicabile.
12 – Posto che l’amministrazione sarà chiamata a rideterminarsi nel rispetto dei vincoli derivanti dalla presente sentenza, resta parimenti assorbito il terzo motivo dell’appello incidentale con cui si contesta la violazione degli art. 3 e 10 bis della l. 241/90 per la mancata considerazione delle osservazioni dell’interessato.
13 – In definitiva, deve essere confermato l’annullamento del provvedimento impugnato, fatto salvo il potere del Comune di riprovvedere attenendosi ai principi espressi nella presente sentenza.
Stante la complessità delle questioni trattate, le spese di lite devono essere integralmente compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello principale, accoglie parzialmente l’appello incidentale e per l’effetto accoglie il ricorso originario nei sensi di cui in motivazione.
Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore

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