Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 29 marzo 2019, n. 2078.
La massima estrapolata:
L’automatismo delle cause ostative di cui all’art. 4, comma 3, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, viene meno, lasciando posto ad una valutazione discrezionale, quando ricorrono i presupposti indicati nell’art. 5, comma 5, dello stesso testo unico, che impone all’Amministrazione, in caso di ricongiungimento familiare o di familiari ricongiunti, di valutare la natura e l’effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche la durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.
Sentenza 29 marzo 2019, n. 2078
Data udienza 31 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1728 del 2014, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ma., con domicilio digitale presso il medesimo in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma;
contro
Ministero dell’Interno, Questura di Milano, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro opposto dal Questore di Milano con decreto Id. -OMISSIS- emesso il 25.03.2013 e notificato il successivo 25.04.2013, nonché il provvedimento di respingimento alla frontiera emesso dall’Ufficio Polizia di frontiera presso lo scalo marittimo di Genova il 25.04.2013, notificato in pari data.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Milano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2019 il Cons. Francesco Guarracino e udito per le amministrazioni appellate l’avvocato dello Stato Wa. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sede di Milano, il sig. -OMISSIS-, cittadino -OMISSIS-, ha impugnato il provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno adottato dal Questore di Milano sul rilievo che il richiedente era stato condannato per reati ostativi alla permanenza sul territorio nazionale ex art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998 e che lo stesso, da accertamenti compiuti sulla posizione anagrafica INPS, non risultava aver mai percepito un reddito, proveniente di fonte lecita, sufficiente al suo sostentamento.
Col medesimo atto ha impugnato il provvedimento di respingimento alla frontiera conseguentemente emesso nei suoi confronti dall’Ufficio Polizia di frontiera presso lo scalo marittimo di Genova il 25 aprile 2013.
Il TAR adito, con sentenza n. -OMISSIS- del 22 agosto 2013, resa in forma semplificata, ha respinto il ricorso “poiché è legittimo il diniego di rinnovo di permesso di soggiorno opposto a cittadino che, non solo risulti da tempo sprovvisto del requisito del reddito minimo, ma che abbia anche subito condanne penali per cessione illecita di sostanze stupefacenti, il che lascia ragionevolmente presumere che i proventi da cui dipende la sussistenza del ricorrente nel territorio italiano potrebbero anche provenire da fonte non lecita (T.A.R. Molise, Sez. I, 20.3.2013 n. 221). La mancanza di un idoneo titolo di soggiorno giustifica e legittima il conseguente provvedimento di respingimento alla frontiera”.
Col ricorso in appello il sig. -OMISSIS- ha impugnato la sentenza del TAR lombardo, di cui deduce l’erroneità per aver dato rilevanza al solo precedente penale senza prendere in alcun modo in considerazione le documentate osservazioni svolte nel ricorso in merito all’inserimento familiare del ricorrente e per non aver esaminato il motivo di doglianza con cui, sostenendo che il ricorrente dovesse essere qualificato come “soggiornante di lungo periodo” ai sensi dell’art. 9 del D.lgs. n. 286/98, era stata invocata l’applicazione in suo favore dell’art. 12 della direttiva n. 2003/109/CE, a mente del quale il soggiornante di lungo periodo può essere allontanato dal Paese di soggiorno solo se “costituisce una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza”, lamentando che nel decreto del Questore mancasse un esplicito giudizio di pericolosità concreta e attuale del richiedente e che non sarebbe stato possibile comprendere il motivo per cui l’Autorità di frontiera era pervenuta ad una simile conclusione.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’interno e la Questura di Milano, senza espletare attività difensiva.
L’istanza di sospensione cautelare della sentenza appellata è stata respinta con ordinanza n. -OMISSIS- del 20 marzo 2014.
Alla pubblica udienza del 31 gennaio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato.
L’automatismo delle cause ostative di cui all’art. 4, comma 3, del D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, viene meno, lasciando posto ad una valutazione discrezionale, quando ricorrono i presupposti indicati nell’art. 5, comma 5, dello stesso testo unico, che impone all’Amministrazione, in caso di ricongiungimento familiare o di familiari ricongiunti, di valutare la natura e l’effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche la durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.
Per effetto della sentenza della Corte costituzionale del 18 luglio 2013, n. 202, la norma si estende anche allo straniero “che abbia legami familiari nel territorio dello Stato” e, dunque, anche ai casi in cui, pur non essendovi stato ricongiungimento familiare, ne sarebbero ricorsi i relativi presupposti (ex ceteris, C.d.S., sez. III, 27 novembre 2018, n. 6699).
Nel caso in esame l’appellante, condannato alla pena di mesi sette di reclusione e al pagamento di una multa di Euro. 1500,00 con sentenza del Tribunale di Milano del 9 novembre 2011, confermata dalla Corte di Appello di Milano il 18 gennaio 2013, per i reati di detenzione di sostanze stupefacenti (-OMISSIS-) destinata alla vendita, commesso in concorso, e di minaccia a pubblico ufficiale, commessi a Milano il 18 settembre 2011, ha espressamente lamentato in primo grado (pag. 4 e 6 ricorso) che la Questura non ha valutato il fatto che da molti anni egli vive in Italia con la sua famiglia, come da certificato di residenza anagrafica del 2013 in atti.
Di tale situazione familiare, in effetti, il Questore non ha tenuto conto, essendosi limitato a considerare la condanna e la situazione reddituale come ostative al rinnovo del permesso di soggiorno, in palese violazione dei principi sopra richiamati, e la relativa doglianza non risulta esaminata dal TAR.
A sua volta, l’illegittimità del diniego di rinnovo impedisce di considerare senz’altro l’appellante alla stregua di un soggetto privo di titolo, come tale da respingere alla frontiera ai sensi dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. 286/1998.
Il motivo di appello risulta conseguentemente fondato ed assorbe l’ulteriore censura concernente un ana profilo motivazionale dei provvedimenti impugnati.
Per queste ragioni l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza appellata, disposto l’annullamento del diniego impugnato e del conseguente provvedimento di respingimento alla frontiera, con obbligo per la Questura di riesaminare l’istanza presentata dal sig. -OMISSIS- provvedendo a valutarne in concreto la pericolosità sociale, tenendo conto, da un lato, del tipo di reato commesso, dell’eventuale reiterazione di condotte illegali e di qualunque altro elemento sintomatico di pericolosità sociale e, dall’altro, della sua condizione familiare e lavorativa in base agli elementi di fatto forniti dallo stesso interessato ed operando, quindi, il necessario bilanciamento tra gli opposti interessi con adeguata motivazione sulla scelta operata.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, ricorrendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti con esso impugnati.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere, Estensore
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