Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 14 gennaio 2020, n. 354
La massima estrapolata:
La discrezionalità nel valutare l’opportunità di mantenere le speciali misure di protezione comporta, oltre che la valutazione della natura e gravità delle violazioni agli obblighi comportamentali, e in definitiva la stessa buona riuscita del programma di protezione grazie all’attiva collaborazione dell’interessato, un adeguato bilanciamento di interessi in relazione alla attualità e alla gravità del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia, a sua volta connotato dal fatto di non essere fronteggiabile con le ordinarie misure adottabili dall’Autorità di pubblica sicurezza.
Sentenza 14 gennaio 2020, n. 354
Data udienza 12 dicembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3661 del 2019, proposto dal Sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato Vi. Di Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Commissione Centrale ex Art. 10 L.82/91-Servizio Centrale di Protezione presso il Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima -OMISSIS- del 15 gennaio 2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti l’Avvocato Vi. Di Me. e l’Avvocato dello Stato Wa. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con ricorso al TAR per il Lazio, il ricorrente, collaboratore di Giustizia dal settembre del 2010 e ammesso insieme ai suoi familiari al programma speciale di protezione con delibera del 28 marzo 2012 della Commissione Centrale ex art. 10 L.82/91, impugnava la delibera adottata dalla stessa Commissione in data 24 maggio 2016 con cui era stata disposta “la revoca ovvero la non proroga del programma speciale di protezione”, a causa di una serie di condotte del ricorrente ritenute incompatibili con la prosecuzione del programma.
Oltre alle ripetute violazione delle regole del programma di protezione, sette delle quali sanzionate dalla Commissione Centrale nel 2015 con formale diffida dall’astenersi dal tenere analoghi comportamenti, veniva contestata al ricorrente la commissione di un reato, per fatti risalente al 13 novembre 2013, per cui il Tribunale di -OMISSIS-, con sentenza -OMISSIS- del 31 marzo 2016, lo ha condannato alla pena detentiva di otto mesi di reclusione.
Col ricorso veniva dedotto, viceversa, che le condotte rilevate non sarebbero state gravi e sarebbero state causate dalla patologia psichiatrica da cui il ricorrente è afflitto. Né si tratterebbe di condotte sintomatiche del reinserimento nel circuito criminale, mentre, di contro, il ricorrente non sarebbe mai venuto meno all’obbligo di collaborare e testimoniare.
Il ricorrente denunciava anche la mancata valutazione del pericolo attuale di ritorsioni derivante dalla condotta collaborativa resa, il difetto di istruttoria, la mancata partecipazione al procedimento, la sproporzione della sanzione alla luce delle condotte contestate, il mancato bilanciamento degli interessi.
2.- Con la sentenza in epigrafe, il TAR respingeva il ricorso, compensando le spese di giudizio.
3.- Con l’appello in esame, il ricorrente, premesso che nelle more del giudizio di appello la competente D.D.A di Napoli, in data 5 febbraio 2019, ha nuovamente richiesto alla Commissione Centrale la sua ammissione alle speciali misure di protezione, denuncia l’ingiustizia ed erroneità della sentenza, di cui chiede la riforma.
Con memoria del 22 novembre 2019, il ricorrente ha dedotto anche di aver impugnato dinanzi al TAR per il Lazio la delibera del 16.4.2019 con cui la Commissione Centrale, sulla scorta della sentenza appellata, ha respinto la richiesta della D.D.A. di Napoli volta al ripristino del programma di protezione.
Inoltre, con nota del 14.11.2018, prodotta in giudizio, la D.D.A. delinea l’attuale importanza della collaborazione del ricorrente a fini investigativi e processuali, valorizzandone l’attendibilità, con conseguente palese stato di pericolo di vita in cui il ricorrente si viene a trovare attualmente.
4.- Resiste in giudizio l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto dell’appello.
5.- Alla pubblica udienza del 12 dicembre 2019, la causa è stata decisa.
DIRITTO
1.- L’appello merita accoglimento.
2.- Il TAR ha ritenuto evidente che “ricorrano i presupposti della revoca discrezionale” e che “le condotte poste in essere dal ricorrente, reiteratamente, costituiscono violazione degli impegni assunti ai sensi dell’art. 12 della legge 82/91 ed integrano fatti di rilevante gravità che, oltre ad aggravare i costi del programma di protezione, hanno esposto il personale preposto ad ulteriori rischi.”.
Inoltre, il TAR ha rilevato anche che “la Commissione, oltre ad essere supportata dai tardivi pareri della D.N.A e della Procura, con argomentazioni non sindacabili, poiché non affette dai vizi censurabili in questa sede, ha fatto una comparazione degli interessi, optando non irragionevolmente per la revoca, atteso che sono state le stesse condotte reiteratamente poste in essere dal collaboratore ad esporlo al pericolo dal quale vorrebbe oggi essere tutelato mediante il programma speciale”.
Non è censurabile, secondo il TAR, il fatto che l’Amministrazione non abbia ritenuto esimente la patologia di cui il ricorrente afferma di soffrire, atteso che non può certamente trattarsi di malattia mentale che determini la totale incapacità di intendere e di volere, dal momento che sulla base delle dichiarazioni del ricorrente è stato possibile fondare ipotesi accusatorie ritenute attendibili.
La gravità delle condotte è desumibile dalla condanna penale riportata che ha suscitato allarme sociale, ma, prima ancora, dai comportamenti che “hanno messo a rischio l’incolumità del ricorrente, della sua famiglia e degli operatori del programma, trattandosi di condotte idonee a disvelare la presenza del collaboratore nella località protetta”.
Quanto ai pareri contrari della Procura di Napoli e della D.N.A., il TAR ne rileva la non vincolatività e comunque la Commissione Centrale se ne è discostata motivatamente, salvo successivamente ottenere un parere favorevole.
Infine, il TAR rileva che le misure di sostegno di cui all’art. 10, comma 15, D.M. n. 161/2004 sono dovute solo in caso di mancata proroga del programma, non in caso di revoca.
3.- Con l’atto di appello il ricorrente denuncia l’error procedendi e la motivazione apparente della sentenza.
Il TAR ha travisato la gravità degli eventi in contestazione ed ignorato che sette degli episodi su cui si basa la delibera impugnata sono violazioni già valutate nel 2015 rilevanti ai soli fini di un Richiamo con formale diffida.
L’ottavo episodio, oggetto della nota del 4.12.2015, secondo i pareri della D.D.A. del 4.3.2016 e della D.N.A.A. del 30.3.2016, non potrebbe, invece, giustificare la revoca del programma.
Contrariamente a quanto assunto dal TAR, i pareri emessi dalla D.D.A. di Napoli il 23.5.2016 e dalla D.N.A. dell’8.7.2016, questo secondo peraltro successivo alla delibera, riguardano il diverso profilo della “richiesta di contributo economico straordinario a titolo definitivo” e non sono utili a sanare la violazione dell’art. 11 del D.M. 161/2004.
Infine, il ricorrente contesta nel merito la gravità dei singoli episodi su cui si è fondato il giudizio negativo della Commissione, tutti in buona sostanza riconducibili alla grave patologia da cui è affetto da anni (-OMISSIS-), comunque risalenti nel tempo o ininfluenti (cfr. proposizione di interrogazione parlamentare).
Sottolinea, ancora, che sia la D.D.A. di Napoli che la D.N.A.A. hanno espresso ben quattro motivati e documentati pareri contrari alla revoca, anche successivamente all’ultimo evento di aggressione e minacce oggetto della nota del S.C.P. del 4.12.2015 (rispettivamente, in data 4.3.2016 e in data 30.3.2016).
Il provvedimento impugnato sarebbe affetto, pertanto, oltre che da irragionevolezza e travisamento, da difetto di istruttoria e mancato bilanciamento di interessi.
Con la memoria del 21 novembre 2019, il ricorrente ribadisce ulteriormente il travisamento dei fatti in cui è incorsa la Commissione e l’attualità del pericolo cui è soggetto per la perdurante collaborazione.
4.- Il Collegio premette che la materia è disciplinata dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, modificata dalla legge n. 45 del 13 febbraio 2001.
L’art. 9 della l. 82 del 1991 individua i soggetti ammissibili alle misure speciali di protezione e i presupposti per l’ammissione ed, eventualmente, per la definizione di uno speciale programma di protezione in caso di particolare gravità e attualità del pericolo, e cioè l'”inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle Autorità di Pubblica Sicurezza”, la “collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale” con carattere di intrinseca attendibilità, di “notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio” per il “carattere di novità o di completezza o per altri elementi”.
A norma dell’articolo 13 quater, comma 1, le speciali misure di protezione sono a termine e la stessa Commissione indica il termine, non superiore a cinque anni e non inferiore a sei mesi, entro il quale deve, comunque, procedersi alle verifiche sulla modifica o sulla revoca; se il termine non è indicato, esso è di un anno dalla data del provvedimento (comma 3).
Le misure di protezione possono essere revocate o modificate in relazione all’attualità del pericolo, alla sua gravità e alla idoneità delle stesse, nonché in relazione alla condotta delle persone interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma di legge.
Il comma 2 dell’art. 13 quater, prima parte, definisce le fattispecie comportamentali che comportano la revoca vincolata (l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’art. 12, comma 2, lettere b) ed e), nonché la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale) e le fattispecie rilevanti, invece, ai fini della revoca discrezionale (l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’art. 12, la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione, la rinuncia espressa alle misure, il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa, il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti, nonché ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e della altre misure applicate).
La discrezionalità nel valutare l’opportunità di mantenere le speciali misure di protezione comporta, oltre che la valutazione della natura e gravità delle violazioni agli obblighi comportamentali, e in definitiva la stessa buona riuscita del programma di protezione grazie all’attiva collaborazione dell’interessato, un adeguato bilanciamento di interessi in relazione alla attualità e alla gravità del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia, a sua volta connotato dal fatto di non essere fronteggiabile con le ordinarie misure adottabili dall’Autorità di pubblica sicurezza (C.d.S., Sez. III, 30/11/2012, n. 6127).
La costante giurisprudenza afferma che qualora una persona sottoposta a misure di protezione violi gli impegni che ha volontariamente assunto all’atto della sottoscrizione del programma di protezione o, comunque, si comporti in modo tale da vanificarne il contenuto concreto e le finalità protettive dello stesso legittimamente la Commissione dispone discrezionalmente la revoca della protezione (cfr. C.d.S., sez. III, 5 aprile 2019 n. 1828; 29 maggio 2018, n. 3201; 25 settembre 2017, n. 4456; sez. II, 18 dicembre 2015 n. 584; sez. VI, 24 aprile 2009, n. 2541).
In generale, tuttavia, va ricordato che l’esercizio della discrezionalità amministrativa comporta l’attenta considerazione dei fatti nella loro completezza e l’apprezzamento di tutti gli interessi in gioco, con equilibrio e imparzialità, secondo il canone della buona amministrazione, tenendo conto della ratio della norma e delle finalità per cui il potere valutativo discrezionale viene attribuito, specie quando si tratta di un provvedimento che viene ad incidere negativamente sulla sfera del privato al quale precedentemente sia stato concesso un beneficio.
5.- Nel caso in esame, la valutazione discrezionale della Commissione Centrale non appare esente dalle critiche di travisamento dei fatti mosse dall’appellante, tenuto conto anche dei numerosi pareri contrari alla revoca del programma di speciale protezione espressi dal 2014 al 2016 dalla D.D.A. di Napoli e dalla D.N.A.A. e, da ultimo, confermati dalla nuova proposta di ammissione al programma avanzata, nelle more del giudizio di appello, dalla D.N.A. di Napoli, in data 5.2.2019.
Il Collegio ritiene, altresì, fondata la censura con cui il ricorrente deduce la violazione dell’art. 11 del D.M. n. 161 del 2004 perché non assunti pareri aggiornati della D.D.A. di Napoli e della D.N.A.A. a seguito della nota del S.C.P. del 7.4.2016, avente ad oggetto gli esiti processuali della condotta del -OMISSIS-2013, che sono stati decisivi nella determinazione di adottare la revoca impugnata.
Infine, anche sotto il profilo dell’operato bilanciamento di interessi, la delibera impugnata appare lacunosa e contraddittoria nella motivazione in punto di esigenze di sicurezza.
5.1.- Nel merito, le condotte contrarie agli obblighi comportamentali del programma attribuiti al ricorrente che avrebbero vanificato l’efficacia delle misure di tutela ed anzi esposto, talora, gli stessi operatori coinvolti nella protezione a rischio di incolumità, hanno formato oggetto di analisi critica da parte del ricorrente, innanzitutto sotto il profilo della gravità attribuita agli stessi dalla Commissione Centrale e, in secondo luogo, perché omessa una considerazione complessiva includente il contesto personale e le condizioni di salute del ricorrente.
Quanto ai comportamenti contestati risalenti al novembre 2013, è significativo che siano stati commessi in giorni ravvicinati, a seguito del trasferimento in nuova località, e molto plausibilmente si tratta di fatti riconducibili, come il ricorrente afferma, alla patologia da cui egli è affetto da anni (-OMISSIS-).
Il ricorrente deduce anche di aver intrapreso, presso la struttura penitenziaria dove è stato detenuto, un percorso terapeutico per la cura della patologia psichiatrica, cui ha fatto seguito il T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio).
Difatti, dopo l’evento di cui alla nota del S.C.P. del 4.12.2015 (porto abusivo di oggetti atti ad offendere, minaccia grave e continuata anche a P.U., manifestazione di intenti suicidi dopo la lite con -OMISSIS-) il ricorrente, a seguito del percorso terapeutico seguito, non ha più posto in essere condotte contrarie ai propri obblighi comportamentali.
Dopo l’episodio egli è stato trasferito in altra località protetta e tale misura adottata, unitamente agli esiti positivi del trattamento medico seguito, hanno assicurato, sostanzialmente, il raggiungimento dell’obiettivo di tutela cui è finalizzato il programma di protezione.
Elemento questo determinante, ad avviso del Collegio, ai fini della giusta valutazione degli eventi occorsi, che tuttavia non risulta essere stato affatto considerato dalla Commissione centrale.
Con riguardo all’episodio del -OMISSIS-2014 (“protagonista di aggressione per questione di sostanze stupefacenti ai danni di un cittadino extracomunitario”), il ricorrente ha contestato che il fatto non viene riferito nel provvedimento impugnato nella sua completezza.
Egli afferma di aver contestato nell’immediatezza alle Forze dell’Ordine intervenute la reale dinamica dell’accaduto, essendo egli rimasto vittima di aggressione da parte dell’extracomunitario e non viceversa.
L’episodio autolesionista del -OMISSIS- 2014 (lancio di oggetti dal balcone della sua abitazione, manifestazione di intenti suicidi) sembrerebbe determinato da -OMISSIS-, tipico della patologia da cui è affetto il ricorrente, per l’aver scoperto che -OMISSIS-; l’episodio, difatti, è culminato in un ricovero presso il reparto psichiatrico del locale ospedale, su disposizione del medico intervenuto.
Ritiene il Collegio che l’incidenza della patologia psichica del ricorrente andava attentamente presa in considerazione al fine di valutare non tanto la gravità dei comportamenti infrattivi, quanto l’adeguatezza delle misure di protezione al fine di garantirne la piena efficacia a tutela dell’interessato e di tutti gli operatori.
5.2.- E’ significativo, inoltre, ai fini della valutazione del corretto esercizio della discrezionalità, che tutti i riferiti comportamenti (ad eccezione di quello oggetto della nota del S.C.P. del 4.12.2015) avevano già formato oggetto di valutazione da parte della stessa Commissione, che con delibera del 5 maggio 2016 aveva incaricato il Servizio Centrale di Protezione di diffidare il ricorrente dal tenere comportamenti confliggenti con gli impegni derivanti dal programma di protezione.
A ben vedere, i “nuovi elementi” oggetto di valutazione da parte della Commissione sono essi stessi fatti pregressi e già valutati.
Il primo elemento concerne gli esiti processuali della condotta infrattiva risalente al -OMISSIS-2013 (lesioni personali aggravate e possesso ingiustificato di oggetti atti ad offendere) che ha dato luogo a condanna penale da parte del Tribunale di -OMISSIS- con sentenza -OMISSIS- del 2016 ad 8 mesi di reclusione e non come erroneamente indicato nel deliberato della Commissione ad “anni otto e mesi sei di reclusione”.
Non è chiaro se l’errore contenuto nella delibera in ordine all’entità della pena sia un mero errore materiale o, viceversa, un errore sostanziale che abbia alterato la percezione della gravità del fatto nella valutazione della Commissione.
In ogni caso, il fatto era stato valutato a suo tempo, unitamente alle altre condotte, rilevante solo ai fini del Richiamo con diffida, conformemente ai pareri espressi dalla D.D.A. e dalla D.N.A.A. e la maggiore gravità che la Commissione vi riconnette con la delibera impugnata deriva dall’essere intervenuta la sentenza penale di condanna.
Il secondo elemento, è rappresentato dalla circostanza della presentazione di una interrogazione parlamentare a risposta scritta -OMISSIS-, relativa al medesimo fatto oggetto della sentenza penale, circostanza ritenuta rilevante perché idonea a diffondere la conoscenza di fatti che dovrebbero rimanere segreti, in linea con i principi di “mimetizzazione” cui è informato il sistema di protezione.
L’unico episodio nuovo, non valutato in precedenza, perché successivo al Richiamo, è quello occorso il -OMISSIS- 2015 (procurato allarme, porto abusivo di oggetti atti ad offendere, minaccia grave e aggravata e continuata anche a P.U.), oggetto della nota del S.C.P. del 4.12.2015.
Anche in tale occasione il ricorrente, tuttavia, manifestava la patologia da cui era affetto, tanto che il medico intervenuto lo sottoponeva a T.S.O..
6.- Con riguardo ai pareri resi dalla D.D.A. di Napoli e dalla D.N.A.A. va rilevato che, con nota del 12 marzo 2014, la Procura di Napoli esprimeva parere contrario alla revoca, ritenendo prevalenti le esigenze di giustizia e “importante” la collaborazione fornita dal ricorrente.
Ana parere esprimeva la D.N.A.A. il 12 marzo 2014.
Anche dopo l’episodio del -OMISSIS- 2014, la Procura di Napoli esprimeva parere contrario nonostante la censurabilità dei comportamenti, in considerazione del “rilevantissimo contributo” fornito dal ricorrente (nota del 28 novembre 2014) e la D.N.A.A., con nota del 19 dicembre 2014, si pronunciava negli stessi termini.
Il provvedimento impugnato riporta un solo parere favorevole della Procura di Napoli del 16 dicembre 2015, che tuttavia è stato reso a seguito di istanza dello stesso ricorrente del 26 novembre 2015, a seguito della propria scarcerazione, di fuoriuscire dal programma di protezione previa capitalizzazione delle misure di assistenza percepite e che, dunque, si esprime sulla diversa questione della capitalizzazione delle misure assistenziali.
Pertanto, è dubbio che vi sia contraddittorietà tra quest’ultimo parere e i precedenti.
Invece, con nota del 4 marzo 2016, la D.D.A esprimeva nuovamente parere contrario alla revoca, atteso il “rilevantissimo contributo” fornito dal ricorrente nell’individuazione degli esponenti di un importante clan mafioso e l’accertamento di alcuni reati. Analogamente la D.N.A.A. con nota del 30 marzo 2016.
Deve rilevarsi, invece, sussistente la violazione dell’art. 11 del D.M. n. 161 del 2004.
Difatti, la Commissione dopo aver ricevuto la nota del S.C.P. del 7.4.2016 (concernente l’esito del processo penale pendente presso per il Tribunale di -OMISSIS-) non ha richiesto i prescritti pareri alla competente D.D.A. e alla D.N.A.A. circa la persistenza della presupposta significatività della collaborazione e la permanenza dello stato di pericolo.
La permanenza dell’importanza della collaborazione e della persistenza dello stato di pericolo, peraltro, a posteriori, vengono confermate dalla sopravvenuta proposta della D.D.A. di Napoli del 5.2.2019 di ammissione del ricorrente alle speciali misure di protezione.
6.1.- Alla luce dei richiamati pareri contrari resi dagli organi competenti, va rilevato che la motivazione del provvedimento concernente il corretto bilanciamento di interessi, e la ritenuta prevalenza dell’interesse all’incolumità del collaboratore, non appare coerente con le premesse e sostenuta da convincenti argomenti, tenuto anche conto del travisamento di talune circostanze di fatto, di cui si è detto.
Per un verso, si legge nel provvedimento impugnato che “la situazione di pericolo costituisce il parametro cardine e fondamentale che presiede alla concessione del programma” in quanto le finalità di tutela dell’incolumità del collaboratore e della sua famiglia rappresentano le finalità del programma; per altro verso, contraddittoriamente, si trascura che il perdurante interesse dello Stato ad avvalersi della “importantissima” e affidabile collaborazione del ricorrente rende attuale e imprescindibile il perseguimento di quelle finalità .
Pur essendo innegabile la violazione degli obblighi comportamentali e la gravità del reato commesso, nonché il provocato allarme sociale, e il rischio che ne è derivato di vanificazione del programma di protezione, tuttavia la Commissione, che afferma di aver considerato prevalente l’interesse all’incolumità del ricorrente, ha trascurato di tener conto dello stabilizzarsi di una situazione di sicurezza e protezione dopo l’ultimo episodio, l’ottavo, occorso il -OMISSIS- 2015, a seguito del quale il trasferimento in altro luogo protetto ha consentito di assicurare la mimetizzazione e la prosecuzione di un regime efficace di protezione.
Tale considerazione più approfondita e complessiva avrebbe consentito, mantenendo il programma di speciale protezione, di tutelare adeguatamente il ricorrente dal concreto pericolo di ritorsioni e vendette, in considerazione degli impegni processuali ancora in essere.
Non può condividersi, pertanto, la conclusione cui è giunta la Commissione Centrale nell’operare il bilanciamento di interessi, sia perché contraddittoria, sia perché sembra ispirata piuttosto da una logica punitiva, che finisce per attribuire al provvedimento di revoca del programma di speciale protezione l’inammissibile funzione di sanzionare la gravità del reato commesso, le ripetute violazioni comportamentali e il provocato allarme sociale, trascurando l’importanza della collaborazione, pur rappresentata dalle competenti Autorità nei numerosi pareri contrari, e il pericolo attuale per il ricorrente, ancora impegnato nella collaborazione, su cui sostanzialmente non motiva.
7.- In conclusione, l’appello va accolto.
8.- Le spese di giudizio si compensano tra le parti in considerazione della complessità della vicenda e delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere, Estensore
Giovanni Pescatore – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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