Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 1 ottobre 2019, n. 6578.
La massima estrapolata:
L’onere della prova in ordine all’ultimazione delle opere abusive in data utile per fruire del condono edilizio spetta al privato richiedente e non all’amministrazione, poiché solo l’interessato può fornire inconfutabili documenti che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca dì realizzazione dell’abuso; tale prova deve essere rigorosa; in particolare, non risultano sufficienti dichiarazioni sostitutive di atto notorio, richiedendosi invece una documentazione certa ed univoca, sull’evidente presupposto che nessuno meglio di chi richiede la sanatoria e ha realizzato l’opera può fornire elementi oggettivi sulla data di realizzazione dell’abuso; in difetto di tali prove, l’amministrazione ha il dovere di negare la sanatoria dell’abuso.
Sentenza 1 ottobre 2019, n. 6578
Data udienza 26 settembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6685 del 2016, proposto dalla signora:
Te. Sa., rappresentata e difesa dall’avvocato Na. Sc., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. Ti. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis) e il Dirigente del Settore urbanistica di tale Comune, non costituiti in giudizio;
per la revoca ovvero la riforma
della sentenza del TAR Puglia, sede di Bari, sezione III, 11 febbraio 2016 n. 153, che ha pronunciato sul ricorso n. 299/2014 R.G. integrato da motivi aggiunti, proposto per l’annullamento dei seguenti atti del Comune di (omissis):
(ricorso principale)
a) dell’ordinanza 4 dicembre 2013 n. 211, notificata il giorno 5 dicembre 2013, con la quale il Dirigente del Settore urbanistica ha ingiunto, fra gli altri, all’appellante, quale realizzatrice, la demolizione in quanto eseguite senza titolo alcuno di opere situate in località contrada (omissis), sul terreno distinto al catasto al foglio (omissis) particella (omissis), e costituite da fabbricati rurali con struttura portante in muratura;
e di ogni provvedimento connesso, prodromico, coevo e consequenziale, e in particolare:
b) dell’ordinanza 23 agosto 2013 n. 153, notificata il giorno 26 agosto 2013, con la quale il medesimo Dirigente ha ingiunto la sospensione dei relativi lavori;
(motivi aggiunti)
c) del provvedimento 15 settembre 2014 prot. n. 22201, notificato il giorno 23 settembre 2014, con il quale il medesimo Dirigente ha reiterato l’ordine di demolizione;
e di ogni provvedimento connesso, prodromico, coevo e consequenziale;
In particolare, la sentenza ha dichiarato improcedibile il ricorso principale e respinto i motivi aggiunti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e udito per la parte ricorrente l’avvocato Br. Ta. su delega dell’avvocato Na. Sc.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il giorno 22 luglio 2013, come risulta dal verbale redatto il giorno successivo (doc. s.n. ma 1 in I grado Comune intimato appellato), personale del Settore ambiente e della Polizia urbana del Comune intimato appellato eseguiva un sopralluogo sul terreno di cui la ricorrente appellante è comproprietaria, terreno che si trova in località contrada (omissis), è distinto al catasto al foglio (omissis) particella (omissis) ed è classificato dagli strumenti urbanistici come zona (omissis) “agricola speciale”, vincolata come sito di interesse comunitario – SIC e zona di protezione speciale – ZPS.
Sul terreno in questione, rilevava una serie di costruzioni eseguite senza titolo edilizio, per una superficie complessiva di 163 mq ed un volume di 454 mc circa, descritte come: 1) un fabbricato principale di circa 72 mq e 231,68 mc di volume, considerata un’altezza media di circa m 3,20; 2) un vano seminterrato di mq 23 di superficie e mc 46 di volume per un’altezza media di circa m 2; 3) un vano forno di mq 12 di superficie e mc 37 di volume, per un’altezza di circa m 3,10; 4) un portico di mq 35 di superficie e mc 93,60 di volume, per un’altezza di circa m 2,70; 5) un vano sottostante il portico, di mq 20,80 di superficie e mc 16 di volume, per un’altezza di circa m 2,20; 6) una cisterna di 22 mq per la raccolta dell’acqua piovana.
Lo stesso verbale dava atto che dell’esistenza di tali fabbricati nulla si diceva nell’atto di acquisto del terreno, atto 13 luglio 1969 Notaro Gi. di (omissis), registrato a (omissis) il giorno al n. 884 e trascritto a Lucera il giorno 8 agosto 1969 ai nn 19503 e 212283 (v. verbale citato).
Con l’ordinanza 153/2013, il Comune ordinava la sospensione dei lavori (doc. s.n. ma 5 in I grado Comune intimato appellato); con la successiva ordinanza 211/2013, ingiungeva la rimessione in pristino (doc. s.n. ma 8 in I grado Comune intimato appellato).
La comproprietaria ha impugnato tali atti con il ricorso principale di I grado; ha impugnato poi con i motivi aggiunti il successivo atto 15 settembre 2014, con il quale il Comune ha confermato l’ordine di demolizione pur dopo una parziale ottemperanza al precedente ordine, che si era concretata nella demolizione del forno (v sentenza impugnata p. 5).
Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha dichiarato improcedibile il ricorso principale, per esser stata l’originaria ordinanza di demolizione sostituita dalla nuova; ha respinto i motivi aggiunti, ritenendo non provato che le costruzioni in parola, così come sostenuto invece dai ricorrenti, fossero anteriori al 1967; in particolare sul punto ha osservato che la loro assenza dall’atto di compravendita faceva ritenere il contrario, e che non era decisiva la circostanza per cui esse sarebbero state raffigurate in una foto aerea del 1974, ovvero risalente a un periodo molto posteriore; ha anche ritenuto corretta e congrua la sanzione applicata.
Contro questa sentenza, la ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene due censure, riconducibili ad un unico motivo di travisamento del fatto, nel senso che, a dire della ricorrente appellante, l’immobile sarebbe preesistente al 1967, e comunque anche se si dovesse ritenere posteriore al 1967, ma anteriore al 1974, non se ne sarebbe potuta disporre la demolizione.
Il Comune non si è costituito.
Alla pubblica udienza del giorno 26 settembre 2019, infine, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. L’appello, nell’unico motivo proposto, è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.
2. Va in primo luogo chiarito che, per costante giurisprudenza, l’onere della prova della data dell’abuso incombe sull’interessato a mantenerlo, e che solo concreti, specifici e rigorosi elementi di prova, non limitati a semplici allegazioni, lo trasferiscono a carico dell’amministrazione: così per tutte C.d.S. sez. IV 26 giugno 2019 n. 4388 e sez. VI 6 maggio 2008 n. 2010.
3. Ciò posto, la ricorrente appellante sostiene, nella prima parte del motivo, che la costruzione per cui è causa sarebbe anteriore al 1967, e quindi non necessiterebbe di titolo edilizio alcuno, sulla base di una serie di allegazioni, che risultano non decisive.
3.1 In primo luogo, la circostanza, in sé non contestata, che l’immobile appaia nell’aerofotogrammetria del 1974 relativa alla zona nulla dice, come correttamente ritenuto dal Giudice di I grado, sulla data anteriore in cui essa sarebbe stata realizzata.
3.2 La ricorrente appellante allega poi tre dichiarazioni nella forma dell’atto notorio, secondo le quali l’immobile sarebbe stato costruito nella data indicata; per costante giurisprudenza però tali dichiarazioni, talvolta richieste per ragioni di semplificazione nei procedimenti amministrativi, costituiscono in sostanza una prova testimoniale irritualmente introdotta nel processo indipendentemente dalla formulazione di una specifica istanza di ammissione della stessa e non possono costituire prova nel senso voluto: in senso ana, C.d.S. sez. VI 3 giugno 2019 n. 3696 e sez. IV 15 giugno 2016 n. 2626.
Va ricordato altresì che per C. Stato, sez. VI, 17 maggio 2018, n. 2995 l’onere della prova in ordine all’ultimazione delle opere abusive in data utile per fruire del condono edilizio spetta al privato richiedente e non all’amministrazione, poiché solo l’interessato può fornire inconfutabili documenti che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca dì realizzazione dell’abuso; tale prova deve essere rigorosa; in particolare, non risultano sufficienti dichiarazioni sostitutive di atto notorio, richiedendosi invece una documentazione certa ed univoca, sull’evidente presupposto che nessuno meglio di chi richiede la sanatoria e ha realizzato l’opera può fornire elementi oggettivi sulla data di realizzazione dell’abuso; in difetto di tali prove, l’amministrazione ha il dovere di negare la sanatoria dell’abuso.
Nello stesso senso, non è decisivo l’impiego di tecniche costruttive che secondo la ricorrente appellante risalirebbero agli anni Cinquanta del secolo scorso, dato che non è dimostrato che esse a partire dal 1967 o da data anteriore siano cadute in disuso, sì da non poter esser state utilizzate neanche in un fabbricato rurale.
3.3 Infine, la ricorrente appellante spiega il fatto, in sé non controverso, della mancata menzione dell’immobile abusivo nell’atto di compravendita del 1969 con una presunta prassi di quell’epoca. Si osserva però in contrario che la mancata menzione in un atto notarile di immobili estesi complessivamente per 163 mq di superficie e 454 mc di volume, quindi presumibilmente corrispondenti ad un certo valore commerciale, è un dato non conforme alla comune esperienza, che andrebbe dimostrato puntualmente e non si può presumere in base ad una non meglio precisata prassi.
4. Le argomentazioni contenute nella seconda parte del motivo, per cui in sintesi la demolizione non si potrebbe disporre trattandosi comunque di costruzione risalente, sono infine superate dalla sentenza C.d.S. a.p. 17 ottobre 2017 n. 9, secondo la quale il provvedimento con il quale si ordina la rimessione in pristino di opere edilizie abusive è dovuto e vincolato, a prescindere dall’epoca di realizzazione dell’abuso, che costituisce illecito permanente, sì che le sanzioni applicabili sono comunque quelle dell’epoca in cui si procede, come ritenuto da ultimo da C.d.S. sez. VI 21 marzo 2019 n. 1892. Non va quindi condiviso quanto afferma la ricorrente appellante, circa l’applicabilità di sanzioni più lievi rispetto alla demolizione, che sarebbero state previste prima dell’entrata in vigore della l. 28 gennaio 1977 n. 10.
5. Nulla per spese, perché l’amministrazione intimata appellata non si è costituita.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato (ricorso n. 6685/2016 R.G., lo respinge.
Nulla per spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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